-
- A ridosso di
mammuth
-
- All'ombra di
meli e lungo rive
- tranquille di
ruscelli
- l'incanto
allucinato del primo incontro.
- Parlò per
prima l'iride bramosa.
- E il sole nuovo
saetta diamanti
- iridescenti sui
nudi corpi edenici.
- E fu l'enigma
risolto.
- Ma quando il
frutto cadde nel retino
- come lieve
farfalla presa al volo
- scomparve
l'ombra del meleto
- e la musica dei
limpidi ruscelli.
- Profeti vennero
clamanti nel deserto
- ma crocifissi
d'infinita attesa
- nel "bailamme"
babelico
- ignoti gli uni
agli altri
- urtandosi
spingendosi scontrandosi
- fra la ressa
caotica
- allo stremo
ridotti
- senza volti
né arti
- senza
cuore
- tronconi
ischeletriti dai millenni
- pregnanti di
Storia
- e storie
interminabili
- brulicanti di
passi senza meta
- tutti anelanti a
un attimo di luce
- a un attimo di
verde...
- A ridosso di
logori mammuth
- si accavallano
ere intergalattiche.
- Il mito di
pianeti abitati
- ci disarma e
rincuora
- ci rincuora e
disarma.
- Alziamo vele a
venti inesistenti
- abitati da
spiriti beffardi.
- Una parabola
appena disegnata.
- Così, a
ridosso di mammuth si vive
- Così, a
ridosso di mammuth si muore.
-
- Faro
spento
-
- Illuso dei
millenni
- non avverti la
beffa
- della quarta
dimensione?
- Non sta
più dentro il Tempo
- l'avventura
dell'Ego.
- Rossa e
tranquilla piove sugli alberi
- polvere di
luce.
- Il vento lacera
nuvole
- che graffiano la
corsa della luna
- e scorta tiepidi
afrori.
- Crescono
vapori
- che annientano
travagli di respiri.
- Impazzisce il
metronomo
- il ritmo
s'ingarbuglia.
- Questo impatto
di esistere e morire
- non
basta.
- Ogni creatura
ulula che sa
- ma le chiavi non
ha
- di un verde
paradiso.
- Dovremmo
ritirarci dall'agone
- ricominciare a
respirare dove
- si accendono
(infinite) stelle pure
- solitarie
distese di ginestre
- occhi stellanti
di lagune azzurre.
- Sognammo invano
cespi di mimose
- estati esplose
in barbagli di luce.
- Ora ci resta
solo un faro spento
- e un terrazzino
che gli gira intorno.
- Deserto.
- Vi cigola una
porta arrugginita.
- Ristagna
nell'aria settembrina
- un ricordo di
estate
- che si gioca
(innocente) i suoi colori.
- Si ammanta di
polvere il ricordo:
- il pozzo, il
mandorlo fiorito,
- il sibilo del
treno,
- la guerra, gli
anni verdi,
- l'acne, i
complessi,
- il deserto di
vivere.
- Sul
boccascena
- attimi si
accendono spettrali.
-
- Assoluto
-
- Le magiche
estati (già in ritardo)
- passano in
fretta. Imbronciate.
- Svaniscono tra
mimiche e sberleffi.
- E invece a forza
si vorrebbe
- in esse
annullarsi
- a forza con esse
scomparire.
- Eterne per te
sognai estati
- dai colori
bruciati
- dalle resse alle
spiagge sempre vive
- che né
sonno di notte
- né stanca
di giorno
- cogliessero
inattive
- che smalto non
perdessero o scalpore.
- Sognai per te
cullanti serenate
- meriggiate
assolate e mattinate
- senza anelli di
ritmi o stagioni
- feste (di giorni
e notti) interminabili
- rifugi tra
verdissime mangrovie
- in isole
felici.
- Trascorre su
binari all'infinito
- il viaggio
trasognato
- fra distese di
verde immacolato
- appisolato ai
bordi del deserto
- dove il ricordo
sfuma in dissolvenza
- e in cuore
piange un suono di violino.
- Ansioso
- l'occhio scruta
lontananze.
- Conosco quei
meriggi smemorati
- ebbri di sole e
garriti di luce
- di silenzi
maestosi, dipanati
- da sospiri di
fronde
- da palpiti di
onde.
- So di sogni
maliosi
- di colpo
lacerati
- da risvegli
dimentichi.
- Nessuna voce
intorno.
- E tu
sperduto
- nell'Infinito
panico
- nel
muto
- indecifrabile
Assoluto.
-
- L'avventura del
genio
-
- Sprizzano
cristalline dalla roccia
- acque dalle
cadenze voluttuose
- qual miraggio da
fiaba.
- Forse è
più vero il fascino
- della genesi
edenica.
- I millenni non
servono
- la Storia ha
dissacrato l'uomo.
- La voce del
silenzio
- riscopre il
senso panico
- del segreto di
sempre
- e riaccende la
fiamma inestinguibile
- che non scolora
al volgere del tempo.
- Perché
è fatta di sangue
- e non si spegne
per furia di uragano.
- Più viva
del rosso antonelliano
- attinto nel
rubino
- sfida i millenni
tacita e immortale.
- Strappati i fili
di macerie
- s'innalza senza
peso
- l'avventura del
genio
- cabrando tra
galassie rutilanti.
- Sugli alati
destrieri dell'Empireo
- alza trofei
d'accoppiate imbattibili
- accesa di
purissimi diamanti.
- Di quanta luce
ride
- sulla corsa di
rettili
- spiccatasi dal
grumo!
- Intatto
- il
volo
- guizza tra
guglie candide
- tessendo e
ritessendo cattedrali.
-
- Creatura di
pietra
-
- Chiedi un
sospiro alla brezza del mare
- e il mare si fa
deserto di vetro.
- Chiedi aiuto
alla città fragorosa
- e la
città diventa selva d'acciaio.
- Chiedi amore al
cuore dell'uomo
- e l'uomo getta
il suo cuore alla belve.
- Allora anche tu
diventi di pietra.
- E non vedrai,
creatura di pietra,
- luce nel piccolo
tunnel
- scavato con
sangue e sudore.
- Non udrai
l'armonia delle stelle.
- Non gusterai
acqua di roccia e frutti di alberi.
- Sei nera e
dura
- e incatenata al
tuo destino di soma.
- Mille occhi
spalancheranno
- iridi
aguzze
- pungenti come
spine
- ma non
brillerà il sangue dalle
punture.
- Come schiavo
incatenato alla mola
- come fiume
incatenato al suo letto
- come
giogaia
- perennemente
fitta alle sue stanche radici
- così ti
sembrerà interminabile
- la tua oscura
fatica.
- Siederanno i re
della terra
- su scranne
d'oro
- a inventare
riforme sociali
- che mai vedranno
la fine
- ma nessuno
accenderà una stella
- sull'oscurità
della tua vita.
-
- Officina di
sogni
-
- Riprendiamo il
dialogo interrotto
- le parole
azzerate.
- Sono passati i
quattro cavalieri.
- Stendiamo veli
per dimenticare.
- Officina
inguaribile di sogni
- ora lo scrigno
delle nostre menti
- s'indora di un
nimbo di pazienza.
- Sul filo
ininterrotto dei ricordi
- fitta
s'intreccia rete di bisbigli
- che solo
noi
- - vestali di
riti iniziatici -
- decifriamo con
sillabe canore.
- Come
l'Annunziata antonelliana
- dal gesto delle
palme
- soavemente
obstante
- anch'io
- soltanto per un
micron-attimo
- rimasi
titubante.
- Ma subito
s'accese
- il semaforo
verde dell'amore
- e vinse la
pietà, vinse il sapore
- di quella
delirante sofferenza
- che salva gli
altri e stritola se stessi.
- Ho seminato
ettari di messi
- alberi d'oro e
gemme preziose
- vigneti di uve
liquorose.
- Pruni ho
raccolto e dune di rifiuti
- ma i tuoi sonni
ho cullato
- tra suoni di
angelici liuti
- gettando me fra
i rovi del dirupo.
-
- Ottica di
mito
-
- Senza valigia
prendo il primo treno.
- Terza classe.
Vagone senza luce.
- Sedile in legno
grezzo un po' scheggiato
- ma non si
avverte se dal finestrino
- balugina
attraverso una pineta
- il primo raggio
trepido sul mare.
- Nelle rozze
grisaglie un po' sciupate
- il tempo sfoglia
pagine ingiallite.
- Forse cadranno
prima della fine
- gli astri che
ancora giocano al volano.
- Forse il fragore
incrinerà la terra
- fino al cuore di
fuoco ancora immune.
- Vapori
ininterrotti
- esalano da
pallidi confini.
- Diventerà
incolore l'atomo-pianeta.
- Per strade
annegate in raggi d'occidente
- ora è il
nostro cammino. Non matura la
- notte se dai
turiboli non fuma
- incenso in onore
alle Silfidi
- ora in viscidi
lemuri mutate
- (signori delle
tenebre)
- per decrepita
ottica di mito.
- Che t'aspetti da
Giove e da Saturno?
- Da pianeti e
galassie sconosciute?
- Languisce a fior
di terra
- qualche graffio
di sillaba
- che non trova
ossigeno d'ascesa.
-
- Mattini
d'amore
-
- Chi mai
potrà rubarci quei mattini
- giovani di
marine sfavillanti
- di giardini
drogati
- di brezze
levitanti?
- Maggio fin
dentro vicoli vischiosi
- agitava turiboli
di luce
- prodigando albe
insonni ai raffinati.
- Noi lasciando
annegare i neghittosi
- tra vortici di
ozio
- insieme al vento
doppiavamo voli
- tra spirali
d'azzurro e ondate d'aria.
- Era una festa
non toccare terre
- pesanti di
"routines"
- vagando tra le
soffici cortine
- del nostro cirro
candido di sogni.
-
- Mondi
siderali
-
- Un uomo cammina
solo
- per vergini
strade
- di mondi
siderali
- accesi di brame
azzurre.
- Tende reti
d'argento a soli nuovi
- incandescenti di
galassie antiche.
- Ruota tra
musiche elettroniche
- stanche di
armonie pitagoree
- ma vibranti di
fremiti
- e sospiri di
Infinito.
- Senza bisaccia e
senza direzione
- senza fardello
di ricordi
- il suo viaggio
sornione.
- Né
l'inganna la libellula
- dal volo
scontato
- dal miraggio
breve.
- Il tempo
sonnecchia
- cullandosi da
solo.
- Nella marea che
sale
- si confondono
limiti e parole.
- Non servono
ippogrifi né scale
- nel volo
verticale.
- Lo scintillio
delle pagliuzze d'oro
- promette tesori
inestimabili
- ma numi
invidiosi
- affatturano la
nobile fatica.
- E nella rete
guizza boccheggiando
- il sole di
sempre
- sporco di
pozzanghera.
-
- Un attimo di
verde
-
- Sgorgano i
canti
- garruli e
copiosi
- come d'alpestre
rupe fonte viva.
- E subito si
accende
- un attimo di
verde nel deserto.
-
- Solstizio
-
- Vorrei che tutta
la vita fosse giugno
- un solstizio
perenne, una giornata
- piena di luce e
brezza, una folata
- di sogni e di
bellezza, un delirante
- palpitare
d'azzurro e di infinito.
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