Home club
Concorsi
Vuoi entrare in questo elenco?

Alessandra Mazzocchi

ha vinto il primo premio del concorso Club dei poeti 1997,
sezione narrativa, con questo bel racconto

 

 

La tela

Al quattordicesimo piano di un palazzo di periferia abitava Cesare Brambilla. Forse l'avete visto, ma non potete ricordarlo, confuso com'era nel fiume metropolitano di volti e motori. O vi ha sorriso allo sportello e voi gli avete dato un'occhiata da sotto in su, lo sguardo che si rivolge agli impiegati di banca.

I baffi grigi e lunghi gli davano un aspetto poco raccomandabile, e anche il suo modo di camminare, con le spalle curve e la testa alta, era insolito, come se &endash; e dico: come se &endash; avesse avuto qualcosa da nascondere. Eppure era una di quelle persone che passano inosservate, a cui la gente non sa dare una collocazione di tempo o di spazio, perché vivono con se stesse, senza farsi conoscere. Al più lasciava un senso di magia, come i sogni che si fanno al mattino.

Divideva l'appartamento angusto con il suo unico amico: un grasso micio di nome Miao, depositario di molti segreti, tra cui il suo amore per una ballerina. Non aveva più parenti, e, quando non lavorava, adorava starsene solo a dipingere, vicino alle larghe finestre da cui vedeva tutta la città.

Cesare era stato un bambino precoce, nel disegno. La sua attitudine lo aveva aiutato, in parte, a compensare un carattere debole. Il suo aspetto fisico era ingannevole: in realtà l'impiegato con il volto da killer era remissivo, di una remissività innata: un cercare continuamente negli occhi degli altri l'approvazione delle proprie azioni; la costante del suo agire che da sempre lo aveva reso sgradevole e appiccicoso, umile fino ad irritare. Ci si può chiedere perché non coltivò il suo talento in qualche scuola; la ragione è molto semplice, quella che muove gran parte delle nostre scelte: il desiderio di tranquillità. Ciò non vuol dire che Cesare abbandonò i suoi sogni: anzi, vi si attaccò con maggiore ostinazione, affollando di tele le due stanze della casa. E bisogna riconoscere a Miao che non si riferisce le unghie su nessuna di essa.

Ida, la ballerina di cui era innamorato, veniva a trovarlo nel tardo pomeriggio per guardarlo dipingere, seduta su un misero divano a tre gambe, mentre Miao era già uscito dalla stanza con discrezione. Lo strano di questi incontri è che si svolgevano in tutto silenzio: durante la loro relazione furono dette a malapena duecento parole.

Ad attrarre Ida era proprio il suo isolamento, la magia di tutte le cose che non venivano dette, insieme al senso di pace e serenità che si respirava tra quelle pareti. Sì, perché la vita dei ballerini non è facile e quella di un impiegato di banca è, al contrario, molto, molto tranquilla. Non che lui fosse noioso: apparteneva a quella categoria di persone perennemente assorte in un'immagine. Vivono distaccati da luoghi e avvenimenti, vincolati dalle loro fantasie. Per questo rispondono a monosillabi: non hanno tempo per pensare alle risposte, e non ne hanno la voglia. Ida non poneva domande; non le aveva mai poste neanche a se stessa.

La vita di entrambi fluiva quietamente, fatta di moderate felicità. Per Cesare anche il giorno più brutto veniva ridipinto con i pennelli che tirava fuori dalla sua cassetta e con i baci che regalava alla sua amante. Va detto che, dietro questa monotonia delle giornate uguali, stava la sua profonda convinzione &endash; era una fede tenace &endash; che un giorno sarebbe diventato famoso. I credi di qualsiasi tipo &endash; come la ragione al più alto livello &endash; illuminano i momenti bui, è risaputo. Fu forse anche questo ad alimentare il suo amore per Ida. Perché lei aveva finito per rappresentare quel desiderio, quasi fosse una musa ispiratrice.

Gli ultimi giorni, tuttavia, aveva avuto un malessere diffuso: si sentiva annoiato. Si era comportato male anche con lei, e tutto ciò in breve tempo. Ogni giorno che passava avvertiva una certa pesantezza intorno a sé, come se persone e cose fossero difficili da trattare, e da spostare. Alcune sere non aveva addirittura sentito il desiderio di dipingere, né tanto meno di vedere Ida, ma preferiva sedersi da qualche parte senza pensare a nulla.

Quel pomeriggio udì suonare il campanello. Erano le due: il sole era ancora alto. Aprì la porta e, appoggiata al muro, trovò Ida, i capelli neri arruffati e gli occhi spalancati nell'espressione di sempre, quello sguardo molle e stanco privo di un oggetto. L'orario della visita era inconsueto, ma, come al solito, non scambiarono una parola: la ragazza entrò e sedette semplicemente sul divano, aspettando che Cesare decidesse di fare qualcosa.

E non sappiamo che cosa scattò nella mente di lui: forse quello sguardo iniziale gliel'aveva suggerita, o l'idea gli venne in mente all'improvviso. Lei intuì, con un istinto che misteriosamente è comune anche alle persone sciocche, che stava accadendo qualcosa di particolare. C'era, in quei primi gesti di Cesare, il misto di normalità e di insolito che rende inquietante la scena più pacifica.

I vetri larghi e azzurri di polvere filtravano la luce in onde fantastiche che proiettavano poi sulle piastrelle. L'ombra si dileguò dai finestroni polverosi, tornò appesantita e depose il carico sul pavimento. Trafficò attorno all'ammasso di oggetti e ne estrasse una tela e tre pennelli. Fu allora che capì.

L'oggetto era lei! Era il suo volto, questa volta, a essere ritratto. Ida aveva la sensazione che le cose intorno a lei non avessero sorriso così, fino a quel momento. Lasciò andare il corpo sullo schienale, con una specie di fragore nella testa e le strisce confuse di quei giorni sfreccianti su dei binari. Rimaneva una cosa da capire, ma ora non ne aveva voglia, e poi lei non era fatta per l'analisi: lo strano comportamento di Cesare da un po' di tempo a quella parte.

Il prodigio, il vero miracolo si stava compiendo sotto i suoi occhi. Lei al centro. Questo il momento &endash; forse l'unico &endash; in cui si vedeva al centro del quadro. Che quadro fosse non sapeva &endash; in testa le scoppiettavano mille scintille &endash; la sua propria esistenza, quella di Cesare, quel giorno in particolare o chissà, addirittura l'universo. Eppure ritornava insistente un pensiero, uno solo.

Il braccio di lui lavorò per qualche tempo in controluce, concentrando la mente di Ida sugli schizzi che il gomito tracciava nell'aria. Gli ultimi tempi lui era stato così. Una linea spezzata di azioni discordanti tra loro. Chissà che, come il dipinto che andava formandosi, i tratti incoerenti non stessero collaborando per l'armonia finale. Quell'umore variabile era un sintomo, e Ida intuiva oscuramente la parabola del loro amore, ignorando però come interpretarla per se stessa, e quale fase aveva appena toccato.

Dopo qualche ora era tutto finito. Avvicinandosi al ritratto lei vide, per la prima volta, la propria immagine nel colore. Pianse un po', senza farsi vedere, poi volò via per lo spettacolo della sera, felice come non era mai stata.

Cesare era rimasto solo, nella stanza. I toni caldi che aveva usato &endash; tra il rosa e l'arancio &endash; erano talmente mescolati che in un primo tempo faticò addirittura a riconoscere le forme. Era passato qualche minuto, ormai, e gli appariva molto diverso da prima. Gli occhi non gli piacevano, perché in qualche modo avvilivano l'interesse del colore, eppure erano straordinariamente verosimili. Un filo di ansietà saliva lentamente: forse dal quadro, per le intense vibrazioni che un colore riusciva a comunicargli. Spostò l'attenzione su Ida, per pensare a qualcosa, e subito se ne pentì. La ragazza sorrideva dentro la tela: aveva le dita intrecciate e un'espressione malinconica, come le smorfie di quei bambini che si mettono in posa davanti al fotografo.

Era un sorriso incerto, come se non osasse aprirsi del tutto ma si sentisse in dovere di comparire, e annullava la stabilità che aveva cercato di mettere nel corpo. Quella stabilità maledetta, che aveva inseguito strenuamente ed era stata sconfitta da mille sciocchezze, anche solo dal modo ingenuo che aveva Ida di intrecciare le dita. Per un attimo si stupì di come avesse potuto innamorarsene. Cercò di immaginarla nei suoi spettacoli di danza, le labbra compuntamente serrate per il popolino che andava a vederla. Chissà perché la gente voleva vedere le sue interpretazioni, così rudimentali, in fondo; forse per sentirsi diversa e più importante, proprio come lei quando saliva sul palcoscenico.

Dentro quella tela Ida era come nuda; una nudità che lo turbava più di quanto non avrebbe dovuto essere. Le palpebre semichiuse erano davvero come le aveva viste un tempo, poetiche e seducenti? Un nodo alla gola cominciò a premere, premere. Goffamente accovacciato davanti alla tela, stava come un animale braccato, le tempie che gli pulsavano. Si guardò in giro, ma era stranamente scuro, intorno a lui. Come neri, grossissimi insetti, le vecchie tele avevano ricoperto la striscia inferiore di ogni parete, secondo un sistematico allineamento. Nella penombra poteva individuare la prima, come l'ultima, e se anche avesse cambiato l'ordine, avrebbe riconosciuto a occhi chiusi la terza dalla diciottesima, come si riconosce l'odore di un amico. Era questo che voleva dire essere artisti, no? Come faceva lui, con i suoi dipinti. Là era il posto del nuovo dipinto, dove i muri facevano angolo ed era rimasto l'ultimo metro quadro libero. Cercò di sollevarlo, ma non ci riuscì. Guardò spaurito attorno a sé, girandosi con lenti, impacciati movimenti.

Qualcosa, nella disposizione delle tele, lo colpiva duramente. . Era poi di Ida, la colpa, se non era riuscito bene? E gli altri, com'erano tutti gli altri? Appoggiati alle pareti, ingombranti come un vecchio che nessuno vuole. Provò ancora a sollevare il quadro, e ne ricavò un forte dolore ai reni e un gran senso di debolezza. Fece un ultimo tentativo, poi si alzò, le braccia penzoloni e i piedi stranamente malfermi. Artista. La parola gli rotolava nella testa, svegliando una fortissima inquietudine, e quasi un senso di invidia. Si avvicinò ai vetri, e un'immagine di se stesso lo raggiunse fulminea, perfetta come un'istantanea.

Il cielo era nerastro, dietro il velo di lacrime. Per terra il maldestro ritratto della sua dolce metà. Il traffico era bestiale, nell'ora di punta.

Guardò un cielo agonizzante. Il ritratto per terra. Bestiale, il traffico.

Velato torbido cielo. Ritratto. Traffico. Saltò.

 Racconto sesto classificato al Concorso Città di Orzinuovi 1998 sezione narrativa

 

 


©1996 Il club degli autori , Alessandra Mazzocchi.
Se desideri comunicare con l'autore spedisci una E mail a clubaut@club.it


| Home page Club degli autori | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Arts club (Pittori) | Concorsi letterari | Vs la rivista di studenti e laureati | Photo Club (Fotografi) | Biblo Club (libreria virtuale) | Pipe Club | Photo shop (fotografie per editori) |