Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordientiRacconto di Daniela Raimondi
Alcuni racconti tratti da: Nove Donne e una Zebra Metropolitana
Sexy Doll - È un amore assoluto il nostro, viscerale, immenso. Lui mi ha adorata dal primo istante in cui mi ha vista. È stato un corteggiamento di sguardi, di teneri messaggi e promesse così ardite da farmi arrossire.
- Il mio uomo mi ama di un amore che va al di là del vile appagamento dei sensi. Infatti quasi mai si abbassa a soddisfare i desideri della carne; però la colpa è mia. Negli ultimi anni avevo trascurato troppo il mio aspetto.
- Lui invece ha fama di gran amatore. È un uomo bellissimo e corteggiato. Me lo invidiano tutte. Quando lo conobbi non potevo credere che un maschio così sexy avesse scelto proprio me: una persona piacevole, ma niente di eccezionale, insomma. Mi avevano sempre detto che ero una bella donna, ma adesso so che era una menzogna. Aveva ragione lui; lui che mi amava tanto; lui che ripeteva in continuazione che dovevo rendermi, come dire, più 'appetibile'.
- "Sei carina, ma devi stuzzicarmi però, devi farti più sexy." - mi diceva.
- E così ogni mese iniziai a spendere mezzo stipendio in lingerie nera, pizzi e merletti, mutandine e reggiseni, calze di seta e giarrettiere francesi.
- "Ecco, quasi ci siamo amore!" Mi diceva compiaciuto il mio adorato. Ma il nostro idillio rimaneva ad un livello, come dire... platonico. Non per colpa sua, intendiamoci. Perché lui, bello com'è, non aveva che l'imbarazzo della scelta. È che non poteva certo accontentarsi di un essere imperfetto.
- "Sono i tuoi capelli, - mi disse un bel mattino - lo sai che ho un debole per le bionde. Così non mi ecciti abbastanza."
- Detto fatto: parrucchiere, tinta, et voila, mi trasformai di colpo una biondona da capogiro. Quella notte, tutta platinata, indossando un completo intimo da far sbavare un santo, attesi trepidante la passione che tanto era costata al mio borsellino. Quando mi vide lui mi guardò pieno di lussuria. Mi abbracciò con entusiasmo. Mi rovesciò sul letto. Giunse finalmente il fatidico momento. Strappò con gesto melodrammatico le mutandine e...
- "Eh no, Cristo! No. Tu lì sotto sei ancora mora, e lo sai che a me le donne con il pelo scuro mi fanno ribrezzo. Cazzo, non è che mi aiuti molto, eh?"
- Quella volta mi ferì. Indubbiamente mi ferì. Però ammisi che sì, in fondo aveva ragione. È che il mio uomo ha fatto dell'estetica un vero culto di vita. Lui ha un corpo perfetto, frutto di ore di palestra, di una dieta equilibrata, quattordici ore di sonno giornaliero, mancanza totale di vizi e strapazzi, maschere disintossicanti, footing mattutini e vigorose nuotate in piscina. Quando passa per strada se lo mangiano tutte con gli occhi. Come pretendere che si accontentasse di un essere fisicamente inferiore?
- Così mi tinsi di biondo platinato anche le parti più intime; mi iscrissi a tre palestre; iniziai ad alzarmi all'alba per esercizi di addominali-fianchi-glutei. E il mio amore apprezzava. Dio come apprezzava! Mi guardava riconoscente applaudendo tutti i miei sforzi, e intanto mi toglieva da sotto al naso i piatti di spaghetti e i babà di cui ero golosa. Raggiunsi una dieta di 320 calorie al giorno che, aggiunta alle cinque ore di esercizi giornalieri, mi trasformò in una pin-up degna di apparire su Playboy. Gli uomini iniziarono a girarsi per strada, ma le donne sposate smisero di invitarmi nelle loro case e quelle non sposate divennero acide e invidiose. Mi ritrovai sola: tremendamente bella ma terribilmente sola. Però avevo lui, solo questo importava. Lui innamorato, lui che finalmente mi guardava con occhi colmi di desiderio.
- Poi un bel giorno arrivò il momento in cui la mia vita prese una svolta irreversibile:
- "Tesoro, ti amo - mi disse serio. In questi mesi hai fatto passi da gigante. Però ammettiamolo: il tuo seno è piccolo, e lo sai che mi eccitano solo quelli di almeno due taglie in più..."
- Fu il primo intervento chirurgico a cui mi sottoposi. Ne seguì un altro per rimpicciolire la bocca; poi uno per raddrizzare il naso; poi un altro per correggere le orecchie e un altro ancora per perfezionare l'arco sopracciliare. Mi sottoposi quindi ad operazioni per riempire il mento, per diminuire le guance, per togliere un fastidioso neo, rialzare i glutei, tendere la pelle del ventre, rinforzare le mascelle, e così via. Arrivò il turno del dentista. Mi feci limare i canini, sostituire i molari, lucidare e sbiancare tutti gli altri denti. Mi fissarono in bocca un apparecchio che in qualche mese mi avrebbe regalato un sorriso da pubblicità televisiva, ma che per settimane mi impedì di parlare e mi permise di alimentarmi unicamente con succhi di frutta, latte e acqua minerale. Ma non mi importava nulla, perché lui adesso mi desiderava, ogni giorno di più. Glielo scorgevo negli occhi quando mi guardava. Dio come mi guardava!
- E finalmente, dopo innominabili sacrifici e indescrivibili agonie, ho raggiunto l'agognato traguardo. Ora sono un essere perfetto: una donna di una sensualità esasperante, una pantera erotica.
- Ogni sera lo attendo con impazienza mentre mi preparo con amorevole cura. Mi immergo languidamente in un bagno emolliente; mi cospargo il corpo con olio profumato; mi asciugo i capelli platinati; quindi applico un trucco sapiente usando la giusta gradazione di rossetto, un tocco di cipria rosata e cinque gocce di profumo francese. Con lenta voluttà indosso un corsetto di pizzo nero; faccio scivolare le calze di seta lungo le mie gambe marmoree, ne aggancio il bordo ricamato alla giarrettiera. Per ultimo mi infilo le scarpe di vernice nera, con tacchi a spillo, naturalmente, e cammino ondeggiando con incedere provocante su e giù per la stanza, su e giù per la stanza. Di tanto in tanto mi osservo soddisfatta allo specchio, passo le unghie laccate di rosso nei miei capelli biondi, mi allungo sulle punte dei piedi come una gatta in amore. Attendo, trepidante, fino a che lui arriva. Eccolo, finalmente. Apre la porta, mi abbraccia:
- "Amore mio, sei la donna più desiderabile che io abbia mai conosciuto!" esclama con voce di velluto. Poi mi prende fra le braccia, mi bacia, mi adagia nella grande scatola di cartone che ha fatto costruire solo per me. E lì rimango, silenziosa, muovendo appena le ciglia, mentre lui mi sistema i riccioli biondi nel cellophane che mi circonda, e intanto mi scruta, in tutta la mia radiante bellezza. Sorride. Tremando di libidine mi lega i polsi e le caviglie con piccoli fiocchi di raso; accende il carillon sul comodino, si adagia comodamente in poltrona e mi guarda con un desiderio che è ormai senza limiti.
- E mi guarda, e mi guarda, e mi guarda...
Il Funerale - Tutto qui morire? Pensa te la paura che abbiamo, che ci morde il cosiddetto tutta la vita, e poi... Tutto qui?
- Ci si ferma. Non si respira più. Di colpo non si riesce ad abbassare le palpebre, e quel tum-tum tum-tum tum-tum dentro al petto all'improvviso fa solo 'tum', e poi basta.
- 'Tum'.
- E poi si ferma. E tu con lui. E la vita con te.
- Finito.
- Kaput.
- Game over.
- Un attimo di silenzio, e poi tutti che dicono "Oh no, oh no mio Dio" e ti stringono le mani e singhiozzano e ti guardano.... Dio come ti guardano...
- E tu? Tu niente, tu come prima. Intorno a te il pandemonio: macchinari che si fermano, flebo con la bollicina d'aria che né sale né scende nel tubo, una riga piatta sul monitor, dottori che accorrono, figli che ti toccano, che ti chiamano, che ti chiamano... e tu niente. Tu continui, come sempre, solo che loro non lo sanno. Loro non lo vedono.
- E adesso? Adesso che faccio? Dov'è la mia anima? E la luce, e il tunnel? E l'angelo? L'avrò pure anch'io un angelo, no?...
- Oddio! Non sarà che è andato storto qualcosa, che si sono dimenticati di me? Non sarò mica morta nella maniera sbagliata? Va beh che sono distratta, ma...
- E intanto io qui, e tutti intorno che mi spogliano, mi tirano, mi sfilano la camicia da notte, mi spingono, mi lavano, mi incipriano, mi piangono addosso, mi rivestono, mettono ancora un po' di fard e di rossetto ché sono proprio pallida; su quello non c'è santo che tenga.
- E intanto io qui. Tranquilla, arrendevole e silenziosa come una bambola di pezza, mentre loro ... Dio come soffre chi rimane dietro! Ah, se solo potessi dirvelo che non vale la pena piangere. Non è cambiato niente, proprio niente.
- È proprio questo che non capisco.
- Ottantadue anni. Non è poi una brutta età per tirare le cuoia. Pensare che ci sono stati momenti in cui ero convinta che se arrivavo a cinquanta sarei stata fortunata. Che vecchia carriola sono stata. Però a ottant'anni ci sono arrivata, e anche oltre, alla faccia di chi mi voleva male.
- Eppure qualcuno che mi voleva bene c'era. Guarda guarda chi sta arrivando! E lei? Ma con che coraggio! Ma con che faccia viene in casa mia? Un'acqua cheta: sorrisini e voce da bimba, fragile fragile, che bisogna proteggerla poverina. E invece quelle sono le peggiori. Usano tutti e poi di nascosto sputano bile perché non hanno nessuna dignità e in fondo si fanno pure un po' schifo. E quello là, quello là in fondo... ma chi sarà mai? Mi sembra un viso conosciuto... Dove l'avrò visto?... Mai stata fisionomista io. Meno male che sono morta altrimenti sai che figura facevo.
- Poco a poco arrivano tutti. Persino quella smorfiosa di mia nuora sembra turbata. E lui, dov'è mio marito? Non l'avrei mai detto che me ne sarei andata prima io. Più di cinquant'anni insieme e poi, e poi.... Pover'uomo. Sarebbe stato meglio fosse morto prima lui. Si sa, noi donne il dolore lo reggiamo meglio. E invece, povero diavolo... cinquantasei anni insieme. Oddio, mica cinquantasei anni di felicità, diciamocelo chiaro e tondo. Perché 'sta storia che quando uno muore tutto diventa bello, e romantico, e perfetto e "così non ne nasceranno più", e "ci siamo voluti troppo bene", e le altre mille idiozie che raccontano per mettere a posto le coscienze e l'etichetta a me non mi hanno mai convinto. Parliamoci chiaro: cinquantasei anni insieme: un paio di ottima annata, una decina di sopportabili, una dozzina di inferno e il resto mancia.
- Il resto mancia, ma che dico? Due figli, cinque nipoti, e sopportarsi a vicenda dopo essersi odiati fino a quasi ammazzarsi. Perdonarsi, abituarsi all'altro, ai silenzi dell'altro, alla solitudine che ci portiamo cucita addosso, al fatto che lui urina sempre senza mirare il buco e viene a parlarti delle bollette del telefono mentre siedi tranquilla sul water.
- Sarà questo il matrimonio? Quando tutte le barriere della privacy cadono e due possono tranquillamente conversare nel gabinetto con tanto di carta igienica in mano? O forse è vedere i figli crescere, e sentire che a poco a poco tutti i rancori muoiono, e con loro i sogni del grande amore; quello che non ti fa dormire ma ti fa vivere, insomma.
- E mentre tu continui a sognare e ti rovini la vita, lui sempre lì, vicino a te, silenzioso, che ti ama senza chiederti niente in cambio. Vicino a te, sempre, anche se non dormi più nello stesso letto da anni e da anni non ti tocca perché tu non lo lasci. E io? Io lì, come una scema, a vedere il mio corpo invecchiare e i bambini diventarmi grandi sotto gli occhi. Sentirmi sempre più sola senza riuscire a perdonargli tutto il male che mi ha fatto, per tanto tempo. Per troppo tempo. Che una mica si disinnamora così, per caso. Chissà, non sarà nemmeno stata colpa sua poveretto, ma c'è un momento quando si soffre troppo. E allora scatta qualcosa. Tack, scatta, e non c'è più niente da fare. Non c'è modo di tornare indietro. Troppo dolore. Finisce l'amore e basta.
- Tack.
- Interruttore.
- Buio.
- "Mamma, e dove lo trovi un altro che ti dice che assomigli a Maria Grazia Cucinotta?" Aveva ragione mia figlia. Lo diceva ridendo che era ancora una bambina, ma si sa, lei ha avuto sempre più testa di me; molto più buon senso di quella mezza matta di sua madre.
- Doveva andarsene prima lui. Mica scherzavo prima. Guardatelo: sembra lui il morto, e io una che si fa la pennichella pomeridiana.
- Mio figlio accanto a me, nella penombra. Stiamo ancora un attimo da soli, tesoro. Quanto sei bello... Sei sempre stato così bello, e tutte le volte che ti guardavo mi chiedevo come avessi potuto fare un figlio così...
- Non abbiamo mai avuto molto in comune tu ed io. Questo lo abbiamo sempre saputo; ma l'amore c'era. Quello lo sentivamo dentro, forte forte. Papà per il divertimento, e i compiti di matematica, e i giochi col meccano, e il pallone, e più tardi a far mattino con le discussioni di politica, una bottiglia di vino e quel senso di cameratismo che solo voi uomini avete. Ma noi due? Noi due. Una madre assente, una madre che scriveva, una madre malata. Una cattiva madre, diciamocelo chiaramente. E certamente tu me lo hai rinfacciato; eccome se me lo hai rinfacciato! Ma tante coccole quando eri piccolo, e dormire abbracciati nel letto, e le canzoni che ti cantavo. Ricordi quando ti sedevo sulle mie ginocchia in macchina, nel parcheggio vuoto del supermercato. Tu cambiavi le marce e giravi il volante, io schiacciavo i pedali. O quando facevo qualcosa di scemo, apposta, per imbarazzarti in pubblico? Io ridevo e tu niente, tu serio. Come t'incazzavi! È che tu sei sempre stato così serio, tesoro. E con una madre come me com'è venuto fuori un essere così retto, così responsabile, senza nessun senso dell'umorismo? Mah, scherzi dei geni, dicevamo io e tuo padre.
- Questa bara mi sta stretta. Molto meglio gli indiani che stendevano i loro morti al sole per farli mangiare dagli uccelli. O i marinai, che coprono le salme con un lenzuolo e poi giù, inghiottiti dal blu, a volare nell'immenso cielo liquido che ti abbraccia, che ti porta lontano, lontano... e poi dormire per sempre fra i pesci e i delfini... Questa cassa mi sta scomoda invece.
- Siamo in chiesa. I tacchi che battono sulle pietre. La musica.
- Ormai è tutto buio qui dentro, ma la musica la sento, e sento le voci del prete, e di lei. Della bara non me ne importava niente, ma la musica sì, l'ho voluta, e Mozart lo devi cantare tu bambolotta, con quella voce che mi faceva rabbrividire ogni volta che la sentivo. Ah, cosa avrei dato per avere la tua voce! Su, avanti. Smetti di piangere e canta, canta come solo tu sei capace. Ecco: i violini..., avanti amore mio, Laudate Dominum......Più in su, ancora più in su.....
- Così....
- Ed è solo la tua voce: tu, e il silenzio, e tutto il bene che t'ho voluto. Tu, che più che mia figlia eri il mio clone, anche con gli occhi verdi ed i capelli chiari. Tu che avevi il mio viso, e la mia stessa anima. Tu che fra tutti sarai quella che soffrirà di più.
- E adesso la terra, ritornare alla terra.
- Piove. Perché deve sempre piovere ai funerali? Sento l'acqua che scroscia sul legno, e questo buio profondo che ora mi si stringe addosso.
- La pioggia che batte, e le parole del prete e poi scendere, scendere ancora. Piano, attenti, fate piano con le corde, ché non sono mai stata magra io!
- Di nuovo alla terra.
- Terra che cade e cade dividendomi sempre di più da voi, dalla luce, dal mondo, da questa primavera che è appena iniziata.
- Pochi minuti e se ne vanno tutti.
- Che faranno loro, stasera? Ricorderanno di me solo le cose belle, le cose buffe? E quelle sbagliate, quelle brutte? Mi perdoneranno? Che farà lui adesso, così malandato, senza più nessuno a preparargli il caffè alla mattina? Chi gli infilerà le calze o lo obbligherà a farsi una doccia ogni tanto?
- Bisbigli, lamenti lontani. Umidità e buio.
- Che strano labirinto è la morte...
- Altri corpi. Echi, sussurri in un mondo di tenebre e disfacimento.
- Mondo di carne inutile, e di angoscia.
- Chi sei? Chi sei tu al mio lato? Perché ti lamenti?
- Perché questa solitudine che mi cade addosso? Perché questa voglia improvvisa di essere con loro, di accendere la luce e di vederli, e di toccarli?
- Dimmi, ma allora è questo l'inferno? Questo non vedere più il cielo, e non sfiorare più la seta, e diventare terra, e non poter più stringere forte le mani dei figli, o veder ridere i figli dei tuoi figli; e non dormire più, mai più, fra le braccia di un uomo?
- Perché non rispondi?
- Perché?
- Dimmelo: E' questo l'inferno?
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Agg. 13-10-2005