Nick
Slade
-
- Nell'ambiente tutti lo conoscevano come Sloppy
Joe, e per capire il perché bastava guardarlo.
Ma credo si chiamasse Joe Smith, o qualche cosa del
genere. In ogni caso, fu soltanto dopo parecchio tempo
che riuscii a trovarlo. Se ne stava lì, sporco
ed immobile, seduto con gli occhi sbarrati su quella
schifosa panchina del parco. La testa gettata
all'indietro, le gambe tese ed il cappello storto. Gli
scostai la giacca, c'era un piccolo foro sulla camicia
sudicia proprio all'altezza del cuore. Qualcuno era
arrivato all'appuntamento prima di me ed aveva fatto
un buon lavoro, appena un anello di sangue ed una
bruciatura sulla stoffa. È quasi buffo che un
uomo possa morire per così poco. Anzi, due
uomini, perché sistemando Sloppy avevano
fregato anche me. Senza la sua testimonianza non c'era
santo che potesse salvarmi, così decisi che non
era neppure il caso di andarmene. Mi sedetti di fianco
a quel dannato ubriacone e presi una sigaretta
dall'impermeabile fradicio. Pioveva ancora. Come
può piovere solo nelle prime ore del mattino
quando, qualunque cosa tu faccia, non riesci a tenere
asciutto un centimetro di pelle. Era la solita pioggia
di questa maledetta città, e sapeva di smog e
di traffico. Tutto il parco puzzava di marcio &endash;
o forse era Sloppy? &endash; e le torri di vetro
stampate sul cielo di piombo sembrava le avessero
messe lì per dirti: «Ehi, amico, questa
è New York, la città delle
occasioni».
- Già, delle occasioni perdute.
-
- Quel che digerivo meno in quella dannata storia
era di non riuscire a ricordare come diavolo fosse
iniziata. L'ultima cosa che ricordavo era il Bar di
Johnny, all'angolo fra la trentaduesima e la
sedicesima. C'eravamo io, Jim e Clay, come tutte le
sere da almeno dieci anni. Jim è un tenente di
polizia
o meglio, lo era. Anch'io ero
poliziotto, una volta. Prima che un certo procuratore
decidesse che i miei metodi non gli piacevano. Ma
questa è un'altra storia e ve la
racconterò un'altra volta. Clay, invece,
è musicista e da alcuni anni suona il sax
proprio da Johnny, tutte le sere. Jim diceva sempre
che non avrebbe dovuto frequentare gente come noi, ma
scherzava, e noi lo sapevamo. Eravamo amici da sempre,
noi tre. Quella sera Clay aveva smesso presto di
suonare, lo sostituiva un jazzista ebreo. Un tipo
magro e buffo, con pochi capelli e gli occhiali spessi
che suonava il clarinetto e non se la cavava
male.
- Poi devo avere bevuto. Come al solito, del
resto. Beh, forse anche più del solito,
l'ultima cosa che ricordo è che Clay e Jim
avevano dovuto faticare parecchio per caricarmi in
macchina. Dovrei smettere di bere, lo so, non reggo
più il whiskey come una volta. Che poi il
mattino dopo mi sveglio fra le braccia di Dolly senza
ricordare un accidente di quel che ho fatto, e magari
con un occhio pesto. Dolly
fortuna che
c'è lei nella mia vita. Lei, che mi guarda con
un mezzo sorriso e poi va in cucina a preparare il
caffè. È solo quando la vedo tornare con
la tazza fumante che capisco che vale la pena di
affrontare un'altra schifosa giornata. Di donne ne ho
conosciute, ai miei tempi, credetemi, ma come lei non
ce ne sono molte in giro. Sono dieci anni che ogni
mattina guardandomi allo specchio mi chiedo come abbia
potuto innamorarsi di un tipo come me. Voglio dire,
una come lei avrebbe potuto avere chiunque. Tutti
quelli che la conoscevano ne erano innamorati. Io,
Jim, Clay
tutti i ragazzi del pub di Johnny le
morivano dietro, compresi un paio di fottuti italiani
coi baffetti che si facevano passare per pezzi grossi
di cosa nostra.
- Purtroppo quella mattina le cose andarono
diversamente ed a svegliarmi non furono le dolci
manine di Dolly, ma quelle decisamente meno gentili
del sergente O'Brian. Non gli pareva vero a quel
dannato irlandese di avermi incastrato. Non gli ero
mai piaciuto, fin dai tempi in cui ero uno sbirro
anch'io. Poi c'era stata una brutta storia di
spionaggio industriale e c'era scappato il morto. Ok,
lo ammetto, non ero proprio pulito, quella volta, ma
O'Brian non era riuscito a provare nulla e se l'era
legata al dito.
- «Questa volta ti ho fregato, Nick!».
Sghignazzava.
- Dolly stava appoggiata alla spalla della porta,
in camicia da notte, e guardava sia me che il
sergente. Aveva una strana espressione, come l'ombra
di un sorriso. Ma non sono mai stato capace di capire
che cosa le passi per la testa e poi non ricordo bene.
Avevo la bocca impastata e mi sembrava che mi
scoppiasse la testa. Era molto più facile
capire che cosa stessero pensando i due poliziotti
nell'altra stanza mentre la guardavano. E non avevano
torto. Per Dolly sembra che il tempo non passi,
è più bella oggi a trent'anni di quando
l'ho conosciuta e faceva la ballerina nel Night di
Corleone. Se aveste visto le curve che la seta le
disegnava addosso e i capelli neri come la notte che
le cadevano sulle spalle, capireste perché non
mi fregava niente delle parole di O'Brian.
- «Questa volta ti ho fregato».
Gongolava. «Hai fatto l'errore più stupido
della tua stupida vita. Sapevo che prima o poi ti
avremmo beccato, investigatore privato Nick Slade, ma
così è anche troppo
facile».
- «Già». Lo guardai negli occhi,
se non avessi avuto tanto mal di testa, quel che
diceva avrebbe potuto interessarmi. Cominciai a
vestirmi, lentamente.
- «Quello che non capisco è il
movente. Oh, sei una dannata carogna, a te piace
ammazzare la gente. Eri entrato nella polizia per
questo
Però Jim era forse l'unico amico
che avevi
Beh, si arrangerà il
giudice. A me basta la soddisfazione di essere qui.
Quando, stanotte, mi han detto quel che era successo,
ho rinunciato alle ferie ed alle trote del lago
Michigan. Avevo prenotato da sei mesi, ma che io sia
dannato, era dal trentacinque che non mi divertivo
tanto
».
- Stupido irlandese chiacchierone. I due
poliziotti erano ancora nell'altra stanza, distratti
da Dolly. Lentamente mi avvicinai alla porta, fingendo
di cercare la giacca. Poi si trattò solo di
chiudere il catenaccio, sferrare un calcio alle palle
di O'Brian, afferrare la fondina appesa all'armadio e
saltare dalla finestra. Giusto per spiegargli come mai
dopo trent'anni era ancora sergente. È un salto
di un paio di metri, e dieci anni fa me la sarei
cavata meglio, comunque ero nel vicolo prima che il
sergente riuscisse ad arrivare alla finestra. Entrai
nel retro del Ristorante Cinese, conoscevo la strada e
non era la prima volta che passavo di là. Il
proprietario, vedete, mi doveva più di un
favore.
-
- Mi accomodai meglio sulla panchina ed accesi
un'altra sigaretta. Ci mettevano molto ad arrivare,
gli sbirri. Mi venne anche la tentazione di scappare,
lo confesso. Ma non avrei saputo dove andare, e
cinquant'anni sono troppi per mettersi a fare i
vagabondi con la legge alle calcagna.
- E poi mi faceva male la schiena per essere
stato per tre giorni nella cantina troppo bassa di una
rosticceria di Chinatown a mangiare porcherie ed a
leggere quel che scrivevano i giornali a proposito di
tutto quel pasticcio.
- Jim era stato trovato in un vicolo di Brooklyn
con due proiettili nello stomaco. L'ora del decesso
era stata fissata tra le due e le quattro. Nessun
testimone, come sempre quando muore un poliziotto. I
due proiettili provenivano da un 22 come la mia e dal
tamburo della mia pistola, avevo già
controllato, ovviamente mancavano due colpi. Il
barista aveva dichiarato che noi tre ce n'eravamo
andati verso le due, sulla macchina di Jim. Clay aveva
raccontato di essere stato il primo a scendere
dall'auto e di essere rientrato presto a casa sua,
pare ci fosse una testimone della quale i giornali non
facevano il nome. Una delle sue amichette, pensai.
Neppure di Dolly si parlava, ma la vecchia che ci
abita di fianco aveva raccontato a poliziotti,
giornalisti e curiosi che ero tornato a casa dopo le
quattro, completamente ubriaco. Dannata pettegola, a
lei avrebbero dovuto sparare. Mi piacerebbe sapere che
gusto ci trovi a segnarsi sul calendario tutte le
volte che mi sbronzo. Come se non bastasse, vicino al
morto era stato trovato il mio portafogli, la sua auto
era parcheggiata sotto casa mia e qualcuno dei ragazzi
del pub si era premurato di raccontare &endash;
imbecille &endash; che quella sera io e Jim avevamo
litigato di brutto. Sai che novità, sono
vent'anni che litighiamo ogni sera.
-
- Jim, vecchio stupido. Farsi fregare in quel
modo. Ma ero sicuro che avrei trovato il bastardo che
lo aveva fatto secco.
- Il vero guaio era che non ero neppure troppo
sicuro di non essere stato io.
-
- Poi è arrivato quel messaggio, il
messaggio di Sloppy Joe. Un vecchio alcolizzato che
una volta, quando ancora riusciva a raccattare qualche
dollaro frequentava il bar di Johnny. Non so chi gli
avesse detto che stavo da Wong.
- Diceva di aver visto l'assassino, l'altra sera
al ponte, e di avere paura, perché anche
l'assassino aveva visto lui. Voleva diecimila dollari
per fuggire dalla città ed in cambio mi avrebbe
raccontato tutto. A cose fatte era anche disposto a
venire in tribunale.
- Per trovare il denaro dovevo rischiare. Tornare
da Dolly era impossibile, la casa era sorvegliata, ma
potevo raggiungere Clay.
- Era notte fonda quando mi azzardai a strisciare
fino alla scala di servizio. Clay abita in un loft
adesso, uno di quegli strani appartamenti ricavati nei
vecchi magazzini in disuso del centro. Roba da ricchi
o da artisti, ed il ragazzo appartiene un po' a tutte
e due le categorie. Ha inciso un disco e comincia a
fare soldi, del resto se lo merita, non suona male.
Una volta ero io quello del gruppo che aveva sempre le
tasche piene di verdoni. Ma le cose cambiano. Dal
pianerottolo potevo scorgere la sagoma scura
dell'agente di guardia, sulla strada principale.
Sperai che non mi vedesse e salii l'ultima rampa
strisciando contro il muro. Entrare fu facile, gli ho
sempre detto che è pericoloso lasciare la
chiave sotto lo stuoino. Allo scatto secco della
serratura fece eco il rumore leggero di una paio di
piedi nudi che si allontanavano, piedi di donna. Clay
uscì seminudo dalla stanza da letto,
imprecando, in mano aveva una pistola. «È
così che si accolgono gli amici?» chiesi.
Mi guardò con l'espressione di chi ha appena
visto un fantasma. Probabilmente non avevo un
bell'aspetto.
- «Scusa se ti disturbo, non sapevo che
avessi compagnia».
- «Che dici, Nick?
ero solo, non
riuscivo a dormire. Fa caldo. Ti ha visto qualcuno
entrare?».
- Mi alzai per scostare le tendine della
finestra.
- «No, non credo, il tuo angelo custode
è ancora fermo davanti
all'idrante».
- «Ti stanno cercando, lo sai. Se resti
qui
».
- «Ho bisogno di aiuto».
- Lo guardai bene. Avevo di fronte a me un uomo
terrorizzato, ma non riuscivo a capire perché.
Clay non è mai stato un vigliacco, anzi
è il tipo d'uomo che si ficca nei pasticci
soltanto per il gusto di vedere come riuscirà
poi a cavarsela. Non era neppure la prima volta che
gli chiedevo di tirarmi fuori dai guai. Si
passò per l'ennesima volta la mano fra i
capelli sudati e si accese un'altra sigaretta. Gli
cadde l'accendino dalla mano e, quando mi chinai per
raccoglierlo, lo vidi chiaramente, da sotto il tavolo
che gettava un'occhiata ansiosa verso la porta del
bagno.
- Lo fissai dritto negli occhi. In tutta la scena
c'era un dettaglio fuori posto, ma non riuscivo a
capire di cosa si trattasse.
- «Mi servono diecimila dollari, Clay.
Subito».
- Per un momento gli passò sul viso
un'espressione di sollievo.
- «Hai intenzione di lasciare la
città?». Sussurrò aggrottando la
fronte.
- Scossi il capo.
- «Sta bene, ho solo bisogno di un po' di
tempo
».
- «Non sono stato io, Clay».
- Mi guardò stringendo gli occhi. «Lo
so, Nick. Lo so».
- Andarmene fu ancora più semplice, il
poliziotto giù in strada se ne stava
semi-addormentato sotto l'insegna di una rosticceria
ed io gli passai alle spalle sorridendo.
- Due giorni dopo avevo i verdoni tra le mani ed
un appuntamento con Sloppy Joe.
-
- Guardai Sloppy &endash; forse avrei dovuto
chiudergli gli occhi &endash; e mi venne voglia di
ridere. Io e Sloppy stecchito, su quella panchina
dovevamo formare davvero una bella coppia!
- Finalmente arrivò la polizia, e davanti
a tutti il grasso O'Brian che mi restituì con
gli interessi quanto gli avevo dato. Devo essere
svenuto senza pronunciare una parola, non si arriva a
cinquant'anni senza avere imparato a perdere.
-
- Il resto è tutto sui giornali. Sono
ormai tre mesi che me ne sto in carcere. I compagni di
cella, quando hanno saputo che sono un ex-poliziotto,
hanno creduto bene di rompermi qualche dente. I
poliziotti, visto che credono che io abbia fatto fuori
un loro collega, hanno fatto il resto. Ma a parte
questo non si sta così male. Mi rodeva solo la
voglia di capire chi mi avesse incastrato, poi la
settimana scorsa sono venuti a trovarmi Clay e Dolly.
Stanno insieme ora, non che me ne importi, sia chiaro.
Magari avrei preferito se avessero aspettato ancora un
poco, ecco tutto. Lei era anche più bella del
solito, volevo avvicinarmi alla grata ma una guardia
mi ha colpito alla schiena.
- «Ehi, Nick, come va?». Dio, il suo
sorriso
continuavo a guardare le labbra muoversi
mentre le sue parole mi rimbalzavano nel
cervello.
- «
insomma, è stato Clay a far
fuori Jim e quel barbone
È da un
pezzo che siamo amanti
Il difficile era
sbarazzarci di te, a volte sei una bella scocciatura,
sai? Jim aveva capito e te ne avrebbe parlato, non
potevamo permetterglielo
così ci è
venuta l'idea
Non sei troppo arrabbiato, vero
Nick?».
- Io l'ho guardata e, naturalmente, le ho detto
che no, non m'importava. Non era vero, e lei lo sapeva
benissimo, ma era l'unica vendetta che potessi
prendermi. Poi Dolly se n'è andata ancheggiando
e tutte le guardie si sono voltate. Ehi, Clay, non ti
sei chiesto chi sarà il prossimo?
- Fregato come un pivello, ma che volete che vi
dica? Così va la vita, e non si fa questo
mestiere per tanti anni senza averlo capito. Comunque
sia, il caso è chiuso, visto che sono
già venuti a dirmi che domattina all'alba mi
legheranno a quella dannata sedia.
- Poco male. In fondo, come detective non sono
mai stato un gran che.
-
- «Tanto vivere,
- perché?
- Il sentiero è noioso
- e non c'è amore
sufficiente».
- Garcia Lorca
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