SCRITTORI ITALIANI
CONTEMPORANEI

affermati, emergenti ed esordienti
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Antonio Amenta
Opera 10° classificata al concorso Angela Starace 2001 sez. narrativa

La difesa dell'albero antico
 
I giorni in cui accaddero quegli avvenimenti impressi per sempre nella mia memoria, risalivano alla prima decade di un maggio particolarmente mite, lontano da quegli sbalzi climatici cui tutti ormai siamo abituati. Quel mese, era sempre stato per me particolarmente significativo a motivo del mio compleanno, ma proprio quel maggio fu per me l'inizio di una nuova e più completa visione della vita che sino allora non avevo neanche immaginato.
Mi ero finalmente deciso a comprare casa, in un gran complesso edilizio, per poter al fine soddisfare il bisogno di radici che la nostra specie umana (al pari delle piante) sente, allorquando superati i fatidici trent'anni, s'imprime una concreta svolta alla propria vita, tutta protesa verso casa, famiglia, lavoro ed ordinaria routine.
Non era certamente tale prospettiva ad attirarmi, quanto la necessità di creare uno spazio fisico ove costruire il mio isolamento dal mondo esteriore. Che importanza, infatti, poteva avere la realtà del mio mondo e della mia città, con la sua depressione economica, con la totale indifferenza e scontrosità della gente, quando la sera potevo rinchiudermi tra quelle quattro mura di cemento?
In quello spazio poteva forse sfiorarmi la paura dei continui e bizzarri mutamenti climatici che noi uomini avevamo causato con il nostro disordinato progresso? Quella sera, come sempre, la televisione rendeva noti i suoi lugubri bollettini, sempre egualmente tristi, ma una notizia in particolare mi colpì. Una strana previsione fatta da alcuni scienziati, sul rischio di progressiva desertificazione che da lì ai prossimi trent'anni avrebbe potuto colpire tutta l'area meridionale del nostro paese e dunque anche la mia città mi fermai un attimo a riflettere, ed un brivido mi corse lungo la schiena. La previsione appariva insopportabile, a minacciarci, infatti, non era solo la desertificazione di un territorio, ma quella ben peggiore delle nostre coscienze, che simili a piante senz'acqua, luce e nutrimento, volgevano verso un costante appassimento. Mi affacciai per scrutare il cielo sereno ed ammirare dal balcone di casa la vista di un tramonto particolarmente intenso ed affascinante. Più d'ogni altra cosa mi colpì il grande albero che introduceva al nostro palazzo. Un antico pino alto oltre venti metri, particolarmente possente ed armonioso, ben saldo sulle proprie radici e sul fusto centenario, si protendeva verso il cielo con i suoi numerosi rami. Mi passò per la mente che anche gli esseri umani potevano vivere in armonia attraverso la duplice consapevolezza delle proprie radici, insieme ad orizzonti aperti in più direzioni come i rami degli alberi.
Compresi come mai avevo fatto prima, nella fretta della mia quotidianità, che anch'esso era un essere vivente, parte integrante di un autentico microcosmo, che aveva più volte rischiato di essere tagliato per mano dei costruttori, dai quali avevo acquistato quella dorata prigione che era la mia casa.
Quel giorno, non appena, uscii da casa per andare di corsa al lavoro, mi fermò il mio vicino di casa, il professor Franco, insegnante d'italiano e storia ed insigne umanista, mi disse: "Sai Michele, ci risiamo, hanno deciso di abbattere il pino centenario, per far posto ad un campetto di calcio e ad un nuovo stabile di dieci appartamenti, dobbiamo organizzare una petizione per salvarlo".
La notizia mi raggelò, ma al contempo la prima frase che mi venne di getto fu: "Cosa posso farci io, sono soltanto un impiegato di banca, non so distinguere un mazzo di basilico dall'origano!".
Franco mi guardò con espressione delusa, la stessa che, in altre occasioni, vidi nei volti d'uomini e donne che avevano incrociato le mie traiettorie ed avevano osato credere nei miei talenti, rimanendo inevitabilmente delusi dal mio atteggiamento schivo. Quella volta però riparai subito dicendo: "Scusami, Franco, stavo scherzando, dammi l'informativa che hai scritto, ti chiamo io questa sera".
Attraverso quelle quattro righe scritte dal mio amico professore, appresi che la nota ditta "EdilTutto" aveva proclamato un anno di cementificazione selvaggia, e di certo non avrebbe avuto scrupolo alcuno per il vecchio pino, che adesso rischiava per davvero la morte.
Nell'intento di fermare l'assurdo scempio, quella sera, decidemmo di presentare una petizione scritta e firmata da tutti gli abitanti del quartiere, da inviare all'assessore per l'edilizia ed infine al sindaco. Io ed il professor Franco, eravamo convinti che bastasse spostare di qualche metro quell'orrido campo di calcio per salvare quella creatura che era ormai divenuta il nostro pino. Le idee erano chiare, ma per quanto riguardava me, l'unica cosa da fare era vincere il nemico interiore che mi aveva sempre relegato a ruolo di spettatore, quel drago dalle molte teste, ognuna delle quali aveva un nome ben preciso: egoismo, indifferenza, indolenza, eccessiva riservatezza. Inoltre non sapevo come zittire quelle vocine di fondo che mi dicevano: "Non è roba che possa riguardarti, non farti coinvolgere, qualcun altro risolverà il problema al posto tuo!".
Quella volta però, nessun altro avrebbe occupato il mio posto, poiché la vita aveva deciso di assegnare a me il ruolo di protagonista nella vicenda.
L'indomani la piccola scrivania ed il registro per la petizione erano già pronte a fare il loro dovere, e dopo un'adeguata campagna divulgativa, effettuata tramite affissioni nei portoni dei palazzi, io ed il professore eravamo pronti a ricevere le tante ambite firme, ma queste sembravano non arrivare.
La sera non tardò a sopraggiungere, ed alla fine avevano contato con rammarico, solo cinque o sei firme, non sapevamo cosa pensare, se non che un altro albero avrebbe fatto la tragica fine dei molteplici suoi simili della foresta amazzonica o d'altre antiche foreste d'Italia e che forse non restava altro da fare che accettare l'evidenza dei fatti, quando la moglie del prof. Franco disse: "Datemi il registro, ho convinto le mie amiche del circolo a sostenere la petizione, lì potremo raccogliere almeno dieci firme!".
Improvvisamente il problema parve illuminarsi ai nostri occhi, e tutto ciò che appariva oscuro e d'esito incerto, divenne chiaramente identificabile. Avevamo trascurato nella nostra foga, l'importanza di coinvolgere proprio loro, le donne. I nuclei familiari andavano interessati non attraverso i loro capi famiglia, sempre e solo intenti a litigare per i posti macchina, ma per mezzo di esse, del loro preziosissimo passaparola, unito alla sensibilità ed al rispetto per ogni forma di vita che da millenni le distingueva.
In poco meno di qualche minuto, l'intervento della signora Piera aveva permesso di raccogliere tredici firme, ed allora io ed il professore, decidemmo di sconfiggere l'inerzia con un gesto pratico, bussare casa per casa, alla ricerca di tutte le signore disponibili a firmare, ed insieme ed esse tutti i loro uomini.
Incredibile ma vero la campagna continuò ancora per qualche pomeriggio, ed alla fine avevamo potuto raccogliere un gran numero di firme. Faceva proprio un effetto particolare, sapere che grazie all'intervento femminile, no ti anni prima, ma che poi aveva smarrito nel cammino convinto com'era che i desideri sono solo desideri e non hanno niente a che fare con la vita e con la realtà.
Ma ora, di fronte alla realtà, non poteva negare a se stesso che ogni desiderio ha un suo tempo, ogni desiderio non è vano, ogni desiderio è una scelta di vita!
Aveva scelto e la sua vita, compiendosi, aveva appena svoltato l'angolo ed iniziava un nuovo cammino tutto da desiderare, tutto da pensare, tutto da vivere... adesso... in quella realtà ve sua lunga vita. Chiusi gli occhi ed immaginai campi di grano al posto del cemento e contadini al posto degli impiegati, provai a proiettarmi in un passato in cui gli uomini vivevano dei frutti della terra, e la sera, all'angelus, gli stessi pregavano e ringraziano Dio al termine di una faticosa giornata di lavoro. Chissà se anch'io, in una vita passata ero stato uno di loro, e proprio lì in quella zona, che una volta era campagna, avessi avuto l'occasione di conoscere il vecchio pino centenario, allora ancˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆˆocine di fondo sembravano rifarsi vive. Entrai nella stanza e vidi il direttore Franchini in persona che mi scrutava. Era un uomo di appena trentotto anni, giovane, arrogante e sprezzante nei confronti delle persone che non condividevano le sue idee e soprattutto sempre sicuro di sé. Il viso abbronzato e curato, il fisico aitante, tipico di chi si divide tra lavoro, palestra ed impegni mondani, e, come tutte le persone incapaci d'avere anche l'ombra di un solo dubbio, pronto a passarti sopra con la forza di un rullo compressore. Egli non tardò a scaricarmi addosso ciò che temevo: "Allora Michele, è venuto oggi nel mio ufficio il signor Trentadenari dell'EdilTutto, che tu sai essere nostra azienda cliente da diversi anni ormai, si è lamentato del fatto che tu ti sia fatto promotore di quella stupida petizione. Noi teniamo molto alla tua carriera, l'azienda ha sempre investito tanto su di te, e tu cosa fai?, ti metti a fare le petizioni, una persona della tua posizione!, anch'io sono un ecologista, pensa che ogni domenica vado a correre in bicicletta, nella riserva agricola, ma questa cosa è veramente assurda, t'invito pertanto a dissociarti da essa!".
La testa mi ronzava, non riuscivo a pensare lucidamente, con la sua personalità, il direttore mi aveva sempre messo addosso una strana sensazione d'inferiorità, ogni dubbio, ogni mio timore, mi stava in quel momento assalendo, ogni mio risentimento e rimorso in quel preciso istante, presero posizione contro di me. All'inizio mi assalì nella mente la necessità di chiedere scusa a quel padre padrone e ritornare poi ad interpretare la mia vecchia parte di bravo, diligente ed ossequioso ragazzo. Per un attimo provai la sensazione di stare per cedere all'ipocrisia di riabbracciare quella meschina figura seduta dinanzi a me; ma in un barlume di lucidità, ripercorsi con la mente la notte precedente e a come, per la prima volta in vita mia, avessi potuto sentirmi vivo. Non esitai più di tanto, non avevo mai nascosto il mio disprezzo per l'arroganza, l'arrivismo e la spregiudicatezza di quel giovane direttore, presi la parola e dissi: "Mi ascolti, direttore, la mia vita privata non deve riguardare quest'azienda, lei prenda pure tutti i suoi bravi provvedimenti poiché io continuerò su questa strada". Me ne andai sbattendo la porta e mi sentii finalmente libero.
Le sorpreso però non sembravano terminare, quando arrivai a casa, trovai un gran numero di persone ad aspettarmi, il professor Franco, il parroco della vicina parrocchia, Padre Giuseppe, il vigile Alberto, la signora Piera con le sue amiche, tutt'intorno voci e grida allegre di bambini intenti a giocare intorno al gigante buono, il nostro vecchio pino. La scena irradiava una grande aura di serenità, il cielo terso ed il tepore primaverile facevano da contorno.
Quel pomeriggio, Padre Giuseppe tenne la messa all'aperto vicino all'albero, e tutti insieme pregammo affinché gli uomini imparassero il rispetto per la natura. Anche noi alla fine, forse per la prima volta nelle nostre frenetiche vite, trovammo il tempo per l'Angelus e per il ringraziamento.
Così si concluse la storia della difesa del vecchio pino, ed oggi rivivendo nella memoria l'intera vicenda, non posso fare a meno di ricordarla come un preciso punto di svolta nell'arco della mia esistenza. Ancora oggi, infatti, quando passo dinanzi al mio amico albero con la mia famiglia ed i miei figli, non posso non ringraziarlo per avermi salvato la vita.
 
Questo racconto è dedicato alle antiche foreste primarie della terra, luoghi magici ed incantati, che gli uomini d'oggi sembrano aver dimenticato.
 
 
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