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Edoardo Corbetta


«…E per complice, la nebbia»

 

Faceva freddo, c'era già la neve, in quegli ultimi giorni di novembre. Come ogni mattina stava aspettando che scattasse l'ora di inizio del turno di lavoro. Indossava la tuta con la scritta dell'importante fabbrica metalmeccanica, sotto al cappotto ormai consumato. Era sempre stato affascinato dagli operai che lavoravano a contatto con gli altri colleghi, che si sporcavano le mani senza lavarsele subito e lanciavano frecciate maliziose alle donne, anche impiegate, che capitavano nel loro raggio d'azione. La sfortuna e la giovanile negligenza gli impedirono di entrare in quella fabbrica, il cui marchio era conosciuto in tutto il mondo. A quel punto sarebbe stato inutile sperarci ancora, per l'età e per la grave crisi economica. Gli operai ormai non li assumevano più, li lasciavano in cassa integrazione o li mandavano in pensione anzitempo. Si accontentava di vederli entrare al mattino ed uscire la sera, infilandosi fra loro, per illudersi di averne condiviso le fatiche. Gli abitanti del quartiere credevano fosse davvero un metalmeccanico, lo rispettavano, niente più, non concedeva confidenze, lui, ultimo rappresentante dell'arte dello scasso. Come un artista, si compiaceva dell'opera compiuta, specie se particolarmente difficile, rifiutando però ogni azione che potesse arrecare danni fisici alle vittime. Non condivideva i metodi violenti della nuova generazione. Erano capaci tutti di rapinare, intimidire, con un'arma in pugno, pochi possedevano l'abilità di misurarsi ad armi pari con l'avversario. Negli ultimi tempi aveva finito di setacciare le zone Ticinese, Barona, Vigentina. Ora si sarebbe trasferito alla Bovisa, un tempo teatro delle sue imprese, quando viveva con la Teresa. Era una buona donna, lui l'aveva tolta dalla strada, le permetteva una vita tranquilla, dopo tanto soffrire, sana, ma per lei troppo monotona, non essendo abituata a simili comodità. L'ozio gioca brutti scherzi, si diede al bere, dapprima senza farsi vedere, poi senza alcun ritegno. Brutto vizio, il bere, rovina la salute, inesorabilmente. Quando restò solo cambiò «aria». Ora nessuno di quegli abitanti l'avrebbe riconosciuto, con tutta l'immigrazione che c'era stata. Gli sarebbero bastati pochi giorni per ripassare la lezione, per stendere la mappa delle future iniziative a scopo di lucro. Lui, libero professionista, lavorava quando ne aveva voglia, senza dovere rendere conto a nessuno del suo tempo. Non aveva complici, non avrebbe sopportato ingerenze, mai, nelle sue decisioni. Dopo la Teresa non aveva più voluto altre donne attorno ai piedi. Un'amica però ce l'aveva, discreta ed invadente, equilibrata e capricciosa; coerente ed imprevedibile, bisognava prenderla così com'era.

Arrivava senza preavviso, a volte restava per qualche giorno, altre volte spariva improvvisamente. Lui l'accoglieva sempre volentieri, teneva pronti più di un progetto, da consumare assieme a lei, decidendo al momento quale scegliere. Si sentiva particolarmente a suo agio, nel rispetto della tradizione, al buio, possibilmente al freddo, confortato dalla sua presenza, la nebbia, sua complice. Non si sarebbe mai perso in quella stupenda, grigia cortina. Sembrava dotato di poteri superiori, il suo senso dell'orientamento era formidabile, conosceva benissimo tutta la metropoli, dopo una vita vissuta lì. L'aveva vista crescere giorno per giorno, ad un certo punto cambiare aspetto velocemente. Per fortuna le vecchie botteghe erano rimaste in gran parte legate alla tradizione, con le orginarie insegne, protette dai tipici catenacci e serrature a lui care. Le strade invece avevano perso le pietre, i sassi, la terra battuta, sostituiti tutti dall'anonimo asfalto. Gli artigiani, i bottegai, gli ambulanti operanti nelle zone che prediligeva, erano sempre uguali, gli uomini non cambiano tanto in fretta, come le cose, prive di anima. La nebbia veniva considerata da lui la sua amica fedele, quella volta però non bastò la sua presenza. Forse peccò di eccesso di sicurezza e non si accorse della pattuglia in perlustrazione, incaricata di controllare le vie periferiche poco illuminate. I due agenti si erano fermati a guardare senza vedere il treno che passava sotto il ponte, per questo non li aveva sentiti. Avrebbe saputo distinguere i loro passi anche se coperti dallo sferragliare della carrozze, se non si fossero fermati. Che rogna! Cadde letteralmente fra le loro braccia, senza poter giustificare la presenza dei gioielli contenuti nella vecchia cartella, compagna di giovanili studi alla scuola serale. Non ne fece un dramma. In fondo, dopo tanti anni di onorata carriera, era la prima volta che lo pizzicavano. I carabinieri si meravigliarono, nel vederlo sorridere, mentre saliva con loro in macchina. Stava per concedersi un suo vecchio capriccio: conoscere S. Vittore, da dentro.


Edoardo Corbetta si è classificato 8° nel concorso Il club dei Poeti 1997 con il racconto"Profondo sud" se vuoi leggerlo clicca qui

Edoardo Corbetta si è classificato 10° nel concorso Il club dei Poeti 1998 con il racconto"Profondo sud" se vuoi leggerlo clicca qui

 

 


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