Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Bruno Calò
Ha pubblicato il libro
Bruno Calò - Sogno e realtà
racconti


 
 
 
 
 
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi)
14x20,5 - pp. 44 - Euro 5,60
ISBN 88-8356-871-0
Prefazione
Incipit

Prefazione
 
 
I quattro racconti di questa raccolta di Bruno Calò sono assai diversi tra loro ma fanno trasparire, in modo netto e preciso, la visione personale dell'autore che mai pone limite al raccontare e al raccontarsi all'interno della narrazione stessa: tutto risulta omogeneo in una paradossale dispersione della vita tra "sogno e realtà" e, non a caso, si legge nella presentazione dell'Autore che "tutti noi sognamo e viviamo ad occhi aperti" e, poi ancora, "viviamo in un mondo di fantasia e di illusioni: il compito più arduo è trovare la realtà". A prima vista la considerazione appare abbastanza semplice nella sua formulazione ma se analizziamo più a fondo l'intento e l'obiettivo dell'Autore, ci accorgiamo che le implicazioni sono assai più profonde e penetranti: i sogni e le illusioni ci accompagnano nel nostro cammino e noi, poveri illusi, nemmeno ce ne accorgiamo fino a quando ci sbattiamo il muso contro. Ecco allora che tutto appare chiaro e riusciamo finalmente a distinguere la dura e cruda realtà dalle fantasie, dai sogni che vivono sulle nuvole, dalle illusioni e dalle speranze che come inguaribili ingenui non sapevamo distinguere dalla realtà quotidiana.
Esemplare il racconto intitolato "Il ladro" dove ritroviamo un uomo semplice, un operaio che tira a campare con il suo misero stipendio sufficiente a pagare una camera in affitto che diventa una sorta di rifugio, e qualche svago con gli amici. Il suo destino era già segnato fin da quando aveva dovuto abbandonare gli studi perchè fare i conti con la vita era impossibile e per mantenersi non poteva permettersi certo di sposarsi ma nonostante tutto era sereno ed aveva la sua teoria, la "filosofia del bi-sogno". Lui si saziava di sogni e provava una gioia immensa nel cercare di viverli: di giorno raccoglieva stimoli e desideri e di notte li elaborava. E poi un giorno l'imprevisto: iniziò a scrivere i suoi sogni che affascinarono tutti perfino l'ex fidanzata che ritornò con lui e si preoccupò della rilettura degli scritti e della promozione. In poco tempo divenne famoso con alcune raccolte di novelle e due romanzi: tutto andava per il meglio, era arrivato il successo, la ricchezza, il matrimonio ma poi inaspettatamente iniziò ad accusare una stanchezza nel sognare e l'ispirazione cominciò a venir meno. Un sortilegio sembrava attanagliarlo e più diventava ricco e meno sognava ed era sempre più insoddisfatto: il destino si era nuovamente impadronito del suo corpo e della sua mente. Ritornò a fare l'operaio.
Il protagonista è il simbolo della nostra esistenza, un cammino faticoso, una continua ascesa al Golgota: le strade della vita sono tutte pericolose, solcare i mari o passeggiare nei boschi non fa differenza se siamo alla ricerca del significato della vita, del senso autentico della vita (sempre che la vita abbia un senso).
In questo continuo girovagare tra anima sognante e corpo legato alla sofferta realtà quotidiana, Bruno Calò non intende dare superficiali giudizi, né facili soluzioni ma saggiamente mette sul piatto tutto ciò che può far capire quanto sia difficile dimenarsi in questa esistenza.
E poi, nell'ultimo racconto "Il Salvatore", il suo narrare si fa poetico con una storia ai confini dell'impossibile: le stelle stanno scomparendo come se si assitesse ad un imprevedibile fenomeno celeste e ci sono sempre gli stolti che affermano "meno male che le stelle non servono a nulla" ma la storia dimostrerà tutt'altro e torneranno alla mente le parole del protagonista: "pensate a quante persone si sono volute bene sotto l'infinito cielo stellato, a quando avete affidato i vostri sogni più nascosti ad un altra persona".
Eppure c'è da credere che possano esistere persone che reputino inutili alcune meraviglie della vita, spettacoli irripetibili, o l'estasi simile a quella del primo uomo davanti alla prima aurora.
Non v'è dubbio: le stelle sono importanti, fanno luce cosmica come l'Amore, sono punti luminosi nel buio infinito: eccome se servono!
 

Massimo Barile


Sogno e realtà
racconti
 

Introduzione
 
 
Quante volte abbiamo sentito l'espressione "...sogni ad occhi aperti" e magari l'abbiamo usata proprio noi stessi per richiamare qualcuno alla realtà: ma quale realtà?
Certo, tutto ciò che è materiale, tangibile, per noi è reale ed indubbiamente lo è, ma i sogni appartengono a quel mondo 'non-fisico' che fa parte della nostra vita. Ogni giorno immaginiamo come sarà la realtà, la nostra vita, proiettata nel futuro, sia che si tratti di attimi che di anni: "Quando mi laureerò cercherò il lavoro che fa per me" oppure "Adesso vado e gli dico... e se dovesse rispondermi così gli dirò..."; cosa distingue questi pensieri da quelli che chiamiamo sogni? Proprio nulla. Quando si avverano (se si avverano) diventano realtà ma non per questo perdono il loro diritto di nascita: restano sogni.
Non tutto, però, brilla del nostro piacere e non sempre (praticamente mai) ciò che accade gratifica tutti i coinvolti, ci sarà sempre qualcuno che proverà angoscia anziché gioia nella medesima situazione.
A volte l'ansia di un incubo è tanto forte da risvegliarci, da farci aprire gli occhi per sfuggirla ma se questo ci capita da svegli cosa facciamo? Di fronte ad una scena terribile, istintivamente, chiudiamo gli occhi e lo stesso facciamo con quegli occhi della mente che ci proiettano in quelle mille realtà immaginate che ci aspettiamo si materializzino.
Avete mai sentito l'espressione "...vivi ad occhi chiusi"? Sarebbe il giusto contraltare a 'sogni ad occhi aperti' ed una presa di coscienza irrinunciabile: gli incubi sono sogni mal riusciti ma fanno pur sempre parte della nostra realtà-mondo, non possiamo ignorarli finché ne abbiamo la possibilità.
Sognamo e viviamo ad occhi aperti, affrontiamo gli incubi con la forza dei sogni e forse ci proietteremo in una realtà più vicina ai nostri desideri.
Buona lettura
 

L'Autore


Noi viviamo in un mondo di fantasie e illusioni.

Il nostro compito più arduo è trovare la realtà.

 

Iris Murdoch

 

Il ladro
 
 
Era rimasto lì, quasi accasciato, seduto con i gomiti sulle ginocchia, la testa tra le mani, mentre cercava di riprendersi.
Lentamente allungò una mano nel buio fino a riconoscere l'interruttore della luce e diede forma alla stanza. Il torpore al quale si stava sottraendo era lento a sparire e si voltò a guardare l'orologio sul comodino: le quattro e un quarto del mattino.
Mosse di nuovo la testa, con calma rassegnata, e la riprese tra le mani: non riusciva ad abituarsi a quelle levatacce e più il tempo passava, più soffriva del perduto riposo; ma c'era un motivo e doveva sbrigarsi se non voleva vanificare quell'ennesimo sacrificio. Si sforzò di presentarsi a sé stesso e si levò in piedi; per inerzia, quasi la stanza fosse in discesa, si avviò all'armadio e ne aprì un'anta, le mani si mossero sicure, quasi potessero vedere, e gli porsero degli abiti.
Si vestì in fretta e, ormai pronto per la missione, attraversò la sua bella casa, elegante e spaziosa. L'aveva vista tante volte nei suoi sogni, eppure non avrebbe mai creduto di viverla, finché, un bel giorno gli si presentò quella 'scorciatoia' per i desideri che tutti cercano.
 
Faceva l'operaio da anni, forse troppi, come possono essere solo quelli passati a fare un lavoro, piuttosto che il lavoro. D'altra parte era già stato fortunato a trovarlo, anche se lontano da casa: stipendio medio, qualche straordinario. I suoi genitori, ormai anziani, dipendevano dignitosamente dal suo aiuto e non voleva far loro mancare niente.
Quel che restava era abbastanza per una vita ed una camera in affitto.
L'appartamento era molto grande e la proprietaria ne aveva potuto fittare tre camere. La finestra della sua stanza dava su di un piccolo cortile, raccogliendo poca luce e molti sguardi; di fronte un armadio a quattro ante, di lato una scrivania e sulla parete corta il letto, semplice ma comodo. Un carrellino con un televisore, una piccola scaffalatura, qualche altro oggetto sparso: così gli si presentava il suo rifugio quando l'autobus lo riportava a casa. Gli altri affittuari erano composti, costretti alla discrezione dallo scarso interesse per storie così simili alle proprie: per loro il tempo non era fermo ma miserabilmente uguale.
Aveva qualche amico, residuo della compagnia dell'università, quando studiare sembrava un passatempo per allontanare la realtà. Per fortuna non era un dissennato, ma solo giovane; presto fece i conti con la vita, le difficoltà del padre, i primi lavoretti part-time per mantenersi e poi l'abbandono degli studi; non poteva permettersi molto, per questo non si era voluto sposare e questa sua decisione gli era costata il fidanzamento.
 
Malgrado tutto era sereno, aveva da tempo elaborato una sua 'teoria' e ne aveva fatto una ragione di vita; la chiamava filosofia del bi-sogno e così la spiegava: "Esistono dei bisogni naturali che sono fondamentali ed irrinunciabili e, praticamente, si risolvono nelle esigenze minime di sopravvivenza, e quelli artificiali, tutto ciò che noi, gli altri o la società in generale allestiamo per costruire la strada sotto i nostri passi. Il trucco sta nell'ammettere che questi ultimi, quelli artificiali, sono inutili, e quindi rinunciabili, perché portano, per la loro realizzazione, una tara gravissima: ne generano degli altri, altrettanto superflui".
Inutile dire che questo era un argomento tabù, gli amici lo accusavano di nichilismo, se tutto andava bene, e partivano interminabili discussioni sulla natura dell'uomo, la politica, la religione...
Ci impiegavano almeno una settimana per riprendersi.
Ma, in realtà, aveva un segreto. Quando parlava di bi-sogni intendeva sì, le due categorie di necessità che intravedeva nella vita, ma dava un significato fondamentale alla seconda parte della parola. Si saziava di sogni, veri o assurdi che fossero, ma non era la vita che promettevano a sollevarlo, bensì la gioia che provava nel viverli. Di giorno raccoglieva stimoli, messaggi, desideri e di notte li elaborava ed assaporava, vere e proprie vite con momenti buoni e cattivi ma piene di quelle emozioni che gli altri, nella realtà, inseguivano e che vedevano sfuggire non appena raggiunte.
Aveva, però, un solo rammarico: di non poter conservare quelle sensazioni; i sogni che le generavano svanivano col sole ed il distacco dalla realtà veniva subito colmato, a vantaggio di quest'ultima e della sua durezza, mitigato solo dalla consapevolezza della sua filosofia.
 
Ma un giorno accadde l'imprevisto. Un rumore violento lo svegliò nel cuore della notte: si alzò stordito e si affacciò immediatamente alla finestra, scoprendo che l'insonne dirimpettaia, annaffiando le piante, aveva fatto precipitare un vaso sui bidoni dell'immondizia, ed erano appena le cinque del mattino. Si sedette alla scrivania per riprendersi dallo spavento e dalla rabbia ma, quando tornò in sé, con grande sorpresa, ritrovò chiara l'immagine del sogno in cui era immerso pochi minuti prima, come se stesse ancora lì, dormendo e sognando, ma era ben sveglio, pronto a raccontarlo, e l'avrebbe fatto!
Si fermò giusto in tempo sulla porta: a chi dirlo, a quell'ora poi e... perché mai?
Già, finché se ne parlava astrattamente era un conto ma, ora che sembrava avesse le prove di ciò che asseriva da tempo, se ne vergognava, quasi non ci credesse neanche lui. Tornò a sedersi, disarmato e deluso, ma gli durò poco, non poteva perdere quell'occasione, prese carta e penna e cominciò a scrivere.
Il sole gli rischiarava già da un pezzo i fogli non più immacolati, e quando fu certo di non aver più niente da fissare posò la penna e prese l'orologio: da infarto; si ritrovò a lavoro senza nemmeno sapere come, ma il suo pensiero era a quei fogli sulla scrivania, ancora non sapeva se facevano parte del sogno o viceversa, e quasi temeva di scoprirlo.
Rientrato a casa, aprì lentamente la porta della sua stanza, come per non disturbare, e cercò con lo sguardo i fogli, erano lì come li aveva lasciati; li ignorò, mentre si preparava per la cena, e quella sera fu il primo a sedersi a tavola. Mangiò velocemente, senza fame, rivolgendo agli altri coinquilini, suoi commensali, solo alcuni cenni in risposta ai blandi tentativi di discussione; non ci volle molto perché prendesse congedo e rientrasse nella sua stanza. Chiuse accuratamente la porta e si andò a sedere sul letto, con lo sguardo fisso alla scrivania; cercò di capire cosa lo tratteneva se non la paura che fosse tutto un abbaglio. Prese coraggio passando alla sedia e allungò lo sguardo al primo foglio, sbirciando le parole e, man mano che andava avanti nella lettura, acquistava tranquillità e rilassatezza, tanto da raccogliere i fogli e stringerli tra le mani.
Lesse tutto d'un fiato, ma senza fretta: erano le stesse parole a dettargli il ritmo e lui le seguiva fiducioso. Il racconto era fluente e la storia piacevole, un po' strana magari, ma piena di sensazioni che gli alleggerivano l'anima: c'era riuscito, era proprio ciò che provava sognando!
Ma subito si ravvide, non poteva essere certo che i suoi sogni, per di più raccontati, generassero, anche negli altri, le stesse emozioni che provava lui e poi, chi gli assicurava che avrebbe potuto scriverne degli altri?
Si tormentò non poco prima di addormentarsi e, quella notte, non sognò.
 
Partì per il fine settimana e due giorni nella vecchia casa con i genitori servirono a riportarlo alla sua normalità. Tornò in città con l'ultima corriera, non troppo tardi ma abbastanza da evitare rumori inutili aprendo la porta; non si aspettava di trovarla lì, la proprietaria di casa, seduta in anticamera, al buio e a quell'ora, per lei certamente tarda.
Ma la sorpresa lo lasciò davvero senza fiato quando le scorse i suoi fogli tra le mani rugose. Mentre cercava le parole nel caos della meraviglia fu proprio la donna ad andare incontro ai suoi pensieri e lo rassicurò; il giorno prima il vento aveva spalancato la finestra della sua camera e la donna, nel mettere in ordine, aveva lanciato un'occhiata fatale ai fogli e, così, si era sentita costretta a leggere fino alla fine. Ma la cosa più incredibile era la sensazione che le avevano dato, come ben pochi scritti nella sua vita: chi aveva mai concepito cosa così affascinante?
Fu catapultato indietro di giorni, quando si chiedeva che potere avessero le sue parole: ora ne aveva una testimonianza; congedò l'anziana signora promettendole tutte le spiegazioni il giorno dopo e si avviò ad un'altra notte di domande.
 
All'alba era distrutto ma deciso: avrebbe provato a far leggere il suo racconto ad altre persone e ne avrebbe scritti degli altri per avere, finalmente, la certezza.
Già, ma a chi, e come? Dopo grande incertezza decise che solo la sua ex fidanzata avrebbe potuto aiutarlo, malgrado si ignorassero da tempo; la loro separazione era stata dolorosa e lei ancora non riusciva a comprendere la sua apparente rassegnazione alle difficoltà che ostacolavano il matrimonio.
Quando si incontrarono si prese uno schiaffone per l'impudenza con la quale si era ripresentato ma, alla fine, riuscì a convincerla a leggere il racconto.
Ebbe la controprova, finalmente, e trovò anche un'alleata.
Passò al secondo problema e provò a scrivere da sveglio, ma la sua vena mediocre poco aveva a che fare con i suoi sogni ispiratori. Allora provò a svegliarsi ad un'ora prestabilita, ma era scomodo e poco efficace perché si svegliava o troppo presto, o troppo tardi o, addirittura inutilmente, dato che non sognava tutte le notti!
Così affinò una attenzione nel sonno che lo portava a svegliarsi coscientemente quando giungeva il momento e cominciò a scrivere, a produrre. La sua ragazza, erano tornati di nuovo insieme, si preoccupava della rilettura, gli segnalava i passaggi meno chiari e si occupava della promozione, ma non faticò molto.
 
Divenne famoso.
Nel primo anno aveva pubblicato ben tre raccolte di novelle, tutte andate a ruba. Scrisse due romanzi ed ancora novelle. Quest'ultime si adattavano di più alla struttura della sua fonte onirica e gli permettevano minori contaminazioni 'razionali' perché scritte nella loro interezza la notte stessa. E poi, da qualche tempo, accusava una certa stanchezza nel sognare: in poche parole sembrava che i suoi sogni cominciassero a scarseggiare.
Il successo gli aveva portato, naturalmente, ricchezza. Aveva sistemato i suoi e si era sposato, con la prima traduzione in quattro lingue era riuscito a farsi costruire la casa che voleva, affacciata sul mare; l'aveva arredata con gusto e soldi, tanti soldi, ma non aveva rinunciato a nulla di ciò che gli piacesse. Il garage, poi, era pieno degli oggetti della sua passione motoristica ed aveva un mezzo di trasporto per ogni occasione, un po' come gli abiti. Con la stessa 'allegria' aveva pure cambiato moglie, ed ora non aveva più nemmeno la seconda, visto che gironzolava intorno ad una probabile terza!
Non passava giorno che non desiderasse qualcosa di nuovo senza procurarselo.
Ma più aumentavano fama e ricchezza meno sognava e, paradossalmente, era sempre meno soddisfatto. Tardava con le consegne e l'editore cominciò ad alzare la voce, ma non poteva farci nulla: la notte dormiva, riposava, si agitava, ma i sogni erano pochi e frammentati, inutilizzabili. Sembrava che avesse saccheggiato una miniera che riteneva inesauribile ed ora non gli rimanevano che gli scarti.
 
Fu così che quella notte, per l'ultima volta, si alzò alle quattro e un quarto, si sedette alla scrivania e scrisse. Scrisse la storia di un uomo che era immune ai desideri che la realtà gli costruiva, di come resisteva grazie al vero benessere che trovava in sè stesso attraverso i sogni che collegavano mente ed anima e di come, non rendendosene conto, si derubò di questa forza, scassinandosi, per barattarla con quella che poteva sembrare una soddisfazione immediata, sogni veri per sogni finti, ma in realtà era solo una corsa senza traguardo.
Scrisse la parola fine e depose la penna come fa uno scassinatore col grimaldello; raccolse il racconto, era lì, pronto per la ricettazione. Aprì la finestra, il sole cominciava a vedersi, e, ad uno ad uno, stracciò i fogli che volarono giù nel cortile sotto gli occhi impiccioni del condominio e, quando ebbe finito, richiuse i battenti su quello che, forse, avrebbe potuto essere la sua vita, probabilmente era semplicemente un sogno ma, certamente, era solo suo.
Aprì la porta, salutò la proprietaria, mattiniera come sempre, e andò in fabbrica, come tutti i giorni, con la stessa vita ed un sogno in più.
 


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Ins. 26-04-2005