Il tesoro delle lettere:
un intaglio di draghi
I sapori delle parole, i suoni del cuore*
- * Comunicazione letta al Convegno su Il tesoro delle lettere: un intaglio di draghi il 6 febbraio 1996 presso la Facoltà di Scienze Politiche di Milano.
di
Marica Larocchi
I sapori delle parole, i suoni del cuore: se le dovessi attribuire un titolo, intesterei così questa mia breve comunicazione intorno allo straordinario lavoro di Liu Xie per cui siamo qui convenuti.
Wen xin diao long - saggio di poetica e trattato di retorica - efficacemente volto in italiano ne Il tesoro delle lettere: un intaglio di draghi - è un testo talmente denso ed enigmatico che neanche dopo ripetute e protratte letture, pari a caute escursioni in un labirinto, non si sa donde cominciare ad illustrarne le suggestioni. Non si sa, insomma, se afferrare il drago per la coda accennando ai motivi che l'opera sviluppa con moduli e stilemi assolutamente alieni ai canoni occidentali (per temi quali la continuità e il mutamento, le tecniche di composizione e le principali caratteristiche di un testo letterario), oppure se sfiorarne appena le squame passando in rassegna i singoli intagli od ornamenti, ovverosia la tipologia retorica dall'autore minuziosamente analizzata. Si rimane esitanti e ammirati proprio come dinanzi al lacerto serico di veste imperiale di cui ci documenta l'inserto visivo della prima pagina di copertina.
Pari a un tessuto prodigiosamente ricamato, il tutto nel suo insieme e tutte quante le minute porzioni che lo formano sono ugualmente carichi di valore e di fascino e suscettibili d'infiniti commenti.
Grazie alla tecnica serrata della citazione intertestuale, di cui Liu Xie, da ligio classicista, si avvale, ogni capitolo e, in esso, ogni paragrafo - persino ogni frase! - si presentano quali oggetti complicati, incastonature e cesello di suprema oreficeria.
Mi è stato arduo, dunque, il determinarmi per un incipit, per un esordio adeguato ad un'opera di così complessa fattura.
Proprio alla fine, però, ed esattamente nel capitolo conclusivo, ho reperito l'indizio meno impenetrabile per la mia struttura mentale europea, il più familiare alla mia formazione occidentale sia dal versante del contenuto - un duplice sogno premonitore! - sia da quello formale - il modulo della narrazione autobiografica in prima persona che Liu Xie impiega assai di rado -.
Nel capitolo 50° - in cui sono considerati titolo, motivazioni e finalità dell'opera - si legge: "Una volta, quando avevo sette anni, sognai nuvole colorate come broccato di seta che io, alzandomi, afferravo con le mani."
A parte il rinvio, per me immediato e prosciolto da parametri cronoculturali, all'importanza dei fatidici sette anni, soglia e limite inequivocabili per il risveglio del talento letterario - (penso alla celebre poesia I Poeti di sette anni che, unitamente al Battello ubriaco, costituisce il testamento poetico del Veggente/Visionario Arthur Rimbaud) -, a parte ciò, mi ha intrigato specialmente il messaggio del sogno, vera e propria documentazione del gesto che Liu Xie, nato nel 465 d.C., monaco buddista e traduttore dal sanscrito in cinese, compì allorché srotolò quelle nuvole sognate a sette anni, e nel frattempo trasformate dal suo ingegno studioso nella meravigliosa pezza di broccato del manoscritto del Wen xin diao long, davanti agli zoccoli dei cavalli della carrozza su cui transitava il suo principe - insigne statista e letterato - attirandone così l'attenzione. Con quel gesto siglò la sua fortuna!
Fortuna giustamente meritata e strategicamente anticipata da un altro sogno, di cui il testo c'informa, fatto dopo i trent'anni, nell'età della piena consapevolezza dei propri mezzi creativi.
"Giunto a più di trent'anni - si legge nello stesso capitolo a pag. 324 - una notte sognai nuovamente. Tenevo in mano le suppellettili rituali laccate di rosso e andavo verso il sud, seguendo Confucio".
Questo secondo sogno ribadisce il messaggio del primo con immagini più stigmatizzanti, quali i simboli rituali e l'intervento diretto del maestro Confucio, figura archetipica, qui chiamata in causa per l'investitura ufficiale della missione letteraria e per segnalare all'Autore quella che per i Cinesi era la via sublime dell'invenzione poetica: l'adesione ai Classici!
Ammesso che la formula zhe zhong - la norma corretta (tradotta letteralmente: sezionare l'interno) - assimilabile alla ricerca del 'giusto mezzo'; della 'misura' nell'ideologia confuciana e consistente della necessità di stabilite ciò che è corretto ed equo in ambito di composizione letteraria e di giudizio critico, costituisce la componente precipua del metodo a cui Liu Xie si è attenuto, ora mi s'impone come estremamente significativo anche il ricorso all'espediente del doppio sogno in epilogo di testo; e non solo perché il dispositivo del sogno (o della visione premonitrice) avvicina curiosamente questo lavoro a produzioni da noi più frequentate, comprese nella vasta letteratura dell'area semitico-mediterranea - (penso a Genesi, ai sogni di Faraone interpretati da Giuseppe, ma gli esempi pullulano spaziando dalla Grecia antica fino all'Europa moderna) -, ma soprattutto perché mi sembra che mediante tale utilizzo (del sogno!) l'autore abbia voluto sottomettere canoni retorici e norme estetiche rigorosamente notomizzati al misterioso e ambiguo statuto onirico.
Perciò, serpeggiando per il diritto e il rovescio dell'intera sua opera come un filo prezioso ritorto e seminascosto, questo intento più che geniale innesca nel lettore d'oggi interessanti riverberi.
Pur limitandosi a considerare soltanto questo abile colpo di mano, anzi, di pennello!, sorvolando su tutte le pagine di sapiente trattazione, si ricava con agio la proposta di una ben precisa poetica fondata sulla priorità dell'emozione - (il libro stesso, nelle sue varie parti/partiture somiglia, infatti, a un ardito solfeggio pulsionale!) -, di una poetica anticipatrice di mille cinquecento anni all'incirca delle dottrine di Ortega y Gasset (Meditazioni del Chisciotte) e delle teorie di Ignacio Matte Blanco (L'inconscio come insiemi infiniti) in materia di creatività letteraria.
Secondo Matte Blanco, sotto la scorza razionale della logica aristotelica o asimmetrica, nei testi poetici agisce in modo sotterraneo, ma più o meno perentorio, la funzione generalizzante o simmetrica, in virtù della quale l'apparato patemico (emotivopulsionale) si manifesta nel linguaggio con ruolo egemone. Matte Blanco chiama bilogica questa complessa attività psicomentale che si rende palese, oltre che nella produzione poetico-letteraria, in quella onirica, appunto!, e nei deliri di certe patologie.
In particolare: il secondo sottoprincipio della bilogica afferma che gli elementi appartenenti tutti alla stessa classe (per esempio: alla classe dei viventi, a quella dei regni del creato, delle manifestazioni e dei fenomeni naturali) sono trattati come identici tra loro e identici all'insieme o classe, quindi sono intercambiabili.
Liu Xie con sistematico impiego di figure retoriche, quali la metafora, la metonimia, la sineddoche, l'ellissi, l'analogia e la similitudine, basate proprio sull'applicazione più semplice di tale principio, non fa che attestarne l'efficacia; verificabile non solo a livello di figura retorica - là dove più agevolmente si evidenzia la parte simbolizzante della nostra natura! - ma persino nel registro grafico ed etimologico, oltre che nello strato più fondo, relativo all'origine mitica dei caratteri cinesi... Che, per intenso effetto di bilogica, sarebbero stati generati spontaneamente dalla natura, impronte d'uccelli scomparsi, scoperte e ordinate dal sovrano illuminato Fu Xi. Sempre nel capitolo 31° si legge infatti: "Quando si descrive l'animo umano o si disegnano figure d'oggetti il pensiero cesella "impronte d'uccello" e le parole s'intessono con "reti da pesca."
Non voglio né posso addentrarmi nell'analisi dei caratteri della scrittura cinese (che, purtroppo, non conosco! So soltanto che si contano sei classi di caratteri; che ne esistono di grassi e di magri, di pieni e di vuoti...), ma i pochi esempi che fornirò - resi accessibili anche al profano dall'eccellente corredo di note della curatrice/traduttrice - basteranno a dare un'idea del grado di ambiguità dei segni, nonché del loro ventaglio d'irriducibile polisemia.
È il caso del primo e del secondo carattere del titolo: wen e xin, uguale a segno, modello, scrittura, cultura, letteratura, il primo; a cuore, mente, pensiero, il secondo: è il caso del carattere qi, trattato nel capitolo 42°, sottotitolato Come alimentare il qi, equivalente ad aria, vento, vapore, talento, ispirazione, parente stretto della nefesh ebraica. Gli giova, per ristorarsi, la tecnica della respirazione embrionale. È il caso di sheng; corrispondente a suono, voce, tono.
Inoltre, a livello di significante sonoro, acustico e visivo, è sempre quel secondo sottoprincipio della bilogica che permette il dispiegamento della molteplice gamma dei giochi fonografici - accostamenti totali o parziali dei grafi per omofonia e omografia -, effetti chiamati nella nostra lingua paronomasie, allitterazioni, assonanze, ecc. - che incantano e stordiscono il lettore del Wen di Liu Xie. Si consideri, in proposito, la complessa filigrana etimologica, sviluppata sulla somiglianza grafica e fonica, che caratterizza il capitolo 25° sottotitolato La Lettera.
Ovviamente l'azione del secondo sottoprincipio della bilogica, lungi dall'offuscare il nitore semantico del testo, ne esalta semmai per accordi e sovrapposizioni l'acutezza e la precisione.
Come succede nel capitolo 32°, dove trattando della superiorità della voce umana, modello di tutte le sonorità, di ogni melodia, l'autore distingue fra armonia (frutto di suoni diversi che si alternano e dell'accordo fra toni ascendenti e uscenti - i toni sono quattro: piano, ascendente, uscente/grave, entrante - e fra rima (frutti di suoni identici che si rispondono), asserendo poi che "la balbuzie dell'uomo di lettere nasce dall'amore per la stravaganza, da una sete smodata di novità e di stranezza a causa delle quali la voce s'inceppa. E per liberarla ci vuole grande fermezza: se c'è un ostacolo a sinistra, bisogna cercare a destra; se lo sbarramento è dietro, bisogna tentare davanti: così nella bocca il suono si modulerà risuonando come giada tintinnante, e nell'orecchio l'espressione si farà preziosa come pioggia di perle".
O come si legge, a garanzia di quanto ho appena citato, nel capitolo 34°, sottotitolato Paragrafo/strofa e Frase/verso: "Strofa e verso, zhang e ju, sono, nell'opera, pari ai fili di seta estratti dal bozzolo: dall'inizio alla fine gli elementi dell'insieme sono come le squame di un pesce. Le parole dell'esordio devono già contenere i significati che germogliano nella parte centrale del testo, quelle del commiato devono ripercorrere i concetti dei versi precedenti. All'interna circolazione e connessione delle idee corrisponde all'esterno il tessuto della scrittura; come il calice è unito allo stelo, così l'inizio e la fine sono parti di un tutto".
Insegnamenti e moniti che mi paiono di un'attualità sbalorditiva!
Grazie alla sovrabbondanza di metafore che si susseguono a ritmo incalzante (l'opera è infatti in origine "una canapa grezza che, solo se filata e tessuta, diventa tela pregiata") - risalta, dunque, nel Wen di Liu Xie l'elaborazione di un metodo innovativo, di una precettistica rivoluzionaria; in base alla quale il suono, o significante, è l'autentico depositario della pulsione suscitata dalla cosa/evento/fenomeno e il grafo - o wen - fonda il suo potere sul patema, da cui l'autore è mosso, esattamente come succede all'"ostrica che, solo se malata, genera la perla". Cito dal capitolo 31°: "Tre sono i criteri per fissare le norme della bellezza. Il primo è fondato sulla bellezza delle forme, costituita dai cinque colori, il secondo su quella dei suoni, costituita dalle cinque note, il terzo su quella delle emozioni, costituita dai cinque sentimenti: mettete insieme i cinque colori e avrete il tessuto più smagliante, armonizzate le cinque note ed ecco Shao e Xia, date sfogo ai cinque sentimenti e avrete un'opera letteraria. È la legge della Natura." È la stessa legge di rapporti non solo onomatopeici in virtù della quale "il cinguettio degli uccelli divenne linguaggio umano e i bachi sulle foglie formarono caratteri" (cito dal capitolo 4°). Tocca poi alla scrittura, in quanto stile, misura, zhe zhong, il compito di rendere espressivi il cuore e gli affetti. "Il recondito", infatti, "denso pensiero che supera i limiti dell'enunciazione", "il recondito e la sua maestria, (cito dal capitolo 40°), poggiano sulla ricchezza dei significati". "Recondite, essenzialmente, sono le idee che germogliano oltre i confini dell'enunciazione. Misteriosi echi le fanno indirettamente percepire, e la loro bellezza, come in agguato, si rivela poco a poco... Lo stesso accade delle perle e delle giade poggiate sul fondo dei fiumi..."
Perciò, per comporre bene, occorre plasmare le emozioni fino a trarne lo spirito, le idee, fino a convertirle in ossa e scaglie, il linguaggio, fino ad ottenerne muscoli e tendini, per infine produrre con la voce e il respiro l'armonia segreta del testo, quella sottile e tenace imbastitura che noi oggi chiamiamo il senso.
Da tutto ciò deriva la conseguenza paradigmatica che si legge nel capitolo 48°, sottotitolato Aggregare e combinare: "Diversa è la forza dei singoli destrieri di una quadriga, ma con sei briglie se ne armonizza l'andatura come con le corde il suono del liuto, ed essi galoppano insieme, uniti come i raggi al mozzo della ruota; così, con il metodo si governa la scrittura. La mente conserva o elimina, come la mano tira o allenta. Perché l'andatura sia giusta basta controllare le briglie".
Nessuna descrizione del difficile lavoro creativo - della sua progettualità come della sua resa - è più calzante e pertinente di questa. Perciò, in chiusura, mi piace accostarle quest'altra, brevissima, ma analoga per potenza e incisività, che nel nostro secolo Virginia Woolf attribuisce alla protagonista del suo romanzo Gita al faro: "Il quadro doveva riuscire cosa da increspare coll'alito e da non poter rimuovere con una muta di cavalli".
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