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Marina Lucchesi

Scrittrice.
 
La poetessa
 
Era molto anziana, anzi diciamo pure vecchia. In giro si mormorava che da giovane fosse stata assai bella, ma lei scuoteva il capo.
"Bella? no, non lo sono mai stata. Semmai geniale e anche questo a detta degli altri. Io non ci ho mai creduto, non lo so nemmeno ora".
Passava la maggior parte della giornata curva sulla scrivania, la penna in mano, la bocca imbronciata, come aveva fatto durante tutta la vita. Ogni tanto si alzava, si trascinava con passo incerto fino alla libreria e prendeva a sfiorare uno per uno il dorso di una serie di volumi, ordinati in modo da essere raggiunti senza alcun sforzo. I suoi libri. Quelli scritti da lei. Ora li toccava commossa, intenerita, quasi intimidita; ora noncurante, distaccata, come se non le appartenessero. Proprio così: a volte era come se non fossero suoi. Lo erano stati, un tempo, allorquando li aveva concepiti e portati alla vita entusiasticamente, tenacemente, faticosamente.
C'erano delle volte in cui ripensandoci sorrideva, magari ne prendeva uno in mano e lo apriva. Questo aveva i fogli tutti ingialliti, logori, sapeva di polvere: quest'altro invece era stato stampato da poco e le sue pagine avevano quel buon odore di nuovo nel quale le piaceva tanto affondare il naso. Poi tornava alla scrivania dove, insieme alla sua penna, l'attendevano altre situazioni, altri stimoli, che accoglieva e plasmava con la gioia e la freschezza di sempre. Con la meraviglia di sempre.
Non era mai stata sposata. Aveva avuto degli amori, diversi, anche importanti e spesso ne aveva sofferto. Non aveva avuto figli e con qualche stupore a volte si chiedeva che madre sarebbe stata. Però a dire il vero non era proprio così, non era del tutto giusto asserire che non aveva figli. Pensò a tutti quei giovani che quasi ogni giorno le riempivano la casa. Sì, perché lei non era una vecchia sola, c'erano tante persone intorno a lei, amici, colleghi, ammiratori. E tutti l'amavano e la stimavano. Specialmente i giovani. Loro erano davvero incredibili: venivano da lei per imparare. Imparare che cosa? Il talento non s'impara, figli miei, il talento è qualcosa che ti porti dentro fin dalla pancia di tua madre. Ma quei ragazzi parevano adorarla e lei non se la sentiva di disilluderli. Così la porta della sua casa era sempre aperta e arrivavano poeti, cantanti, pittori, artisti di ogni tipo. Entravano tanti sogni nella sua casa. No, decisamente non era sola: poteva dirsi una vecchia felice. Felice? Può darsi. Fino al momento in cui la solitudine della notte l'abbracciava. Allora spegneva la luce e, rannicchiata sotto le lenzuola, sentiva rifiorire il vigore della giovinezza e ad occhi aperti sognava due braccia che la tenevano stretta. Due braccia robuste, possenti, sane. Da uomo. Magari le braccia di uno di quei giovani che venivano a trovarla, uno di quelli che si presentavano al fianco di una bella ragazza dalla faccia liscia e dal turgido seno prosperoso, si sedevano sul divano e da quel momento non avevano occhi che per lei, la poetessa. Li conosceva bene quegli occhi adoranti, i soliti di tutti quelli che si trovavano al suo cospetto. Ma che cosa vedevano realmente? Le rughe, il doppio mento, le mascelle cascanti? Il suo volto pregno di vita vissuta. Così dicevano, e voleva essere un complimento o anche qualcosa di più. Lei sorrideva dicendo fra sé e sé: "C'è dell'altro oltre queste rughe, c'è dell'altro oltre questa carne stanca, ci sono io. Lo sai tu che mi guardi tanto ammirato? Ma chi guardi veramente, chi sono io, la maestra, la madre, la nonna? Una donna".
In quel momento una risata le sgorgava dentro e la rallegrava.
"Sì, avete sentito bene: una donna. Ma chi di voi vede in me la donna, chi?"
Le braccia che ora l'avvolgevano, sicuro, quelle vedevano la donna.
Forse, però, non erano le braccia di uno dei giovani che già conosceva, forse erano quelle di uno nuovo, mai visto prima che magari sarebbe venuto da lei l'indomani. Uno che non si sarebbe fermato all'apparenza del suo aspetto, ma lo avrebbe oltrepassato, fino a incontrare la sua più vera e intima poesia.
E così si addormentava la poetessa, fra quelle braccia senza nome, che la stringevano per la prima volta.
Notte dopo notte, la prima volta.
 
Per leggere il racconto "Hydra ed Elios"
 
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Inserito il 6 giugno 2000