Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Francesca Di Nola
Con questo racconto ha vinto il quarto premio del concorso Concorso Letterario Fonopoli 1999 sezione narrativa
 
Stecchino
 
Questa è una storia vera.
Avevo cinque anni quando compresi che la Terra non era un paradiso. Tornai a casa dopo un lungo periodo di forzata assenza e lei non c'era.
Compresi.
Il volto severo di mia nonna, lo sguardo spento di mio nonno e le occhiaie di mio padre. Tutto intorno a me aveva preso strane tonalità grigie. Inutili menzogne mi stizzivano e offendevano la mia intelligenza vivace.
La signora morte aveva invitato mia madre a brindare al suo banchetto.
Divenni taciturna, scontrosa, ribelle.
I miei vestiti cominciarono a divenire immettibili: tutto ciò che ritenevo opprimente stracciato e buttato via. Per lunghe giornate indossavo le sue camicie da notte inciampando negli orli.
Mi mancava.
Le mie giornate trascorrevano così, lente e silenziose.
Dondolavo sulla mia altalena con lo sguardo perso nel vuoto inventando canzoni e strane filastrocche. I piedi sudici, i capelli lunghi ed ingarbugliati.
Musetto indisponente!
Sentivo spesso i grandi parlare di me: "è intrattabile, un vero demonio, non c'è verso di educarla!".
Al buio nel mio letto piangevo, il suo nome si bloccava in gola e mi soffocava. Sognavo spesso mia madre e nella notte durante il sonno passeggiavo con lei per casa.
Si dice che le anime ci mettono un po' per arrivare a destinazione.
Mi piace credere che lei fosse titubante nel lasciarmi e le piacesse addolcirmi ancora per un po' l'amarezza di una vita senza più certezze.
I giorni passavano lenti e tutti maledettamente uguali: la rabbia, l'odio, l'incomprensione stavano annerendo il mio bel volto roseo e sereno.
Aspettavo con ansia le passeggiate in compagnia di mio nonno.
Non molto distante da casa mia c'era un ospedale, circondato da un enorme giardino completo anche di giostre. Lì trascorrevo le mie ore più liete rincorrendo le farfalle per poi catturarle ed osservarle all'interno di un colapasta.
Fu allora che lo vidi: era minuti e scarno, il viso era bianco, anemico, lo sguardo vitreo, inespressivo.
Aveva braccia sottili e ben visibili erano le vene.
Nell'incavo del braccio un grosso buco nero.
"Non guardare così, tira il corso tuo… è un drogato… è pericoloso…".
Avevo paura di tutti quei tipi scarni e pallidi che andavano in quell'ospedale per prendere il metadone. Vedevo spesso per quella strada gruppi di "anime perse" dirigersi in quel giardino con la speranza di vivere qualche ora in più.
Ne avevo paura, al contempo mi turbavano, al contempo mi incuriosivano.
Un pomeriggio estivo, mentre mio nonno leggeva il giornale mi allontanai distratta da una farfalla particolarmente colorata, non mi accorsi che lui mi sorrideva.
"Come sei bella, come ti chiami?".
"Francesca e tu?".
"Non ho più un nome, non sono più nessuno ormai da un po'".
"Ti do io un nome se ti va… stecchino… ma non mangi?".
"Poco".
"Dovresti ingrassare un po', la mia nonna dice che se non si mangia si muore ed io non voglio che tu muori".
"Eh! Lo so, mangerò oggi solo perché ti sento preoccupata per me, nessuno mai lo è".
"Io sì, anche se non ti conosco, oh! Ma io non ti conosco, non potrei parlare con te".
"Certo che mi conosci, molto piacere "Stecchino"… Un giorno vorrei avere una bambina bella come te, con questi bei capelli biondi, dovresti pettinarli però!".
"Mi annoio e poi mia madre me li pettinava sempre e non avevo nodi, ora lei è andata via, è volata via su una nuvola ed io sono tanto triste".
"Non smettere mai di sorridere, non essere triste, tua madre non ti lascerà mai sola, quando vorrai lei verrà sempre. È un angelo. Fidati e sarà il tuo angelo per sempre, credimi".
"E tu ce l'hai un angelo?".
"Sì, l'ho conosciuto oggi e mi ha regalato cinque minuti di vita, ciao angioletto mio, sento che ti chiamano e grazie". Mi baciò sulla fronte.
Gli sorrisi, presi la merenda che avevo in tasca e gliela porsi. Corsi via.
Le cose cambiarono.
Mio padre si risposò.
Le mie giornate si entusiasmarono. Avevo anche una sorella con cui giocare.
Cambiai casa.
Abbandonai il mio giardino, la mia altalena, le mie abitudini, imparai ad usare le posate, controvoglia a stare composta e a pettinare i capelli.
La mia matrigna e la mia sorellastra rendevano la mia vita impossibile quanto io la rendevo loro.
Ma il sole e la luna si rincorsero più volte nell'emisfero celeste e il tempo passò in fretta.
Abbandonai anche il mio paese natale e ci trasferimmo in una tranquilla cittadina di provincia. Mi ambientai con difficoltà.
La mia ribellione e il mio temperamento aggressivo, via via si moderarono e comincia ad assumere atteggiamenti più femminili e rispettosi.
Dentro di me, l'inferno.
In solitudine, scalza camminavo per casa e senza posate mangiavo con fusto tutto ciò che eccitava il mio palato.
Avevo ormai vent'anni e quel giorno un ennesimo litigio aveva snervato il mio sistema nervoso ormai fragile. Chiusa la porta alle mie spalle avrei trovato una radura dove fermarmi a scrivere o una Chiesa dove pregare e rimproverare il Superiore!
Scesi a piedi col motorino spento: nemmeno un goccio di benzina. E come al solito la solita mille lire racimolata qua e là per casa.
Un pallone colpì il parafango del mio motorino.
Una bella bambina bionda si avvicinò timorosa.
"Potrei riavere la mia palla per favore, non l'ho fatto apposta, mi scusi".
"Non ti preoccupare tieni pure, come sei bella, come ti chiami?".
"Francesca e tu?".
"Anch'io che bel nome non è vero?".
"Sì, piace tanto al mio papà… io vado a scuola, sai, all'asilo".
"Brava e studia mi raccomando".
"Io studio così da grande divento una dottoressa e guarisco tutti quelli che sono malati".
"Che tesoro che sei, sembri proprio un angioletto… va ti stanno cercando…".
Un uomo sulla quarantina dall'aspetto curato, sereno nell'espressione avanzò lentamente: il sole precedeva i suoi passi e a me sembrò come in un film.
Vidi la scena a rallentatore… lo sguardo sembrava… ma no… i suoi occhi avevano una luce diversa, qualcosa che prima mancava, la carnagione bianca ora era rosea… ma io no non è possibile, eppure…
Aprì le braccia e la bambina gli si attaccò al collo.
Mi fece un cenno con la testa e se ne andarono.
Non ebbi la forza di reagire, abbozzai un sorriso attonito, sconvolto, sorpreso, contento.
Brividi percorsero il mio corpo ad un tratto dalla mente riemersero i ricordi.
Era lui, proprio lui!… "Stecchino" quel ragazzo minuto, scarno di quel pomeriggio estivo.
La bambina bionda era il suo angelo ed a me parve per un istante che avesse qualcosa di mio.
Una lacrima furtiva mi bagnò le gote, il sole mi illuminò il volto, guardai i riflessi sui miei capelli, non c'erano nodi.
Col tempo avevo imparato ad amarli.
Pensai a mia madre, pensai a quell'uomo che nemmeno mi aveva riconosciuto, ma che inconsciamente mi aveva ricordato.
Chissà se era solo un caso che quella bambina portasse il mio nome…
Mi piacque credere che non lo fosse.
Concorso Letterario Fonopoli 1999 a sez. narrativa
Per leggere il racconto vincitore dell'ottavo premio al concorso Concorso Letterario Angela Starace 2000 sezione narrativa
Torna alla Home Page  
 
 
PER COMUNICARE CON L'AUTORE speditegli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Allegate Lit. 3.000 in francobolli per contributo spese postali e di segreteria provvederemo a inoltrargliela.
Non chiedeteci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2000 Il club degli autori, Francesca Di Nola
Per comunicare con il Club degli autori:
info@club.it
 
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit
 

IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |

agg. 9 gennaio 2001