LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

I grandi poeti contemporanei

 

Enrico Bonini
 

Da "Alla soglia del dubbio"

 
ONNIPOTENZA E IMPOTENZA
 
Se anche, Signore,
tu fossi piccolo dio
al minuscolo, ancor più ti amerei.
Allora,
solo allora saprei e ti vedrei
piangere con me, con i fratelli di pena,
gemere sulla nostra sorte
-la vita sconfitta dalla morte-
incapace di tenderci la mano.
 
Se tu, Signore,
tu minuscolo,
esile, fragile dio,
se tu, Signore... (e non è bestemmia, sai)...
solcheremmo assieme i vasti oceani dei nostri occhi
e la brace del mio cuore
si riattizzerebbe per donarti una scintilla d'amore
da farsi incendio,
luce, faro... guida al tuo gregge disperso
dal gretto pastore di capri
crollato... Crollato?
 
 
No: Tu sei l'Onnipotente.
Assiso fra gelide nubi
assisti ai nostri calvari,
contempli...
Guardi, Stella d'Oriente,
Aurora dell'Eden,
e la Tua misericordia sembra appassire
là dove i fiori gialli tendono allo zenit...
 
O noi crocefissi
dove il NULLA è travolto dal TUTTO
che Tu, solo TU sei!
Assiso fra ghiade galassie
contempli la Tua opera
IMMENSA.
La Tua Croce sublime
che pare escluderci
poiché il MALE regna sovrano
e la forza di opporvisi ci è tolta.
 
 
Oh! se Tu, Signore,
tu fossi piccolo dio
minuscolo...
quale esercito di miseri
impugnerebbe celesti armi
e drappelli d'Angeli cavalcanti
ombrerebbero il sole!
 
Su bastioni d'anime
e argini d'amore
erigeremmo i Castelli del Cielo
a tuo baluardo.
 
 
COME IL SALMONE
 
Anelante salmone
- lasciate pigre stagioni e angusti spazi (o limitate contrade)
a ritroso volgo ansie* tensioni
per deporre i miei versi
dove non areni il veleno dell'esistere.
Me ne sto in solitudine
a rischiare del mio
- folgori convulse mi offendono
nevrosi mi fulminano il cuore
bruciano resistenze inquiete.
 
Vado incontro al buio
con le mie parole:
bandiere di carta
colorata,
solchi effimeri
dove il sogno (e il segno)
inventano la realtà
dell'inesistenza.
 
Seppellirci.
La nostra sola verità
Presunta!
 
 
* inteso come aggettivo.
 
BRINDISI
 
Brinderò con vino di sole
nel cavo della tua mano,
col dorso dei tuoi capelli
mi passerò le labbra
dal sapor d'oro.
Non felicità
ma vita
o entrata nelle mie vene
sciolta fanciulla
già stremata del tuo candore.
Esisti come donna
e canta se hai lacrime agli occhi
e il cuore pieno,
la gola ti é nido di parole
e dolce concerto
ti fa agli orecchi
la mia voce.
Ai tuoi lobi approdo i denti bianchi
del mio orgoglio
creatura solare;
dai vasti respiri del tuo corpo
ancorato a vergini follie
con fuoco verde, con vino di sole
grido una gioia prigioniera
che ha vinto il tempo.
O entrata nelle mie vene
fanciulla sciolta
come un mandorlo
aperto alle colline.
 
COLLOQUIO COL FIGLIO
 
Figlio, hai l'età che il sole riverbera
sull'uve dai grani verdi,
nelle vigne che l'agosto avvampa,
grani saldi tra pendule foglie,
tenere madri che sporgono amorose braccia
a riparare i nati ora cresciuti,
spalancati ai voli e alle cadute.
Hai l'età del giovane cervo
che bruca, l'occhio attento
ai moti primi del bosco
se mai fulva cerbiatta
appaia e d'improvviso si conceda
ai freschi baci dell'erba
in rapida, composta fuga.
Senza orecchio attento
alle malizie antiche
del cacciatore:
l'eterno agguato delle cose.
 
Figlio, hai giovane età,
fresca di pensieri,
docile agli antichi richiami,
vibratamente tesa ai nuovi colori,
ai suoni puri, già consueti, di sempre.
 
Hai età nuova, figlio, e se ti parlo
è un Dio d'amore che mi spinge a farlo.
 
Figlio, la luna è spalancata come un'arancia
e i tuoi desideri sono certo lievi come i cento
inviti notturni che incantano i suoni
delle fontane e fermano i respiri
degli alberi, il crudo tumulto
dei tram.
 
E' la città che dorme con le seduzioni
fatte di poco.
 
Figlio, come frana il silenzio
e come la voce di tuo padre è bianca,
ora già breve.
Ora c'hai l'età dei giovani cedri,
l'età che sfiora con le ali il gabbiano,
ora che devi sapere» la vigilia della tua vita
coi misteri naturali dei fiori che nascono e muoiono,
ora ch'io devo dirti del mondo e delle sue cose,
tutte le sue cose, e non dimenticarne...
...ora, tuo padre, ha voce debole
e cuore trepido...
le lacrime gli fanno velo agli occhi...
ti vedo crescere avanti a me
come un giovane dio.
E ringrazio il Signore, piango e ti sorrido,
accolgo le tue mani fra le mie,
muovo appena le labbra aride,
rasciugate dalle mie arsure di sempre,
e non dico più nulla...
Dagli occhi e dalla mia stretta umana
tu sai, ora, dei fiori e dei loro misteri,
dove non sono aride formule e numeri,
dove non giunge l'acredine solita
della vita con le sue carte e le gerarchie
vuote e inutili,
l'inimicizia degli uomini.
Ti inizio al vivere di sempre
con la semplice mano nella mano,
uomo a uomo,
e sento il sangue che mi sgorga
in te
e beatamente muoio
in questa migrazione di vita
che ti dono
Dio sa a quale cuore,
felice come mai è stato
felice il tuo povero padre, Fernando.
 
Enrico Bonino è presente sull'Antologia dell'Associazione Zacem di cui è presidente onorario con queste poesie:
 
LIGURIA
LIGURIA: linea ineguale di monti
lambiti dal mare,
affrescati dalle attorte chiome
di pini severi,
Liguria rocciosa, sabbiosa,
Liguria verde arrampicata sui dirupi
-sulle scogliere fioriscono le spume-
dove i borghi impregnati di salmastro
frangono l'onde tirrene,
fendono mediterranei flutti
slargando orizzonti di fuoco.
Il sole prorompe dall'acque
-sùbito ne indorano-
e la luna, notturna falena misteriosa,
s'incanta di un colle ameno
e vi si corica, amante
d'un casto tramonto, preludio virile e prodigo
di un'alba dai colori, dai colori, dai colori, dai colori...
Liguria:
s'io fossi vero poeta -e non sono-
t'amerei ginocchioni su di una balza
dove un'agave in bilico
giochi furiosa con libeccio e scirocco,
s'io fossi vero amante -e non sono-
feconderei i tuoi seni che sciacquano
fra le tamerici riarse,
gli oleandri amari,
il rude falasco, la palma
dagli esotici frastagli...
ma ora cerco le tue barche, Liguria,
i gozzi della mia infanzia;
salpavano, varo gioioso d'arcani segreti
d'ascia, partivano
per le notti di pesca che luminavano
l'orizzonte
-erano per me altri siti, altri lidi
foresti:
li affratellavo con la fantasia.
Salpavano, Liguria...ma ora cerco le tue barche,
i gozzi della mia giovinezza
che più non trovo, l'una e gli altri,
inghiottiti da falsi vortici esistenziali.
 
Ora, torbe carboniere s'interrano nel nero porto,
osceni fumacchi ammorbano i tuoi cieli
e goffi, sgraziati edifici sfiorano le nubi
che sovrane ancora trascorrono all'Appennino.
Non più Liguria di Sbarbaro, Montale, Grande,
non più Liguria, Liguria, Liguria...
ma di te mi restano
queste sapide brezze che mi slargano dentro,
di te mi resta e vive
l'uomo di rete, l'uomo di vigna,
l'uomo che ergeva fasce come piramidi egizie,
di te mi resta
il bacio sottile, pregno, furioso
delle tue donne
ridenti d'onde a spruzzo, molli di risacca
che dissolve orme amorose sulle arene
candide,
di te mi resta anche
il lacerante fischio del barco
portacontainers»
-non più i tempi di vela»
isole chiare, arcipelaghi d'oro»
le turchine cornici all'orizzonte»
di Angelo Barile-...
mi resta solo il tumulto dei marosi,
il traballante dondolio dei treni
che imboscano nei tunnel
-ti forano il cuore-
di te mi resta, Liguria,
quel divino mistero
che un dio marino
ne squarciò il velo un lontano mattino,
che il Dio che ti fece
colma misura di acque e terre,
primordiale candido impasto d'argille,
ceramicò
cuocendoti nelle fornaci dai soli squillanti,
modellandoti
in un vivace intreccio di suoni,
colori e parole:
-»IN PRINCIPIO ERA IL VERBO E IL VERBO ERA DIO»-
parole
PAROLE
che in un'angusta dimensione di spazio
ne dilatano i freschi confini,
trascendono i tempi,
si eternano in un cielo ognora mutevole
e immanente,
anche se graffite sulla sabbia,
scritte sull'acqua
o soffiate a bianche nuvole
in corsa nel vento:
LIGURIA!
 
 
 
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Agg 15 ottobre 1999