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Susanna Pelizza

È nata a Roma dove è residente. Ha una laurea in lettere moderne e collabora presso alcune riviste letterarie. Nel 1986 vince a Stresa dalla casa editrice "La Stanza letteraria" un diploma di segnalazione d'onore come poeta con la raccolta inedita "Distrazioni" che uscirà solo molto più tardi presso Penna d'Autore (novembre 1999), rifacimento personale di moduli tradizionali, la poesia (come riteneva anche il Pascoli) diventa "scoperta" e non "invenzione". Inserita in alcune antologie (si ricordano Ottavio Nipoti 1997, Age Bassi 1999, Poeti dell'Adda 1999, Penna d'Autore d'oro 1998, Il Club degli autori 2000, Città di Monza 2000, Habere Artem) la parola crea una corrispondenza tra il caduco e l'eterno e per questo deve essere cesellato come una gemma, in sostanza una parola forte, così come l'intende anche T. Landolfi in "Opere" (Rizzoli). "La parola può tutto. (...) nulla può sottrarsi al suo impero, ha una capacità fondante, ogni volta di una nuova mitologia". La poesia forza spesso la lingua (le così dette "distrazioni pelizziane") per ricreare attraverso il vocabolo le cose come fossero momenti affreschi di un senso recondito e indelebile sulla pagina. Ogni parola deve essere il colore e la forma robusta dell'oggetto. Essa illumina, come una luce antica, la scultura del corpo metrico. In tempi moderni, in cui manca una critica "edificante" trasformata molto spesso nella gadameriana "fusione di orizzonti", dove l'esigenza di significare è stata sovvertita dal bisogno di comunicare, dove la progettualità è stata trasformata nel desiderio di immediatezza e improvvisazione, da un empirismo che risemantizza gli stessi concetti di centro e di periferia, insomma in un periodo in cui si perdono le verità definitive, il poeta più che sperimentare "il disincantamento del mondo" (Max Weber) deve nuovamente ricercare quella conoscenza che proviene dalla esperienza del sapere. 

  • Clicca qui Per leggere l'opera inserita nell'antologia del premio letterario Ottavio Nipoti 1997

 
Sintomatologia di un amore
 
1 gennaio 1985
 
Ho intenzione di mandare a Z una lettera minatoria, in cui sono spiegati tutti i miei dubbi e tutte le mie intenzioni sinteticamente. Devo disinnescare Z. La sua pericolosità per me può essere mortale. Lo costringerò a cedermi con il bombardamento a distanza. Per averlo ho bisogno della sua resa. Per il momento procedo al disinnescamento. La sua pericolosità è in gran parte eliminata, ma non del tutto. La lettera lo renderà ancora più impotente.
 
 
3 gennaio 1985
 
Ogni mattina mi sveglio con la consapevolezza dell'enorme differenza che esiste tra la mia vita e quella di Z. Un abisso ci divide, e mentre prendo il caffè mi rendo conto che l'amaro della mia esistenza è come un ostacolo, un impedimento all'unione con Z. Il suo mondo è ciò che si realizza in opposizione al mio; è l'esemplificazione della genuinità e della spontaneità nell'amore, è l'esatta esplicitazione della libertà e mentre misuro l'abnorme differenza, il disprezzo e la nausea verso me stessa sono come spie che testimoniano l'inutilità di qualsiasi gesto teso alla conquista di Z. Eppure la speranza appare sempre laddove è più forte e tenace la disperazione e mentre vedo sparire il suo essere come puntino nero dall'orizzonte della mia percezione, già mi vedo pronta all'imbarco che lo dovrà raggiungere.
 
 
5 gennaio 1985
 
All'uscita dalla chiesa A la mia cara amica, mi ha usato nuovamente come movente d'approccio con T. Lei ama T da circa sette anni pur non conoscendolo nutre per T le stesse parvenze affettive che spingono me ad agire con Z. Non ho intenzione di sradicare come pianta esile un sogno dalle radici amare della sua esistenza, e mentre l'aiutavo ad avvicinarla a T, scoprendo l'indifferenza di T nei suoi confronti alimentavo il suo sogno d'amore, con tenerezza con la stessa con cui sovente riscaldo me stessa nell'illusione.
 
 
6 gennaio 1985
 
Il pensiero di Z mi perseguita. Prima di coricarmi, la mattina presto e durante tutto il giorno, Z con i mezzi arcigni del suo potere guida la mia immaginazione dove meglio lo aggrada. Eppure non posso averlo; Z è solo il sintomo di una nevrosi che nasce dal ripetersi continuo di atti e di regole imposte da me alla vita, rappresenta un'oasi, un rifugio su cui far dolcemente naufragare il mio alacre desiderio di diversità, senza avere il pericolo di una trasformazione totale che potrebbe condurmi nei meandri del delirio. È l'unica libertà che si presta alla mia volontà e consente quella parvenza d'indipendenza agognata dal mio spirito prigioniero il quale non vuole rassegnarsi; eppure tale maschera cede ogni volta che lo scontro con il reale risulta arduo. Z assume il volto di un nemico che bisogna con ogni mezzo sconfiggere se non si vuole essere sottomessi. Z deve essere eliminato. E per ridurre Z al niente ho bisogno di una efficiente forza tecnica in grado di possederlo.
 
 
7 gennaio 1985
 
Scesi in pianura per attaccare. Il tentativo si dimostrò un fallimento. Il cannone sparò il primo colpo a vuoto; non era centrato nella posizione di lancio. Mi feci aiutare da alcune persone che si trovavano lì per caso (chiesi se avessero duecento lire per la telefonata). Una volta sistemato il cannone saprò il secondo colpo che fu debole perché prese solo la parte laterale del castello, mantenendo intatte le fondamenta (mi rispose la madre che si stancò subito di usare i suoi ripetuti pronto, pronto a vuoto). La maestosità della facciata superiore e tutta l'imperiosità del castello non venne attaccata. Gli uomini di guardia nella posizione leggermente distrutta si accorsero della mia presenza e spararono proiettili a catena uno dei quali mi ferì. Fui costretta a ritirarmi. Da tempo Z ha perduto il controllo del mio rifugio strategico e i suoi cannoni sparano a vuoto. Dispone però di un'efficiente attrezzatura tecnica e di moltissimi uomini. Se avessi continuato l'assalto avrei dovuto mandare allo sbaraglio l'esercito. Decisi di rimandare per il momento ad un nuovo bombardamento e arrivai a casa febbricitante.
 
 
8 gennaio 1985
 
La convinzione ieri di interrompere la battaglia, non fu immediata: furono convocati i ministri della ragione e quelli dell'intuizione. La consultazione fu una vera e propria disputa, in cui alla fine la ragione con rammarico e beffa dell'intuizione: quest'ultima contenendo in sé dei notevolissimi deputati, non si rassegnò alla sconfitta consigliandomi di procedere ad un nuovo atto di bombardamento, in cui avrei dovuto chiedere di Z prima di colpire. Infatti una volta localizzata la sua posizione sarebbe stato facile distruggere almeno la parte centrale del castello e quindi eliminare un po' della sua terribile maestosità. Ma la ragione reputò tale azione sconvenientissima. Avrei dovuto cambiare posizione ponendomi sotto il controllo degli uomini di Z, che avrebbero approfittato di questo repentino abbandono per sbaragliare l'esercito. Non me la sentii di rischiare e diedi retta a ciò che i deputati della ragione ritennero con coerenza.
 
 
9 gennaio 1985
 
La maestosità è come uno smacco al mio potere, è la beffa delle mie capacità operative, la dimostrazione dei limiti e delle mie debolezze. Nel mio territorio essa è un affronto; ciò che è diverso, ciò che è irriducibile alle mie esigenze mi provoca continuamente sottoponendo la mia ragione ad un controllo esasperato. Ormai i suoi presidenti si sono stancati di fare continuamente baruffa con quelli dell'intuizione, e di una situazione generale di caos che toglie qualsiasi speranza di riappacificazione anche a breve scadenza. Prima o poi abbandoneranno il campo lasciandomi disperata da sola nelle mani degli artificieri dell'azione. Ciò è a vantaggio del nemico che ne approfitterà per riconquistare il tesoro perduto. Infatti ho la chiara convinzione che l'aggressività di Z non è solo un mezzo di difesa, non nasce solo dalla consapevolezza delle mie intenzioni di possesso, ma anche dalla volontà di occupare il mio castello per riguadagnare quel tesoro rubatogli molto tempo fa. Con quello Z prenderà nuovi possedimenti e darà un colpo letale alle mie mire espansionistiche, limitando il territorio della mia residenza e costringendomi a delle libertà relative. Per questo la ragione non deve abbandonarmi; ho intenzione di affidarle il pieno controllo del castello costringendo l'intuizione del sentimento ad esserle seguace.
 
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 Agg. 02-02-2004