LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Davide Comini
Davide Omar Comini è nato a Vercelli il 27 giugno 1977.
Nel 1997 ha conseguito il diploma di maturità linguistica a Casale Monferrato; nello stesso anno si è iscritto alla facoltà di lettere e filosofia di Torino, corso di laurea in lettere moderne, che frequenta tuttora.
Cantautore e poeta, nel 1994 ha vinto un premio speciale al «Premio internazionale Poesia per la pace».
Tuttavia solo nel 1998 ha iniziato a partecipare a concorsi di poesia, ottenendo vari riconoscimenti.
Ha partecipato come autore ad un'opera teatrale organizzata dall'associazione STED (teatro e danza) a Modena; è stato inoltre finalista dell'edizione 1998 al «Giro d'Italia delle poesie in cornice».
È inserito in varie antologie.
Per il 1999 è previsto uno spettacolo musicale e molti impegni artistici.
 
1° classificata al concorso Angela Starace 2001 sez. poesia
 
Petalo nuovo
germoglia
sulla stanca schiena,
il (di lei) bacio
e gentil pare
quanto infame.
 
Rumore raro
nella notte
oscilla breve
l'alba in rotte
passate e vano
pare parlarne.
 
 
Arridi o ravvediti, sindrome opaca che rammentaci le rughe...
La formula è buia: la scorgi?
Io non la so dire.
D'intorno è una cupola grigia di sillabe e sogni che infrangono il vero;
l'assurdo... Realtà compressa nel vuoto e vi nasce
l'impresa del vivere.
 
Eccoci: cadaveri, di ieri, arrancanti su domani di sapone...
Fraseggimmagini di noi,
statue libere nel parco; imprigionati in questa bolla...
ed è concentrica ogni morte.
 
 
Verrai a cercarmi un giorno,
dove l'uomo ha promesso deserti;
dopo l'assenzio,
dopo l'amore - abusato stento -
col tuo preciso disordine
di avventi-corteccia...
 
Straripano confini e li sento assorbire
svettanti
finali.
 
La tua direzione è inversa:
a forma di gelso; ripercorre gli stessi silenzi...
 
Noi, stesi osservatori impassibili,
ci sapevamo annullare, ma anche quel nulla ti verrai
a scovare
se adesso siamo in stallo
confusionale?
 
 
Lettera dell'oltretomba
 
Il corvo grigio è sul filo del tempo inesistente &endash; energizzante
il proiettile vaga indistinto, metallico teschio, la vita assorbe
molecole
di rimpianti e verseggiando un muggito s'incrina...
La svelta estate dei topi, obliqua sui fossi, smarrisce il suo intento radioso.
Di me, in mezzo al ciarpame, vedo un profilo straniero.
 
I giorni, inutili muschi, tra solenni larici e falsi ginepri,
annusano il vuoto.
Non compari.
Non è più la tua farsa, neppure la mia forse, ma attendo
e t'arrampichi tra feritoie di mai, muraglia invisibile.
Non potrò più spezzare le ali ai tuoi multiformi, informi, aironi che senza
il tuo spago d'altronde han già preso il volo.
 
Mai, in questo modo, il tramonto s'era accanito sulla mia
umana larva mansueta; ma il mostro è in agguato e anch'esso attendo...
La pioggia ha lavato le polverose strade vuote
e le insegne, cui risale un vento antico (di poeta),
sembrano fari nella foschia; infiniti porti
ai quali approdano gli ubriachi
viaggiatori. Ogni sentore è di te.
T'appartiene il mondo seppur nulla ti appartiene.
Mi sei addosso come un respiro, penetrante nei pori aperti a respirarti
tutta in un sorso.
Sei un rimorso lancinante ed anche quel niente che si fa preda; una frase
sfuggita all'ultima sillaba scritta.
Non so più nemmeno chi sei: se ancora Sei, essendo solo e sempre
assenza.
 
Ma verrà la fabbrica, nel mattino, urlante... gli automi silenziosi,
le stuprate parole inani, ridette sempre senza rumore; le luccicanti
chiese-altari supremi dell'idea mancante, prestabilita &endash;.
Verranno le iene incravattate, le ferraglie sportive, le amazzoni nude;
tutto al suo posto, preciso anello della ferrigna catena.
Ognuno al proprio laccio. Ognuno martire-eroe del mondo: senziente e contrario
muto, in ogni caso.
E in disparte, guardali: i folli che Sanno e non dicono, ascoltano chi non la sa
eppur parla... confuso masticare di sillabe.
 
Veloci, irraggiungibili, quei corpi chiusi in corpi chiusi, dischiusi sui baratri
innocui che defraudano foto dal conteggio.
E voglion dirmi di me, della vita; poveri microbi senza vita, col teschio stampato
sugl'occhi e una corsia d'urgenza prenotata, un giaciglio duro di pietra
che attende...
 
Qualche bagliore spoglierà la notte: le donne, sui tacchi, si chineranno
verso inguini lezzosi d'urina. Le fauci della morte s'inebriano nel fango.
Fraintendo le labbra che muovono sospiri. Ormai banale anche la luna
perché più umana o perché abusata.
 
Però la noia, immortale, spaventa i vivi.
Perciò prego e ringrazio d'essere anch'io
un morto.
 
 
Tra ceri notturni il tuo corpo s'insinua e mi avvolge:
manto immortale che m'inonda.
 
Tra lutei incantesimi la tua mano mi forgia;
L'infinto, in te, ha inizio
dai tuoi piedi frementi sul marmo della stanza; nuda anima immobile,
che muove il tormento, irraggiungibile...
 
Mia vanessa sottile, spasimo inquieto di tempo fuggito... mia amante,
mia donna immensa da scrivere ché il mio descriver non paga;
volteggi tra le ombre lucenti ed ogni tuo passo ti fa più leggiadra...
 
Martire del io amore umano,
dea del mio cuore trafitto... Torna al mio corpo ché possa baciarti,
in questa notte che striscia tra i rami del mio rimorso ruggente;
che il mio esistere sia in te l'eterno,
mia morte soave, mia Vita.
Comprendi il tutto che mi dà forma, il mio inizio e la mia fine,
il mio sempre ridotto a sospiro manchevole nel bramarti come un soffio
nel soffocante intento di vivere...
 
Ah, com'è dolce guardarti, argilla perfetta del mio sogno notturno...
Mio abisso supremo, perdermi, in te, voglio e mischiarmi alla tua carne
muliebre e fanciulla.
 
E la tua voce è melodico intento del perfetto incanto!
 
Oh, frenesia di te, scalza e nuda per la stanza/ viaggiatrice dei sensi
segreti...
Fiamma fulminea che incendia... e i tuoi seni divorano l'aere, aeree colline
e le braccia le cingono, abbracciando il mio altare; i tuoi fianchi perfetti lusingano
gl'occhi e le cosce, le tonde natiche, li devastano...
 
Ma mi soffermo sul tuo sguardo, lo fondo al mio e precipito
sulla tua bocca infernale e mi lascio divorare dal morbido, tuo,
bacio che mi schianta e mi saldo all'immago tua che mi specchia.
 
E nottetempo dovrò gustarti, tra le tue selve odorose di viole africane,
sui tuoi monti e le tue ripide valli fluviali, tra i riccioli amari dei tuoi umori
proibiti... dilungarmi nei baci e nei respiri e ingoiarti; in un sorso, averti sino
a nuova alba. Mia perdizione, mio cherubino,
astrale cigno ingabbiato nel grido ancestrale del mio
inabitato istinto.
 
Amarti è come guardare in volto Dio.
E anche un cieco come me rinasce a nuova luce...
 
 
 
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agg. 7 dicembre 2001