Il tesoro delle lettere:
un intaglio di draghi



LO SCRIGNO E IL SUO TESORO

di
Lionello Lanciotti

 

Il volume recentemente apparso per i tipi della Luni Editrice, curato da Alessandra Lavagnino, è la versione italiana del Wen-xin diao-long, un trattato di estetica letteraria cinese scritto da Liu Xie (465-522). È un testo di enorme difficoltà interpretativa, che ha determinato negli ultimi decenni un grande numero di studi su di esso, soprattutto da parte di specialisti cinesi e giapponesi. Di tale opera esisteva sinora un'unica versione in una lingua occidentale, quella, cioè, in inglese curata da Vincent Shih con il titolo The Literary Mind and the Carving of Dragons (New York, Columbia U.P., 1959); lo stesso traduttore, professore di Letteratura cinese presso l'Università di Washington, ne ha presentato una seconda edizione riveduta (Hong Kong, 1993).

Di tale opera esiste anche una versione giapponese, fatta da Toda Kôgyô ed intitolata Bunshin chôryû (Tokyo, 1977-1978). Per un elenco dei principali studi sull'opera di Liu Xie si rinvia alla voce Wen-xin diao-long in The Indiana Companion to Traditional Chinese Literature, curata da W.H. Nienhauser, Jr (Bloomington, Indiana U.P., 1986).

Alessandra Lavagnino si è cimentata in un lavoro di traduzione, che le è costato tre lustri di interpretazione. L'opera, oltre ad essere complessa, è ampia; i Cinesi, che amano talvolta indicare quanti caratteri compongano un libro, ci fanno sapere che l'opera in questione comprende circa 37.000 caratteri.

Quando ebbe inizio in Cina lo studio della letteratura, dei vari generi in cui essa si differenzia, quali i problemi concernenti la figura di un autore? Abbastanza tardi, come tardi sono i primi studi grammaticali ed i primi dizionari. Dare una datazione precisa è difficile, ma sicuramente dopo l'arrivo del Buddhismo in Cina, dopo, cioè, il contatto con una civiltà completamente diversa come quella indiana. Ogni volta che la Cina venne in contatto con altre grandi civiltà, sorge la necessità di inventariare e di studiare la propria cultura; è un principio biologico di autodifesa.

La civiltà cinese, come è a tutti noto, nel momento in cui apparvero i primi testi letterari, editi dalla scuola confuciana, vide ogni momento della vita individuale concepito soltanto in visione di un miglioramento dell'intera società per riproporre un antico ordine sociale da cui si era progressivamente decaduti. Liu Xie opera molti secoli dopo Confucio, vive tra il V e il VI secolo della nostra era, quando erano molto diffuse ideologie diverse ed opposte al Confucianesimo, quali il Buddhismo ed il Taoismo; altre scuole di pensiero, come il Moismo, il Legalismo ed altre minori erano del tutto scomparse. Era iniziata quella forma di sincretismo filosofico per cui, anche se un autore si professava come appartenente ad un'ideologia, in realtà si lasciava contagiare anche da altre.

L'opera di Liu Xie non fu certo un bestseller della sua epoca. Forse anche il tempo in cui essa venne scritta, il Medioevo cinese, non contribuì molto alla sua diffusione. Il vero interesse per tale opera iniziò soltanto nel XVIII secolo. Fu, infatti, il letterato-burocrate Huang Shu-lin (1672-1756), che lo ripubblicò nel 1738 con il titolo di Wen-xin diao-long ji-zhu (Commenti riuniti al Wen-xin diao-long). Un altro letterato, Ji Yun (1724-1805), grande erudito e bibliografo, aggiungeva altre note all'opera di Huang, che veniva ristampata così accresciuta soltanto nel 1833.

I primi testi letterari cinesi (lo Shi-jing o "Libro delle Odi", lo Shu-jing o "Libro dei Documenti" e lo Yi-jing o "Libro delle Mutazioni"), apparsi fra il VI ed il V sec. a.C., anche se in alcune parti possono riflettere una composizione più antica, tramandata oralmente, nel corso dei secoli passarono al vaglio della scuola confuciana; Confucio avrebbe selezionato poco più di trecento odi da oltre tremila, scegliendo quelle a cui si poteva dare un'interpretazione moralistica. Il pensiero confuciano originario si basava quasi esclusivamente sull'etica e la politica, disinteressandosi dei problemi ontologici, metafisici e logici. La letteratura per i confuciani, il testo scritto, non erano concepiti come fine a se stessi, ma dovevano esclusivamente servire come mezzo per migliorare il singolo individuo. Quando leggiamo alcune composizioni poetiche dello Shi-jing, la prima antologia poetica selezionata da Confucio, possiamo oggi riscoprire versi d'amore, che i confuciani avevano interpretato allegoricamente in senso moralistico. Il testo scritto andava studiato, imparato a memoria; occorreva in esso vedere avvenimenti e personaggi da imitare o meno; era un mezzo, mai qualcosa di fine a se stesso. La letteratura era concepita dai confuciani come magistra vitae; ai testi occorreva aggiungere i commenti, le glosse; ciò produsse un lavoro esegetico plurisecolare, molto importante da un punto di vista filologico, ma non certo appassionante come lettura. La letteratura, come ho spesso ripetuto, nasce in Cina tarpata dall'ideologia confuciana.

Per fortuna, anche se relativamente tardi, si svilupparono in Cina molti generi letterari simili ai nostri; non è un caso se il teatro ed il romanzo, che usavano la lingua colloquiale e non quella classica, furono avversati dai Confuciani sino all'inizio del nostro secolo in quanto non educativi.

L'arrivo in Cina intorno all'inizio dell'era volgare del Buddhismo ed il fiorire del Taoismo popolare ebbero i loro riflessi in campo letterario. Il primo scrittore ad affermare che "lo scrivere richiede la massima concentrazione di facoltà mentali" e che "se uno scrittore occupa una qualsiasi carica (burocratica) non può assolvere i suoi doveri... (perché) alcuni possono eccellere in una cosa e non essere sufficienti per un'altra... (in quanto) c'è chi è particolarmente versato nel comporre ed è superficiale nei lavori amministrativi" fu Wang Chong (27-97 d.C.?), uno scrittore famoso per la spregiudicata modernità di giudizio, autore del Lun-heng o "Bilancia di discussioni", dal cui capitolo ventottesimo si è estratta la citazione precedente. Wang Chong si professava confuciano, ma nessun seguace di tale scuola avrebbe osato affermare l'indipendenza dell'autore da altri impegni sociali. Si andava lentamente formando quello che, in un mio studio, definii "il sorgere dell'autonomia delle lettere"1.

Buddhisti e taoisti non ponevano il problema dello stato al centro delle loro dottrine, ma riuscirono ad influenzare la nascita di alcuni generi letterari. Tra Wang Chong e Liu Xie passano cinque secoli ed ecco in tale intervallo apparire una vera e propria trattatistica di estetica letteraria che troverà la più completa espressione soltanto nell'opera tradotta da Alessandra Lavagnino.

Uno dei primi ad occuparsi del processo creativo fu Lu Ji (261-303), che nel suo Wen Fu o "Poema in prosa sulla letteratura"2 volle indagare su come nasceva una composizione letteraria, sulla necessità di armonizzare pensieri e sensazioni intime con il mondo esteriore, su come ricercare le parole più idonee a tale scopo e così via.

Abbiamo ancor prima il poeta Cao Pi (187-226), che diverrà imperatore della dinastia Wei con il nome di Wên, autore di un'opera andata perduta, ma di cui sopravvive un solo capitolo, il Lun-wen (o "Discorso sulla letteratura"), in cui egli dava importanza al qi (soffio, afflato) ed elaborava una concezione di diversi generi letterari3.

Uno scrittore taoista come Ge Hong (ca. 250-330), nell'opera a lui attribuita Bao-pu zi (o "Il Maestro che abbraccia la natura"), in polemica con i Confuciani, aveva sostenuto che qualsiasi opera andava valutata per il suo valore artistico e non secondo criteri moralistici. Un altro autore, contemporaneo di Liu Xie, Zhong Rong (fiorito all'inizio del VI sec. d.C.) scrisse lo Shi-pin (o "Critica poetica")4, in cui classificò il genere poetico, ma in modo diverso dal nostro autore.

Liu Xie, come già ricordato, fu il più completo dei critici che lo precedettero. Ne conosceva le opere e, pertanto, le cita, anche se ne è insoddisfatto; da qui la necessità di scrivere il suo trattato che fu, effettivamente, il primo ad essere dedicato esclusivamente ai problemi della letteratura. Potrà far meraviglia a qualcuno che l'autore del Wen-xin diao-long, già monaco buddhista, tessa nel primo capitolo l'apologia di Confucio, "il solo che abbia superato i maestri del passato", "il re senza corona". Liu Xie, come vuole una sua biografia un po' agiografica, per più di dieci anni si era dedicato, da giovane, a tradurre dal sanscrito in cinese testi religiosi buddhisti, e, in vecchiaia, si sarebbe ritirato in un monastero buddhista in attesa di morire.

Ci troviamo, allora, di fronte ad un buddhista che esalta Confucio, o ad un convertito al Confucianesimo che, poi, in fin di vita ritorna alla religione primitiva? Chiunque abbia un po' di familiarità con la civiltà cinese, sa bene che i Cinesi hanno sempre avuta una naturale tendenza al sincretismo; caratteristica questa di un paese e di un popolo, che non hanno conosciuta l'anagrafe religiosa esclusivista delle religioni monoteiste.

C'è anche chi ha ipotizzato che l'impostazione sistematica del Wen-xin diao-long possa essere derivata dall'imitazione di testi religiosi buddhisti; un breve accenno a tale ipotesi è riportato da Siu-kit Wong, professore della Hong Kong University, nella voce dedicata a tale opera nell'Indiana Companion... (p.889). È un'ipotesi molto ardita, che andrebbe verificata con la collaborazione di qualche specialista di studi buddhisti, ma che non va aprioristicamente esclusa, in quanto bene sappiamo come contatti ed influenze fra le varie correnti filosofico-religiose in Cina fossero, soprattutto nel periodo fra la fine della dinastia Han e quello delle Sei Dinastie (220-581), molto frequenti ed interscambiabili. Il periodo in cui visse Liu Xie era difficile per la grave situazione politica, ma estremamente interessante per i fermenti di idee che lo caratterizzarono. Luci ed ombre, tipiche di ogni Medioevo e di ogni età di transizione, si alternano e non è soltanto una mera coincidenza se, quasi negli stessi anni in cui Liu Xie compie il suo lavoro di sistematizzatore, dimostrando tutta la sua capacità di erudito e di critico, appare in Cina il Wen Xuan (od "Antologia letteraria"), una raccolta di composizioni, sia in versi sia in prosa, suddivise in trentasette generi letterari, il cui curatore, il principe della casa imperiale Liang, Xiao Tong (501-531) escluderà da essa i testi classici ed affermerà che "La poesia è il prodotto delle emozioni: i sentimenti si muovono interiormente e prendono forma con le parole". Nel sesto capitolo della sua opera, Liu Xie aveva detto: "Poesia è controllo dei sentimenti umani".

 



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