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- A Marinella
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- Figlia, tu lasci l'alveare
- di nutrito affetto
- per altri lidi,
- poiché in te improvviso
- esplose l'amore
- ed è giusto che sia:
- il fiume per ricomporsi,
- deve dividersi
- in tanti rivoli
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- Ma non annullare mai
- la tua vera autenticità.,
- profusa d'amore
- e di serenità.
- Attingi l'equilibrio
- dalla materna fonte
- nei momenti incerti
- o di smarrimento,
- riverberati
- nelle tue salde radici.
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- Ricordati
- dei volti della medaglia:
- il progresso, l'emancipazione
- se eccessivi,
- controproducono e disgregano
- patria e famiglia.
- Sii sempre te stessa,
- fedele amica, dolce e cara.
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- Ai coniugi
Bertocchi
- (per le loro nozze d'oro)
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- Nuvole bianche o grigie
- battono in tempo
- in una girandola di stagnola.
- Così transitano le lune,
- ma le griselle reggono
- senza estinguere i falò.
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- Carissimi
- Maria Carla e Amelio Bertocchi,
- è già una grande
vittoria
- ricucire gli strappi
- di mezzo secolo
- e resistere alla clessidra.
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- Le onde che erompono
- nella battigia,
- non vi hanno nemmeno scalfito.
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- Una lapide sul
cuore
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- All'avanzare del cadenzato
- piede nemico,
- crollarono le vite e le mura.
- Attoniti dall'orrore,
- un urlo soffocato di dolore
- proruppe più forte del
tuono.
- Si strinsero i fratelli intorno,
- con l'animo in fermento, di
fuoco...
- digrignando i denti.
- E l'occhio, dapprima luccicante,
- adesso torvo
- allo scoppiettare del sidecar.
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- Soggiacere al vile massacro
- inermi?
- Insorse l'italico sangue di Boves!
- Giorni neri d'ansia precoce
- che batte negli agguati,
rappresaglie
- e scontri: ancora mieté
- la falce maledetta senza posa,
- un segno, una croce.
- Ridotto a brandelli,
- lo straniero estromesso,
- al grido esultante.
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- Tributo di alberi e arbusti
- nell'ora offusca, crudele
- di giorni vuoti di Cristo
- Rodaggio di prodi convinti
- nel loro credo di libertà.
- Lo sconto inestimato, atroce
- dei superstiti
- nel pianto inappagato
- che non perdona.
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- Sul cuore da tempo una lapide,
- coi cari nomi incisi:
- presenti nelle vene oggi,
- sacrario riflesso domani.
- Riconoscenti dell'olocausto,
- si reclini ai fautori, o fratelli,
- rinascita di un'Italia scheggiata.
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- Godiamoci questo S.
Natale
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- Godiamoci questo S. Natale,
- senza farci altro male,
- ricordandoci che siamo fratelli
- non energumeni ribelli,
- con l'odio che lievita nel cuore,
- che non ci fa connettere, ragionare
- e ci fa sentire rabbiosi come cani,
- pronti a romperci le corna,
- a menar le mani.
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- Perché tanto terrore fra la
gente:
- bombe, morti, per niente?
- Che è tutto 'st'odio? 'sta
violenza?'
- Non c'è un minimo di creanza
- fra giovani e l'anziano.
- Che vale stringerci la mano,
- augurandoci: «Buon
Natale!»
- se nel cuore del mondo c'è tanto
male?
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- Fratelli, siamo in una brutta
svolta:
- riprendiamo la via di una volta
- del perdono e dell'amore...
- e della pace nel cuore.
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- I Pilati
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- Destra e sinistra, sinistra e
destra,
- perché guastar la festa?
- Mangiamo la minestra
- e non se ne parli più!
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- Che vale lottare
- senza guadagnare...
- rimetterci la pelle,
- la pelle e le palle,
- le palle del bigliardo,
- la salsiccia e il lardo,
- la pasta col ragù
- il fesso sei sempre tu.
- Ché corri a dritta e a manca
- e mai hai l'aria stanca,
- illuso come sei
- dalle promesse di costei...
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- Sedotto con inganno,
- ormai sei fuori di senno:
- compi gesti eclatanti
- dietro la spinta dei potenti,
- che si lavan le mani come Pilato
- dei poveretti stesi sul selciato.
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- Ma come farti capire
- che è sempre Pantalone a
pagare?
-
- Dai, dunque, retta a nonno Poldo,
- segui la sua linea...
- poiché in questo mondo
balordo,
- gira e rigira,
- siamo sempre al capolinea.
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- Invidia
- (Una risposta)
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- Esiguo vermiciattolo che rode
- e fermenta veleni.
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- Acqua cheta a distesa d'oasi
- tra gorgheggi e spazi tersi.
- Pungiglione d'ape che ronza,
- la rimuove, l'agita
tumultuosamente.
- Come ragno tesse la sua trama,
- elaborandola a perfezione.
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- Dal fondo affiori. Ti sento venire
su
- gorgogliante, minuscola invidia.
- Irrimediabilmente tento d'opporti
- un antidoto per soffocarti...
- Mi sfuggi e prorompi!
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- Dunque, l'uomo, incrollabile
- baluardo che fa e disfa a iosa,
- è tuo schiavo?
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- Per i miei cari scomparsi
- Mia sorella Teresa e suocera
- (Un'altra risposta)
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- Ogni persona cara che ci lascia
- incide solchi profondi al cuore,
- che provocano
- grandi depressioni e dispiaceri.
- I dispiaceri
- sono esigui rivoli
- che, però, convengono
- allo stesso fiume, lievitando
- atroci dolori
- nel baratro dell'anima, ma più
forte
- e più intensi
- del pianto e della disperazione.
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- Urla nel
sole
- (Al mio Sud)
-
- Urla nel sole di un popolo
- dissanguato,
- di un popolo assetato di giustizia
- e d'uguaglianza.
- Dai Greci ai Vespri, da Garibaldi
- a tutt'oggi:
- quante promesse, mai mantenute?
-
- Gli anelli si stringono intorno,
- in un susseguirsi di perché,
- senza una risposta
- e ognuno ritorna a tessere
- la sua tela,
- nell'illusione che un giorno
- cambi.
-
- Ma è necessario altro
fraterno
- sangue?
-
- O cristi dell'incomprensione
- O demoni
- che vi opponete alla concordia,
- all'amore!
- O folletti
- agitatori della mente e del cuore,
- che seguitate a spandere
- il seme maligno, astenetevi,
- vi prego!
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- E tu, Nettuno, placa i marosi
- e dona un po' di refrigerio
- a coloro che da millenni
- soggiacciono nell'ingiustizia
- e nella disuguaglianza.
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- A Mario Gori
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- Hai chiuso il giorno
- della verde collina tormentosa
- e un astro fulge tra tanto
squallore
- e schiude menti
- e cuori di carne, di terre, di
catoi1
- a una consapevole realtà
- dell'oggi.
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- Di te, o fratello, io canto
- l'umiltà vissuta nel tuo
andare
- senza meta...
- ove profondevi fratellanza e amore
- d'apostolico
- figlio d'una terra bella e avara,
- che non ti donò, in vita,
- ciò che agognavi.
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- Ma sulla tua scia,
- o bel Saraceno, domani andranno
- gli animi eletti
- a rinverdire l'antico fervore;
- e il cielo
- non sarà così alto da
rubare
- una stella
- e un fiore rigoglioso adageranno
- sul tuo generoso cuore.
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- 1catoi: case basse a
pianterreno
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- Venezia
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- L'ignavia degli uomini
- ti lascia sprofondare
- giorno dopo giorno,
- o Serenissima!
- mentre le insidie venali
- deturpano
- il tuo volto fiabesco.
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- Come mi attanagli il cuore!
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- Eri nel fiore. E l'alacrità
- dei Dogi
- t'agghindò di platino
- di trine, d'oro zecchino.?
- E tu,
- con smagliante sorriso,
- specchiavi le vette
- e le fronde arabesche
- nell'irido del mare.
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- Quel giramondo di Marco
- celebrò la tua dottrina
- in molti lidi esotici.
- fama e fulgore
- corsero sul labbro
- straniero.
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- Balenarono le armi:
- mari e terre
- si vestirono di vermiglio
- per riaverti.
- Ma l'ingrato errore
- si ripeté ancora:
- nessuno ti domò e tu
- lentamente cali nello specchio
- opaco della laguna.
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