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Linda De Luca
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Linda De Luca - Raccolta di racconti e leggende
Collana I salici (narrativa) 15x21 - pp. 102 - Euro 11,36 - L. 22.000 - ISBN 88-8356-261-5
Prefazione
I ricordi di Francesca
La saggezza di Andrea

Prefazione
Una nutrita raccolta di racconti e leggende nella quale la semplicità della scrittura e la facilità di lettura sono due caratteristiche salienti per un lettore che voglia leggere un libro tutto d'un fiato.
La narrazione è fluida e la linearità espressiva e contenutistica di Linda De Luca ben si plasma con la brevità di alcuni racconti e con le fulminee leggende: l'amore e la natura sono i due capisaldi dell'intera raccolta.
Non per niente la genesi delle storie è sempre legata agli affetti, alle "cose di tutti i giorni", al "comune sentire", ed è significativa della voglia di raccontare dell'Autrice: un desiderio intenso di narrare eventi fantasiosi o situazioni della semplice realtà quotidiana.
In ogni racconto è sempre presente la ricerca di una armonia interiore ritrovata attraverso l'amore più puro ed una innegabile onestà: valori che vengono difesi a qualunque costo anche nelle situazioni più difficili.
Nei brevi racconti sono sempre le donne a svolgere il ruolo delle protagoniste: Francesca ospita un uomo, giovane e simpatico, ma ben presto si accorgerà quanto è cinico e crudele; Nena ama farsi ammirare dagli altri instillando una giustificata gelosia nel marito ma un vecchio saggio offrirà la soluzione per salvare il loro amore; Lisa per uno strano gioco del destino aiuta il marito nella carriera lavorativa scatenando una istintiva gelosia ma alla fine l'amore vincerà.
Nelle leggende invece ritroviamo la Natura con i colori, le atmosfere e le suggestioni di sempre: la leggenda del lino che grazie alla sua purezza "sarà sull'altare e per il suo candore nel calice"; la leggenda della falena con Fiordaliso tramuata in una farfalla; la leggenda della mimosa nata dai lunghi capelli biondi di una ragazza per adornare la Madonna di fiori e poi ancora quella dell'acacia, del vischio e del pungitopo, del myosotis (il famoso "non ti scordar di me").
Leggende tradizionali narrate in forma popolare con mano delicata dove convivono gli ingredienti fondamentali della tradizione come quando Linda De Luca scrive: "Un vecchio dalla lunga barba bianca, seduto vicino al camino raccontava leggende della sua terra. Stringeva la sua lunga pipa di cotto, tirando una boccata ogni tanto. I suoi occhi erano lucidi e vivaci".
È forte nell'Autrice l'istinto ad utilizzare canoni conosciuti ed un linguaggio del quotidiano anche per narrare riuscendo ad essere sempre funzionali alla storia narrata.
L'interiorità della donna ed il suo rapporto con l'uomo, l'amore con le sue sfumature e gelosie, la vita con la quotidianità del vissuto sono la testimonianza della spontaneità e della immediatezza trasportata da Linda De Luca in questa sua raccolta.
 

Massimiliano Del Duca

 

I ricordi di Francesca
(racconto)
 
 
 
 
 
La vecchia pendola scandiva con regolarità, ma incessantemente i minuti, le ore. Tic, tac, tic tac. Era un rumore lieve, ma rintronava nella testa di Francesca come un martello e picchiava sodo. Alzò gli occhi a guardare suo marito, i suoi figli seduti attorno al tavolo della sala da pranzo con la testa china sui quaderni, sui libri, sui registri, assorti nel loro lavoro. Erano calmi e tranquilli e avevano bisogno di silenzio per finire i loro compiti. Solo Francesca si sentiva nervosa, irrequieta, e non capiva perché. Lasciò cadere in grembo il suo lavoro a maglia, prese una penna ed un foglio, sul tavolo ve n'erano parecchi, e si accinse a scrivere. Doveva infatti scrivere a sua zia Amelia, povera vecchia semi paralizzata, che chiedeva spesso loro notizie.
Rimase con la penna tra le dita un po' di tempo, poi la rimise sul tavolo e riprese il suo lavoro a maglia. Aveva la mente piena di ricordi che si perdevano nel passato, si accavallavano gli uni sugli altri, facendole perdere il filo dei propri pensieri. La pendola continuava a martellarle il cervello e le idee le sembravano una girandola vorticosa. La pendola scandì sei colpi e un ricordo, mai completamente respinto e dimenticato riaffiorò nitido nella sua mente, rivivendolo in pieno.
Qualcuno aveva bussato alla porta giusto alle sei pomeridiane. Abitava allora in una villetta di periferia di un'altra città. La casa era piccola ma comoda, cucina e soggiorno al piano terreno e due camere da letto con corridoio e servizi al primo piano. Ma quello che piaceva di più a Francesca era il giardinetto davanti alla casa. Vi aveva piantato tanti fiori e le davano una grande serenità guardarli. Anche allora li stava ammirando, quando uno sconosciuto aprì il cancelletto del giardino e venne avanti nel viale.
Francesca nutriva una innata diffidenza verso tutti gli sconosciuti, così decise di non aprire. Lo guardava dalla finestra della cucina scostando appena la tendina di allegro cretonne. Alto, snello, sembrava sicuro di sé. Lo lasciò suonare una seconda volta. "Penserà che non vi è nessuno". Disse tra sé, poi invece, al terzo colpo di campanello, socchiuse la porta.
"Francesca, la zia non si era sbagliata, mi ha fatto il tuo ritratto in modo perfetto".
"Chi zia?" - aveva corrugato la fronte tenendo sempre la porta socchiusa.
"Ma zia Amelia, non dirmi che non la conosci, benché sei partita piuttosto in fretta sbatacchiando la porta".
I ricordi le sfilarono davanti agli occhi in un baleno. Certo che ricordava zia Amelia, colei che le aveva avvelenato la vita da quando era rimasta orfana. E adesso cosa voleva la zia? La porta rimaneva socchiusa e lei non si decideva a far entrare quello sconosciuto. Maurizio trasse dalla tasca una lettera e gliela porse.
"Dopo averla letta mi farai entrare? Fa piuttosto freddo stasera".
Prese la lettera e corse subito alla firma. Era infatti la calligrafia della zia e la chiamava "Bambina mia". Finalmente si decise a far entrare lo sconosciuto, che rimase in piedi in attesa che lei leggesse la lettera. La zia, senza mezzi termini, le presentava Maurizio, il latore della missiva, e la pregava di ospitarlo per qualche giorno in attesa che trovasse una buona sistemazione. Aveva vinto un concorso e trovato un buon posto di lavoro. Era un suo caro pupillo e ci teneva che si trovasse bene. La pregava, per quanto potesse pregare la zia, perché piuttosto comandava, di aiutarlo in quei primi giorni finché non avesse trovato una camera adatta a lui. Naturalmente lo stipendio lo avrebbe riscosso alla fine del mese e contava su di lei anche per questo.
Non si limitava certo nelle sue pretese, la zietta, appioppandole sulle spalle il suo caro pupillo. Rimase a guardare quella lettera per un po' senza parlare.
"Non vorrei impormi a te, Francesca, ma non ti darò fastidio se mi farai stare qui. Non so proprio dove andare e non ho soldi per l'albergo. Ho soltanto pochi spiccioli".
Aveva una voce melodiosa e il nome di Francesca cantava tra le sue labbra. Aveva voglia di cacciarlo ma si sentì dire:
"Vieni con me in cucina e parleremo, ti offro una tazza di té, stavo preparandolo".
Maurizio ringraziò e sedette al piccolo tavolo in attesa. Francesca versò il té fumante nella tazza e glielo spinse davanti insieme ad un piattino di biscotti. Dopo aver bevuto e divorato tutto, si appoggiò alla spalliera sentendosi soddisfatto.
"Ti ringrazio di cuore, - disse, - ne avevo proprio bisogno, oggi ho dovuto saltare il pranzo per mancanza di soldi".
"La cara zietta non ti ha fornito di danaro?" - la sua domanda era di cattivo gusto ma non poté trattenersi dal farla.
"Non è come tu pensi, la zia non ha molti soldi. - Poi cambiò discorso ribadendo quello che gli stava a cuore. - Se mi offri ospitalità per qualche giorno vado a ritirare la mia valigia dalla stazione".
Secondo lui era già tutto scontato.
"Ti accompagnerò più tardi con la mia macchina, vuoi un'altra tazza di té?" - E Maurizio accettò. Sembrava avesse sempre fame.
Ora Francesca riusciva a ricordarlo. Andava spesso dalla zia quando lei abitava con Amelia; alto, dinoccolato, divorava una quantità di pasticcini che non gli venivano certo lesinati. La zia lo adorava. A Francesca faceva un certo effetto averlo lì, scombinava la sua vita e la sua indipendenza, ma ormai sapeva che doveva subirlo per qualche giorno. Però gli avrebbe fatto capire che non voleva troppa famigliarità, che doveva rispettare i suoi orari di lavoro e la sua libertà. Tutta fatica sprecata perché Maurizio era discreto ed evitava in tutti i modi di imporsi a lei anche nelle piccole cose.
Ma era pur sempre un uomo che viveva nella sua casa, un uomo giovane e simpaticissimo. Così a poco, a poco, quasi senza che Francesca se ne rendesse conto cominciarono a riscoprire ricordi di quando erano ragazzi, ne avevano tanti in comune in casa della zia.
Poi Maurizio propose piccole gite, quando gli orari di lavoro le permettevano a entrambi, e aveva preso pure l'abitudine di aiutarla in cucina vantandosi di essere un cuoco provetto.
Un giorno Francesca si accorse di esserne innamorata. Non avrebbe voluto che questo accadesse, ma aveva subito quella attrazione in modo fatale. Erano trascorsi due mesi da quando Maurizio aveva bussato alla sua porta e non si era parlato di cercare il piccolo appartamento per la sua sistemazione. Continuava a vivere in quella casa e Francesca non voleva più che lui se ne andasse. Desiderava la sua presenza e nello stesso tempo, stava diventando nervosa e scostante.
Maurizio se ne era accorto e un giorno le chiese se si sentiva male.
Francesca rispose bruscamente e il giovane non fece altre domande.
Però sentiva i suoi occhi scrutatori sempre fissi su di lei. Adesso non chiudeva più a chiave la porta della sua stanza quando andava a dormire.
Desiderava che andasse da lei e nello steso tempo si dava della pazza per quei suoi pensieri che non avrebbero approdato a nulla. Non voleva diventare la sua amante ed intanto si rigirava nel letto, con gli occhi spalancati, aspettando che entrasse nella sua stanza.
Forse fu proprio quel pensiero fisso, quella specie di richiamo mentale, quella specie di telepatia, che lo indusse una notte a varcare silenziosamente la soglia della sua stanza.
Francesca era sveglia e lo vide profilarsi contro il tenue chiarore del corridoio. Maurizio non era sicuro che la ragazza fosse sveglia, ma quando si accorse che si muoveva nel letto per fargli posto la chiamò dolcemente:
"Eccomi, Francesca, sono qui; era questo che volevi, vero? Mi desideri anche tu come io voglio te".
Fu una notte beata ma duro il risveglio. Albeggiava appena quando Maurizio la lasciò. Francesca, commossa, aprì gli occhi e lo guardò adorante.
"Forse avremo un bambino". - bisbigliò.
"Spero proprio di no". - rispose indifferente. - Domani, anzi oggi poiché è l'alba, parto. Ho avuto un buon impiego nell'America Latina. È un posto di fiducia e d'impegno e starò via degli anni".
Fu un gelo improvviso, una doccia fredda che percorse la spina dorsale di Francesca. Per qualche minuto le tolse l'uso della parola, poi reagì.
"Sposiamoci subito, così partiremo insieme" - disse fiduciosa.
"Dove vado io tu non puoi venire, non è luogo per te".
"E se avrò un figlio?" - insistette.
"Ho detto che spero di no. È stato molto bello ma è finita, Francesca, e non possiamo farci nulla".
La sua voce era fredda e controllata e Francesca scattò:
"Come hai potuto farmi questo? Hai aspettato l'ultima notte, hai calcolato tutto con freddezza e decisione. Ma che uomo sei?"
"Forse non è piaciuto anche a te? Da tanto che lo volevi, l'avevo capito benissimo". - Maurizio fece una breve risatina e uscì dalla stanza.
Francesca si buttò dal letto e andò in cucina. Gli sembrava di odiarlo tremendamente. Si preparò una tazza di caffè e lo bevve d'un fiato.
"Francesca, vieni qui, - la voce di Maurizio la raggiunse debolmente dal piano di sopra dove stava facendo la doccia. - Non fare così, c'è ancora del tempo".
Ma per lei tempo non ce n'era più. Non si poteva tornare indietro. Si vestì in fretta, voleva uscire, non vederlo più, non assistere alla sua partenza, ma fu bloccata sull'uscio.
"Perché fai così? Non è successo niente di tragico e non ci saranno bambini. Dopo tutto anche tu eri contenta, lo hai dimostrato in tutti i sensi". - Quel cinismo la colpì ancora di più.
"La chiave della porta la metterai sotto il tappetino, quando te ne andrai".
"Aspetta, ascoltami, lascerò la mia roba qui. A Milano troverò i miei compagni di lavoro e ci forniremo di tutto quanto abbiamo bisogno laggiù. Anzi è la ditta che ci fornisce, così ti potrò lasciare del danaro. Hai avuto delle spese supplementari per il mio soggiorno qui".
Voleva anche pagarla. Si voltò d'impulso e gli diede un ceffone, poi aprendo la porta gli disse:
"Non mi devi proprio nulla, è stato tutto un tale piacere!" - Ci mise dentro in quelle parole tutto il rancore e l'odio che ormai provava per lui. Si voltò e uscì senza aggiungere nulla. Quando tornò a casa la sera Maurizio era già partito da un pezzo. Non perse tempo, raccolse la roba che aveva lasciato, ne fece un grosso pacco e la mattina dopo lo spedì a zia Amelia con un laconico biglietto.
"Tutto ciò che il tuo caro pupillo ha lasciato in casa mia".
Quel giorno stesso chiese il trasferimento, che la ditta per la quale lavorava, le offriva da tempo, e che le fu subito accordato. Addio giardino, addio fiori che aveva piantato con tanto amore, chiuse la porta di casa e non si voltò mai indietro. Qualche giorno dopo prendeva alloggio in un appartamentino della sua nuova residenza e conobbe l'uomo che abitava alla porta accanto alla sua sullo stesso pianerottolo. Non era Maurizio, ma un bell'uomo anche lui. Era solo e cercava moglie. Dopo un mese si erano sposati.
Erano passati gli anni. C'erano state giornate di sole e di pioggia, ma nessun rimpianto. Fu scossa dai suoi pensieri dalla voce allegra di Maurizio:
"Mamma, stasera non si cena? Ho una fame da lupo".
Il marito di Francesca alzò la testa dai compiti che stava correggendo e si mise a ridere, anche gli altri due fratelli più piccoli ridevano.
"Certo che si cena, vado in cucina a preparare qualcosa". -Somigliava a suo padre e come lui aveva sempre fame.
 
 
La saggezza di Andrea
(racconto)
 
Si erano sposati in una luminosa giornata di giugno ed erano stati felici. Adesso però Pietro non era contento; Nena, sua moglie, amava troppo mettersi in mostra e voleva essere ammirata a tutti i costi, tanto che sorrideva a chi si fermava o si girava a guardarla. Quando non sfaccendava per la casa, si sedeva sulla soglia con un lavoro in mano che mai progrediva, perché era sempre troppo attenta a chi passava per la strada e a chi le rivolgeva la parola, oppure stava in piedi a parlare con le vicine.
Negli occhi di queste si divertiva a vedere l'invidia per essere lei ben vestita e ornata, non da grossi gioielli ma di cosucce di buon gusto che Pietro, quando la pesca era fruttuosa, andava a comprarle. Nena era felice nel vedere luccicare tra le mani del marito quelle belle cosine e lo abbracciava con trasporto. Ma, secondo il pensiero di Pietro, se ne adornava cercando negli occhi degli altri quell'ammirazione che, sempre secondo il suo pensiero, toccava solo a lui.
Nena lo amava, di questo era sicuro anzi sicurissimo, però gli dispiaceva che si esponesse, per civetteria, alla bramosia di certi sguardi sfacciati. C'erano due occhi fra tanti, colmi di desiderio che a Pietro davano proprio fastidio, e la sua rabbia più grande era nel vedere Nena che ci godeva. Qualche scenata c'era stata, ma la giovane aveva saputo calmare la gelosia del suo focoso marito.
Pietro si alzava all'alba per andare a pesca: era padrone di una bella barca grande, ben attrezzata, ed era aiutato nel suo lavoro da un vecchio pescatore molto esperto, che gli aveva fatto da padre quando il suo era venuto a mancare. Un giorno, tata Andrea, così lo chiamava da quando era un ragazzino, vedendolo distratto ed imbronciato, gli aveva domandato cosa avesse, se non si sentiva bene.
"Sto bene," - aveva risposto Pietro di malumore, "Perché mi fai questa domanda?"
"Perché mi sembra che, da un po' di tempo, tu abbia per la testa dei pensieri che ti preoccupano".
"Ma no, cosa pensi... la pesca va bene..." Pietro sembrava reticente a parlare di certe cose.
"Non parlo della pesca", lo interruppe il vecchio, "so che quella va bene e i soldi non mancano. Parlavo d'altro".
"E cos'altro può esserci?"
"Ascolta, Pietro," insistette Andrea, "sono vecchio e ne ho viste e sentite tante che non mi posso sbagliare. Poi, quando si sta sul mare, c'è tanto tempo per pensare, per meditare. Tu sei sposo da poco e dovresti essere felice, almeno in questi primi tempi. I pensieri purtroppo verranno, ma dopo. Quelli non mancano mai anche se facciamo di tutto per non averne. Ed ora dimmi francamente cos'è che ti tormenta? Mi hai considerato sempre come un padre e forse potrei consigliarti e aiutarti a risolvere i tuoi problemi". Vedendo che il giovane rimaneva muto fissando un punto lontano, aggiunse "vorrei vederti felice, Pietro!"
L'affetto del vecchio commosse il giovane più di quanto pensasse, oppure era il bisogno di confidarsi con qualcuno che potesse comprenderlo, che lo spinse a dire quello che da tempo gli rodeva dentro.
"Sono geloso, tata Andrea, molto geloso. Vedo Nena che gode a farsi guardare, a farsi ammirare dagli altri, e questo non lo posso sopportare".
"Ragazzo mio, da che mondo è mondo le donne sono soddisfatte solo quando si sentono ammirate".
"Questo è vero", riconobbe Pietro, "ma quando la donna in questione è la propria moglie, la cosa è diversa".
"Pensi che ti tradisca? Mi è sembrata molto innamorata di te".
"No, non mi tradisce, di questo sono sicuro. Ma vedi, io esco di casa che è ancora notte e se qualcuno vuole approfittare, l'occasione c'è. Io mi sento male solo a pensarci, mi capisci? Forse non dovrei lasciarla sola. Nena è giovane, tata Andrea, quasi una bambina, è bella ed attira molti sguardi: e tu sai che al mondo ci sono tanti mascalzoni. Io le raccomando di chiudere bene la porta quando esco la mattina, di mettere il paletto e di non aprire a nessuno. Ma anche così ho paura, una paura matta".
Andrea aveva ascoltato senza dire nulla ed anche ora era rimasto zitto.
Svolgeva la rete e guardava il mare che si schiariva in una bella tinta rosata. Il silenzio si prolungò mentre calavano le reti, svolgendo gli ami che si erano impigliati e sistemando le esche. A lavoro finito, prima di poter ritirare le reti, tata Andrea si sedette sul bordo della barca e dopo aver riempito la sua pipa si rivolse al giovane:
"Perché non sorvegli, prima di venire qui, se c'è qualcuno che spia il tuo uscire di casa?"
"Già fatto, tata, mi credi proprio uno stupido? Sono anche tornato indietro ed ho bussato, ma Nena non ha risposto se non quando l'ho chiamata ed ha riconosciuto la mia voce. Allora ha aperto subito spaventata pensando che mi fosse successo qualcosa di male".
"Allora non ti rimane che ingelosirla".
"E come? Son sempre con lei a casa e sa che non guardo nessun'altra donna".
"Ascolta, ragazzo, ascolta..." E Andrea, ridendo, gli diede qualche saggio consiglio. Anche Pietro rise, ma poi disse che non voleva litigare con la moglie.
"Non litigherai, te lo dico io, ascoltami".
Così il giovane, la mattina dopo, indugiò nel bagno, si rase accuratamente, si passò il dopobarba leggermente profumato e, prima di uscire, andò a baciare la moglie ancora addormentata. Nena aprì subito gli occhi e gli allacciò il collo con le braccia. Avvertendo il profumo domandò:
"Dove vai così profumato? Non vai a pesca stamattina?"
"Ma certo, perché me lo domandi?"
"Perché ti radi sempre al ritorno, cos'è questa novità?"
Pietro non rispose subito dando tempo alla Nena di pensarci su, ma questa si tirò a sedere sul letto e insisté:
"Allora? Non rispondi?"
"Ma cosa ci vedi di strano? La barba mi dava fastidio e allora mi sono rasato".
"È la prima volta che ti profumi per andare a pesca, e mi chiedi perché mi sembra strano?"
"Su, su, torna a dormire, è tardi e tata Andrea mi aspetta". Si diresse alla porta, ma udì distintamente il commento della moglie.
"Solo lui?"
Quando Pietro tornò, Nena non gli fece le solite feste, anzi aveva negli occhi una certa preoccupazione. Pietro se ne accorse ma fece l'indifferente.
"È una bella giornata, mogliettina, nel pomeriggio si potrebbe uscire per una passeggiata, che ne dici?" Fece l'atto di abbracciarla, ma rimase con le braccia tese perché Nena si voltò subito verso la cucina.
"Nel pomeriggio devo stirare la roba del bucato". Fu la fredda risposta.
"La stirerai domani", insistette Pietro, "dobbiamo approfittare delle belle giornate per uscire. Sei forse stanca? Mi sembri diversa".
"Non sono affatto stanca". Poi borbottò qualcosa tra i denti che il giovane non riuscì a capire, ma non insistette, immaginava benissimo cosa stesse pensando.
Per diversi giorni Pietro continuò a radersi, profumarsi, mettersi la maglietta pulita prima di uscire la mattina e Nena lo guardava con gli occhi socchiusi fingendo di dormire. Una mattina invece, quando andò a baciarla come faceva di consueto, la trovò già vestita.
"Perché ti sei vestita? È notte, puoi dormire ancora".
"Mi è venuto il desiderio di venire in barca con te dato che il tempo è buono".
Il giovane la guardò e si mise a ridere.
"Ma che ti salta in mente? Se vuoi, ti farò fare una passeggiata in barca di giorno, non di notte. Su, torna a dormire".
"Invece non dormirò e verrò con te, ho deciso".
Il marito, che si era diretto alla porta, si voltò a guardarla.
"Vuoi forse vedere le sirene?" e gli occhi gli luccicavano.
"E se così fosse? Che male ci sarebbe se le vedo anch'io? " prese un fazzoletto colorato, se lo legò al collo e aggiunse "sono pronta, possiamo andare".
"Non so proprio cosa ti sei messa in testa", disse Pietro mentre cercava di nascondere il sentimento di gioia che l'invadeva tutto. "Però non dirmi stasera che hai le ossa rotte, sulla barca c'è da lavorare".
"Ed io lavorerò, non ti preoccupare".
S'incamminarono sottobraccio mentre la giovane si guardava intorno, in caso ci fosse qualcuna che incontrava il marito a quell'ora. Il motivo per cui si radeva e si profumava ogni mattina doveva essere certamente quello.
Ma non incontrarono che qualche pescatore che, come loro, andava a raggiungere la propria barca.
Quando arrivarono alla darsena trovarono tata Andrea che caricava le reti e gli altri attrezzi. Appena li vide non poté trattenere un'esclamazione di meraviglia. Non si sarebbe mai aspettato che i suoi consigli dessero una risposta così precipitosa. Gli venne da ridere e per nascondere il suo buon umore si rivolse alla giovane affettuosamente.
Nena, come mai?"
"Mi è venuta voglia di assistere al vostro lavoro, tata".
"Ma a quest'ora tu dovresti dormire. Sei quasi una bambina e le bambine buone la notte dormono".
"Non sono più una bambina, tata Andrea, e tutte le ore sono buone per vedere coi propri occhi".
"Sagge parole, ragazza mia, e poi a me non dispiacerebbe se prendessi gusto al mestiere di tuo marito. Io son vecchio, presto verrò a mancare, e a Pietro farebbe comodo un altro paia di braccia per qualche lavoretto; è vero Pietro?"
"Non dire sciocchezze, tata Andrea", lo rimproverò Nena, "sei ancora forte e sano e sarai di aiuto per moltissimo tempo. Per oggi io mi godo questa gita, al dopo ci penserò".
Da quel giorno Nena accompagnò il marito e, si può dire, che prese tanto di quel gusto a quel lavoro che divenne, in breve tempo, molto abile.
La gelosia sparì dal cuore di entrambi e furono perfettamente felici. La saggezza di Andrea aveva dato i suoi frutti.
 
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Inserito il 21 dicembre 2001