Luciana Bressan

 
Alcune considerazioni ispirate dalla lettura dei saggi concernenti la Cina in Paroles à dire, paroles à écrire: Inde, Chine, Japon. A cura di Viviane Alleton, Paris, école de hautes études en sciences sociales, 1997.
 
 
 
Opera collettiva e interdisciplinare, Paroles à dire, paroles à écrire: Inde, Chine, Japon è una raccolta di saggi nati nel quadro dei seminari tenuti a partire dal 1982 all'Ecole des hautes études en sciences sociales (EHESS) sui sistemi di rappresentazione in India, Cina e Giappone1.
Il contrasto almeno apparente tra scritture fonologiche nel mondo indiano e scritture ideografiche in quello Estremo-orientale, fra valorizzazione dell'oralità in India e del testo scritto in Cina, hanno stimolato fecondi interrogativi:
- quali i reciproci rapporti ed apporti fra le grandi aree culturali asiatiche in contatto indiretto via l'Asia Centrale e Sudorientale per gran parte della loro storia?
- la superiorità dello scritto sull'orale (la parole) in Asia Orientale, dato per scontato (comme une évidence), non sarebbe per caso ingannevole (un leurre)?2
- come ognuna di queste grandi civiltà ha percepito i testi scritti delle altre?
 
Rapporti tra Cina e India sono attestati dai reperti archeologici almeno a partire dal III secolo a. C. ma, per quanto riguarda la lingua e la scrittura, sembra che fino al secolo scorso le influenze culturali si siano propagate solo da Ovest a Est: prestiti lessicali dal sanscrito al cinese, dal cinese al giapponese, metrica poetica e analisi fonologica della sillaba dall'India alla Cina, scrittura ideografica dalla Cina alla Corea e al Giappone...Il ruolo della diffusione del Buddismo e dell'immigrazione di stranieri agenti come "mediatori culturali" (centroasiatici formati "all'indiana" in Cina, coreani formati "alla cinese" in Giappone) appare oggi fondamentale3.
Scrive Alleton:
Les Européens, persuadés de la supériorité absolue de l'alphabet sur toute autre écriture, ont eu du mal à comprendre pourquoi les Chinois n'avaient pas adopté cette écriture "techniquement supérieure" à partir du moment où ils en avaient eu connaissance. Ils ont supposé d'une part que l'écriture chinoise était déconnectée de la parole, d'autre part que les civilisations d'Extrême-Orient étaient massivement graphiques et peu intéressées par l'oralité4.
 
Da questo punto di vista, gli autori dimostrano fra l'altro come il caso del Giappone, dove la scrittura fu importata, è ben diverso da quello della Cina, ove essa fu inventata5. Vari contributi relativi alla Cina tendono inoltre a sfatare quasto tipo di "miti", che ancora resistono in alcuni ambienti culturali occidentali, in parte alimentati anche da quei settori della cultura cinese che, in opposizione a gruppi ideologico/politici legati al taoismo o al buddismo nel passato, o in funzione di difesa delle "peculiarità nazionali" di fronte a nemici esterni in epoca moderna e contemporanea, hanno fatto della superiorità del testo scritto e della conservazione della scrittura tradizionale delle armi non secondarie.
 
Nel suo contributo "Regards actuels sur l'écriture chinoise", Alleton trae spunto da un passaggio di William Wang del 1973, poi riprodotto a iosa in testi divulgativi di tutto il mondo: "To a Chinese the character for 'horse' means horse with no mediation through the sound ma. The image is so vivid that one can almost sense an abstract figure galloping across the page"6, per esporre e discutere criticamente gli argomenti portati avanti da quanti considerano ancora i testi redatti in sinogrammi come "totalmente autonomi" dalla verbalità dei loro fruitori. Ella scrive tra l'altro:
 
Littré définit le mot "idéogramme": "nom donné aux signes qui n'expriment ni une lettre ni un son quelconque, mais une idée, abstraction faite du son par lequel cette idée est rendue dans telle ou telle langue". L'écriture chinoise ne comporte pas d'idéogrammes. Pour quiconque ignore le chinois - et toute autre langue écrite au moyen de cette graphie - le fait de connaître le sens des éléments constituants un caractère ne permet aucunement de savoir ce qu'il désigne [...]7
 
L'argomentazione di Alleton si rifà in particolare alle modellizzazioni del procedimento di lettura elaborate da molti psicolinguisti tra gli anni '70 e '808, per concludere che:
 
[...] la lecture d'un texte et la contemplation d'une forme graphique sont deux opérations essentiellement différentes.
Le fait que la prononciation d'un caractère soit liée à l'identification du mot qui lui correspond, et non pas contrainte par la graphie, explique la stabilité et l'extension de l'écriture chinoise: un caractère n'a pas besoin d'être modifié quand la prononciation d'un mot change - et les changements phonétiques, dans la mesure où ils sont réguliers, n'entament pas la cohérence du système9.
 
Negli anni '90, grazie anche ai risultati di numerose ricerche di neuropsicologia cognitiva rese possibili dai progressi delle tecniche di neuro-immagine, tendono ad affermarsi nuove modellizzazioni, più articolate, dei procedimenti di lettura, soggetti a diverse variabili sia individuali che culturali: ma ciò non inficia la sostanza del discorso di Alleton10. Il quale si sviluppa poi al livello della semiosi in coerenza con i più recenti modelli connessionisti basati sulle analogie tra reti (neuronali, informatiche, semantiche):
 
L'originalité principale de cette écriture ne réside pas dans son usage mais dans le support qu'elle offre à une infinité de constructions d'ordre poétique. C'est la raison pour laquelle les représentations communes s'écartent sensiblement des analyses linguistiques. Ces différences sont explicables si l'on admet que deux systèmes sémiologiques distincts ont pour support un même objet [...]
L'énoncé écrit n'a, dans un dialecte donné, qu'une lecture possible et l'interprétation de ses éléments est bien déterminée par la syntaxe, le contexte. En revanche, le caractère [...] mis hors texte, [...] est disponible pour tous les jeux imaginables. [...]
Le champ du possible est sans limites: on joue sur le sens, les étymologies traditionnelles, les homonymes, la décomposition graphique, sans parler des allusions à des poèmes, des textes classiques ou des dictons populaires11.
 
Il terzo capitolo del "classico" di Eco è perfettamente applicabile anche al cinese!12 Le caratteristiche della scrittura cinese tradizionale consentono tuttavia una notevole ricchezza combinatoria di "effetti speciali" fondati a volte su determinati elementi dell'orale, a volte su determinati elementi dello scritto, ma a volte, anche, su entrambi: il cervello umano ha la facoltà non solo di slittare rapidamente l'attenzione da un centro di interesse a un altro: "on pourrait dire à la limite qu'un caractère chinois a deux natures, qui ne se confondent pas mais jouent alternativement "13, ma anche di trattare in parallelo, se non consciamente, in modalità "subliminale", informazioni fornite da supporti diversi, o informazioni diverse fornite dallo stesso supporto. A patto evidentemente di possedere l' insieme delle competenze/esperienze necessarie all'operazione:
 
Chi non sa il cinese non produce lapsus interpretabili in cinese, a meno che uno psicanalista che sa il cinese non gli dimostri che aveva memorie linguistiche rimosse e che senza volerlo ha giocato su espressioni cinesi. Un lapsus che faccia senso mette in gioco figure di contenuto; se mette in gioco solo figure di espressione, si tratta di un errore meccanico (di stampa, di dattilografia, di fonazione). E al massimo metterà in gioco elementi di contenuto solamente per l'interprete; ma in questo caso è l'interprete che dovrà venire psicanalizzato14.
 
È grazie a questa facoltà che i linguaggi umani hanno potuto svilupparsi in modo straordinario nel senso della versatilità, data non solo e non tanto dal numero complessivo degli elementi costitutivi (morfemi e parole del linguaggio verbale), ma soprattutto dalla loro polisemicità. Si tratta della facoltà che permette di ridere (senza bisogno di rifletterci) quando esposti a barzellette basate su giochi di parole costruiti in ogni contesto culturale utilizzando i fenomeni dell'omofonia e della polisemia; si tratta della facoltà che è il prerequisito di ogni uso metaforico del linguaggio. È stata, finora, la sfida più importante rivolta all'intelligenza artificiale: ciò che rende difficile la traduzione automatica e ben poco efficienti in campo "letterario" i sistemi di accesso per "parole-chiave" a banche dati bibliografiche informatizzate, nati in contesti disciplinari il cui lessico specialistico prevede una definizione precisa ed univoca dei termini (le scienze "esatte", le discipline giuridiche ecc.).
 
Nel suo saggio "Ecriture et langue dans les inscriptions chinoises archaïques (XIV-XI siècle avant notre ère)" Redouane Djamouri produce ben opportunamente una tabella a doppio ingresso illustrante le possibilità combinatorie che la scrittura cinese ha permesso di sfruttare giocando sia sul livello semantico che su quello grafico15. Esempi di più informazioni veicolate in parallelo dallo stesso supporto si ritrovano facilmente nei messaggi pubblicitari anche in scritture alfabetiche: scegliendo con cura dimensioni, forma, colore, direzione, posizione rispetto ad altri elementi del contesto ecc., della grafia di una parola, si possono stimolare "associazioni di idee" che non sarebbero direttamente ricavabili dal solo contenuto semantico della parola stessa. Operazioni di questa natura, possibili servendosi di qualsiasi tipo di scrittura, riguardano però un ambito comparabile a quello dell'"organizzazione testuale" delle iscrizioni Shang su carapaci di tartaruga descritta dallo stesso Djamouri:
 
On le voit, c'est là une véritable mise en page où la position, la dimension, l'orientation, la consécution des signes et leur distance respective son autant de critères révélateurs de fonctions différentes16.
 
Fin qui la natura della scrittura cinese non appare diversa da quella delle scritture fonologiche; di fatto, il saggio citato ne argomenta le caratteristiche "logografiche" fin dai più antichi documenti attestati attraverso una analisi dettagliata, corredata da numerosi esempi tratti da iscrizioni oracolari Shang di cui è stato ricostruito il contenuto semantico, caratteristiche che si sono conservate attraverso tutte le trasformazioni o sostituzioni successive dei sinogrammi o delle loro componenti.
 
Le signe graphique chinois, dès les inscriptions Shang, est formé d'un ou plusieurs éléments réunis conventionnellement dans une représentation figurative plus ou moins évidente. On peut y déceler une relation de ressemblance avec un objet; [...] Cette relation de ressemblance est à proprement parler une relation de symbolisation et ne doit pas être confondue avec la relation de signification (arbitraire mais nécessaire, entre le signifiant et le signifié) définitoire du signe linguistique17.
 
Sans nier cependant la valeur figurative que dénote souvent la graphie, nous avons montré que lorsqu'il y a motivation, elle se situe entre le signe graphique et le référent (relation de symbolisation), et non entre le signe graphique et le signifié linguistique du mot désigné. Si le système mis en oeuvre dans les inscriptions Shang est bien logographique, il n'en demeure pas moins que ce système fait preuve, à l'instar de tous les systèmes logographiques, d'une autonomie relative par rapport à l'oral. [...]En somme, les inscriptions Shang témoignent du plus ancien usage logographique des signes graphiques chinois; à ce titre, les caractéristiques qui marqueraient leur relative autonomie par rapport à un usage oral de la langue ne sauraient les soustraire à l'étude linguistique18.
 
Dove risiede, allora, la differenza fondamentale tra una scrittura convenzionalmente detta "ideografica" come quella cinese e le scritture dette "fonologiche"? Penso che varrebbe la pena di approfondire quanto segnalato dallo stesso Djamouri come premessa alla sopracitata tabella:
Si l'on considère la forme graphique et le sens linguistique auquel les signes graphiques renvoient, il est permis d'établir une typologie des relations entre ces signes. En fonction de l'identité, de l'intersection ou de la disjonction que l'on peut relever aux deux niveaux de la graphie et du sens, on obtient neuf relations possibles. En fait, un troisième niveau serait à retenir: le niveau phonétique; on obtiendrait alors 27 relations possibles. [...] l'ensemble des 27 possibilités sont vérifiées en chinois classique19.
 
Djamouri non sviluppa ulteriormente quest'argomento; forse che un'eventuale minore "ricchezza combinatoria" nelle scritture fonologiche potrebbe provare una differenza non solo quantitativa, ma anche qualitativa? Sarebbe a questo punto importante verificare se e in quali altri contesti culturali/scritturali sono attestate tutte queste ventisette possibilità combinatorie, in che misura sono state utilizzate nella produzione letteraria di epoche e luoghi diversi. Un esempio interessante di "gioco" incrociato fonologico/grafico in scrittura alfabetica potrebbe essere fornito a mio parere dal titolo di un periodico edito dalle ferrovie francesi (SNCF) ed inviato ai titolari di abbonamenti sulla rete di trasporti, scritto [a:bon!]: in parallelo all'assonanza tra la locuzione "ah, bon!" e la prima parte delle parole abonnement, abonné, si vuole evocare nei destinatari un'associazione con l'idea di progresso tecnologico utilizzando un'ortografia tipica di certi linguaggi per utenti di programmi informatici (esempio di uso simbolico dell'alfabeto?).
L'errore fondamentale di chi "mitizza" i caratteri cinesi considerandoli puri "ideogrammi" "dont la fonction communicative n'aurait pas de lien nécessaire avec le langage verbal"20 è allora quello di considerare solo una parte della combinatoria (si tralasciano le relazioni fonetico/semantiche); la tentazione puo' essere forte, tanto più che proprio l'ambiguità del "simbolo" nell'accezione hegeliana lo pone alla base dell'esperienza estetica. Ma, procedendo su questa strada, si è giunti a conseguenze surreali; asserendo di ispirarsi a Granet e Wieger, per esempio, Renato Padoan è giunto alle seguenti affermazioni:
 
La mia traduzione potrà sembrare a taluno arbitraria e ridondante. [...]
Ordunque nessuna arbitrarietà riuscirà a superare l'arbitrarietà massimale del volgere un testo ideografico in una stesura verbo-fonetica. Un quadro non si parla! [...]
Accade poi che a mano a mano che si proceda nello studio dell'ideografia, si diventi il soggetto di fenomeni che grosso modo si potrebbero definire come concernenti l'organizzazione di campo, cioè del campo concettuale, non perfettamente controllabili, e pertanto non previsti. Di uno stesso testo ideografico si rende possibile allora una molteplicità di traduzioni diverse, sia per rispetto al numero dei traduttori che per rispetto allo stesso traduttore in tempi diversi. [...]
[...] non è nemmeno esatto dire che il testo ideografico è propriamente intraducibile. È esatto dire che è sempre traducibile, che ciascuna traduzione ha un suo valore e realizza comunque il testo. Ma la sua essenza ideografica è sempre al di là, è per sua natura archetipo.
L'ideogramma giace nel silenzio - un rapido suono contratto soltanto puo' evocarlo sinesteticamente - e propriamente si offre alla contemplazione. È un ineffabile. Quest'ideografia è un ineffabile armamentario d'invenzioni remote integrate in un universo d'oggetti e di trame che tende a conservare il suo aspetto di cifra21.
 
Eccetera eccetera. Come giustamente rilevava il succitato Eco:
 
[...]chiunque può reagire di fronte a un segno convenzionale come di fronte a un reattivo mentale, riempiendolo di significati idiosincratici. Ma questa capacità di trasformare ogni segno in simbolo assai vago è decisione pragmatica che può essere descritta nelle sue possibilità teoriche ma non normalizzata. Il fatto che qualcuno possa reagire di fronte al segno della radice quadrata (che per Peirce era un simbolo) vedendovi 'dentro' indicibili significati mistici, è un fatto eminentemente privato, spesso di competenza del neurologo22.
 
La preferenza per l'allusione rispetto al referente diretto è una delle principali costanti del contesto culturale cinese, negli usi della vita quotidiana prima ancora che in letteratura:
 
Un Occidental "dit les choses": une qualité prisée est (ou du moins était) de s'énoncer de façon claire et logique; et ce n'est qu'à partir de cet énoncé direct qu'un travail littéraire essaie de rendre le langage plus saillant ou d'éclairer le sens par des comparaisons ou des images. Le langage poétique traditionnel dit, grâce à son langage propre, des réalités différentes de la prose, peut-être plus subtiles; mais lui aussi, malgré sa spécificité, reste d'une lecture directe. Les Chinois en revanche s'expriment de façon différente. Dire les choses carrément leur paraîtrait une incongruité indécente, presque une grossièreté. Tout est suggéré et c'est au lecteur à comprendre le sens, non pas caché mais exprimé par métaphores, de façon détournée. L'habitude des textes comme de la conversation ordinaire lui fait saisir immédiatement l'allusion. Les conclusions enfoncées comme un clou sont absentes, les ajouter serait prendre l'interlocuteur pour un imbécile balourd, un barbare. Tout est sous-intendu, mais pas hermétique pour autant23.
 
Un esempio magistrale dell'utilizzazione di canzonette conviviali come manifestazioni di intenti nel corso di una trattativa ad alto livello da parte della diplomazia cinese del sesto secolo a. C. è riportato nel saggio di François Martin "La parole poétique"24. L'apprendimento dello stesso corpus di testi "classici", fra cui alcune raccolte di poesia nelle quali quelle canzonette sono confluite, è rimasto a fondamento della formazione dei funzionari per oltre duemila anni proprio perché esso costituiva il contesto culturale comune cui far riferimento per comunicare in modo allusivo ed indiretto, ma trasparente per chi condivideva la stessa formazione, in qualsiasi circostanza. Gli imbecilli e i barbari, naturalmente, possono intestardirsi ad andare a cercare a tutti i costi all'interno dei sinogrammi (la scrittura) dei significati "nascosti" solo dalla "forma" del discorso (la lingua che quella scrittura trasmette), ovvero opachi a chi non padroneggi i giochi delle omofonie, delle allusioni, e del contesto extralinguistico nel quale un certo testo ha visto la luce. Più raro ma possibile l'eccesso opposto, che consiste nel trascurare o sottovalutare un'altra porzione della combinatoria (le relazioni grafico/semantiche), negando qualsiasi "particolarità" o "differenza" alla scrittura cinese rispetto alle scritture fonologiche25.
 
Viene tuttavia da chiedersi, proprio alla luce di una prospettiva inter-culturale, se l'ambizione della linguistica di costituirsi come disciplina totalmente autonoma da considerazioni, appunto, extralinguistiche, non abbia finito con il condurre ad un punto morto proprio nei tentativi di descrizione ed analisi dei rapporti lingua parlata/lingua scritta. Il linguaggio verbale ha come prima funzione quella di servire alla comunicazione interindividuale; ma non è l'unico ed esclusivo strumento di comunicazione di cui si servano gli umani: anzi, il suo stesso uso è condizionato da altri mezzi ad esso complementari; per esempio, la frequenza di elementi omonimi od omofoni tollerabili in una data variante è probabilmente funzione delle possibilità di disambiguazione fornite da codici "extralinguistici" utilizzati in parallelo. Ciò costituisce a mio parere il principale fattore di differenziazione e sviluppo in parte autonomo di usi orali ed usi scritti in tutte le civiltà: la notazione scritta del linguaggio verbale non puo' avvalersi di molti degli elementi che concorrono alla costituzione del contenuto complessivo di un messaggio; essa allora deve ricorrere ad altri elementi di disambiguazione/completamento, propri ed esclusivi della comunicazione scritta, perchè gli aspetti principali di tale contenuto possano essere conservati e trasmessi.
In una prospettiva comparatistica, è allora fondamentale non limitarsi al rapporto scrittura/verbalità, ma chiedersi quali siano le proporzioni rispettive che varianti linguistiche, strati sociali, culture ed epoche diverse hanno riservato alle componenti linguistiche ed extralinguistiche nella trasmissione di significati. La presentazione del ruolo del rito come gestualità nel saggio di Jean Levi "Langue, rite et écriture"26 potrebbe costituire uno spunto interessante in questa direzione.
 
La difficoltà obiettiva nel ricostruire il senso originale di un testo lontano nel tempo o nello spazio, per insufficienza di elementi culturali comuni con i suoi estensori, o incompletezza del materiale conservato, permette a sua volta il gioco delle "interpretazioni autentiche". Il saggio di Anne Cheng "Paroles des sages et écritures sacrées en Chine ancienne"27 ci illustra la contrapposizione tra trasmissione scritta e orale del pensiero di Confucio in varie fasi della storia cinese, e i tentativi di rivalutare teorie e pratiche sconfitte attribuendole allo stesso Maestro. L'autrice pone particolarmente l'accento sul fatto che nella Cina antica la parola ha preceduto lo scritto nella trasmissione della dottrina dei saggi, di qualsiasi tendenza essi fossero:
 
De Zhuangzi au "néo-confucianisme" en passant par le bouddhisme Chan, la tradition de sagesse chinoise est traversée de bout en bout par l'idée que la sainteté, telle la Voie - qu'elle s'incarne dans le "saint" confucéen [...] ou "l'homme authentique" taoïste [...] - ne peut se communiquer ni se transmettre par une médiation quelconque, notamment celle de l'écrit, mais dans le contact direct et immédiat qu'établissent le regard, le geste ou la parole28.
 
Tuttavia, le difficoltà obiettive nella comprensione integrale della registrazione scritta "a posteriori" del contenuto di dottrine trasmesse in origine oralmente ha consentito in molte culture lo sviluppo dell'esegesi, e dell'arte di far dire ad un'autorità riconosciuta del passato, magari sacralizzata, ciò che preme affermere nella realtà contingente del presente. Quello che appare più caratteristico del contesto cinese, dall'antichità ai nostri giorni, è piuttosto la logica per cui gli opposti non si escludono a vicenda, ma, anzi, si includono: i gruppi ideologico-politici minoritari non hanno mai cercato la contrapposizione frontale e il martirio, in Cina, ma la sopravvivenza a lungo termine dei propri valori nell'ambito della "visione del mondo" dei gruppi dominanti, adottandone gli elementi formali come involucro di contenuti da preservare. Affrontare, sia pure solo verbalmente, chi detiene il potere in modo aperto e diretto non è solo evidentemente controproducente, è anche un atto di grossolana maleducazione; ben più abile e degno di rispetto chi, rispettando formalmente, in segno di sottomissione, i riti imposti dal gruppo dominante, non gli concede appigli per giustificare la repressione ma utilizza abilmente l'arma tradizionale dell'allusione per far valere le proprie ragioni.
 
Alcuni aspetti della evoluzione della lingua cinese ricordati da Alleton sono d'altra parte più legati a variabili di ordine politico-sociale che tecnico-linguistico; la sostituzione progressiva dei prestiti lessicali con calchi semantici, per esempio, non è esclusiva del contesto culturale cinese, e la diffusione dei primi coincide con periodi di grande influenza politica, economica e/o culturale di provenienza straniera.
Così la prevalenza, nei programmi di videoscrittura cinesi, dei sistemi di input dei sinogrammi basati sulla loro forma piuttosto che sulla loro trascrizione fonologica29 è dovuta non tanto alla rispettiva efficienza delle alternative proposte, quanto a situazioni di fatto: la scarsa familiarità della maggior parte dei cinesi con il Hanyu Pinyin e la marginalizzazione delle correnti politiche favorevoli alla "alfabetizzazione" della scrittura in un Paese dove "la maîtrise de l'écriture est [...] un attribut de la souveraineté"30.