Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Marina Lucchesi

Hydra ed Elios

 
Hydra se ne stava seduta su una grossa pietra. Intorno regnava una gran pace e il fogliame, percorso ancora da qualche residuo fruscio, era un tripudio di colori che dal rosso acceso digradavano verso tinte dorate passando per varie sfumature di ruggine. L'autunno. Vagò con lo sguardo fra le sommità degli alberi, su lembi di un cielo che s'avviava al tramonto. Un bacio furtivo le sfiorò il collo. Trasalì voltandosi di scatto. Elios la fissava sorridendo.
- Mi ha spaventata! Non ti avevo sentito.
- Ho fatto piano di proposito. Eri stupenda così assorta.
Si sedette in terra e posò il capo sulle gambe di lei.
- Ho dormito, mi piace dormire all'aperto, e ho fatto uno strano sogno. Il sole esplodeva e tutti fuggivano terrorizzati. Io ti tenevo stretta per non perderti in mezzo a quella confusione, ma un frammento di sole è sceso fino a noi e ti ha portata via. Ho cercato d'inseguirti, ma ero come inchiodato alla terra e tu sembravi così felice... Non lasciarmi mai Hydra, non te ne andare.
La giovane donna si chinò a baciargli gli occhi e non disse nulla.
- Hydra... è un nome bellissimo.
- Il nome di un mostro. Non è buffo? Un nome tanto dolce e armonioso per un mostro! Ma perché non suoni qualcosa? Mi piacerebbe veder arrivare il buio ascoltandoti cantare.
- Io vorrei...
Elios drizzò il busto poggiandosi sul palmo della mano e la baciò.
- E ora non vuoi suonare un poco? - chiese lei al termine di quel lungo bacio.
- No, voglio fare l'amore.
- Ma io non voglio!
- Come non vuoi, vieni qui con me...
Hydra con una risata si alzò di slancio e prese a correre fra gli alberi, i lunghi capelli ondeggianti in meravigliosi riflessi col miele di castagno.
- Ma dove credi di scappare? - le gridò dietro Elios - Io ti prenderò, non potrai sfuggirmi.
- E allora dai, che aspetti? Prendimi.
Correva a zigzag fra le piccole asperità del terreno e rideva, rideva. Elios aveva dentro una felicità indicibile, uno stato di grazia legato alla presenza di lei, ma quanta paura, quanta angoscia se lei non c'era. Era comparsa all'improvviso riempiendo di sé ogni istante della sua vita, ogni pensiero, ogni sogno.
- Be'? non ce la fai ad acchiapparmi?
- Adesso ti faccio vedere io - e così dicendo Elios si gettò in avanti con impeto, ma inciampò in una pietra e cadde. Hydra invertì la corsa e fu subito da lui.
- Amore, ti sei fatto male?
Egli l'afferrò attirandola a sé.
- Ci sei cascata, eh? - ridacchiò.
- Non vale, non hai giocato lealmente - protestò lei, ma Elios le serrò la bocca con la propria. Allora Hydra prese a dibattersi e a tirargli i capelli finché le labbra di lui non si staccarono dalle sue.
- Chiedi scusa! - gli intimò. Elios la baciò di nuovo e questa volta Hydra rispose con trasporto.
- Ti amo, ti amo tanto - disse infine guardandolo ansiosa.
Desiderava che anche lui le dicesse le stesse parole, ma egli abbassò lo sguardo e tacque.
- Elios...
- Hydra, amore...
- Elios, ma tu mi ami?
- Non chiedermi questo, non è semplice dire ti amo.
- Ma io credevo...
- Sei molto importante per me, più di chiunque altro, ma non posso dirti ciò che vuoi solo per farti piacere.
Hydra lo guardò con un'improvviso e disperato sconcerto dipinto sul volto.
- Ma perché mi chiami amore, allora?
- Così, viene naturale in certi momenti, direi che a quasi scontato.
- Non è vero, non è vero, - si ribellò lei dinanzi a tanta inattesa crudeltà - Sei così dolce con me, sei così... così... non so neanche io come sei, ma non è vero quello che dici.
- Sto bene con te, non lo nego. E poi te l'ho detto, sei molto importante. Ma dirti che ti amo... Ti prego, Hydra...
In pochi attimi lei aveva apparentemente riacquistato un'espressione pacata, ma dentro era tutta un subbuglio.
- Hai ragione, sai? E poi in questo modo sarà tutto più facile.
- Facile cosa?
Adesso l'allarmato era lui.
- L'inevitabile, amore mio. Del resto se non mi ami che t'importa?
- Mi spaventi quando parli così. Certo che m'importa, io non voglio perderti.
- Si sta facendo freddo, andiamo a casa, staremo meglio.
Si alzarono e raccolsero le loro cose: una coperta, una chitarra, un'armonica a bocca, e si diressero verso l'uscita del parco.
La casa di Hydra era un appartamentino dimesso, gli arredi ridotti all'essenziale, tuttavia addossati alle pareti abbondavano scaffali colmi di dischi e libri. Mentre Elios sfogliava distrattamente una rivista, lei mise un LP sul piatto del giradischi. Subito un ritmo potente e suggestivo si riversò nella stanza insieme a una voce melodiosa e graffiante , rompendo i silenziosi flutti sanguigni del tramonto.
- Ti piace questa musica? - domandò Hydra avvicinandosi al ragazzo.
- Non è propriamente il mio genere, ma è piacevole.
- È vibrante. - Hydra scivolò sul divano letto - È viva, è sofferente. Quando l'ascolto mi pare davvero di entrare nell'anima dell'Arcangelo, io lo chiamo così anche se non è certo originale.
Pochi musicisti hanno saputo darmi sensazioni tanto straordinarie. È come se il mio io e il suo fossero sintonizzati sulla lunghezza d'onda del tormento: soffro quando l'ascolto e nello stesso momento tocco il culmine della felicità. Capisci?
- Sì, credo di capire, ma continua, è interessante.
- Siediti vicino a me, ecco così va bene. Dicevo, c'è un rapporto singolare fra me e lui, ma difficilmente ne parlo, non mi va di sbandierarlo ai quattro venti. Magari per qualcun altro sono tutte sciocchezze, per me è una questione vitale, un bisogno viscerale. Sai che una volta l'ho sentito dal vivo? Anni fa. Indimenticabile, roba da arricciare la pelle solo a ripensarsi. Senti? No self control, no self control... stupendo, non trovi? Io mi sento spesso così, senza nessun autocontrollo. E per giunta mi piace. È un gioco esaltante, a game without frontiers... - S'interruppe di colpo e guardò il suo compagno, poi dopo un attimo riprese con un filo di voce: - Anche tu mi hai dato qualcosa di unico e irripetibile.
Poi non ci fu più spazio per le parole, adesso erano un solo essere, un uguale desiderio, un indiviso pensiero. Dopo restarono lungamente vicini, immobili.
- Metti la testa sul mio cuore Hydra.
- Dio, come batte! - esclamò lei e la passione li travolse nuovamente riempiendo la notte di sussurri e sospiri ripetuti sino allo sfinimento. Fu meraviglioso stare insieme, amarsi in quel modo totale e innocente. Era talmente naturale, talmente puro fare l'amore con Elios!
Stava sorgendo l'alba quando egli le sussurrò all'orecchio:
- Ti amo Hydra.
- Sta' zitto, sta' zitto, non devi dirlo solo per farmi piacere, non è giusto.
- Ma io ti amo davvero, ti amo da morire. - la strinse forte - Sei la mia donna, sei il mio amore. Ora lo so.
Hydra lo guardò sgomenta senza riuscire a spiccicare parola.
- Ma che hai? - chiese lui - Non sei felice?
- Sì, troppo, e mi fa paura.
Egli le posò una mano sulle labbra: - Shhh!
Si amarono ancora, a lungo, poi Elios si addormentò. E di nuovo quel sogno. Hydra rapita da un frammento di sole e lui che non poteva far nulla per trattenerla. Si agitò nel sonno. Hydra lo accarezzò piano finché lui si calmò e intanto pensava con un groppo di commozione alla gola: 'Come sei dolce amore mio, come sei fragile qui tra le mie mani e come sei forte nascosto nella nicchia dei tuoi sogni, come ti amo'.
Era omai mattino inoltrato quando la donna si alzò e schiuse appena gli scuretti sbarrati.
- Dove sei? - la voce assonnata di Elios la fece arretrare.
- Sono qui, vicino a te. Dormi ancora un po'.
- Sì amore, ma vieni qui con me, ti prego.
Quando il respiro di lui tornò ad essere regolare, Hydra si vestì in fretta ed uscì in punta di piedi. Al suo risveglio Elios non l'avrebbe trovata. Si sentì male al pensiero di non rivederlo mai più.
Poi, con un sorriso, s'incamminò verso il sole portando con sé il segreto chiuso nel suo falso nome e il dolore felice di un'altra tenera finzione: il nome inventato del suo giovane amore.
 
 
Lui
 
Stanotte non ho chiuso occhio. Mi sono girata e rigirata nel letto sperando invano che il sonno arrivasse. Ogni tanto un lieve torpore giungeva inatteso dandomi la sgradevole impressione di trascinarmi verso un oblio sconfinato, allora, gemendo terrorizzata, mi risvegliavo completamente. L'agitazione che avevo dentro cresceva con il passare delle ore e, alla fine, sospirando come se stessi compiendo un gesto di resa, mi sono alzata. In cucina ho aperto e richiuso gli sportelli di tutti i mobiletti, avevo voglia di qualcosa ma non sapevo di che cosa. Non frigorifero ho trovato del vino, ne ho preso un bicchiere e l'ho bevuto tutto d'un fiato: mi ha dato la nausea, di solito non bevo alcoolici e durante la notte meno che mai. Subito dopo sono andata nella cameretta-studio vicino alla porta d'ingresso. Sul lettino truccato da divano c'era la mia chitarra, sedendomi l'ho afferrata. Dalla parete le scale di Escher mi osservavano e sotto quello sguardo ho accennato qualche accordo, tentando anche di canticchiare con la voce arrochita per la stanchezza. Che noia! Ho smesso e sono rimasta immobile, il volto aggrottato: stavo pensando a lui. A tenermi sveglia era il suo nome che ritmava martellante dentro di me senza un attimo di tregua. D'improvviso ho rammentato alcuni versi scritti un giorno in cui ero al tempo stesso triste ed ottimista e ho ripreso a cantare.
"Quando torneranno le immagini perdute sarà un giorno diverso, da tutti questi giorni che ora sto vivendo nell'attesa di risveglio. - Adesso la voce era più chiara, però tremava. - Quando si fermeranno le immagini fuggenti sarà un giorno speciale...".
- Sarà n giorno speciale, - ho ripetuto piano. Sciocchezze, fottutissime sciocchezze, ho pensato gettando con impeto la chitarra nell'angolo più lontano del letto. Mi ha risposto un prolungato suono stonato. In quella stanza mancava l'aria, dovevo uscire da lì, andare sul pianerottolo, chiedere aiuto. Invece mi sono accasciata sul divano del soggiorno e, nascondendo il viso tra i cuscini, suono scoppiata in un pianto incontrollabile e convulso. Travolta dalla forza delle mie stesse emozioni stringevo il capo tra le mani nell'inutile tentativo di comprimerle, di reprimerle. Avrei voluto strapparmi i capelli e mi sarei strappata anche la pelle di dosso se fosse servito a soffocare la disperazione che m'accecava l'anima.
Poi la stanchezza ha fiaccato la mia irruenza lasciandomi silenziosa e tremante ad ascoltare la voce della notte.
Mi sono accorta di aver dormito solo quando un sobbalzo mi ha scaraventata a sedere sul divano. Ho provato un attimo di smarrimento, come mai non ero nel mio letto? Di colpo ho ricordato: Dio, era quasi l'ora di partire! Mi sono preparata in fretta cercando tuttavia di nascondere al meglio i segni della notte insonne. E poi via, di corsa da lui che mi sta aspettando.
Ora l'automobile sfreccia veloce sull'autostrada. Presto, devo fare presto, non posso arrivare in ritardo. Sbadiglio: sono così stanca!
Per fortuna dal finestrino aperto entra un venticello ristoratore.
Siamo giunti al termine di una torrida estate che pareva non volesse finire mai. L'aria settembrina mi scompiglia i capelli strofinandoli sulle guance e sulle labbra, mi solletica il naso e il collo, s'insinua sotto il fine abito giocando con la mia pelle, mi seduce allusiva con i mille profumi raccolti nel suo lungo viaggio. Quante cose potrebbe e saprebbe raccontare un profumo se solo gliene dessimo l'opportunità. mi sembra di essere un po' più tranquilla, ma intanto gli occhi pizzicano fastidiosamente. Sbuffando incomincio a girare la manopola della radio. Qua e là riesco a beccare la coda di qualche buon pezzo musicale, ma subito dopo si scade nell'una o nell'altra delle noiose quanto odiose proposte mattutine delle varie emittenti private. Ce n'è per tutti i gusti: pubblicità a buon mercato, DJ di bellezze speranze impegnati più o meno maldestramente a scimmiottare colleghi di più chiara fama, quiz melensi sponsorizzati da ditte che elargiscono premi del tipo pizze magliette occhiali, maghi plurispecializzati in divinazioni benedizioni guarigioni e miracoli di ogni ordine e grado. Per sfuggire a questi mostri divoranti sono costretta a rimettermi all'istante in perlustrazione su e giù per la FM. Mi vien fatto di pensare a Radio Music di John Cage e rido fino alle lacrime: non posso certo paragonare Radio Music alla confusione che lascio entrare in me e che da me riemerge ancor più confusa. Una stupida testarda che si ostina a cercare quello che non sa trovare, ossessionata da ciò che le sfugge, ecco chi sono io. Mi assale un senso di vertigine: se solo riuscissi a fare il vuoto nella mia testa, se potessi non pensare, se solo potessi non pensare a lui e a me che gli sto correndo incontro frastornata insicura ansiosa eccitata disperata. Vorrei non esistere, cancellarmi con un colpo di spugna.
Morire. Mi domando come andrebbe a finire se spalancassi la portiera e schizzassi sull'asfalto che simile ad un nastro rotante sembra volermi stritolare. Cerco di rimanere fredda, ma l'idea mi atterrisce.
Rabbrividisco. Sarei disposta a tutto pur di evitare quell'appuntamento, ma allora perché non me ne torno a casa? Scuoto il capo: no, non posso farlo perché lui mi sta aspettando ed io non voglio più fuggire. Il pensiero di lui è dolce e terribile, da lui dipende il mio futuro, da lui può dipendere la mia stessa esistenza.
Ho un fremito di ribellione. Eh no, la mia vita è un'altra cosa, la mia vita è molto, molto più importante di tutto il resto perché è la "mia" vita. Eppure so che dopo quest'incontro nulla sarà più come prima. Cosa dirà e come lo dirà? quale intensità, quali sfumature coglierò nella sua voce? ed io che dirò, cosa chiederò? Dio mio, come mi vedrà, come mi troverà, cosa penserà? Immagino i suoi occhi bellissimi, luminose spie d'intelligenza, coraggio, generosità.
Sorrido rasserenata: dirà solo cose belle, anzi stupende; dovrà farlo, è da troppo tempo che attendo. E se invece non andasse così?
Qualcosa mi afferra per la gola, le mani sudano, il cuore accelera il ritmo. Sta facendo davvero un gran caldo. Respiro profondamente.
Devo rimanere calma. Calma.
Una voce da dentro incita maligna:
"Torna indietro, sei ancora in tempo".
Ma io voglio andare.
"Non è vero, sei una bugiarda".
Taci, questa volta andrò fino in fondo.
"Che determinazione! Ma che ne sarà di te dopo?".
Dopo, dopo... non ci voglio pensare al dopo, so solo che ora non posso fermarmi.
"Sì che puoi. Tu vuoi e tu puoi. Ascolta, è tutto un inganno, un'illusione, lui non ti darà quello che cerchi, Fermati adesso, subito!".
Mi vedo scendere dalla macchina parcheggiata in un'area di servizio ed entrare nel bar. Dentro il locale l'altoparlante diffonde le trascinanti note di un tango argentino ed io piroetto sui tacchi alti.
Non ho più fretta, sono padrona del mio tempo. Mi stiro la schiena socchiudendo gli occhi: ho deciso. Vado verso un telefono, compongo il suo numero e parlo forte, quasi urlo.
- Non verrò, non verrò né oggi né mai. Non voglio sapere, non voglio cambiare, lasciamo le cose come stanno per favore.
La visione scompare, io sono ancora seduta nell'auto che non ha mai interrotto la sua corsa e grido con tutto il fiato alla voce che mi sibila dentro:
- No, non posso fermarmi perché lui mi sta aspettando e tu non mi farai cambiare idea. Io devo incontrarlo, vederlo, hai capito? Io lo voglio vedere.
Finalmente l'altra tace. Sono spossata. Intanto lo spazio che mi separa da lui si sta assottigliando attimo dopo attimo, metro dopo metro. Fra poco arriverò in città. Immagino l'antico splendore del centro e la magia del fiume e l'incanto che coglie il turista ad ogni passo. E i giovani sogni dei pittori del ponte. Con un sospiro abbasso il viso chiudendolo tra le mani, non riesco proprio a pensare ad altro che a lui: lui, che mi sta aspettando in un palazzone di periferia.
Appena là salirò le strette scale e forse a ogni scalino le mia gambe si faranno più pesanti, mi fermerò davanti ad una porta , la sua, e un po' esitante la spingerò, una voce femminile m'inviterà ad entrare ed io sprofonderò in una comoda poltrona dell'ampia anticamera, ad un passo da lui. Poi, nella fioca luminosità del mezzogiorno, un velo d'ombra muoverà verso di me e insieme raggiungeremo l'angolo più buio della stanza. Lui mi farà sedere vicino a sé, prima di cominciare a frugare con la luce dell'oftalmoscopio nella luce spenta dei miei occhi.
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agg. 2 luglio 2001