Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Bruno Calò
Con questo racconto ha vinto il quarto premio del concorso Angela Starace 2002, sezione narrativa
Il ladro
 
Era rimasto lì, quasi accasciato, seduto con i gomiti sulle ginocchia, la testa tra le mani, mentre cercava di riprendersi.
Lentamente, allungò una mano nel buio fino a riconoscere l'interruttore della luce e diede forma alla stanza. Il torpore al quale si stava sottraendo era lento a sparire e si voltò a guardare l'orologio sul comodino: le quattro e un quarto del mattino.
Mosse di nuovo la testa, con calma rassegnata, e la riprese tra le mani: non riusciva ad abituarsi a queste levatacce e più il tempo passava, più soffriva del perduto riposo; ma c'era un motivo e doveva sbrigarsi se non voleva vanificare quest'ennesimo sacrificio. Si sforzò di presentarsi a sé stesso e si levò in piedi; per inerzia, quasi la stanza fosse in discesa, si avviò all'armadio e ne aprì un'anta, le mani si mossero sicure, quasi potessero vedere, e gli porsero degli abiti.
Si vestì in fretta e, ormai pronto per la missione, attraversò la sua bella casa, elegante e spaziosa. L'aveva vista tante volte nei suoi sogni, eppure non avrebbe mai creduto di viverla, finché, un bel giorno gli si presentò quella 'scorciatoia' per i desideri che tutti cercano.
 
Faceva l'operaio da anni, forse troppi, come possono essere quelli passati a fare un lavoro, piuttosto che il lavoro. D'altra parte era già stato fortunato a trovarlo, anche se lontano da casa: stipendio medio, qualche straordinario. I suoi genitori, ormai anziani, dipendevano dignitosamente dal suo aiuto e non voleva fargli mancare niente.
Quel che restava era abbastanza per una vita ed una camera in affitto.
L'appartamento era molto grande e la proprietaria ne aveva potuto fittare tre camere. La finestra della sua stanza dava su di un piccolo cortile, raccogliendo poca luce e molti sguardi; di fronte un armadio a quattro ante, di lato una scrivania e sulla parete corta il letto, semplice ma comodo. Un carrellino con un televisore, una piccola scaffalatura, qualche altro oggetto sparso: così gli si presentava il suo rifugio quando l'autobus lo riportava a casa. Gli altri affittuari erano composti, costretti alla discrezione dallo scarso interesse per storie così simili alle proprie; per loro il tempo non era fermo ma miserabilmente uguale.
Aveva qualche amico, residuo della compagnia dell'università, quando studiare sembrava un passatempo per allontanare la realtà. Per fortuna non era un dissennato, ma solo giovane; presto fece i conti con la vita, le difficoltà del padre, i primi lavoretti part-time per mantenersi e poi l'abbandono degli studi; non poteva permettersi molto, per questo non si era voluto sposare, e questa sua decisione gli era costata il fidanzamento.
 
Malgrado tutto era sereno, aveva da tempo elaborato una sua 'teoria' e ne aveva fatto una ragione di vita; la chiamava filosofia del bi-sogno e così la spiegava: "Esistono dei bisogni naturali che sono fondamentali, ed irrinunciabili e, praticamente, si risolvono nelle esigenze minime di sopravvivenza, e quelli artificiali, tutto ciò che noi, gli altri o la società in generale allestiamo per costruire la strada sotto i nostri passi.
Il trucco sta nell'ammettere che questi ultimi, quelli artificiali, sono inutili, e quindi rinunciabili, perché portano, per la loro realizzazione, una tara gravissima; ne generano degli altri, altrettanto superflui".
Inutile dire che questo era un argomento tabù, gli amici lo accusavano di nichilismo, se tutto andava bene, e partivano interminabili discussioni sulla natura dell'uomo, la politica, la religione…
Ci impiegavano almeno una settimana per riprendersi.
Ma, in realtà, aveva un segreto. Quando parlava di bi-sogni intendeva sì, le due categorie di necessità che intravedeva nella vita, ma dava un significato fondamentale alla seconda parte della parola. Si saziava di sogni, veri o assurdi che fossero, ma non era la vita che promettevano a sollevarlo, bensì la gioia che provava nel viverli. Di giorno raccoglieva stimoli, messaggi, desideri e di notte li elaborava ed assaporava, vere e proprie vite con momenti buoni e cattivi ma piene di quelle emozioni che gli altri, nella realtà, inseguivano e che vedevano sfuggire non appena raggiunte.
Aveva, però, un solo rammarico: di non poter conservare quelle sensazioni; i sogni che le generavano svanivano col sole ed il distacco dalla realtà veniva subito colmato, a vantaggio di quest'ultima e della sua durezza, mitigato solo dalla consapevolezza della sua filosofia.
 
Ma un giorno accadde l'imprevisto. Un rumore violento lo svegliò nel cuore della notte: si alzò stordito e si affacciò immediatamente alla finestra, scoprendo che l'insonne dirimpettaia, annaffiando le piante, aveva fatto precipitare un vaso sui bidoni dell'immondizia, ed erano appena le cinque del mattino. Si sedette alla scrivania per riprendersi dallo spavento e dalla rabbia ma, quando tornò in sé, con grande sorpresa, ritrovò chiara l'immagine del sogno in cui era immerso pochi minuti prima, come se stesse ancora lì, dormendo e sognando, ma era ben sveglio, pronto a raccontarlo, e l'avrebbe fatto!
Si fermò giusto in tempo sulla porta: a chi dirlo, a quell'ora poi e … perché mai?
Già, finché se ne parlava astrattamente era un conto ma, ora che sembrava avesse le prove di ciò che asseriva da tempo se ne vergognava, quasi non ci credesse neanche lui. Tornò a sedersi, disarmato e deluso, ma gli durò poco, non poteva perdere quell'occasione, prese carta e penna e cominciò a scrivere.
Il sole gli rischiarava già da un pezzo i fogli non più immacolati, e quando fu certo di non aver più niente da fissare posò la penna e prese l'orologio: da infarto; si ritrovò a lavoro senza nemmeno sapere come, ma il suo pensiero era a quei fogli sulla scrivania, ancora non sapeva se facevano parte del sogno o viceversa, e quasi temeva di scoprirlo.
Rientrato a casa, aprì lentamente la porta della sua stanza, come per non disturbare, e cercò con lo sguardo i fogli, erano lì come li aveva lasciati; li ignorò, mentre si preparava per la cena, e quella sera fu il primo a sedersi a tavola. Mangiò velocemente, senza fame, rivolgendo agli altri coinquilini suoi commensali, solo alcuni cenni in risposta ai blandi tentativi di discussione; non ci volle molto perché prendesse congedo e rientrasse nella sua stanza. Chiuse accuratamente la porta e si andò a sedere sul letto, con lo sguardo fisso alla scrivania; cercò di capire cosa lo tratteneva se non la paura che fosse tutto un abbaglio. Prese coraggio passando alla sedia e allungò lo sguardo al primo foglio, sbirciando le parole e, man mano che andava avanti nella lettura, acquistava tranquillità e rilassatezza, tanto da raccogliere i fogli e stringerli tra le mani.
Lesse tutto d'un fiato, ma senza fretta: erano le stesse parole a dettargli il ritmo e lui le seguiva fiducioso. Il racconto era fluente e la storia piacevole, un po' strana magari, ma piena di sensazioni che gli alleggerivano l'anima: c'era riuscito, era proprio ciò che provava sognando!
Ma subito si ravvide, non poteva essere certo che i suoi sogni, per di più raccontati, generassero, anche negli altri, le stesse emozioni che provava lui e poi, chi gli assicurava che avrebbe potuto scriverne degli altri?
Si tormentò non poco prima di addormentarsi e, quella notte, non sognò.
 
Partì per il fine settimana e due giorni nella vecchia casa con i genitori servirono a riportarlo alla sua normalità. Tornò in città con l'ultima corriera, non troppo tardi ma abbastanza da evitare rumori inutili aprendo la porta; non si aspettava di trovarla lì, la proprietaria di casa, seduta in anticamera, al buio e a quell'ora, per lei certamente tarda.
Ma la sorpresa lo lasciò davvero senza fiato quando le scorse i suoi fogli tra le mani rugose. Mentre cercava le parole nel caos della meraviglia fu proprio la donna ad andare incontro ai suoi pensieri e lo rassicurò; il giorno prima il vento aveva spalancato la finestra della sua camera e, nel mettere in ordine, aveva lanciato un'occhiata fatale ai fogli e, così, si era sentita costretta a leggere fino alla fine. Ma la cosa più incredibile era la sensazione che le avevano dato, come ben pochi scritti nella sua vita, chi aveva mai concepito cosa così affascinante?
Fu catapultato indietro di giorni, quando si chiedeva che potere avessero le sue parole: ora ne aveva una testimonianza; congedò l'anziana signora promettendole tutte le spiegazioni il giorno dopo e si avviò ad un'altra notte di domande.
 
All'alba era distrutto ma deciso: avrebbe provato a far leggere il suo racconto ad altre persone e ne avrebbe scritti degli altri per avere, finalmente, la certezza.
Già, ma a chi, e come? Dopo grande incertezza decise che solo la sua ex fidanzata potesse aiutarlo, malgrado si ignorassero da tempo; la loro separazione era stata dolorosa e lei ancora non riusciva a comprendere la sua apparente rassegnazione alle difficoltà che ostacolavano il matrimonio.
Quando si incontrarono si prese uno schiaffone per l'impudenza con la quale si era ripresentato ma, alla fine, riuscì a convincerla a leggere il racconto.
Ebbe la controprova, finalmente, e trovò anche un'alleata.
Passò al secondo problema e provò a scrivere da sveglio, ma la sua vena mediocre poco aveva a che fare con i suoi sogni ispiratori. Allora provò a svegliarsi ad un'ora prestabilita, ma era scomodo e poco efficace perché si svegliava o troppo presto, o troppo tardi o, addirittura inutilmente, dato che non sognava tutte le notti!
Così affinò una attenzione nel sonno che lo portava a svegliarsi coscientemente quando giungeva il momento e cominciò a scrivere, a produrre. La sua ragazza, erano tornati di nuovo insieme, si preoccupava della rilettura, gli segnalava i passaggi meno chiari e si occupava della promozione, ma non faticò molto.
Divenne famoso.
Nel primo anno aveva pubblicato ben tre raccolte di novelle.
Quest'ultime si adattavano di più alla struttura della sua fonte onirica e gli permettevano minori contaminazioni 'razionali' perché scritte nella loro interezza la notte stessa. E poi , da qualche tempo, accusava una certa stanchezza nel sognare: in poche parole sembrava che i suoi sogni cominciassero a scarseggiare.
Il successo gli aveva portato, naturalmente, ricchezza. Aveva sistemato i suoi e si era sposato, con la prima traduzione in quattro lingue era riuscito a farsi costruire la casa che voleva, affacciata sul mare; l'aveva arredata con gusto e soldi, tanti soldi, ma non aveva rinunciato a nulla di ciò che egli piacesse. Il garage, poi, era pieno degli oggetti della sua passione motoristica ed aveva un mezzo di trasporto per ogni occasione, un po' come gli abiti. Con la stessa 'allegria' aveva pure cambiato moglie, ed ora non aveva più nemmeno la seconda, visto che gironzolava intorno ad una probabile terza!
Non passava giorno che non desiderasse qualcosa di nuovo senza procurarselo.
Ma più aumentavano fama e ricchezza meno sognava e, paradossalmente, era sempre meno soddisfatto. Tardava con le consegne e l'editore cominciò ad alzare la voce, ma non poteva farci nulla: la notte dormiva, riposava, si agitava, ma i sogni erano pochi e frammentati, inutilizzabili. Sembrava che avesse saccheggiato una miniera che riteneva inesauribile ed ora non gli rimanevano che gli scarti.
Fu così che quella notte, per l'ultima volta, si alzò alle quattro e un quarto, si sedette alla scrivania e scrisse. Scrisse la storia di un uomo che era immune ai desideri che la realtà gli costruiva, di come resisteva grazie al vero benessere che trovava in sé stesso attraverso i sogni che collegavano mente ed anima e di come, non rendendosene conto, si derubò di questa forza, scassinandosi, per barattarla con quella che poteva sembrare una soddisfazione immediata, sogni veri, per sogni finti ma in realtà era solo una corsa senza traguardo.
Scrisse la parola fine e depose la penna come fa uno scassinatore col grimaldello; raccolse il racconto, era lì, pronto per la ricettazione. Aprì la finestra, il sole cominciava a vederlo, e ad uno ad uno, stracciò i fogli che volarono giù nel cortile, sotto gli occhi impiccioni del condominio e, quando ebbe finito, richiuse i battenti su quello che, forse, avrebbe potuto essere la sua vita, probabilmente era solo un sogno ma, certamente, era solo suo.
 
Aprì la porta, salutò la proprietaria, mattiniera come sempre, e andò in fabbrica, come tutti i giorni, con la stessa vita ed un sogno in più.
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 Ins. 10-01-2003