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Luigi
Forte
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- DEL POVERO BERTOLT
BRECHT OVVERO
- L'ARTE DELLA
SIMULAZIONE
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"E che cos'è la
vita, se non
un'invenzione? Che
comincia con
l'inventare te stesso"
(John Le Carré,
Il sarto di
Panama)
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- L'opera giovanile di Bertolt Brecht (ma
non solo quella) è racchiusa in una frase del drammaturgo
Heiner Müller: "Der Brecht redet sehr viel über sich.
Aber er ist immer, auch wenn er sagt: "Ich, der
Stückeschreiber", nicht Brecht. Er ist nicht die Person
Brecht, es ist immer auch eine Rolle - also immer auch die
Figur"1. I diari, gli schizzi autobiografici, le
lettere, le poesie, i primi drammi sono un'unica glossa al proprio
sé. Pochi scrittori contemporanei hanno eretto un tale
monumento alle proprie gesta giovanili. Eppure più parla di
sé, più Brecht si nasconde. Perché egli non
produce nient'altro che la propria immagine esterna, "disegna -
per usare un'espressione di Umberto
- Eco a proposito del Cardinale Mazzarino
- un'idea di profondità psichica fatta tutta di
superfici"2. Se scrivere significa, fra le altre cose,
come disse una volta Max Frisch, "sich selber lesen", allora
Brecht ha condotto una lettura di sé sopra le righe,
mettendo a punto, in forme diverse, un'interminabile autobiografia
per diffondere immagini stilizzate, ruoli. Insomma, per
trasformarsi fin dall'inizio in personaggio. Come Stendhal (di cui
egli cita i diari in un appunto del 1920), che nelle sue opere
"est toujours masqué ou travesti"3, così
Brecht si nasconde dietro le sue figure, siano esse Baal o i
Seeräuber, i poeti Villon o Rimbaud. Poeti da cui attinge
disinvoltamente e senza far parola: per esempio nei testi teatrali
Im Dickicht der Städte e Die Dreigroschenoper.
Così anche il plagio diventa uno dei suoi numerosi
travestimenti, un modo per affrancare il soggetto dall'imperativo
romantico della creatività geniale. Un modo per
proiettarlo, fuori da ogni ruolo predeterminato, nel flusso stesso
della molteplicità dei soggetti letterari, dove l'elemento
autobiografico si mimetizza e nobilita in un'incessante
metamorfosi. La realtà in cui Brecht disegna il proprio
personaggio è del tutto proiettata sull'orizzonte della
letteratura. E lui non ne fa mistero: "Die Einstellung eines
Mannes der Welt gegenüber sollte eine möglichst
literarische sein. (...) Alle großen Männer waren
Literaten"4. Come non pensare a Kafka, che in una
lettera a Felice Bauer afferma: "Der Roman bin ich, meine
Geschichten sind ich", ribadendo altrove di essere "nichts anderes
(...) als Literatur"5? Si tratta di un'idea fissa
presente anche in Brecht in molteplici variazioni, come, ad
esempio, in questo passo dei Tagebücher: "Wenn der
Sinn für Literatur in einem Menschen sich erschöpft, ist
er verloren; denn ein Gebildeter interessiert sich angesichts
aller menschlichen Ereignisse immer nur für ihre literarische
Aufmachung, ihren Stil, die Geschliffenheit ihrer Pointe oder die
Brutalität ihres Raffinements"6. Le pagine
diaristiche giovanili di Brecht illustrano perfettamente tale
tendenza, in
- cui la vita si enfatizza ed esalta in un
gioco di metafore, di variazioni liriche, di frammenti. Brecht fa
esperienza nel linguaggio. In Was ist Poesie Jakobsen ha
descritto con chiarezza il fenomeno: "Jede verbale
Äußerung stilisiert und
- transformiert in gewissem Sinn die
Begebenheit, welche sie schildert. Entscheidend ist die Tendenz,
das Pathos, der Adressat, die Vor-'Zensur', der Vorrat an fertigen
Schemata"7. Infatti nel glossare e trasfigurare la
propria vita, Brecht, come spesso autori che si muovono lungo una
traccia autobiografica, potenzia l'aspetto del
significante, l'apparato retorico con cui costruisce o
ricostruisce i momenti di un'esperienza esistenziale. Dice
Starobinski nel suo libro su Jean- Jacques Rousseau: "Peu importe
le peu de ressemblence 'anecdotique' del'autoportrait, puisque
l'âme du peintre s'est manifesté par la
manière, par la touche, par le style"8. Proprio
lo stile in Brecht conosce sfumature infinite, ma una figura
d'espressione costante e univoca: quella dell'iperbole, nel bene e
nel male. Ecco quanto annota l'autore diciottenne: "Ich bin
böse und bin in wüsten Schenken herumgesessen, in
Plärrerwägen und bei Soldaten und weiß freche
Lieder..." e come insiste un paio di anni dopo con dizione ormai
baaliana:"Ich verderbe Jünglinge und fresse junge
Weiber..."9: è il prototipo del cattivo, come
suona una poesia della Hauspostille scritta verso il 1918 sulla
scia del François Villon del Testament. Attorno a
questo nucleo tematico si può costruire un'
ampia
- enomenologia che trova un primo,
organico approdo nella stesura del Baal. C'è
autodenigrazione ("Ich bin schon etwas verdorben, wild und hart
und herrsüchtig..." proclama nel 1916), cinico vitalismo
("Ich habe zuviel Leiber
- gefüllt...", recita la poesia
Vision in Weiß contigua a tanti sonetti erotici),
sentimenti antiborghesi ("Der Bürger ist ebenso nötig
wie das Pissoir"), epigrafi anarcoidi ("Hier steht Bertolt Brecht
- suonano versi del 1921 - auf einem weißen
Stein/Fleisch/fressender Esel, bußfertiges Schwein/Halber
Niggergötze und halber
- Affe/ Maulheld, Zutreiber,
Speichellecker und Pfaffe")10.
- Ma c'è anche un aspetto
più arrogante e narcisistico, il gesto di sfida dello
scrittore in erba: "Schreiben kann ich, ich kann
Theaterstücke schreiben, bessere als Hebbel, wildere als
Wedekind..."11. Ha appena diciott'anni, ma
un'identità chiara e determinata che gli farà
annotare nel giugno del 1921: "Ich beobachte, daß ich
anfange, ein Klassiker zu werden"12. Viene da
chiedersi: realtà o paranoia? Autoesaltazione narcisistica
oconsapevolezza critica? Ma ha poi senso tale interrogativo per un
Brecht che è
- soprattutto immagine? Perché lo
scrittore di Augusta è ciò che Goffmann ha definito
la teatralizzazione del sé: "...eine dramatische Wirkung,
die sich aus einer dargestellten Szene entfaltet"13. In
altri termini, è un soggetto come prodotto semiotico:
ciò che riesce ad apparire agli altri, una maschera
sapientemente costruita. E qualche applauso Brecht comincia a
riscuoterlo fin da giovanissimo, se una conoscente, Frau Veeh -
come si legge in un appunto del 1913 - si lascia scappare: "Ich
habe das Gefühl, Eugen, als ob Sie noch einmal ein ganz
Großer unseres Volkes werden würden"14. Gran
fiuto ebbe quella signora di Augsburg. Ma che dire
dell'interessato che, a quindici anni, annota con
- serioso compiacimento una frase
così impegnativa? È lo stesso che in una lettera a
una coetanea cita il fascino della propria personalità o si
immortala in compagnia del neonato appena avuto dall'amica Paula
Banholzer: "Der Vater ist ein Genie, das Kind liegt in frischer
Wäsche..."15. Che l'accento sia anche autoironico,
non muta la
- questione: Brecht scrive o parla
dall'alto di un palcoscenico, dietro quella che
- Goffmann ha chiamato una "facciata
personale". Dietro una maschera, che può essere il nostro
stesso io, quel "sé, che desideriamo essere"16.
La messinscena non ubbidisce solo a segrete pulsioni
narcisistiche, ma anche alla necessità di indicare un nuovo
percorso al soggetto uscito dalla catastrofe della prima guerra
mondiale. L'immagine del Dichter, del poeta tra fin de
siècle ed espressionismo, ricalca motivi letterari spesso
discordanti e comunque ormai impraticabili: dal superuomo ibrido
(di cui Baal è la parodia) al genio debole e impotente,
all'individuo emarginato e folle. La teatralizzazione del giovane
Brecht rivela un orizzonte diverso e stimola la vocazione di una
nuova cultura. Un documento assai convincente (e quasi stereotipo)
di autostilizzazione brechtiana è la notissima poesia
Vom armen B.B. scritta durante un viaggio in treno
nell'aprile del 1922: un Rollengedicht, ma anche un
singolare
- messaggio sulla modernità, di cui
Brecht immagina il tracollo con il sigaro in bocca acceso fino
alla fine dei tempi e una mascella d'acciaio intenta a svuotare la
casa del mondo, come postillava W. Benjamin. Qualche anno dopo,
nel 1926, Brecht riassumerà con aria da Neue
Sachlichkeit (a parte il 'paesaggio eroico', titolo di una
poesia di G. Heym): "Als heroische Landschaft habe ich die Stadt,
als Gesichtspunkt die Relativität, als Situation den Einzug
der Menschheit in die großen Städte zu Beginn des
dritten Jahrtausends, als Inhalt die Appetite. .."17.
Espressioni che mettono a fuoco non solo la realtà di Vom
armen B.B., ma l'intera scena teatrale del primo Brecht: un mondo
in cui l'individuo canta il proprio tramonto, ma al tempo stesso
afferma i suoi voraci appetiti. Ascesa e caduta
dell'individualismo, dunque: Spengler e l'Untergang des
Abendlandes è, non a caso, una delle letture brechtiane
così come la sua contiguità a Jünger e al mondo
dell'anticapitalismo romantico (come ha ben mostrato Hans-Thies
Lehmann) illumina una vasta zona in cui si muovono i suoi primi
eroi, da Baal a Garga. Lo stesso Lehmann ha suggerito, a suo
tempo, una lettura più affascinante della stilizzazione
brechtiana, su cui già all'inizio degli anni Sessanta, in
un'ottica stilistico-formale, era intervenuto Walter
Jens18.
- I vari temi epocali del Rollengedicht -
dal maschilismo alla precarietà, dall'apocalisse
metropolitana al disincanto cinico, dal piacere alla
voracità e distruttibilità - trasformano il
mondo autobiografico del soggetto B.B., in una ragnatela di
connotazioni letterarie. L'ossatura autobiografica della poesia
è uno
- strumento puramente funzionale alle
metamorfosi di un'individualità che si arroga, nella
finzione, il giudizio definitivo sulla propria epoca. La maschera
di Brecht è ora la letteratura stessa in cui il
soggetto può potenziare retoricamente il suo
apparato di difesa e superare da tale postazione la crisi della
propria identità ormai evanescente. Vom armen
B.B. rappresenta un'iperbole di pensiero, in cui
la
- dismisura si sposa con la
precarietà assoluta. In un'epoca di crisi strutturale a
tutti i livelli, come quella weimariana, che Brecht
saprà adeguatamente interpretare attraverso la
figura di Galy Gay, un soggetto scopre nel gioco della
letteratura, con i suoi rimandi testuali, le sue maschere e
le sue finzioni (non ultimo, ancora una volta, le pauvre
Villon), la potenza della propria messinscena. Forse
ricerca
- un'identità nell' unico spazio
ormai possibile: "...confié à l'oeuvre
écrite, au livre, à la littérature",
ha scritto Starobinski parlando di Montaigne e introducendo
un concetto estetico d'identità che "venait prendre la
place laissée vi de par le déclin des
autorités traditionelles"19. È un
soggetto testuale (Text-
- Subjekt, ha suggerito Lehmann), che di
fronte all'apocalissi moderna destinata a livellare
ambizione e autonomia umanistiche, scopre una sorta di gioco a
rimpiattino, l'astuzia del mimetismo. Gli si adatta forse
il termine di mimicry usato da Roger Caillois per
designare l'individuo che "joue à croire, à se faire
croire ou à faire croire aux autres qu' il est un
autre que lui-même. Il oublie, il déguise,
dépouille passagèrement sa
personnalité pour en feindre une autre..."20. Ma
c'è anche la lezione delle tre metamorfosi di
Zarathustra, che smaschera il vecchio soggetto della
metafisica, quello cristiano-borghese incapace di pensare il
senso se non come trascendente, per passare al "nichilismo
attivo e positivo"21.
- Il giovane Brecht, che legge Nietzsche e
Büchner, e si sdoppia in alter-ego, in ruoli, in
proiezioni letterarie, coglie nel crepuscolo del soggetto borghese
la dinamica e la forza stessa della sua trasformazione:
è il soggetto plurale, lo stendhaliano "se sentir
vivre à plusieurs exemplaires", coinvolto in una
processualità che salda l' assenza di ogni prospettiva
sul futuro ("Von diesen
- Städten wird bleiben: der durch sie
hindurchging, der Wind!")22 con la gioia e il
piacere. Che anche ciò che pareva duraturo sia
attraversato dal vento, è una garanzia che il male
può aver fine; e il godimento più grande è
quello di ammirarne il tracollo con un buon sigaro in
bocca. Illusione estrema che non ha certo preservato B.B.
da grandi delusioni. Ma la novità non stava nel credere che
si
- potesse salvare il mondo attraverso la
letteratura, ma che lo si potesse affrontare, nel gioco di
una finzione trasgressiva, con il disincanto di chi ha preso in
mano il proprio destino. E Zarathustra ne predica i modi:
"Recht sich nehmen zu neuen Werten (...) Wahrlich, ein
Rauben ist es ihm und eines raubenden Tieres Sache"23.
Non è un caso che in Brecht sia spesso ricorrente la
tematica del fressen, del divorare: dall'atto unico
Kleinbürgerhochzeit a Baal, a Trommeln in der Nacht e
poi oltre fino
- al Galilei. Avidità,
insaziabilità, impazienza contrassegnano, tra l'altro,
una dimensione tipica del narcisista, quale Brecht
sicuramente fu: cioè l'oralità. L'universo
orale, insegnano gli psicoanalisti, è aperto e sconfinato,
come il mondo di Baal."Ich lebe von Feindschaft - è
il suo motto -. Mich interessiert alles, was ich fressen
kann"24. In Vom armen B.B. c'è un verso
di biblica pregnanza che
- suona:"Fröhlich machet das Haus den
Esser: er leert es" (La casa colui che banchetta fa beato:
ché egli la vuota). Nella sua esegesi W. Benjamin ha
scritto:"Essen heißt nicht nur sich nähren, es
heißt auch zubeißen und zerstören"25.
Dunque ancora un soggetto che coniuga gioia e distruzione,
che sperimenta la propria vitalità nel vivere fino
in fondo la precarietà. "Wir müssen Zerstörer
sein!" aveva esortato quel Nietzsche, che il giovane Brecht
segue nella ridefinizione di un ruolo del soggetto in epoca
di grandi terremoti sociali. Oltre i confini di una morale
cristiano-borghese, il cui capovolgimento avviene in modo
definitivo nella raccolta Hauspostille e oltre lo
statuto di un soggetto che fonda la propria identità su
sicurezze metafisiche. Lehmann ha sottolineato il legame molto
stretto, da questo punto di vista, fra la visione di
Nietzsche e la sensibilità brechtiana dei primi anni
Venti. Esso richiama l'idea di un soggetto leggero
("Schwächer als Wolken! Leichter als die Winde!"
leggiamo in Lied am schwarzen Samstag), la cui esperienza
è legata al passaggio, alla transitorietà:
"Was groß ist am Menschen, das ist, daß er eine
Brücke und kein Zweck ist: was geliebt werden kann am
Menschen, das ist, daß er
- ein Übergang und ein
Untergang ist"26. Di tale prospettiva Vom
armen B.B. offre un quadro più che convincente
in un gioco ironico, che è anch'esso un'ennesima
maschera: il soggetto letterario che si eleva sulle macerie del
mondo tra riflessi autobiografici. La sua identità
è solida e forte nella misura in cui denuncia la
propria impotenza: come voce di un testo, divenire e
persistenza nella pura
- letterarietà. Come finzione
autobiografica. È ancora Nietzsche a ricordarci che lo
spazio dell'artista si nutre dell'ingenuità del bimbo,
in una zona franca in cui solo il gioco acquista un senso:
"Ein Werden und Vergehen, ein Bauen und Zerstören ohne
jede moralische Zurechnung in ewig gleicher Unschuld hat in dieser
Welt allein das Spiel des Künstlers und des
Kindes..."27. La prima ideologia di Brecht,
potremmo dire con un paradosso, è stata forse la
letteratura. Lo scrittore bavarese l'ha ridefinita come il
luogo dei suoi travestimenti, circoscritta come l'arena
dove inscenare fantasie d'onnipotenza, che
- molto hanno dato da pensare alla critica
psicoanalitica. I funambolismi artistici del giovane
Brecht, il suo gioco di apparenze e invenzioni, le sue mille
stilizzazioni appaiono sempre più, anche se
inconsapevolmente, incluse in uno spazio che è quello
del dionisiaco nietzscheano ("libero esercizio di
una forza metaforizzante, di una vitalità inventiva
originaria")28, che esclude ormai qualsiasi
unità dell'essere. Dal clan di amici di Augsburg
dominato dalla sua personalità, che trasforma la provincia
bavarese in un centro di vitali utopie artistiche, nasce un
progetto poetico che declina attraverso la maschera i
grandi temi dell'epoca. È il legame fra
autobiografismo, riclicato su stereotipi e modelli
culturali (dall'esotismo all'americanismo, dalla decadenza
all'apocalisse, all'anticapitalismo romantico), e una nuova
soggettività, che rende affascinante e unico il
percorso brechtiano di quegli anni. Individuarlo nei suoi
singoli segmenti sarebbe cosa assai complessa. Certo è
che la trasvalutazione di tutti i valori passa per Brecht
attraverso un ribaltamento della tradizione spiritualistica
tedesca. Il dramma Baal non a caso è una sorta di
archetipo che attraversa tutta la sua
- opera. E non a caso è anche la
risposta vitalistica e materialistica all' immagine di una
decadenza di tipo idealistico, almeno come l'aveva formulata Hanns
Johst in Der Einsame, da cui Brecht
trasse spunto. Una prospettiva che colse ancora Hugo von
Hofmannsthal del 1926 scorgendo nel Baal la fine del
concetto di individualità
idealistico-borghese29. A dire il vero, dietro la
struttura parodistica del dramma andava a fondo non solo il
protagonista, ma una strategia: l'impossibilità di un
diretto antagonismo nei confronti della società
borghese. Quella sorta di decalogo per l'uomo della giungla
urbana (ma suona come un manuale per terroristi) che è la
raccolta Aus dem Lesebuch für
Städtebewohner, mostra in quale direzione si
sposterà la strategia del soggetto brechtiano: verso
il mimetismo, la clandestinità. Per ora il trasgressivo
Baal, l'asociale che urla in faccia ai borghesi: "Ich will Euch
zeigen, wer Herr ist"30 è destinato a
soccombere di fronte ad una società altrettanto asociale.
Forse ha ragione Jürgen Manthey a dire che Baal
è stato il Werther di Brecht: anch'egli deve
morire perché il suo autore possa sopravvivere. Ma muore
anche perché Brecht ha deciso che non quella
è la strada del confronto. Ciò che lo scrittore
affermerà più tardi vale già fin
d'ora: bisogna imparare dal nemico. Cioè dalla propria
classe sociale, la borghesia, che un certo anticapitalismo
romantico della sinistra ha ampiamente demonizzato in modo
non troppo diverso da personaggi come Jünger e Céline
sul fronte della destra. E il nemico che fa? Si nasconde,
si cela, si trasforma: come il Brecht di
- Augsburg, che dal gioco letterario e
dalle fantasie narcisistiche trae la sostanza del suo
impegno antiborghese. "... so tut uns nichts so gut als die
Schelmenkappe - leggiamo in Die fröhliche
Wissenschaft - (...) Wir sollen auch über der
Moral stehen können: und nicht nur stehen, mit
der ängstlichen Steifigkeit eines solchen, der jeden
Augenblick auszugleiten und zu fallen fürchtet, sondern
auch über ihr schweben und spielen! Wie könnten
wir dazu der Kunst, wie des Narren entbehren?"31.
Sembra un commento alla leggerezza brechtiana, che esalta
il gioco contro l'armonia ("sie nimmt
- dem Leben das Spielerische..." obietta
in una lettera all'amico Caspar Neher)32 e
pratica la trasgressione ludica come il personaggio del clown
descritto da Starobinski in quel grazioso libretto che
è Portrait de l'artiste en saltimbanque, il quale
"surgit parmi nous comme un intrus, venu des
ténèbres extérieures" e "nie tous les
systèmes d' affirmation
préexistants"33.
- Ma soprattutto è colui che
esprime la necessità di una distanza che è
elemento strutturale della stessa opera giovanile
brechtiana. Che si realizzi all'insegna dell'ironia o
dell'autostilizzazione, con le maschere di una cultura della
decadenza o attraverso personaggi come alter-ego, tutto
ciò non ha importanza. Brecht si crea un mito nella
misura in cui dissolve i presupposti della cultura borghese
adottandone e riciclandone gli stessi stereotipi. Ancora e
sempre è il soggetto intellettuale borghese che
dà espressione alla grande sceneggiata del declino,
dell'Untergang. E lo spirito con cui ciò avviene
è già anticipatamente postmoderno: il declino
della civiltà come un affascinante tableaux letterario,
come spettacolo, come proteiforme ironizzazione. Pochi come
Brecht si sono sentiti così profondamente coinvolti
nel paesaggio culturale e sociale della propria epoca e da
esso altrettanto minacciati. Forse non vi è estranea
la dimensione dell'oblio, del vergessen, che
diverrà col tempo presupposto dell'attività
estetica, desiderio e
- premessa del nuovo. La minaccia, lo
sappiamo, si traveste come precarietà, tecnica,
moderna realtà metropolitana, che Georg Simmel aveva
già acutamente analizzato, in chiave sociologica,
all'inizio del secolo. Nelle pagine del giovane Brecht tale
minaccia ha biblica memoria: è il diluvio universale di
fronte a cui si afferma il tipo forte, l'eroe della
sopravvivenza. Si legge in un abbozzo inedito
sulla
- Sintflut: "in den jahren der flut
(...) die typen werden stärker größer
finsterer sie lachen..."34. È un'immagine
ironicamente autobiografica che Brecht coltiva con piacere.
Lui stesso e l'amico Bronnen scrivono all'inizio degli anni Venti
un soggetto per il cinema con due titoli diversi: Die
zweite Sintflut e Robinsonade auf
Assuncion, che si sviluppa in modo analogo, con tre
individui (due uomini e una
- donna) sopravvissuti ad un'immane
catastrofe su una piccola isola a confronto con una
civiltà iperspecializzata35. Ed è ancora Brecht che
si fa raffigurare dall'amico Caspar Neher nel 1925 con la
maschera del Wasser-Feuer-Mensch (Iste erat - vi si
legge sotto - Hydatopyranthropos/ vivens Augustis
vincielicorum/ per unum saeculum 1898-1998...): cioè
la maschera di un sopravvissuto della civiltà corrotta
e decrepita. È uno dei ruoli canonizzati non solo da
Vom armen B.B. ma da altre famose
- liriche come Ballade von den
Abenteurern, Über die Anstrengung, Das Lied
am
- schwarzen Samstag e gli stessi
Mahagonnygesänge.
- Tale bisogno di nascondimento trova
anch'esso ampia letteratura alla voce narcisismo:
basti pensare a quei meccanismi di difesa, che vanno sotto il
nome di "ödipale Maskerade"36. Del resto il
celarsi in una soggettività, dal punto di vista
dell'inconscio, equivale - ci viene spiegato - a sostituire
l'io con un altro narcisisticamente più
gratificante. Ancora una volta il percorso brechtiano
attraversa lo spazio del narcisismo in una sorta di intima
simbiosi: dal momento della sopravvalutazione del sé
alle fantasie di onnipotenza, dal tema dell'oralità -
soprattutto in Baal - all'analità (con un'ampia
fascia di espressioni scatologiche) fino al Super-Io
cristiano sentito come nemico (e in tale semplicistica
chiave
- potrebbe essere letta tutta la
Hauspostille). Ma non è questa la dimensione che
ci interessa. Piuttosto quella suggerita dalla nietzscheana
Geburt der Tragödie, di una civiltà come
maschera, di un travestimento come possibilità di scampo
alla decadenza. Si viene rafforzando così l'idea di
un'arte, di un fenomeno estetico come inganno e illusione.
Già Kant nell'Antropologia, parlando dell'uomo come
giocoliere e
- illusionista per natura, aveva asserito
che la persona "heißt Maske" e che la vita senza
illusione (Blendwerk) non avrebbe fascino37. Nel
gioioso disincanto di Brecht c'è un uso della
maschera non decadente, cioè una realtà in cui
essere diversi, mimetizzarsi senza sosta è
"conseguenza e segno di una recuperata vitalità
originale"38. Quella che Nietzsche ha definito
"buona volontà di maschera": l'oltrepassamento
ironico, ci ha spiegato Vattimo, della stessa contrapposizione
sussiegosa tra vero e falso, la preparazione di un mondo nuovo
che solo l'arte potrà far maturare. Consapevole o
meno che sia, il legame fra Brecht e Nietzsche (ma si
potrebbe genericamente dire fra Nietzsche e gran parte della
letteratura di lingua tedesca del primo Novecento)
contrassegna la strategia letteraria del giovane
- scrittore di Augsburg. Se è vero
che "l'autonomia del simbolico, della maschera come
produzione di simboli non funzionalizzabili a sorreggere una
determinata configurazione della finzione canonizzata della
realtà"39 è ciò che Nietzsche
si aspetta da una nuova dimensione estetica, allora
dobbiamo convenire che l'avventura del primo Brecht rientra
con il suo oltrepassamento eroico-ironico del mondo borghese
in tale contesto. Anzi, ne è una delle sue più
ludiche espressioni. I suoi soggetti multipli, i plagi, il
ribaltamento dell'immagine dello scrittore edificante nella
Hauspostille, la dissacrazione della poesia della
natura, le sue immagini di morte e putrefazione, le sue
stesse metafore (kreisen e versinken, per esempio) sono
una strumentazione neanche troppo mascherata di topoi della
cultura borghese, che il ragazzo di Augsburg manipola con
la disinvoltura, l'ironia e l'arroganza di un post-
moderno. Come il bambino che per salvare la propria
integrità si costruisce un tesoro, uno
Schatz. E che cosa rappresenta? Ci dicono gli
psicoanalisti: "ein System vielfältiger Projektionen,
das dem Schatz entspricht. Dabei verstärkt sich
sein
- Narzißmus durch zahlreiche
Spiegelungen, die er mit einer ganzen Gruppe von
Adoleszenten, denen das System ebenfalls nützt,
teilt"40. Non sono queste le maschere
brechtiane, non è tutto ciò la raffigurazione di
quel gruppo di giovani che s'aggirava lungo le rive del
Lech, componendo lieder sfacciati, sfidando il mondo e
ritenendosi pronto a ribaltarlo? Basta leggere le testimonianze
di Münsterer o i diari di Caspar Neher, le lettere e
le dichiarazioni di Paula Banholzer o di Marianne Zoff per
trovare ampia testimonianza in merito. Ma questo, si dirà,
appartiene alla memorialistica, che trasfigura e idealizza.
Verissimo. E allora si prenda in mano ciò che Brecht
scrive e annota in quegli anni: è in quelle pagine che il
soggetto
- narcisista ha orchestrato il più
divertente requiem della cultura moderna. "Vierzig Jahre,
und mein Werk ist der Abgesang des Jahrtausends. Ich habe die
Liebe zu den Untergehenden und die Lust an ihrem
Untergang", dice nel 192041. Non c'è stato
bisogno di aspettare tanto.Il commiato è il segno
distintivo di tutta la sua prima fase. È un gesto
paradossale, ancora una volta legato al bisogno di possedere
tutto
- per poter tutto distruggere. "Ich
möchte aber, daß alles aufgegessen wird, umgesetzt,
aufgebraucht", suona un frammento di diario del
192542. Veramente Baal è rimasto sulla
scena anche quando le luci del grande spettacolo giovanile, che
è la messinscena dell'adolescenza come gioco
letterario, si spensero. Ma è vano cercare in quel
personaggio la persona di Brecht. Lui sta appollaiato da qualche
parte, con il
- sigaro in bocca, a frantumare gli ultimi
resti di una cultura borghese tanto ricca e solida da poter
mettere in mostra la propria dissoluzione come fosse un
trionfo. Grazie a un grande narcisista, che non perse mai
il gusto di "devenir à soi-même son propre
théatre"43, occhieggiando da molte maschere,
inafferrabile come il Charlie Chaplin del Circo nel
padiglione degli specchi.