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Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Toni Carbonaro
Ha pubblicato il libro

Toni Carbonaro, L'immagine di te meditazioni liriche, editrice Montedit, 2000, Collana I gigli (poesia), pp. 80 - L. 14.000 - Euro 7,23 ISBN 88-8356-028-0
 
 Prefazione

 

 C'èuna poesia, in questa nuova silloge di Toni Carbonaro, che si intitola "Cerco". Si apre con un verso - "la verità io cerco" - in cui l'inversione impone prepotentemente all'attenzione del lettore - ma più ancora del poeta - l'oggetto della ricerca: "la verità". Così, senza sfumature, senza incertezze, senza pudore: la verità senza altri aggettivi. Quella che tanti hanno cercato e che tutti dovrebbero cercare, quella che Platone collocava lassù, nella pianura delle idee e di cui noi, prigionieri nelle caverne, non vediamo altro che pallide ombre; quella che in un attimo - sì, un solo accecante attimo - accenderebbe i nostri sensi e la nostra mente rendendo tutto, finalmente, chiaro: la cifra dell'esistenza, il dilemma ontologico che ha tormentato ed esaltato per secoli i filosofi ovvero, etimologicamente, tutti quelli che amano il sapere.
Molti, da quando il sapere ha imboccato la strada dei laboratori, hanno rinunciato a questa ricerca, e questo ha fatto sì che dalle ampolle degli alchimisti uscissero, a un certo punto, l'elettricità e gli antibiotici. La ricerca della verità, senza alcun dubbio, non ci avrebbe dato né l'una né gli altri, anche se non si può pensare alle meraviglie del progresso scientifico e tecnologico senza sentire risuonare nelle orecchie il doloroso e ironico monito di Leopardi (altro gran cercatore) sulle "magnifiche sorti e progressive" dell'umanità; dalle stesse ampolle, in effetti, è nata anche la bomba atomica. Vivere, certo, bisogna, e magari anche progredire in una direzione laica e tecnicistica. Il computer, suvvia, lo usiamo tutti. Conoscere la Verità, ci diciamo, non ci è dato: meglio cercare di comprendere perché piove o perché un corpo lasciato cadere finisce per terra. In questo campo, almeno, due più due fa sempre quattro. Benedetta fisica quantitativa, benedetto Galileo.
Eppure un dubbio, ogni tanto, fa capolino: e se la difficoltà della ricerca - il "Cerco" di Carbonaro - portasse con sé, lasciandola sedimentare, una certa qual pigrizia? Va bene, non conosceremo la verità, ma viaggiamo in aereo. Che ce ne importa, in fondo?
Ed è proprio a questo punto che si colloca la risposta di Carbonaro: importa eccome. E se lo dice un chimico, che sulle quantità ha lavorato una vita, vale forse la pena di prestare un orecchio non distratto. Perché questo ci dice il poeta: pensiamo alla qualità, ora. La Verità non ha peso e misura, non occupa un determinato punto della spazio; è la sua qualità che può cambiare una vita, illuminandola ("lontano fuggo dal buio": si noti anche qui l'inversione, con la forte anticipazione dell'aggettivo) tanto da portare a una rapida, imperiosa risoluzione: "voglio cercare ancora".
Come forse il lettore avrà a questo punto notato, la poesia di Carbonaro offre terreno ideale per la riflessione e, perché no?, per la divagazione. Dal punto di vista del contenuto, infatti, si rivela estremamente ricca di spunti diversi. Dalla questione ontologica alla memoria del proprio vissuto, dagli omaggi alle persone care alla riflessione etica, ogni elemento si ricollega al tutto, il che è ribadito dalla stessa disposizione delle liriche, volutamente casuale; non troverà quindi, il lettore, una silloge articolata in sezioni, bensì una serie di poesie che disegnano un percorso individuale e collettivo.
Carbonaro ha ben presente la propria individualità in quanto separata dal mondo: con l'orgoglio dell'intellettuale la rivendica quando parla al singolare (significativo il verso già citato, "voglio cercare ancora", dove il soggetto sottinteso esalta la potenza dell'atto di "volere"), cioè quasi sempre; con l'umiltà dell'uomo non pensa a lanciare moniti all'umanità, rivolgendosi a un "voi" indistinto: l'interlocutore della sua poesia è sempre un "tu" preciso: tu, chiunque sia, che leggi; tu, "creatura amico fratello"; dove la progressione dall'essere indistinto al sostantivo - e che sostantivo - illumina di speranza il verso incastonato, e verrebbe da dire inchiodato, poco più avanti: "lenendo l'ancestrale solitudine". Solitudine ancestrale perché legata all'uomo, connaturata all'uomo, da che cominciò ad avere coscienza di sé. Eliminarla, la solitudine, non si può: solo lenirla. Ma la delicatezza del verbo scelto ("lenire": così liquido e sommesso), e l'uso del gerundio, con la durata che questo tempo verbale implica, è di per sé una carezza sul cuore.
Il mondo di Carbonaro, dunque, muove da qui, dall'io del poeta: un io che osserva il mondo e più ancora guarda in se stesso, incessantemente interrogandosi; un io che tende a disfarsi, in taluni casi, del peso del corpo per diventare solo anima in viaggio. La lirica "Il progresso" assume, in questo senso, valore di dichiarazione di poetica: l'uomo è sparito, ci sono solo orme sulla spiaggia pronte per essere cancellate da un alito di vento o dalla marea; l'aggettivo possessivo "mio", riferito al vagare, ribadisce ancora una volta la condizione di ricerca e solitudine. "Mio vagare", non "nostro", in una spiaggia deserta; e si noti il verbo scelto: non "camminare", che implicherebbe la sicurezza di una meta (si cammina verso qualcosa) che non ci può essere, bensì "vagare" (da "vago", cioè indefinito e infinito). Ed ecco che, improvvisa, appare la domanda: "io parte del paesaggio"? Non una certezza, ma una possibilità: e se stesse qui il segreto per uscire da una drammatica condizione di isolamento e solitudine? Sentirsi parte di un tutto, di una natura immensa che si definisce con un cerchio, non con una linea, e pertanto non cerca il progresso. Non solo il tema, ma anche la cura con cui è costruita la lirica fa pensare che il poeta le riconosca un ruolo centrale. Della prima quartina, e della domanda che la conclude, s'è detto; domanda che apre la lirica a un costante rimando uomo-natura, scandito da precisi rumori: nella seconda quartina al rumore delle foglie cadute a terra (evocato dalla scelta di un sostantivo fortemente onomatopeico come " frasche") si associano immediatamente i concetti di vita e morte, e un'amara considerazione: "la natura, certo, non conosce pietà". Nella terza quartina al soffio della brezza tra le foglie sono collegate l'idea del cielo (la meta?) e un'altra considerazione: "la natura non cerca il progresso". Nell'ultima quartina, infine, la riflessione etica del poeta, che si conclude con un'ultima domanda: "fin quando, fin dove?" Il movimento disegnato dalla lirica, dunque, ha un andamento preciso: lo sguardo prima si volge indietro (le orme), poi in basso (le frasche), poi in alto (il cielo), infine 'dentro' l'uomo, a ribadire, quasi, che questo è l'unico luogo dove è possibile cercare il proprio posto nel cerchio della natura.
Questa breve e necessariamente sommaria analisi de "Il progress" indica, tra l'altro, che Carbonaro si muove con perizia nel suo personale laboratorio poetico scegliendo con cura lessico e forme, cosa del resto già notata a proposito della sua raccolta precedente; basterà notare, quasi di sfuggita, che il poeta adotta varie forme metriche, con una predilezione per il verso libero, a seconda del contenuto della lirica; che trapela talvolta un voglia di giocare con parole e suoni che si traduce in un ritmico susseguirsi di settenari (penso a "Pendo...lando"); che la scelta del lessico, mai casuale, va dall'uso di un linguaggio ricercato e letterario a termini tratti dal gergo specialistico del chimico. La poesia si configura così come una sorta di materia magmatica da plasmare e modellare per trarne quell'immagine che non si può dire, ma solo evocare dall'"abito bianco del gabbiano e dalla spuma di cascata fumigante"; l'immagine zampillante e inafferrabile della verità.
 
Olivia Trioschi
 
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Inserito il 31 marzo 2000