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Anna Maria Ceppo
presenta la sua opera inedita
"Okeanos"


Capitolo 1
Le origini

Negli anni grami del dopoguerra, Vittorio Gugliemi frequentò l'istituto magistrale di Campagna. Seguiva le orme del padre e del nonno, entrambi maestri. La cultura era il pane di famiglia. Lui portava il nome dell'Alfieri. Suo padre si chiamava Giosuè, come il Carducci. Suo nonno, buonanima, si era chiamato Dante (sempre Guglielmi, non Alighieri). Esclusi Francesco Petrarca e Giacomo Leopardi, giudicati poco virili, alla nuova generazione restava Ugo Foscolo, o la speranza che fossero aggiornati i programmi.
Vittorio era nato nel 1932 a Centola: un paese sperduto tra i monti del Cilento ed il mare. Tracciando le aste, fece in tempo ad imparare i primi rudimenti della dottrina fascista. "Il duce è il fondatore dell'impero". Poi era scoppiata la guerra, e quando recitò questa frase, il padre gli mollò un manrovescio. Proprio lui, che gliel'aveva insegnata.
Sua madre era morta nel '42, dando alla luce un altro figlio, dopo una serie di aborti. Una cattiva stella segnò il destino del fratello minore. Non gli toccava il privilegio di istruirsi, perché gli studi costavano cari. Così voleva l'usanza: il primo ereditava le fatiche e gli onori, il secondo doveva arrangiarsi.
Dal '46 al 50, Vittorio fu messo in convitto. Lontano da casa, dai parenti, dal cibo.
I monaci servivano per pranzo solo la minestra; per merenda e per cena, pane con l'olio, abbrustolito quand'era troppo duro. La domenica, una timida fetta di manzo guarniva il piatto degli affamati adolescenti.
Rispetto al suo paese natale, Campagna gli sembrò un posto molto animato, ricco di chiese, di santi, di feste. Non poteva paragonarla ad una città (aveva visitato Napoli e Salerno), ma comunque gli ispirava desideri proibiti, quali le mandorle tostate o i bastoncini di zucchero.
Non c'è da stupirsi, se il ragazzo pensava giorno e notte a diventare ricco. La professione del padre e del nonno non era adatta allo scopo. Scoprì, tuttavia,
che la scienza aguzza l'ingegno.
E lo scoprì attraverso Talete.
Talete, vissuto nel sesto secolo avanti Cristo, a Mileto, è il filosofo dell'acqua, Colui che vide nell'acqua l'origine di ogni cosa.
Questa è la versione ufficiale. Ma il nostro eroe la scartò, in favore di un altro episodio, più di suo gusto. Il fatto può essere vero o non vero, però se ne parla
nei libri di scuola.
Avendo previsto un abbondante raccolto di olive, Talete prese in affitto tutti i frantoi della zona. Al momento opportuno li subaffittò, ricavandoci lauti guadagni. Dimostrò che il filosofo, se vuole, può arricchirsi. In genere se ne astiene.
La morale non piacque a Vittorio, che semplicemente la tagliò. Un uomo in gamba, se vuole, può trasformare in fonte di ricchezza il più misero frutto della terra.
Non esistono i fatti, solo le interpretazioni. Ce l'ha insegnato il nostro tempo. Per
cui non abbiamo niente da obiettare. Talete, filosofo dell'acqua, diventò il filosofo delle olive. E questa filosofia ossessionò la mente del ragazzo, finché non gli riuscì di realizzarla.
Ottenne il diploma, adempì agli obblighi del servizio di leva, si sistemò nella scuola del padre e del nonno (dove non incontrò concorrenza, perché nessuno aspirava a quel posto disagiato).
A questo punto poté dedicarsi alla conquista di Rosalba Pesce, erede di terre e proprietaria di un frantoio.
Vittorio distingueva l'amore dei sensi da quello razionale. Aveva conosciuto il primo durante gli anni del servizio militare. E non si parla solo di prostitute o di serve. Gli era capitata una vera avventura, con una donna bellissima, sud-americana. L'aveva incontrata su un treno, seguita in albergo, per poi conoscere con lei le variegate forme dell'eros.
La donna dei sensi era magra, scura di pelle e di capelli, come una uri del paradiso maomettano. Rosalba Pesce era anemica e grassa. Inoltre conduceva una vita molto ritirata, tutta casa e chiesa, come una santa del paradiso cristiano (il che costituiva già una buona ragione per sposarla).
Abitava a Palinuro, in un palazzotto un po' fuori del borgo, nei pressi del porto. Sul portone era effigiato lo stemma di famiglia: un delfino. D'accordo, un delfino non è un pesce. Indagini accurate lo hanno dimostrato. Ma un'insegna araldica, sia pure sbagliata, è sempre un indice di nobiltà. Perciò Rosalba si sentiva una principessa. Una lunare principessa, in attesa di un baldo cavaliere.
Vittorio poteva interpretare questa parte. Come maestro, frequentava le massime autorità del paese, il sindaco ed il farmacista. Come uomo, era dotato di un paio di occhi azzurri, a cui le donne non restavano indifferenti. Aveva sperimentato il suo fascino sulle compagne di scuola, ottenendo da loro il lusinghiero soprannome di "normanno".
L'impresa fu favorita dal mese di maggio, quando Rosalba usciva dal suo ritiro per partecipare alle funzioni mariane, e mettere un po' di colore sulle sue pallide gote.
Ogni pomeriggio, alle cinque, Vittorio prendeva un autobus sgangherato, che lo portava dai monti alla marina. Gironzolava per la piazza, aspettando che le campane suonassero i vespri e la fanciulla sbucasse dalla via del porto, infagottata di panni, malgrado l'aria mite.
Le rondini sfrecciavano in cielo. Egli le porgeva l'acqua santa, fin dalla soglia della chiesa.
Che c'è di meglio di un'avventura romantica?
Rosalba si mostrò visibilmente agitata. Impallidiva, arrossiva. Il suo volto si copriva di macchie. Ma accettò di farsi riaccompagnare a casa.
Camminavano lentamente. Si lasciarono alle spalle la piazza, s'inoltrarono nella strada deserta. Da un lato c'era il mare, dall'altro la roccia. Davanti, onnipresente,
la sagoma scura del promontorio. La conversazione indugiava nei soliti commenti sul tempo.
-Ho visto già dei turisti sulla spiaggia. Sono stranieri, non soffrono il freddo. Sono abituati al loro clima-.
-E' un po' presto per i bagni di mare. Io m'immergo soltanto nel mese di luglio-.
-Siete una creatura delicata, si vede. E anche molto sensibile-.
-Oh, sì! Quando ascolto la storia di donna Sabella, mi viene da piangere-.
-Ma conoscete la sua vera storia?-.
-Solo per sentito dire. Raccontatela voi, che avete studiato-.
Sì, Vittorio aveva studiato. Se ignorava un argomento, sapeva inventarlo. Ai pochi ricordi mescolò la menzogna. Parlò con l'aria di una persona istruita, ben informata sui fatti. E la ragazza bevve le sue parole, credendo a lui come al vangelo. (Sarebbe stato così per tutta la vita).
La bellissima donna Isabella era d'origine saracena. Aveva la pelle olivastra ed
un manto setoso di capelli neri. Suo marito, il duca normanno, l'aveva raccolta dall'harem di un sultano, in Sicilia.
-E poi perché si gettò dalla rupe?-.
Come Menelao abbandonato da Elena, il sultano la inseguì. Possedeva cento mogli nell'harem, ma non poteva rinunciare alla sua favorita, che gli narrava ogni notte una fiaba diversa. La inseguì per terre e per mari, fino a scovarla, in questo limite estremo del mondo.
Indomita, lei lo affrontò: -Non sarò mai tua. Ho conosciuto l'amore, la libertà, la
vera fede-.
Allora il crudele saraceno le uccise sotto gli occhi i due figlioletti ed il marito. Vedendo il corpo straziato del bel normanno, la duchessa si lanciò nel vuoto.
La rupe è tutta rigata di lagrime, quando il mare scaglia le sue onde contro il promontorio.
-Vedi, anche adesso, com'è agitato!-.
Rosalba quasi svenne per la commozione. Il suo accompagnatore dovette sostenerla, a rischio di cadere sotto il suo peso. Ma cosa non si fa per amore?
per amore del frantoio di Talete?
Un casto bacio suggellò l'accordo. &endash;Devi conoscere i miei genitori-.
Ahimè, sotto i veli di tulle, la sposa non somigliava affatto ad Isabella. Obesa, quanto l'altra era snella; spaurita, quanto l'altra era fiera. Somigliava piuttosto
alla balena bianca. Sfigurava nei cieli della fantasia, però poggiava i piedi su acri
di solida terra.
La prima notte di nozze, Vittorio disertò i suoi doveri coniugali. Alla cena pesante, non volle aggiungere la fatica di deflorare una vergine. Ella apprezzò la delicatezza del marito, che rendeva omaggio al suo candore.
Correva l'anno 1958. Fu stabilito che gli sposi si trasferissero in casa di lei.
Rosalba era figlia unica. Vittorio preferiva sorvegliare da vicino i suoi interessi.
Tra suocero e genero incominciò una lotta tenace, mascherata da modi cortesi,
per la questione della terra.
Il giovane maestro chiedeva un incremento della produzione. Sognava di esportare l'olio in Germania, negli Stati Uniti; di creare una marca prestigiosa, e presentarla a "Carosello" (lo spazio pubblicitario della RAI). Non si era portato a letto un sacco di patate, solo per lo stemma nobiliare.
Aveva già in testa lo slogan: -Dalle vergini terre del Cilento, l'olio "Rosalba" recherà sulle vostre tavole gli antichi sapori mediterranei-.
I sogni erano giusti, nell'epoca sbagliata. Mancava la manodopera per la raccolta delle olive. Con i mariti emigrati in Germania, le donne vivevano da gran signore, disdegnando i lavori stagionali.
Un tempo si sarebbero accontentate di un piatto caldo. Ora pretendevano la paga sindacale.
Così le olive intristivano tra le reti, poste a protezione degli alberi. Cadevano a terra, e venivano divorate dalle capre.
Vittorio non si rassegnò a questo sfacelo. Girava di paese in paese, di casa in casa, per reclutare le contadine. Talvolta gli capitò di approfittare della loro condizione di vedove bianche. Il risultato fu che a Centola e dintorni nacquero molti bambini con gli occhi azzurri.
Provò a condurre i suoi allievi nella tenuta della moglie. -Il lavoro fortifica la mente- dichiarava. Finché una madre non minacciò di denunciarlo per sfruttamento del lavoro minorile.
Nei momenti di sconforto, si rifugiava in sala da pranzo, a contemplare un quadro della Maddalena. Rosalba, quando lo coglieva in questo atteggiamento, sospirava:
-Com'è sensibile! Come gli piace l'arte!-
No, gli piaceva la Maddalena, con i suoi piccoli seni offerti al Signore, lo sguardo ancora languido di peccato.
Nell'adulterio sfogava i suoi malumori. Di motivi per ribellarsi ne aveva parecchi: la tirchieria del suocero, la cucina pesante della suocera (col condimento del famoso olio) e, ultimamente, la pretesa di andare a spasso in automobile, la felice famigliola al completo.
-La macchina mi serve per lavoro. Non consumiamo benzina inutilmente-.
Il crescente turismo premiava i suoi sforzi. Non arrivò a "Carosello", né negli Stati Uniti. Ma riuscì a rifornire di olio la maggior parte dei ristoranti della zona. Inoltre, trovò dei compratori tra i villeggianti napoletani. E questo fu il massimo delle sue esportazioni.
Se la gloria sfumava, al suo avvenire di uomo restava aperto un altro campo: l'amore. E qui ottenne risultati migliori, a cominciare da Wendy.
Wendy entrò nella sua vita nel 1960, al bivio tra Centola e Caprioli. Da brava autostoppista, aprì con un "grazie" la portiera della macchina, sistemò i bagagli
sul sedile posteriore, e su quello anteriore si accomodò lei. Con il suo naso all'in
su coperto di lentiggini, l'irresistibile accento straniero, le verdi pianure d'Irlanda negli occhi.
Infatti proveniva dalla patria stregata di Isolda. Terra cantata dai poeti. A sentir lei, un posto molto piovoso, dove l'umidità rovina le ossa, e la gente diventa sdentata come i marinai.
Wendy fu l'inizio di un'altra vita, di un'altra famiglia. Ne parleremo più tardi. Per il momento ci limitiamo a quella legittima, che si era accresciuta, nel '59, grazie alla nascita del primo figlio.
Bisogna stare al passo con i tempi. Basta Ugo Foscolo. Evviva Eugenio Montale.
-Ma quando si festeggia Sant'Eugenio?- chiese sbigottita Rosalba.
-Lo troverai sul calendario- replicò sbrigativamente il marito.
I lieti eventi si fermarono a due. Un terzo sarebbe stato opera dello Spirito Santo, data la cessazione di ogni attività sessuale tra i coniugi.
Rosalba era sempre malata. Nel migliore dei casi, accusava mal di testa. Quindi la fine dei loro rapporti frettolosi, consumati nel buio, fu accolta da lei con sollievo.
Vi vide un'ennesima prova di tatto del marito, che non voleva importunarla, né sottoporla al rischio di nuove gravidanze.
Un sant'uomo! Gliel'aveva mandato il Padreterno. E non si lamentava neppure, il poverino. Girato dall'altra parte, si asteneva da una semplice carezza, da un bacio, per non cadere in tentazione.
Eugenio cresceva delicato come la madre. Una volta le coliche, un'altra i denti, stava sempre nelle mani del pediatra, e non si sapeva neanche a quale santo votarsi.
Meno male che la volontà di Rosalba, devota a Sant'Aniello, fu rispettata nei riguardi della figlia. Del resto, non si poteva chiamarla Saffo, tanto meno Lesbia.
Ingentilito al femminile, e fuori dal Cilento, il nome "Anella" sembrava inventato. Colei che lo portava era il ritratto in miniatura del padre. Una bambina serena, giocosa, dai limpidi occhi azzurri ed i capelli pel di carota.
La madre glieli lavava con la camomilla per farli schiarire. Ma i capelli restavano rossi, impertinenti e sbarazzini.
-Col tempo si scuriranno- pronosticava il padre, cercando di reprimere un oscuro senso di colpa. Era contro ogni legge genetica trasmettere alla figlia il colore di capelli della propria amante. Che fosse un caso di telepatia?
Mentre Anella iniziava la sua avventura nel mondo, il 18 gennaio del '61, un'altra creatura aspettava di uscire dal grembo materno.
La figlia di Wendy nacque pochi mesi dopo, sotto il segno del Toro. Fu registrata all'anagrafe con il cognome della madre, Hurst. Per motivi sentimentali, le venne dato il nome di Michela. Gli amanti ritenevano di averla concepita in una grotta, dedicata al santo guerriero.
Una seconda coincidenza turbò i sogni di Vittorio. Michela aveva i capelli neri, neri
e ricciuti come quelli di Rosalba.
Tra le due sorellastre esisteva un legame. Prima o poi, il destino le avrebbe fatte incontrare. Anche se il padre, prudentemente, aveva trasferito Wendy a Salerno.
Col suo stipendio da maestro, e le olive, doveva mantenere due famiglie. Perciò divenne più tirchio del suocero.
Eugenio fu iscritto a quindici anni al ginnasio, insieme ad Anella, per risparmiare sulle spese.
In casa Gugliemi c'era bisogno di un medico e di un avvocato.

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