- Alla
stazione
-
- E quando ritorni, ti accorgi che senza di te tutto
fila uguale col suo ritmo di sempre, che nessuno ha
bisogno di te. Come se tu non fossi mai esistito. E
non serviresti a niente come non sei valso a niente
finora. E c'è anche chi non ti ricorda, chi
neanche ti saluta, chi non ti chiede come stai e che
fai, come se fossi partito estraneo e fossi tornato
per sbaglio solo per aver dimenticato qualche valigia
vuota.
- Vorresti arrabbiarti, imprecare, ma non sapresti
con chi prendertela, cerchi con disperazione volti
noti tra la gente, ma ti accorgi che la folla è
anonima qui come a Milano, come a Parigi, come
ovunque.
-
- ...La tua stanza è uguale a come l'avevi
lasciata; gli stessi libri allineati nella scansia,
con le stesse poesie che leggevi una volta, la stessa
tua caricatura appesa alla parete di fronte alla
porta; solo che nel tuo letto adesso ci dorme tuo
fratello che studia medicina e a cui non importa
minimamente delle tue poesie.
- Il tuo registratore è nell'armadio, con le
vecchie canzoni incise sul nastro, che ora ti
sembreranno avere un suono molto più lontano;
nel cassetto, tra le tue fotografie, qualche amico di
cui hai perso traccia e qualche ragazza che ora
nemmeno si ricorderà di te e sarà
sposata a qualcuno. Le lettere che ricevesti dalla tua
ragazza strette in un elastico, tra ritagli di
giornali ormai ingialliti, dei tuoi quaderni di cui a
malapena riesci a capire qualche riga, e ti
sembreranno parole astruse e prive di significato.
Nella terrazza non ricorderai quanti fiori c'erano
quando te ne sei andato...
-
- ...E tra i tuoi amici qualcuno s'è sposato
e avrà figli cui badare e non vale la pena
neanche di fargli una telefonata perché
sicuramente avrà da fare e ti dirà che
è molto occupato, o, nella migliore delle
ipotesi, dopo essersi stereotipaticamente congratulato
con te per il tuo ritorno, ti chiederà di farti
vivo "uno di questi giorni"...
-
- ...Eppure, quando eri partito per la prima volta
da Roma, pensavi che tutto sarebbe rimasto come lo
avevi lasciato, e che una città valeva
un'altra, né che si sarebbe spezzato
irrimediabilmente il filo che ti legava ad una vita
impercettibile che ti eri creata con la
complicità sottilissima della tua memoria,
prigione e quasi monopolio delle tue sensazioni, dei
fili sparsi della tua umanità, della tua
attenta e sbalordita ingenuità nello scoprire,
volta a volta, poco a poco il mondo...
-
- Sotto la pensilina, i fischi delle locomotive si
perdono nella notte fredda e nebbiosa, che sa di
campagna.
-
- ...Il martellio continuo delle rotaie ti
ripercuoterà a ritroso il cammino del cuore nel
ricordare tutto il tuo passato, ora che stai tornando
indietro nel tempo, con la velocità di un
elettrotreno. E il già lento ed ora veloce
snodarsi della memoria tra gli scompartimenti
semivuoti del treno, non terrà conto della
velocità del convoglio; né del fatto che
tra circa otto ore sarai a Milano per la seconda volta
ancora. E il treno, sai bene, completa solo un suo
servizio e forse anche tu, dopo, non gliene sarai
grato perché non ti renderà niente di
quello che hai già perduto...
-
- ...La stazione è la stessa, quando con gli
amici venivi a cercare le straniere che si dipanavano
dai treni in arrivo e credevi in sempre più
promettenti avventure da mille e una notte. È
gremita come quando partisti con la tua valigia di
fibra marrone, carica di libri, di calzini e di
mutande nuove, con nella testa le ostinate
raccomandazioni di tua madre (lavora, cerca di far
bastare i soldi, scrivi, rispondi, telefona, torna a
trovarci)...
-
- ...I pensieri scorrono ora fulminei, ora lenti, a
seconda delle circostanze che li richiamano. E tuo
padre non si vede, aveva detto che sarebbe venuto a
salutarti... e mancano al massimo dieci minuti, per
fortuna hai già fatto il biglietto...
-
- ...E tuo padre ancora non si vede, e mancano solo
cinque minuti...
-
- ...E non hai adesso l'insonnia che ti tormentava
quando t'accorgevi che il tempo passava e non riuscivi
a combinare niente di positivo. E pensavi che ti erano
saltati i nervi, e la notte, al buio, ti rigiravi tra
le lenzuola sudato come un malato, e fissavi con occhi
di cieco il nero delle pareti; morivi dal caldo. Ed
accendevi la luce per fumare un'ennesima
sigaretta...
-
- Finalmente, tra tanta gente ignota, un volto
antico ed amico: tuo padre.
- E quel suo sorriso buono, stanco:
- "Hai fatto il biglietto?".
- Un cenno del capo.
- "Ti sei fermato solo tre giorni, tre giorni in
cinque anni da che sei partito. E almeno hai fatto
quello che dovevi fare all'Anagrafe? Quei tuoi
certificati?".
- "Sì".
- "E sei andato a trovare i tuoi vecchi
amici?".
- "Sì".
- "Quali, in particolare?".
- "Tutti" (...Non è vero, non sei andato da
nessuno, sai che sarebbe stato lo stesso, che non
avrebbe avuto senso cercare volti nel passato, ma
è come se li avessi visti: dentro di te la
logica della tua fantasia ha percorso la strada che
forse, con meno pigrizia, avresti dovuto percorrere
colla persona. Ed insomma è come se lo avessi
fatto veramente, quasi che un inconscio senso
telepatico avesse per te guidato le tue
azioni...)
- "E hai visto Sergio?".
- "No, lui non c'era".
- "Peccato. Eravate tanto amici tu e Sergio...".
(...E di chi non si era amici..., ma non dici
niente).
- "Cerca di venire un po' più spesso, ci fa
piacere, soprattutto per tua madre".
- (...Sai che forse non verrai più a Roma, lo
senti quasi dentro di te, come per un oscuro
presentimento, ma a che varrebbe farglielo capire?
Pensi che sia più opportuno far credere di
andartene colla speranza di tornare presto. Ci stai
quasi per ripensare, forse è meglio dire la
verità. Dire che non hai più motivo
ormai di tornare nella tua vecchia città, che
dopo appena cinque anni ti sembra di vedere per la
prima volta, e dalla quale anche senti di non essere
affatto riconosciuto. Stai quasi per parlare...).
-
- Ma il fischio del capostazione entra nei tuoi
pensieri e li cancella tutt'ad un tratto. Sai solo che
il treno sta per muoversi e, che tra nove ore, al
massimo, sarai in un'altra città.
|