Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Paolo Carniello
 
Da "QUETZAL, IL SERPENTE PIUMATO" ©
(Romanzo, pag. 212- 216)
 
(...)
Il rombo del motore ed il fischio ossessionante del vento che si infilava nelle fessure venne dimenticato quando El Tigre si abbassò per sorvolare i resti di un monumento precolombiano. Era come se una divinità silvestre si fosse divertita a disporre massi giganteschi in una stretta area circoscritta in mezzo alla foresta e poi, stanco del gioco, li avesse abbandonati là, in disordine. Le muffe e le erbe infestanti li ricoprivano come un tappeto: la divinità pareva essersene definitivamente dimenticata.
Il pilota richiamò la cloche e risalirono in quota.
"Un'altra di queste bravate e ti attacco lo stomaco al finestrino", gridò Martinez tenendosi il ventre e la bocca con le mani.
Paul, guardando sotto di sé il tappeto verde, notò le svettanti sumaumeiras che con le loro chiome interrompevano la linea d'orizzonte della foresta. Tutto in quella regione era iperbolico: non sarebbe stato improbabile imbattersi in qualche rarità floreale o nei resti di un animale preistorico. Dopo tutto anche sulle coste del Madagascar una latimeria, un pesce preistorico, era stata scoperta viva e vegeta. Nelle acque di alcuni fiumi sotterranei in Messico, ad oltre 200 metri di profondità, degli esploratori avevano individuato strani anfibi ciechi e depigmentati, veri fossili viventi. Queste erano le notizie che lo incuriosivano ed affascinavano e il tempo libero amava trascorrerlo con un libro di racconti fantastici: la cronaca degli avvistamenti dei serpenti marini al largo della Florida o nel Mediterraneo, dei calamari giganti nel mar del Giappone... quale migliore compagnia nelle uggiose serate d'inverno.
Mentre il piccolo aereo volteggiava ondeggiando sulla 'verde prateria', Paul si cullava nelle sue fantasticherie, sognando un incontro ravvicinato con una farfalla di qualche specie sconosciuta o con un giaguaro dagli occhi fosforescenti.
Nonostante gli acciacchi, così evidenti a terra, il biplano in aria non dava alcun cenno di cedimento. Merito anche di El Tigre che lo pilotava gagliardamente. Una virata imprevista li portò con le ali perpendicolari all'orizzonte.
Un turbine di nubi color piombo nascose di colpo alla vista la verde distesa. Senza lampi né tuoni che presagissero l'incombente piovasco, una raffica di pioggia colpì il parabrezza con goccioloni grossi come chicchi d'uva. L'aereo traballò violentemente scivolando in basso. Alla brusca caduta di quota il pilota reagì puntando il muso del velivolo contro il muro d'acqua, cercando un varco tra le nubi.
"L'uccello pescatore si è spostato dal buco!...", ridacchiò tormentandosi i baffi con la mano storpiata.
"Cosa... ?" domandò perplessa Marion.
"Gli indios raccontano che i loro antenati non conoscevano la pioggia. Secondo una leggenda al posto del Cielo c'era un grande lago che però aveva nel fondo un buco. Sopra ci stava accovacciato un uccello pescatore. Un giorno un guerriero in vena di generosità gettò all'uccello un pesce e quello si spostò dal foro per catturarlo. Uno scroscio d'acqua cadde sulla terra. Da quel momento, secondo la leggenda, l'uccello pescatore cammina avanti e indietro sperando che qualcuno gli getti un pesce: quando si sposta troppo dal foro, sulla terra cadono valanghe d'acqua, quando invece si agita equilibrandosi su una zampa sola, allora pioviggina... come adesso. Vedrete che uscirà presto il sole."
Quasi fosse stato richiamato dal racconto, un raggio di sole si infiltrò tra i vapori plumbei. Dalle cime degli alberi più alti, circondati da un'aureola di umidità, si innalzarono e si incrociarono una moltitudine di arcobaleni dagli sgargianti spettri di luce. Ben misera cosa sembrava al loro confronto l'arcobaleno dipinto sulla carlinga dell'aereo, dai pattini al montante dell'ala, sebbene El Tigre ci avesse messo tutto l'amore di cui era capace per tracciarne i contorni.
Giganteschi monoliti con incassati contrafforti basaltici dalla sommità piatta si ergevano solitari e maestosi in mezzo alla foresta. Sembravano appoggiati sopra ad morbido cuscino di velluto verde. Il piccolo aereo li sorvolò sfiorando le ripide pareti, alte più di cinquecento metri. I vortici d'aria a ridosso delle rocce sospinsero violentemente l'aereo in alta quota tra le pesanti nuvole, in una coltre densa di vapori. Il mondo circostante sparì dalla vista; volavano alla cieca in compagnia del solo rombo assordante del motore. L'ago della bussola di bordo girava impazzito.
"Problemi?" chiese Paul mascherando la sua apprensione.
"No, tutto okay." Il pilota si infilò deciso nella nebbia.
"Da queste parti forse sono abituati a morire con spavalderia", pensò Marion aspettandosi di venire sbattuta contro le alte pareti rocciose. Furono momenti interminabili e angosciosi per i passeggeri che si sentivano impotenti e paralizzati, così inchiodati al seggiolino.
Martinez, abbandonato l'apparecchio fotografico si teneva stretto con le mani lo stomaco in subbuglio.
"Manca molto all'atterraggio?" chiese con un filo di voce.
"Un'ora, forse meno... chissà dov'è andato a ficcarsi quel lunatico", rispose il pilota alludendo al trapper.
Martinez replicò rassegnato: "È meglio che chiuda gli occhi e mi metta a dormire. Svegliatemi solo se stiamo precipitando, non vorrei perdermi la scena per nulla al mondo."
"Martinez non essere drammatico", lo sgridò Paul. Poi, rivolto al pilota, chiese: "Vedo che non tutti gli strumenti a bordo funzionano a dovere. Sai in che zona ci troviamo?"
"Non siamo lontani dal confine con il Venezuela e dal Parco Indigeno Yahomani. Il primo fiume che incontreremo dovrebbe essere il Marà. Se non troviamo qui il nostro uomo ci sposteremo più a ovest, fino al Rio Gauaburi."
Paul pensò che forse era meglio non ossessionarlo con troppe domande per non disturbare la sua concentrazione.
"Ci siamo persi", ansimò Martinez, nauseato e pallido, constatando che l'aereo si abbassava e riprendeva quota con una frequenza un po' sospetta.
Quasi a confermare i suoi dubbi, il pilota ad un certo punto sbottò: "Questo continuo mutare del paesaggio sommerso mi mette sempre in confusione. Come i mutandoni della nonna, anche le stagioni qui cambiano senza preavviso... quest'anno poi le piogge sono cominciate con un certo anticipo e alcune zone sono già inondate."
Si rivolse ai passeggeri, inclinando la testa in direzione di Martinez: "Prima o poi lo troveremo. Anche lui, come noi, è costretto a seguire il corso del fiume verso valle. A monte i fiumi sono sempre rapidi, tumultuosi e pieni di insidie, mentre più a valle acquistano ampiezza e sono più tranquilli."
Sorvolarono il corso serpeggiante di vari affluenti con scarso successo: non vi erano segni della presenza del cacciatore e se avessero continuato a tentoni avrebbero dovuto atterrare da qualche parte per travasare carburante. L'idrovolante virò a gomito tra un corridoio delimitato da un corso d'acqua color caffè latte e due alte pareti di vegetazione impenetrabile.
"Non mi sbagliavo! Eccolo laggiù!" esultò El Tigre. "È sempre così. Ogni volta è come giocare a nascondino. Pur essendo il solo amico rimastogli, l'unico ponte per raggiungere la civiltà moderna, lui dice che sono il suo incubo... spero lo dica per scherzo."
Indugiarono qualche istante prima di planare sulla spiaggetta fluviale. L'incantevole baia protetta dall'ansa del fiume, alcuni alberi curvi dal vento quasi a toccare l'acqua, la sabbia bianco-perla lucente, il tutto riportava alla mente alcune famose spiagge dei Caraibi. Ora l'accampamento era ben visibile; era stato piazzato all'aperto in una piccola ansa del lungo rio che si snodava, come una fettuccia, in mezzo agli alberi e si diramava negli angusti rigagnoli, o curichi, che collegano i fiumi tra loro. Non si vedeva però segno di vita: nessuno era uscito allo scoperto e il fuoco era spento.
(...)
 
 
 
(pag.290-292)
 
(...)
Calò la sera e si riattivò il fuoco per la lunga notte tropicale. I tamburi ripresero a suonare, lontani e persistenti. Tutta la notte tennero compagnia al leggero sonno di Paul: non lasciavano presagire nulla di buono.
All'alba si sentivano ancora, ma sembravano provenire da una direzione diversa.
L'acqua del fiume non ruggiva più tra le rocce e la corrente del fiume era meno forte, segno che sui monti aveva smesso di piovere.
"Se sono fortunato riuscirò a trovare qualcosa da mettere sotto ai denti per colazione", pensò Paul incamminandosi sotto un intreccio di liane.
Un dardo scintillante, dai riflessi verde acciaio gli sfrecciò davanti velocissimo: era un martin pescatore che, disturbato dalla presenza umana, cambiava posatoio di pesca. Nitide sulla sabbia Paul riconobbe le impronte di un grosso tapiro: due dita ungulate anteriori e tre posteriori. A breve distanza scorse le scie lasciate da due tartarughe in procinto di deporre le uova. Ne seguì le tracce fino al punto in cui si infossarono in un ampio cratere.
Con amarezza constatò che il nido era stato già depredato, probabilmente da un varano avido di uova e di piccoli rettili.
Paul stava chino sulla fossa deluso: "Non te ne è sfuggito uno, brutto ingordo. Prima o poi finirai infilzato nel mio spiedo. Con tutte le uova che ti sei fatto fuori sei un ottimo boccone."
Un insolito sibilo prolungato, seguito da pesanti tonfi nell'acqua e da un lamento umano richiamarono la sua attenzione.
"Un anaconda", fu il pensiero di Paul.
Senza perdere tempo tornò al campo. Scavalcò Martinez che ancora dormiva, svegliandolo senza tanti preamboli.
"Vienimi dietro e, se non mi vedi, segui le mie impronte!" e corse via veloce.
Martinez d'un balzo si mise in piedi, infilò gli stivali correndo e seguì l'amico zampettando su un piede solo. Non capiva cosa ci fosse di tanto urgente da fare in quel posto dimenticato da Dio.
Non si udivano più i lamenti, ma Paul aveva localizzato la zona di provenienza. C'era già passato il giorno precedente; doveva trovarsi nello stagno che aveva aggirato durante la battuta di caccia.
Si trattava di un giovane guerriero indio che, scorgendo alcuni grossi pesci intrappolati nelle acque basse e melmose della pozza, si era inoltrato nell'acquitrino senza fare troppa attenzione al paesaggio. Il giovane con movimenti lentissimi aveva puntato la fiocina sulla spina dorsale di un pesce semisommerso; era talmente concentrato sulla preda che aveva ignorato quanto stava accadendo attorno a lui, compreso il fatto di essersi intromesso nel territorio di caccia di un anaconda.
Il rettile, pesante e goffo, vive gran parte della sua vita immerso nell'acqua dove cattura le sue prede attaccandole di sorpresa e stordendole con colpi veloci, inflitti con la dura piastra cornea alla base della testa. Tramortita la vittima, la avvolge tra le sue possenti spire. La morte arriva veloce per soffocamento e stritolamento.
L'indio aveva cercato di fuggire all'agguato dell'anaconda ed era riuscito a parare i primi colpi, ma l'habitat era più congeniale al serpente e in brevi attimi le spire avevano avvolto tutto il suo corpo, mentre le mascelle lo trattenevano per l'avambraccio. Il ragazzo era forte, pur tuttavia non avrebbe resistito ancora per molto, considerata la potenza e il peso dell'avversario lungo più di nove metri.
Paul arrivò allo stagno nel momento in cui l'orrendo boide, dalla pelle olivastra chiazzata di giallo sul ventre, si attorcigliava intorno alla sua preda. Senza esitazione si buttò nella mischia. Ogni attimo era prezioso, il ragazzo ormai era asfittico e non aveva più alcuna forza per contrastare la potenza dell'animale. Fissava con occhi sbarrati la propria fine.
Paul afferrò l'anaconda per la testa e la torse più volte con tutta la forza che aveva. La mandibola si staccò dalla presa, ma subito il serpente puntò deciso contro l'improvviso nemico. Sembrò allungarsi come un elastico nel tentativo di afferrare Paul, il quale, privo di armi non trovò di meglio che infilare i pollici nelle orbite oculari del serpente e schiacciare con tutta la sua forza. L'anaconda si divincolò allentando la presa. L'indio emise un lungo rantolo.
"Prendilo per la coda e tira più forte che puoi", gridò Paul a Martinez che sopraggiungeva allo stagno.
Nonostante la presenza di un grosso caimano, Martinez con insospettato coraggio ed eccezionale sangue freddo afferrò la coda del serpente e attese che il caimano aprisse le mascelle. Nel momento in cui le fauci si rinchiudevano con uno scatto, interpose la parte caudale dell'anaconda.
La coda si staccò di netto e il serpente cadde mezzo morto nell'acqua stagnante. Il ragazzo sgusciò tra le spire prive di vita e cadde esanime. Paul e Martinez lo soccorsero e lo trasportarono a riva. Nel pantano rimase il moncone sanguinante dell'anaconda: il caimano lo addentò e il corpo ancora guizzante sparì nelle sue fauci.
(...)
 
 
Tornare alla Home page.  
 
 PER COMUNICARE CON L'AUTORE speditegli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Non chiedeteci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2000 Il club degli autori , Paolo Carniello
Per comunicare con il Club degli autori: info<clubaut@club.it>
Prima di scriverci si consiglia di leggere le FAQ
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit

Rivista Il Club degli autori

Home page Club dei poeti
Antologia dei Poeti
Concorsi letterari
Arts club (Pittori)
TUTTI I SITI CLUB
Consigli editoriali per chi vuole pubblicare un libro
Se ti iscrivi al Club avrai un sito tutto tuo!

Ins. 18 febbraio 2000