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Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Oscar Baruffi
Ha pubblicato il libro
Oscar Baruffi, Poesie dell'aratro e della farfalla, editrice Montedit, 2000, Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi)
pp. 32 - L. 10.000 - Euro 5,16
ISBN 88-8356-047-7
 
 
 Prefazione
 
A riprova che la poesia non vive solo nei manuali di letteratura o nella penna di esausti addetti ai lavori ecco una silloge, opera prima di un signore che nella vita si occupa di capelli e montagne, in cui accenti di rabbia e amore convivono con lirica felicità. Accorgersi, ormai con una certa frequenza, che la poesia, declinata nei suoi mille volti e sperimentata nelle sue infinite possibilità di espressione, non è affatto morta e anzi gode di ottima salute non rappresenta più una novità ma ugualmente, ogni volta, è cosa che mette di ottimo umore. E convince, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che esiste un terreno ricco e fertile che non cessa di dare buoni frutti, anche se ancora si aspetta che la miopia dei grandi editori venga finalmente corretta da lenti che non mettano a fuoco solo le richieste di mercato.
Fuor di polemica, godiamoci per il momento questo volumetto che, pur nelle sue poche pagine, presenta una scelta di poesie che rappresentano ben più della lettura di una sera. Oscar Baruffi, infatti, scrive senza risparmiare passione e calore, e in forza di ciò costruisce versi ampi e mossi, liberi da costruzioni tradizionali ma attenti a conservare ciò che da sempre rappresenta la magia della lirica, il ritmo. Ritmo costruito con il ricorso a rime e iterazioni che, appoggiate qua e là senza una regola precisa, assumono grande rilievo semantico: come quella, bellissima, pensiero/fiero (Sarajevo), o natura/matura (La rivoluzione); le insistite iterazioni, d'altro canto, danno a molte liriche un andamento circolare, quasi a voler contrastare in questo modo l'irrompere del tempo, la sua eterna fuga in avanti.
Non c'è più tempo! grida a un certo punto il poeta, rendendo così esplicito un pensiero (e forse un tormento) che, si intuisce, si affaccia spesso alla mente. Non c'è più tempo per le speranze, vane, per i sogni, ingannatori, per le illusioni, infrante contro la realtà; non c'è più tempo per la rivoluzione, anzi, forse non c'è mai stato. Ci sono state solo occasioni perdute. è la rabbia che nasce da questa consapevolezza a muovere i versi di poesie come La rivoluzione, Lui aveva capito!, Appollaiati, dove la durezza del linguaggio spesso assume i toni dell'invettiva contro coloro che si vestono come cresimandi, si rincoglioniscono al primo vagito di un figlio o di un nipote, siedono dietro sportelli antiproiettile a contare i soldi dei padroni.
Ma l'invettiva non si esaurisce in se stessa, non è polemica generalista o generazionale; ciò che si contesta, qui, è l'ipocrisia che cambia il colore dell'abito pur restando sempre identica a se stessa, l'adozione fasulla di certe parole che diventando slogan perdono ogni significato, ogni possibilità di agire concretamente sulla realtà. Soprattutto, la facilità con cui l'uomo si arrende alle circostanze, al potere e alle comodità per opportunismo e mero calcolo.
A ciò Baruffi oppone la sua penna al vetriolo e la sua sete di vita autentica: un cenno con gli occhi e spicchiamo il volo, scrive. Un volo che porta in alto e indietro allo stesso tempo, perché la strada per il cielo non può essere mediata che da un gesto di bambino. L'infanzia, dunque, è vista come luogo privilegiato di sogni sinceri, non contaminati da culture fasulle: Solo gli occhi di un bambino / seduto nell'oscurità / guardando stelle che dal cielo / in lento movimento / arrivano fino alle sue mani / che quasi le può toccare; o ancora: poco lontano, come non visto / un bambino muove le braccia / davanti a lui una farfalla / un pensiero e sono già lontani. Il volo è necessario perché solo in alto è possibile liberarsi dalle mille catene della civiltà, e persino da quelle che l'uomo trova in se stesso: disfare la propria personalità in un insieme più ampio, che necessariamente include la purezza della natura ma non gli altri esseri umani, diventa una necessità espressa nei versi di Come un torrente, bella similitudine del viaggio di un'anima costretta tra pareti rocciose e un corso ideale che si conclude con l'innalzarsi verso il cielo di mille preghiere che non è difficile immaginare miste e confuse agli spruzzi e ai vapori dell'acqua. Visione, questa, di grande leggerezza, soffusa di nebbia lieve: ciò che si ritrova anche in altri luoghi, ad esempio in Senza corpo (titolo di per sé parecchio significativo), dove un aratro diventa una farfalla e il corpo fumo, e in Una notte, in cui ritorna il fumo come tramite impalpabile verso l'alto.
Non si tratta, tuttavia, di rifiuto della corporeità in quanto tale (lo testimonia una lirica come Vivere nel tuo corpo), bensì del rifiuto di ciò che l'uomo fa del suo corpo: merce da vendere o da svendere, gabbia per impedirsi di volare. Non c'è quindi nessuna tentazione di tipo mistico bensì il proclama, coraggioso, che vivere qui e ora può significare anche, se solo si volesse, vivere più in alto e più avanti.
 
Bianca Cerulli
 
 
 
Per leggere l'opera 2° classificato al concorso Poeti dell'Adda 1999
 
Per leggere alcune poesie tratte dall libro " Poesie dell'aratro e della farfalla"
 
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