Il tesoro delle lettere:
un intaglio di draghi

Premessa

di
Alessandra Lavagnino

Nel febbraio del 1996 l'Istituto di Lingue ha organizzato, grazie all'interessamento di Itala Vivan, una tavola rotonda dal titolo "Forme di draghi e modelli letterari" nella quale, prendendo spunto dalla pubblicazione della traduzione italiana di un antico testo cinese di critica letteraria, il Wen xin diao long di Liu Xie, venivano messe a confronto letture e interpretazioni diverse, proposte da specialisti e studiosi di vari argomenti, per la maggior parte non sinologi. Hanno infatti preso la parola, con brillanti interventi che solo lo scorrere del tempo ha potuto limitare, l'anglista Marisa Bulgheroni, la sinologa Edoarda Masi, il critico Renato Troncon, la giornalista Renata Pisu, il critico Giancarlo Roscioni, la poetessa Marica Larocchi, il sinologo Lionello Lanciotti, con il sapiente coordinamento di Itala Vivan.

Come traduttrice e curatrice dell'opera, oltre che docente di Cinese dell'Istituto di Lingue (pur se temporaneamente in servizio presso l'Ambasciata d'Italia a Pechino), ho partecipato con vivissima emozione e grande interesse all'incontro, a cui ha voluto presenziare anche il nostro Rettore, Prof. Mantegazza. Qui di seguito, dopo l'introduzione di Itala Vivan, sono pubblicati due degli interventi: quello del Prof. Lanciotti, insigne decano della sinologia italiana, Professore di Filologia Cinese all'Istituto Universitario Orientale di Napoli, che, nei primi anni '80, ha avuto la pazienza di leggere con me la mia prima versione italiana del testo, e che ancora una volta vorrei ringraziare. L'altro intervento qui di seguito raccolto è di Marica Larocchi, che con acutissima sensibilità poetica è riuscita a cogliere del testo cinese sensi reconditi e profondissime implicazioni.

Va detto infatti che si tratta di un'opera (titolo italiano Il tesoro delle lettere: un intaglio di draghi, Milano, Editrice Luni, 1995) di non facile lettura. Scritta nei primi anni del VI sec. d.C. da Liu Xie, un letterato confuciano già monaco buddhista e traduttore di letteratura religiosa dal sanscrito in cinese, questa costituisce nella tradizione letteraria cinese un testo fondamentale, base e strumento indispensabile per la riflessione critica sulla scrittura letteraria. Per la prima volta sono affrontati in maniera sistematica i principali temi della creazione artistica, ragionando di argomenti quali il pensiero poetico, il rapporto con la tradizione, il legame tra la creatività e il mondo esterno, e tra il sapere e l'estro. Nei cinquanta capitoli che la compongono vengono anche minuziosamente descritte tutte le forme letterarie della tradizione cinese e le principali tecniche e figure retoriche, con un mirabile corredo di esempi, citazioni, allusioni e richiami al ricchissimo patrimonio scritto del passato.

Ancora oggi quest'opera, il cui ruolo nella tradizione letteraria cinese viene avvicinato a quello della Poetica di Aristotele per quella occidentale, costituisce materia di studio e ricerca per gli specialisti cinesi, che hanno recentemente fondato l'Associazione di Studi sul Wen xin diao long.

Nella traduzione italiana da me curata ho ritenuto indispensabile corredare il testo di un apparato di note esplicative e di supporti biografici e bibliografici che mettessero in grado il lettore non esperto di cogliere in tutta la loro varietà e ricchezza gli innumerevoli ricami intertestuali che ne formano lo spesso tessuto connettivo. Ugualmente indispensabile mi è sembrato dedicare particolare cura alla forma letteraria della traduzione italiana (la prima in Europa): l'originale cinese è infatti scritto in "prosa parallela" (pianwen), uno stile particolarmente ambiguo e ridondante in cui le frasi procedono ritmicamente alternando segmenti di quattro o sei caratteri, che pur se assolutamente impossibile a rendersi con equivalente italiano, mi è sembrato comunque degno di attenzione particolare.

Tradurre quest'opera è stata per me un'avventura entusiasmante, nella quale mi sono gettata a capofitto alla fine degli anni '70, in cui mi sono perduta e poi ritrovata, attraverso dubbi, incertezze, paure ma anche stimoli, invenzioni e riconoscimenti, e dalla quale sono finalmente emersa quando, grazie al coraggio di un giovane editore, Matteo Luteriani, che ha voluto mantenere tutto lo scoraggiante - dal punto di vista editoriale - apparato critico da me voluto, il testo ha visto la luce nel maggio del '95.

L'unica chiusa che riesco a immaginare per questo mio esiguo contributo non può che ritornare a Liu Xie: "la parola non esaurisce l'idea, compito difficile anche per il saggio. Se la conoscenza non eccede la capacità di un vaso e non ha più vigore di un flauto, come indicare dei principi? Molto ho appreso dai grandi del passato, alle generazioni che verranno offro come strumento questo mio niente" (dal Cap. L).

 

Pechino, ottobre 1996



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