- "Finita la Romagna
Cispadana, ò di quà dal Pò,
entrerò alla descrittion di quella ch'è
di là".
- Così Fra
Leandro Alberti, nella sua "Descrittione di tutta
l'Italia e isole ad essa pertinenti", introduce
l'esposizione storico-geografica della,
cinquecentesca, Romagna Transpadana.
- Fra Leandro Alberti
nacque nel 1479 e morì nel 1553, sempre a
Bologna. Fu uno storico e geografo domenicano, autore
di opere agiografiche e storiche, ma soprattutto della
famosa "Descrittione di tutta l'Italia" del 1550,
considerata la migliore del suo secolo. In quest'opera
di oltre 1200 pagine, con precisione e abbondanza di
dati, ci presenta non solo un immenso affresco
dell'Italia del '500, ma ci dà anche accurate
notizie storiche di ogni luogo e città,
offrendoci una visione che potremmo definire
tridimensionale del nostro paese. Lo stesso Alberti
descrive così gli intenti del suo straordinario
lavoro:
- "Nella quale
(opera) si contiene il sito di essa (Italia),
l'origine, e le Signorie delle Città, e de
castelli; co i nomi antichi, e moderni; i costumi de
popoli, e le condizioni de paesi. Et di più
gl'Huomini famosi, che l'hanno illustrata; i Monti, i
Laghi, i Fiumi, le Fontane, i Bagni, le Miniere, e
tutte l'opere maravigliose in lei dalla Natura
prodotte"
- Esistono molte
edizioni del libro dell'Alberti, una delle più
precise e complete, ed anche in certe parti più
vicina all'originale perché purgata degli
errori di stampa, è quella riveduta e corretta
da Messer Borgaruccio Borgarucci, stampata "In Venetia
, Appresso Gio. Battista Porta, M D L X X X I",
accresciuta inoltre degli avvenimenti fino al 1581. Le
integrazioni del Borgarucci sono comunque facilmente
riconoscibili perché contrassegnate a margine
da una piccola croce.
- L'Italia del '500
che l'Alberti ci presenta è divisa in
diciannove regioni: Riviera di Genova - Liguria,
Toscana - Hetruria, Ducato di Spoleto - Umbria,
Campagna di Roma - Latium, Terra di Lavoro - Campania
Felix, Basilicata - Lucania, Calabria Inferiore -
Brutij, Calabria Superiore - Magna Graecia, Terra
d'Otranto - Salentini, Terra di Barri - Apulia
Peucetia, Puglia Piana - Apulia Daunia, Abruzzo -
Samnites, Marca Anconitana - Picenum, Romagna -
Flaminia, Lombardia di qua dal Po' - Emilia, Lombardia
di là dal Po' - Gallia Transpadana, Marca
Trivigiana - Venetia, Frioli e Patria - Forum Iulij,
Istria. Comprende inoltre le Picciole isole del mar
Ligustico, le Isole del mar Tosco e Tirreno, del mar
Siciliano e del mar Adriatico.
- Nel descrivere la
Romagna, quartadecima regione, l'Alberti ci spiega
innanzitutto che il suo nome risale all'epoca
dell'Imperatore Carlo Magno che, dopo averla
riconquistata ai Longobardi e imprigionato il loro re
Desiderio, la restituì a Papa Leone III.
- Et perché
Ravenna insieme con quell'altre città di questo
paese si eran sempre dimostrate fedeli alla
città di Roma, e arditamente haveano combattuto
per quella, e per lo Pontefice, volse il Pontefice col
nuovo Imperatore, che fosse tutta questa Regione
addimandata Romagna. Et così dall'hora in qua
ella talmente è stata nominata.
- Precedentemente,
secondo Tolomeo (II sec. d.C.), il territorio compreso
tra il Rubicone e la città di Piacenza aveva
l'appellativo di Gallia Togata, perché i Galli,
Senoni e Boii, abitatori di questi luoghi, essendo
venuti in contatto con la civiltà romana, ne
avevano assorbito le abitudini.
- L'Alberti traccia
poi i confini della suddetta Romagna:
- Sarà adunque
la sua lunghezza dalla Foglia al Panaro; e la
larghezza dal monte Apennino al mar Adriatico, et
etiandio la Padusa palude di quà dal Pò,
e oltra al Pò, le paludi de' Veronesi, e
Padoani, infino alle Fornaci con parte del mare
Adriatico dal Settentrione.
- La scinde infine in
due parti: la Romagna Cispadana e la Romagna
Transpadana o di là dal Po.
- I confini della
Romagna Transpadana sono:
- Dall'Oriente il
mare Adriatico, cominciando da Primaro, e trascorrendo
alle Fornaci. Et quindi seguitando, le paludi de'
Padoani, Vicentini, e Veronesi, dal Settentrione, et
parte dell'antidette paludi infino al Po':
dall'Occidente, e dal Mezogiorno esso Po'.
- Scrivono, secondo
l'Alberti, Polibio (201-120 a.C.), Livio (59 a.C.-17
d.C.) e Plinio (23-79 d.C.) che essendo diventati gli
Hetrusci molto potenti, attraversarono l'Appennino e
si stanziarono in tutta la Romagna, di qua e di
là dal Po, tranne una piccola zona, presso il
mare, abitata dai Veneti venuti dalla Paflagonia. Qui
edificarono dodici città a somiglianza di
ciò che avevano già fatto in
Toscana.
- I Toscani furono
poi scacciati da popolazioni celtiche durante
successive invasioni. Per primi giunsero gli Anani,
poi i Boii. Gli Egoni ad Adria e per ultimi i Senoni,
che passarono di là dal mare. Come scrive
Polibio nel 2° libro:
- Qui autem ultra
Padum circa Apenninum, primi quidem Ananes, post
autem, hos, Boy habitaverunt; post hos autem secuti ad
Adriam Egones, ultra mare Senones.
- I Galli, giunti
d'Oltralpe, invasero tutta la Pianura Padana,
perciò detta Gallia Cisalpina, compresi i
territori che attorniavano il corso terminale del Po.
Vinsero le popolazioni etrusche lì stanziate
nella battaglia del fiume Tesino, come narra Livio nel
5° libro. E Sena divenne la loro città
più importante. Anche i Celti furono
però, a loro volta, successivamente scacciati,
o soggiogati, dall'espansione dei Romani.
- ( Il Cav. Sertorio
Orsato del Serenissimo Senato Veneto, nella sua opera
Li marmi eruditi del 1669, ci dice che la Gallia
Transpadana ottenne lo Ius Latii, delle Colonie
Latine, dal Console Gneo Pompeo Strabone, nell'anno di
Roma 664, dopo la guerra Marsica, come testimonia
Isacio Casaubono nei Commentarii: Gallos Cisalpinos,
Transpadanos, quibus ius Latii post bellum Marsicum
lege Pompea datum fuerat.
- Nell'anno di Roma
804 poi, Giulio Cesare, divenuto Dittatore, concesse
alla Gallia Transpadana la Cittadinanza Romana.
Infatti Dione (Cassio Cocceiano, 155-230/240 d.C.),
nel 41° libro dell'Historiae, scrive parlando di
Cesare: Gallis Trans Padum civitatis ius
dedit.
- Tacito, nel 2°
libro degli Annales: Transpadani in civitatem recepti.
N.d.A.)
-
- L'Alberti
giustifica l'aver posto nella Romagna Transpadana sia
il territorio ferrarese sia l'attuale Polesine proprio
perché i Veneti non scesero mai sotto il Ladice
(L'odierno Adige N.d.A.), mentre tutti i territori a
sud di questo fiume furono colonizzati prima dai
Toscani, poi dai Galli e infine dai Romani. A sostegno
di questa tesi cita sia Plinio, terzo libro, che
Livio, quinto libro.
- Ci spiega, inoltre,
come il corso del Po anticamente fosse molto diverso
da come si presentava nel '500 (E ugualmente da come
lo vediamo noi oggi N.d.A.).
- Secondo Polibio, il
Po scendeva con un unico corso presso il ponte di San
Giorgio fino a Coderea, già detta Caput Eridani
secondo Peregrino Prisciano (XV sec.) nel I libro
dell'antichitati di Ferrara. Qui si divideva in due
rami, l'uno correva molto tortuosamente, ma con un
breve corso, fino alla contrada di Quatisano, poi
entrava nelle salmastre Paludi di Comacchio. Questo
ramo era detto dagli antichi fiume Vergente. L'altro
passava per Vigouentia e poi sfociava nella Padusa
palude. Ma entrando nella contrada di Cosandolo, da
Capo di Sandolo, ne prendeva il nome. Questo ramo era
perciò chiamato del Pò
Sandolo.
- Allora non esisteva
ancora il ramo detto Pò della Torre della Fossa
(L'odierno Po morto di Primaro N.d.A.), che si
divideva poco prima del ponte di San Giorgio e passava
per Torre della Fossa. Questo ramo fu creato nel 709
d.C., durante l'impero di Giustiniano II e sotto il
pontificato di Costantino I. Fu proprio questo Papa
che, non potendo più sopportare l'arroganza di
Felice, Arcivescovo di Ravenna, chiese aiuto
all'Imperatore. Questi mandò il suo capitano
Theodoro con l'esercito contro Ravenna. Quando Felice
fu informato, decise di far tagliare il Po sotto
Ferrara e di creare il letto del ramo che passa per
Torre della Fossa. In questo modo fece entrare una
maggiore quantità d'acqua nella palude Padusa
ed innalzò il livello nei campi attorno a
Ravenna. Impedì così che Teodoro potesse
raggiungere la città. Questo episodio viene
narrato da Biondo (Flavio, 1392-1463) nel 10°
libro dell'historie.
-
- F. BERLINGHIERI "De
Geografia"
- Miniatura che
raffigura il Nord Italia (XV secolo)
particolare
- Milano, Biblioteca
Nazionale Braidense
-
- Molto più
tardo sarebbe poi il corso del Po che passa a nord di
Ferrara. Questo ramo, molto ricco d'acqua (L'attuale
corso principale del Po N.d.A.), si sarebbe creato in
seguito alla Rotta di Figaruolo.
- Peregrino Prisciano
scrive di aver veduto un'antichissima Cronica di
Ferrara, la stessa che anche l'Alberti dichiara di
aver vista a sua volta nel 1536, grazie alla
benevolenza del letterato ferrarese Messer Battista
Papazzone dalla Mirandola. Vi si narrava che, correndo
l'anno dell'humana salute 1150, ò poco meno
(1152 in realtà N.d.A.), la contrada di Ruina
fosse divenuta molto popolosa e ricca. Ed essendo
invidiata dai suoi vicini, questi pensarono di farla
sommergere dalle acque del Po tagliando l'argine a
Ficarolo. I poveretti videro sparire tutti i loro beni
e fuggirono, ma anche la città di Ferrara ebbe
di ciò un gran danno. Dopo due anni di strenui
tentativi, non riuscendo a riportare il corso del Po
al suo precedente letto, i ferraresi decisero infine
di fermare le acque alzando gli argini attorno al
nuovo corso, ugualmente con grave spesa e grande
fatica. Si creò così il terzo ramo del
Po, che essendo molto ricco d'acque ne creò a
sua volta, successivamente, un quarto che sfocia verso
nord alla bocca detta delle Fornaci, dal nome di una
Taverna lì posta, secondo Biondo.
- L'Alberti, oltre al
Po, ci descrive anche il Ladige che anticamente non si
presentava con un unico corso, ma si suddivideva in
vari rami, formando a Nord ampie paludi. Le sue
ramificazioni (Adigetto, Gorzon, ecc. N.d.A.)
però, prima di giungere al mare, si riunivano
al corso principale.
- Plinio poi, nel
15° capo del 3° libro, secondo l'Alberti, ci
parla della Fossa Messanicia che era lunga 12 miglia e
collegava il Po a Ravenna, permettendo alle
imbarcazioni di passare dalla città al fiume e
poi di risalire fino a Ferrara.
- Inoltre, tra
Ferrara, Bologna e Ravenna, nel territorio che va dal
Po alla via Emilia, per una lunghezza di 50 miglia, si
estendeva la Padusa palude, che traeva il suo nome da
Padus, il Po, che scorreva lì accanto. Questa
era formata dai fiumi che scendevano dall'Appennino, i
quali, non riuscendo a sfociare nel Po, il cui corso
era più alto, trasformavano questa vasta conca
in una profonda palude.
- L'Alberti racconta
però che già nella sua epoca, da circa
cinquant'anni, quei luoghi si erano progressivamente
asciugati. Ed era cosa veramente strana vedere campi
coltivati dove prima nuotavano i pesci. Ciò era
avvenuto per l'innalzamento delle terre dovuto ai
detriti trasportati dai fiumi giù dalle
montagne, che erano state disboscate per le
necessità dell'agricoltura. Ercole I d'Este in
seguito costruì dei canali per essiccare tutta
la zona chiamata Samartina. Similmente fecero il
bolognese Ippolito Piatese e i Lamberti di Poggio.
Infine tutta la palude Padusa si bonificò
quando il Duca Ercole permise che il fiume Reno
sfociasse nel Po, quattro miglia prima di Ferrara.
Talmente fu essiccata da questo lato, che da Ferrara a
Bologna si passava con le carrette, e a piedi, per
detti luoghi, già pieni d'acqua, hora detti
Traversia, conciosia cosa c'avanti bisognava passare
(volendo caminar per terra) dall'Occellino per le
valli.
- Purtroppo nel 1542
Ercole II, poiché il Reno aveva rotto gli
argini vicino alla città, non volle più
che questo sfociasse nel Po. Così la Samartina,
la Traversia e Raveda furono di nuovo invase dalle
acque. Tutti ne ebbero un gran danno, ma Ferrara in
particolare. Alla fine, dopo varie contese con i
Bolognesi, il Duca lasciò di nuovo che il Reno
si gettasse nel Po. Oggigiorno quelle terre sono per
fortuna risanate e producono grandi quantità di
frumento e biade, dice l'Alberti.
- Tornando al Po in
epoca antica, a Sud di questo si trovava il Borgo di
San Georgio, così detto dalla chiesa di San
Giorgio. Mentre tutta la zona prendeva il nome di
Polesino di San Giorgio.
- Qui abitarono i
Trigaboli Toscani, una popolazione etrusca, poi i
Galli Egoni, che fondarono Vicouenza, da Vicus Egonum,
infine questo territorio fu occupato dai Romani. E
proprio sulle rovine di questa città, che si
trovava allora sulle rive del Po Sandolo, edificarono
un castello chiamato Forum Alieni. A testimonianza di
ciò l'Alberti cita Cornelio Tacito (55-120
d.C.), che parla di Fornm Alieni nel 19° libro
delle historie narrando le cose fatte da Vitellio e da
Vespasiano dopo la morte di Ottone, nell'anno 71 d.C.
Come pure fa Giovanni Boccaccio (1313- 1375) nel libro
de i fiumi, parlando del Po. La sua descrizione,
però, all'Alberti sembra sia stata manomessa
perché pone la città romana nello stesso
luogo dove sorge Ferrara, mentre Forum Alieni si
trovava alla destra del Po. Ciò sarebbe
confermato da Peregrino Prisciano che, nel I libro
dell'antichitati di Ferrara, racconta di
un'antichissima pittura d'Italia, la quale si vedea
nel vescovato di Padoa ne' tempi di Giacomo Zeno
Venetiano Vescovo di detta città, che fu donata
à gli oratori de i signori Venetiani nel
conciliabulo di Basilea. Alla destra del ramo di
Primaro si vedeva Ostilia, dopo 54 miglia, sempre
sulla riva destra, Forum Alieni, e dopo un uguale
spazio Ravenna. Se ne deduce che la città
romana coincideva più con il sito di Vicovenza
che con quello di Ferrara.
- L'Alberti ritiene
che gli abitanti di Forum Alieni si siano trasferiti,
ad un certo punto, presso il Borgo di San Giorgio (Non
spiega però né quando, né
perché N.d.A.). Questa comunità si
ampliò e prese il nome di Ferrariola, dalla
Fossa Ferrariola che scendeva verso Consandolo ed
entrava nella palude Padusa. trasformando la zona in
un'isola.
- La prima menzione
ufficiale di Ferrariola la ritroviamo in un documento
che era conservato negli Archivi dei Marchesi d'Este,
secondo la diretta testimonianza dell'Alberti che
afferma di averlo visto di persona:
- Anno ab
incarnatione Christi IIII.XXV. Theodosius secundus
minor Arcadii filius, et nepos Theodosii imperavit
annis XXVII. Hic Theodosius studium Bononia dedit, et
Ferrariolam ultra Padum transferri
mandavit.
- Nel 425 d.C.
l'Imperatore Teodosio Giuniore concede a Bologna il
privilegio dello Studio generale (L'Università
N.d.A.) e a Ferrariola, di poter passare, dopo due
anni, a Nord del Po. La medesima cosa è citata
nel Privilegio dello studio di Bologna, concesso dallo
stesso Teodosio II. E secondo l'Alberti furono proprio
gli abitanti di Ferrariola a chiamare il nuovo centro
abitato, che si stava sviluppando di là dal Po,
Ferrara. (Ciò è confermato anche da
antichi documenti conservati nella chiesa di San
Giorgio, nei quali si affermerebbe che Ferrariola
è la Ferrara antica. N.d.A.)
- Pur ritenendo
questa l'ipotesi più valida, l'Alberti ci offre
una carrellata delle teorie sulla fondazione di
Ferrara secondo i vari autori. Gabriel Venetiano nel
capo 37 de gli annali di Venetia, dice che fu
edificata, insieme con molte altre città
d'Italia, dai Troiani. Ma poiché risulta
l'unico a dirlo, la sua opinione non ha molta
autorità, precisa il nostro autore.
- Interviene qui
Borgaruccio Borgarucci, integrando le informazioni
dell'Alberti. Ci spiega che secondo altri scrittori
nei territori attraversati dal Po esistevano allora
molte paludi e, tra queste, zone incolte ricche di
macchie d'alberi e d'arbusti, dette fratte. Quando
giunse Attila, che seminava terrore avendo già
distrutto Aquileia, gli abitanti di queste terre
lasciarono le loro case e si rifugiarono presso le
fratte, dove poi costruirono case e spesso rimasero.
Il nome di Ferrara deriverebbe da Fratta, trasformata
con un suono più dolce in Ferrara.
- Celio Calcagnino
(Calcagnini, 1479-1541) ritiene che il nome della sua
città derivi dall'epoca delle invasioni
barbariche, quando qui abitava un ferraro, cioè
un fabbbricante d'armi, molto richieste per
difendersi.
- Altri ancora dicono
che prenda il suo nome da Ferat, nipote di Noè,
uno dei dodici Capitani venuti in Italia dopo il
Diluvio Universale. Ma, secondo Borgarucci, tutti gli
autori vorrebbero far risalire l'origine delle loro
città dai nipoti di Noè.
- Infine alcuni
pensano che il nome di Ferrara derivi dal ferro che la
città doveva pagare annualmente alla Chiesa di
Ravenna come tassa. Proprio come il nome di Argenta
deriva dall'argento che versava.
- (L'ipotesi
più probabile è che Ferrariola, e poi
Ferrara, traggano il loro nome dai Ferrari o
Marescalchi, a proposito dei quali però credo
sia utile riportare ciò che scrive Thomaso
Garzoni nel suo La Piazza Universale di tutte le
professioni del mondo, del 1588, nel titolo De' fabri
in generale: All'ultimo vengono i Ferrari o
Marescalchi i quali son chiamati medici da cavalli da
Giovanni de Platea sopra il Codice. Et l'arte loro si
dimanda Veterinaria, e tratta in universale della
medicina di animali brutti, benche di cavalli
potissimamente. Ö Et Virgilio ne ha favellato
particolarmente nel terzo della GeorgicaÖ. Santo
Antonino nella terza parte della sua Somma al Titolo
ottavo dice Ö essi si sogliono intrometter nelle
compre, e nelle vendite di mule, di asini, di cavalli,
intendendosi loro communemente di questi animali
Ö Et è essercitio assai honorevole. Si
potrebbe pensare quindi che Ferrariola fosse un luogo
conosciuto perché vi abitavano questi ferrari,
che curavano e commerciavano animali, tanto da trarne
il suo nome. Ancora oggi esiste in effetti a Ferrara
il Foro Boario, a Sud del Po, adibito, fino a pochi
decenni fa, a mercato di bestiame. N.d.A.)
- Peregrino Prisciano
sostiene che Ferrara sarebbe stata edificata dove un
tempo esisteva la città di Trento da Tolo, poi
detta Nuentum, ma mi par di lungo s'inganni. Esisteva
tuttavia veramente nei tempi antichi, sulla riva
sinistra del Po il castello detto Inuentum o Nuentum,
togliendo la prima sillaba, citato dal Boccaccio
parlando dei fiumi. E sarebbe stato sulle rovine di
questo che gli abitanti di Ferrariola avrebbero poi
edificato Ferrara.
- A questo punto
s'inserisce ancora Borgaruccio Borgarucci e ci spiega
che prima infatti non aveva tale nome, secondo quanto
dicono Biondo e Sabellico (Marcantonio, 1436-1506) nel
9° libro della 7° Enneade. Narrano che
quando Stilicone, console e capitano dell'esercito
dell'Imperatore Arcadio, venne in Italia per
combattere Alarico, re dei Goti, vide in quel luogo,
presso il Po, soltanto una contrada senza mura e senza
nome. Era circa il 408 d.C..
- Nel 595 d.C. poi,
Ferrara fu circondata di mura da Smaragdo, Esarco
dell'Imperatore Maurizio, secondo l'opinione di Biondo
e di Rafael Volaterrano nella sua Geografia.
- Nel 658 d.C.,
essendosi molto ampliata, ottenne il titolo di
città da Papa Vitaliano durante il regno di
Costante II. Questo stesso imperatore decise di
trasferire il Seggio Episcopale da Voghenza alla nuova
comunità, nell'Isola di San Giorgio, che
divenne Suffraganea della Metropolitana sedia
Ravennate, come era scritto nei documenti della Chiesa
di Ravenna, mostrati al Borgarucci dallo scrittore
Giovan Pietro Ferretto, investigatore degli antichi
Annali della sua città.
- Gli abitatori di
Ferrariola, inoltre, poterono costituire una
Repubblica di dodici Masse, così nominate per
l'habitationi massate insieme, cioè ragunate.
- Esse erano: Villa
Aventina, Massa di Polarolo, Quatisana di Donore,
Formignano, Vico Variano, Curiolo, Coparo, Rompiola,
Petroio, Scramaie, Trente e Senetica.
- Ferrara ottenne
molti privilegi e fu sottoposta al Vescovo Martino
Romano, che però visse a Pieve, dove
morì e venne sepolto nel 670 d. C., secondo
Petrarca (1304-1374) nei suoi Pontefici.
- Fra Leandro Alberti
così ci descrive la città:
- Ella è
questa città posta sopra la riva del Po', che
la bagna dall'Oriente, e dal Mezogiorno, bella
d'edificii tanto dedicati ad Iddio, quanto per
habitatione de i signori, e gentil'huomini; di grossa
aria per esser posta in questi luoghi paludosi, e
abbondante delle cose per il vivere degli huomini.
Imperò che si trae del suo territorio gran
copia di frumento, vino (ma però picciolo)
orzo, spelta, e altre biade, e frutti d'ogni maniera.
In essa sono molte e nobil famiglie, e
ricche.
- Mentre il
Borgarucci aggiunge:
- Et tanto è
ella accresciuta, e ornata, che fra le prime
città d'Italia al presente si può
annoverare.
- Di Ferrara Faccio
degli Uberti nel 1° Canto del 3° libro
Dittamondo dice:
-
- Ferrara lungo tempo
il Po' l'affronta,
- La gente volentier,
la sua famiglia,
- Per il buon porto,
che quivi si conta.
-
- Inoltre Borgaruccio
Borgarucci scrive che fu Federico II, in dispregio dei
bolognesi, che le concesse lo Studio generale (Ma la
cosa è poco probabile, perché
l'Università fu concessa ad Alberto d'Este da
Papa Bonifacio IX, nel 1391 N.d.A.). Fin dai suoi
esordi la città fu fedele agli Imperatori, ai
Pontefici romani e agli Esarchi, aiutando spesso
questi ultimi contro i Longobardi. Longobardi dalle
loro "lunghe barbe".
- La città di
Ravenna, dopo aver scacciati i Goti, fu governata
dagli Essarchi mandati in Italia dall'Imperatore di
Costantinopoli. Il loro nome significa "supremo
magistrato" ed essi avevano voce nell'elezione del
Papa. Il primo fu Longino, inviato da Giustiniano nel
557 d.C., al quale successe Smaragdo. Secondo Biondo,
questi Magistrati, 16 in tutto, governarono fino al
732 d.C. e il loro Esarcato andava dagli Appennini,
alle paludi veronesi e vicentine, fino al mare. Ma
tutta questo territorio venne conquistato da Astolfo,
Re dei Longobardi. Fu vinto poi da Pipino, Re di
Francia, che lo obbligò a consegnare Ravenna
alla Chiesa Romana. Quando Pipino se ne andò,
ritornarono Astolfo e il suo successore Desiderio, ma
furono infine definitivamente scacciati da Carlo Magno
che restituì l'Esarcato alla Chiesa. E Ferrara
con questo.
- Nei secoli
successivi la città fu fedele ai Pontefici
finché gli Imperatori germanici non riconobbero
l'autorità della Chiesa. Poi seguì ora
gli uni e ora gli altri, e eziandio alcuna volta non
diede ubbidienza né all'uno né
all'altro.
- Inizia ora la parte
agiografica dedicata ai Marchesi da Este. è il
Borgarucci ad occuparsi della ricostruzione delle
origini del casato, cosa non certo agevole
perché, come ammette, vi è notevole
discordanza fra i vari autori sui primordi della
famiglia estense.
- Secondo quanto
scrive Mario Equicola (1470-1525) nell'historie
Mantoane, nel 903 d.C., sotto il regno di Berengario
I, l'Italia era tiranneggiata da Sigisberto, signore
di Lucca e poi di Parma e Reggio. Costui aveva origini
longobarde, perché era parente di Gottifredi,
marito di Matilda, che era Longobardo.
- Sigisberto ebbe tre
figli, ma ne visse solo uno, detto Atto o Azzo, che
abitò a Canossa e la fortificò. Qui fu a
lungo assediato da Berengario, ma per fortuna venne in
suo soccorso Ottone I di Sassonia. Sigisberto ebbe due
figli: Tedaldo e Sigisbertazzo, dai nomi del nonno e
del padre, detto Albertazzo. Questo fu mandato dal
padre al seguito di Ottone I che gli si
affezionò e lo tenne in grande considerazione.
Tanto che quando tornò in Italia lo
nominò Marchese e gli fece dono di Calme,
Monselice, Montagnana, Arquà e Este.
Sposò la Magna Alda, figlia naturale
dell'Imperatore ed ebbe due figli Folco e Ugo. Il
primo rimase in Germania con la madre, il secondo
scese in Italia col padre e gli successe nei
possedimenti padovani. Suo figlio primogenito,
Tedaldo, ottenne Ferrara da Papa Giovanni XII, come
scrivono Polistoro e Ricobaldo (Gervasio, XIII-XIV
sec.).
- (Per interrompere
la lunga, e un po' monotona, teoria dei Marchesi
d'Este, vale la pena di raccontare le vicende di Papa
Giovanni XII e di Ottone I, secondo quanto ci
riferisce Franco Mistrali nel suo I misteri del
Vaticano, opera del 1861. Giovanni XII, uomo ambizioso
e di grande ingegno, divenuto Papa in giovane
età, mal sopportava che Berengario
spadroneggiasse in Italia e mettesse persino a rischio
la sua sede. Si rivolse allora ad Ottone I di Sassonia
affinché vendicasse i torti da lui subiti,
promettendogli in cambio la corona imperiale. In cuor
suo era convinto che fosse un sovrano abbastanza forte
per difenderlo, ma che avesse un regno troppo lontano
per poter restare ed esercitare il potere. Così
avvenne che Ottone scese in Italia, vinse Berengario e
fu eletto Imperatore. Ma Giovanni XII si accorse ben
presto di essersi sbagliato, perché Ottone
tenne saldamente il governo e trattò lui da
sottoposto. Inoltre pretese di interferire nel suo
potere e di limitarlo nella sua vita sregolata. Per
vendicarsi, appena Ottone lasciò Roma, si
accordò col figlio di Berengario e
lasciò che questi massacrasse la guarnigione
germanica lasciata a guardia della città.
Quando poi Ottone tornò in Italia, aizzò
contro di lui tutta Roma, assoldò truppe e
chiamò in suo aiuto perfino i Saraceni. E
probabilmente avrebbe avuta vinta la partita contro
Ottone se non fosse rimasto vittima della sua
dissolutezza. Infatti una notte fu sorpreso a casa
della sua amante, certa Stefanetta, dal marito di lei
infuriato. Cercò di fuggire dalla finestra, ma
cadde e rimase ucciso. N.d.A.)
- Di Tedaldo possiamo
ricordare che fece costruire presso il Po Castel
Tedaldo. Morì nel 1007. Ebbe tre figli:
Bonifacio, primogenito, Tedaldo, che divenne Vescovo
di Reggio, e Corrado, dal quale sono discesi i signori
da Canossa. Bonifacio invece sposò Madonna
Beatrice, sorella di Enrico di Sassonia, ed ebbe due
figli maschi, che però morirono in giovane
età, e una femmina, Matilda. Quando Bonifacio
morì, nel 1052, questa, a soli cinque anni,
ereditò tutte le sostanze del padre. Sua madre,
saggiamente, la diede in sposa a Gottifredi, Duca di
Spoleto. Insieme col marito, Matilda andò poi a
Roma in aiuto di Papa Alessandro II e quando
Gottifredi morì si risposò con Azzo da
Este, figlio di Aldobrandino. Purtroppo questo
matrimonio venne sciolto da Gregorio VII,
perché si scoprì che gli sposi erano
imparentati fra loro. Malgrado le loro suppliche, il
Papa non volle dispensarli, come scrivono Biondo e
Platina (Bartolomeo Sacchi, 1421-1481) nella vita di
Gregorio, perciò, obbedientemente, si dovettero
separare. Matilda morì all'età di 69
anni, circa nel 1115, anche se le opinioni dei vari
autori non sono concordi.
- Dopo la morte di
Matilde di Canossa, Ferrara rimase sotto il governo
della Chiesa per molti anni (Nel 1135 venne costruita
la Cattedrale N.d.A.), finché Albertazzo
d'Este, riuscì a diventare il primo Signore
della città. I Marchesi d'Este erano diventati,
nel frattempo, potentissimi.
- Albertazzo era
figlio di Azzo, uno dei tanti che si trovano nominati
nelle Cronache dell'epoca. Gli successero Azzo II,
Azzone e Aldobrandino, nel 1210. Doveva succedere poi
Azzo III, ma nel frattempo era diventato tiranno della
città Salinguerra de Goramonti, aiutato da
Azzolino da Romano (Ezzelino III il feroce, 1194-1259)
e col favore di Federico II, nemico della Chiesa. Il
potere venne infine però ripreso da Gregorio
Monte Longo, Legato di Innocenzo III, che
investì Azzo III del Vicariato di Ferrara nel
1213.
- Gli successe
Obizzo, figlio di Rinaldo, che morì nel 1293.
Seguì suo figlio, Azzo IV, che nel 1307 fu
imprigionato dal suo stesso figlio, Frisco, per
essersi risposato dopo la morte della prima moglie.
Morì in prigione, mentre Frisco cercava di
insediarsi nella città. Chiese aiuto ai
Veneziani, che per questo furono scomunicati dal
Cardinal Pelagura, Legato pontificio. Costui
radunò un esercito e, con l'aiuto dei
Bolognesi, riconquistò Ferrara nel 1308. Frisco
cercò di fuggire, ma venne massacrato dai suoi
concittadini. Nel 1312 fu ucciso anche il Marchese
Francesco da Dalmasio che reggeva la città per
conto della Chiesa.
- Nel 1317 divenne
Signore Opizzo che, con l'aiuto dei Signori di Mantova
e di Modena, Prese Argenta. Poi, nel 1332,
inviò suo figlio, a Bologna presso il Legato
Pontificio. Dopo molte discussioni restituì
Argenta all'Arcivescovo di Ravenna, come dice Corio.
Ma successivamente ottenne Ferrara, Modena e Argenta
dai Legati di Benedetto XII, con l'obbligo di versare
ogni anno alla Chiesa Romana 10.000 fiorini d'oro per
questo feudo. Opizzo morì nel 1352 lasciando
tre figli che gli succedettero uno dopo l'altro.
Aldobrandino, che morì nel 1361. Niccolò
II detto Zoppo, che fu un abile combattente e grande
difensore della Chiesa. Abbellì inoltre la
città con sontuosi edifici (Il Castello di San
Michele, oggi Castello Estense N.d.A.). Morì
senza figli nel 1388. Gli succedette Alberto, al quale
seguì, nel 1390 un altro fratello naturale di
nome Niccolò III, ancora fanciullo. Il suo
potere fu insidiato da Azzone IV da Este, suo cugino
carnale, perché non era figlio legittimo. Ma fu
mantenuto nella Signoria dai Veneziani, Fiorentini e
Bolognesi. Col loro aiuto fece prigioniero Azzone e lo
mandò in esilio a Creta. Divenuto adulto fece
uccidere Ottobone III, Tiranno di Parma e Reggio, da
Sforza Attendolo e s'impossessò di Reggio.
- Così
Borgarucci lo descrive:
- Fu Niccolò
huomo saggio, prudente, magnanimo, e di grand'ingegno;
A cui altra cosa non parea mancare, eccetto le
lettere.
- Fece rinsaldare la
Rocca di Figaruolo, già fortificata da Opizzo
nel 1349, per poter tirare una catena di ferro, sopra
il Po, da quella fino a Stellata. Inoltre Papa Eugenio
IV iniziò, sotto la sua Signoria, il Concilio
di Ferrara, ma lo dovette poi trasferire a Firenze a
causa della peste, malgrado fossero giunti da
Costantinopoli l'Imperatore Giovanni Paleologo e il
Patriarca con un gran seguito. Morì a Milano
nel 1440, dopo aver retto la città per 47 anni.
In suo ricordo venne innalzata sul portone del palazzo
dei Signori di Ferrara una statua equestre, la quale
infino ad oggi si vede.
- Il Borgarucci ci
spiega che Niccolò ebbe tre mogli. Dalle prime
due, non ebbe figli, mentre dalla terza dei Marchesi
di Saluzzo nacquero Ercole e Sigismondo. Ebbe comunque
molti altri figli naturali: Lionello, Meliadusse,
Borso e Alberto.
- (Borgarucci, come
pure l'Alberti, sembrano ignorare la celeberrima
vicenda di Ugo e Parisina. Il primo era figlio di
Niccolò, l'altra, Parisina Malatesta,
1404-1425, era la sua seconda moglie. La storia dei
due sfortunati amanti, colti in flagrante e fatti
decapitare da Niccolò, ci è pervenuta,
più d'un secolo dopo, in un racconto di Matteo
Bandello (1485-1561), inserito nelle sue Novelle, in
base a quanto, egli afferma, gli fu narrato
direttamente da Bianca d'Este, nipote di
Niccolò, a Milano.
- Il Bandello
assicura che Ugo, conte di Rovigo, era figlio di
Gigliola da Carrara, prima moglie di Niccolò, e
quindi figlio legittimo. Mentre molti altri, tra cui
Antonio Frizzi nelle Memorie per la storia di Ferrara,
del 1850, pensano che fosse il primo figlio
illegittimo, nato da Stella de' Tolomei, detta anche
dell'Assassino. Inoltre Camillo Laderchi, che
annotò le Memorie del Frizzi, aggiunge alla
storia un fatto inedito, tratto dalla tradizione
popolare, che pare fosse inserito in alcune pagine
mancanti del calendario di San Francesco del 1425. Vi
sarebbe stato scritto che Parisina era stata chiesta
in sposa inizialmente per Ugo, che già l'amava,
ma che poi Niccolò se ne era invaghito. Avrebbe
perciò ingannato entrambi i giovani, con lo
scopo di dividerli ed infine avrebbe preso Parisina
per sé. Ma una volta che i due ragazzi si erano
ritrovati la passione era di nuovo sbocciata
irrefrenabile. N.d.A.)
- A Niccolò
III succedette nella Signoria Lionello, figlio
naturale di Stella dell'Assassino. Fu uomo colto,
prudente e di grande intelligenza. Temendo che Ercole
e Sigismondo, i figli naturali di Niccolò
ancora giovinetti, potessero comunque nuocergli, col
pretesto di istruirli nelle pratiche di corte, li
inviò a Napoli da Alfonso I
d'Aragona.
- Lionello fece
circondare la città di mura dalla parte del Po,
fece ampliare le contrade, lastricò le strade
di mattoni e fece costruire il Monasterio de gli
Angeli, dal quale sarà poi chiamata l'antica
Via de gli Angeli (Ora Corso Ercole I d'Este N.d.A.).
E dove volle essere sepolto alla sua morte, nel 1450.
Da sua moglie, Giovanna Gonzaga, ebbe un solo figlio
Niccolò. Essendo però questo ancora
fanciullo, nella Signoria gli succedette il fratello
Borso, con la promessa che l'avrebbe poi lasciata al
ragazzo quando fosse divenuto adulto.
- Borso fu piacevole,
magnifico, liberale, virtuoso, e di grand'animo.
Appena s'insediò al potere fece subito
richiamare Ercole e Sigismondo da Napoli e li fece
crescere insieme con Niccolò, figlio di
Lionello, e tutti li trattava come suoi figli. Fu
stimato da tutti i Signori d'Italia, da Papa Paolo II
e dall'Imperatore Federico III. Visitò Roma e
fece costruire il Monastero della Certosa nel Barco,
dove volle essere sepolto quando morì, nel
1471, dopo 21 anni di regno.
- Il Borgarucci ci
racconta anche che Borso fu un generoso mecenate per
gli uomini di lettere, che tenne in grande
considerazione presso la sua corte. Come il poeta
fiorentino Tito Strozza, il poeta lirico Giovanni
Arspa e un tale Ugo, eccellente medico. Inoltre
etiandio pigliava gran piacere d'uomini faceti. Come
il buffone Gonella le cui facezie pare fossero
conosciute in tutte le corti d'Italia, e Fra Bertoldo
di San Domenico, uomo religioso e virtuoso, ma dotato
di spirito allegro e gioviale, oltre che di un fisico
così possente che nessuno riusciva a spostarlo
quando se ne stava piantato sui piedi.
- (A proposito dei
Buffoni, Garzoni, nel suo La Piazza Universale,
scrive: Sedono a questo tempo i buffoni honorati ne'
seggi di dignità molto elevata, e fra tanto
languiscono i dotti, vedendo esser tornato il tempo
del GonellaÖ N.d.A.)
- Pur avendo Borso
promesso il Ducato a Niccolò, figlio di
Lionello, gli succedette invece Ercole I, figlio
legittimo di Niccolò III.
- Niccolò
pareva essere dotato d'ogni virtù, era bello,
magnanimo, piacevole, colto. Mal sopportava
però l'autorità di Ercole, che gli aveva
usurpato la Signoria. Alfine quest'ultimo lo fece
prendere e decapitare, dichiarando poi che la cosa era
stata fatta a sua insaputa, un tragico errore.
Scacciò i colpevoli e seppellì
Niccolò con molti onori, dimostrando grande
dispiacere.
- (L'Abate vicentino
Michele Pavanello nei suoi Saggi morali, del 1792,
dice, nel Saggio 3° versetto 69: Ti sia sospetto
quel malvagio, che all'improvviso apparisce umile,
divoto, virtuoso.
- Nel Saggio 4°
versetto 135: L'Arte politica dev'essere accorta
sì, ma onorata: non avara ed insaziabile, non
superba ed ambiziosa: molto meno poi sanguinaria.
N.d.A.)
- Malgrado ciò
Ercole I fu un buon governante per la città.
Abile guerriero, la difese dai Veneziani e da Papa
Sisto IV. Inoltre l'ingrandì, inglobando nelle
nuove mura fortificate buona parte del Barco, hora
Ferrara Nuova nominata (L'Addizione Erculea N.d.A.).
Fece poi costruire sontuosi edifici, come il Monastero
di Santa Caterina da Siena e la magnifica chiesa di
Santa Maria degli Angeli. Alla metà del '500 la
si vedeva però già in rovina. Vi fu
sepolto nel 1505. Da Lionora, figlia del Re di Napoli,
ebbe quattro figli maschi e due femmine. Furono:
Alfonso, Ferrando, Ippolito, che divenne Cardinale, e
Sigismondo; Beatrice, moglie di Ludovico Sforza, e
Isabella, moglie di Francesco Gonzaga. E Giulio
naturale.
- (A proposito del
Cardinal Ippolito I d'Este, l'Ariosto scrive nella
dedica dell'Orlando Furioso, a lui dedicato
N.d.A.):
-
- Piacciavi generosa
Herculea prole
- Ornamento, e
splendor del secol nostro
- Ippolito aggradir
questo che vuole
- E darvi sol
può l'humil servo vostro
-
- Nella Signoria
succedette Alfonso I, il figlio primogenito, uomo di
grande ingegno, esperto nella guerra, amante
dell'arte, in particolare della musica. Durante la sua
Signoria ebbe varie vicissitudini: all'inizio del suo
governo gli fu ordita contro una congiura. Poi dovette
combattere i Veneziani e fu a lungo in lotta col
Papato. Dapprima con Giulio II, che gli tolse gran
parte dei suoi possedimenti e cercò di
scacciarlo dalla Signoria, poi con i suoi successori.
Si accordò con Adriano VI, grazie al quale
riottenne quasi tutte le terre, ma la contesa riprese
sotto il pontificato di Clemente VII. Infine
l'Imperatore Carlo V, nell'Aprile del 1531, decise che
il Duca di Ferrara dovesse pagare alla Chiesa 114.000
ducati d'oro e in perpetuo, ciascun anno 7.000 ducati
per il feudo, pregando il Pontefice di riconfermarlo
nel Ducato, rimettendogli ogni passata ingiuria. Il
Papa però non accettò, malgrado i soldi
fossero già stati depositati a Roma. Si
accordarono infine il successore di Clemente, Paolo
III, e il successore di Alfonso, suo figlio Ercole
II.
- Alfonso
abbellì e fortificò la città come
nessuno aveva fatto prima. Cinse di mura una piccola
isola del Po, detta Belvedere, lunga mezzo miglio e
larga al tratto d'una saetta. Vi costruì sopra
un palazzo e vi pose ogni specie d'uccelli e
d'animali. Ebbe tre mogli: Anna, figlia di Galeazzo
Sforza Duca di Milano, Lucrezia, figlia di Papa
Alessandro VI, e Laura, ferrarese di basso lignaggio,
ma d'alto ingegno. Da Lucrezia Borgia ebbe quattro
figli maschi: Ercole II, Ippolito, Francesco e
Alessandro. Da Laura due Alfonsi. Quando morì,
nel 1534, gli succedette Ercole II. Fu sepolto con
grandi onori nella chiesa delle Monache del Corpo di
Cristo.
- Ercole II
sposò Raneria (Renata di Francia N.d.A.),
figlia di Lodovico XII, Re di Francia, dalla quale
nacque Alfonso II, il quale hora governa.
- Infine, nel 1570,
ci resta memoria di un rovinoso terremoto che fece
crollare molte case della città, tanto che il
Duca e la Corte furono costretti a rifugiarsi in
campagna per il timore.
- Borgarucci dichiara
di aver tratto la genealogia dei Marchesi d'Este dagli
scritti di Mario Equicola e da alcune antiche
cronache, ma vi sono altri autori che sosterrebbero
che gli estensi discenderebbero invece dalla casa di
Maganza.
- Infatti i figli di
Gaino (Gano, il traditore della Chanson de Roland che
s'accordò coi Mori. N.d.A.) Conte di Pontiero
Francese, dopo la morte del padre, si vergognavano di
vivere in Francia. Si trasferirono perciò in
Italia, fermandosi presso Montagnana, dove
acquistarono molti terreni. Quando, nel 881,
passò in quei luoghi l'Imperatore Carlo il
Grosso, li nominò Marchesi di Scorsia e di
Este. Da questi sarebbero poi discesi i Signori di
Ferrara.
- Dei quali
Borgarucci riprende una nuova puntigliosa elencazione,
specificando però che risulta meno verosimile
della precedente. (La risparmierò ai lettori
limitandomi a citare le parole del Garzoni
nell'introduzione al suo La Piazza Universale,
dedicata ad Alfonso II d'Este: Et chi non sa che gli
Azzi, gli Uberti, gli Obizzi, gli Ugoni, i Rinaldi,
gli Aldobrandini, i Leonelli, i Borsi, gli Ercoli, gli
Alfonsi son stati tali, che di lor si può dire
unitamente quel che dice Plutarco spartatamente di
Fabio, et di Marcello, che furon scudo, et spada del
Regno d'Italia contra i feroci insulti de' Barbari a
quella naturalmente inimici capitali?
N.d.A.)
- Borgarucci a questo
punto, sempre continuando ad integrare l'Alberti, ci
parla degli huomini illustri usciti di
Ferrara.
- Antonio Beccaro,
Vescovo di Scutari, uomo dotto e insigne autore di
opere, dell'ordine de i Predicatori. Morì ad
Ancona nel 1543.
- Felino Sandeo,
Vescovo e auditor delle cause nel sacro palagio di
Roma. Scrisse molte opere di diritto
Canonico.
- Gieronimo
Savonarola, dell'ordine de i Predicatori. Uomo di
grande santità e ingegno, come dimostrano le
opere da lui lasciate, ma che venne ripagato, proprio
come molti altri uomini illustri
dell'antichità, con l'ingratitudine, madre di
tutti i mali. Morì nel 1497.
- Francesco de i
Silvestri, Generale maestro dell'ordine de i
Predicatori. Diede molto lustro alla sua città,
poiché fu uomo che pareva esser dotato di ogni
virtù. Di bellissimo aspetto, prudente, saggio,
affabile, humano, e d'ingegno disposto ad ogni grado
di scienza. Passò alla vera vita il 19
settembre 1528, a 54 anni.
- Giovanni Maria
Riminaldo, eccellente dottor di leggi, molto
apprezzato per la sua prudenza e saggezza dal suddetto
Antonio Beccaro.
- Peregrino
Prisciano, anch'egli famoso dottore. Molto noto come
diligente ricercatore della storia antica della sua
patria, che descrisse in nove volumi. Lo stesso
Borgarucci dichiara di averli visti personalmente a
Ferrara. Fu grande conoscitore della lingua greca.
Morì ai tempi del Duca Ercole I.
- Lodovico Ariosto,
che nel suo Orlando Furioso fu capace d'inventare dei
personaggi e delle vicende talmente realistiche che
paiono non favole, ma vere historie.
- Celio Calcagnino,
oratore e elegantissimo poeta. Canonico ferrarese,
ottimo conoscitore della lingua greca e latina.
Abbandonò i mortali nel 1540.
- Livio Gregorio
Giraldi, uomo di grande ingegno e dalla memoria
talmente prodigiosa, che pare che quello che haveva
letto una volta, sempre gli fosse
presente.
- Ludovico Bigo, che
orna la città con i suoi versi in
latino.
- Alessandro Guarino,
secretario fedele di Ercole Duca, elegante
oratore.
- Gasparo Sardo,
eccellente historico della famiglia
d'Este.
- Ha anche partorito
questa inclita città capitani di
militia:
- Tadeo e Bertoldo da
Este, l'uno del 1447, l'altro del 1463. Entrambi
Capitani delle milizie veneziane, come scrivono
Biondo, Sabellico e Corio (Bernardino, 1459-1519). Il
secondo morì nella Morea, combattendo
valorosamente contro i Turchi.
- Sono usciti
etiandio d'essa altri dignissimi ingegni nell'arti
mecanice:
- Galasso, eccellente
pittore, che dipinse l'Ascensione della Beata Regina
dei Cieli di Santa Maria del Monte sopra Bologna e
lasciò belle e artificiose prospettive nella
Cappella di San Stefano della Chiesa di San
Domenico.
- Lorenzo Costa,
anch'egli pittore, che lasciò numerose opere a
Bologna e nella Chiesa degli Angeli.
-
- Si torna ora alle
parole dell'Alberti, che passa a descriverci il
territorio a Nord del Po, come già lo si vedeva
nel '500, cioè l'attuale Polesine.
- Riguardo a questo
termine, Polesino, già usato in precedenza per
il Polesino di San Giorgio, il nostro autore ci spiega
che, secondo quanto scrive Sabellico nel primo libro
della 4ª Deca delle cose de' Venetiani, significa
"grand'isola" e deriverebbe dal termine Polineso,
grande isola, ottenuto trasportando una sillaba.
- (Vi sono altre
spiegazioni. Una delle più accreditate lo
farebbe derivare dal termine veneto polla, pozza
d'acqua sorgiva, ed avrebbe il significato di "terra
delle polle". Un'altra dal greco-bizzantino
ïïëãêåíüò,
"che ha molti vuoti, poroso" N.d.A.)
- Il Polesino di
Rovigo è così chiamato dal Castel di
Rovigo, dal latino Rodigium, che secondo Prisciano fu
edificato per volere del Papa. (Nel 920 d.C. e,
secondo le Tavole copiosissime dell'Alberti, si
tratterebbe di Giovanni X. Rovigo deriverebbe dal
greco ñüäïí, rose. Cosi
fu cantata dall'Ariosto N.d.A.):
-
- la terra in cui
produr di rose
- le dié
piacevol nome in greche voci
-
- Le diedero grande
fama Bartolomeo Roverella, Arcivescovo di Ravenna,
uomo retto e colto, e Lodovico Celio, famoso per
essere molto ornato di lettere greche e
latine.
- Secondo l'Alberti
tutta la zona tra l'Adige e il letto principale del Po
che scorreva da Codrea a Consandolo, era abitata dagli
Assaggi Toscani, come confermerebbe Plinio nel
15° capo del 3° libro, dicendo che furono
questi che per primi fecero le fosse, cioè i
canali di scolo, attraverso questi luoghi. Ma Annio
(Lucano Marco Annio, 39-65 d.C.), ne' Comentari sopra
Catone, spiega che si deve dire Saggi Toscani, come
aggettivo, proprio per la loro saggezza e
lungimiranza. Poi vi abitarono i Boii, presso il mare
e i Cenomanni all'interno, secondo le mappe di Tolomeo
(Claudio, II sec. d.C.), e infine i Senoni, come dice
Livio nel 5° libro: Senones recentissimi
advenarum ab Usente flumine usque ad Athesim fines
habuere. I Senoni giunsero per ultimi ed occuparono le
terre dal fiume Usente fino all'Adige. Anche questi
però furono poi soggiogati dai Romani, come
dimostra Polibio.
- Furono proprio i
Saggi Toscani, secondo Plinio, che avrebbero costruito
in questi luoghi la Fossa Filistina. Prisciano ce la
descrive: cominciava sotto la Rocca di castel Nuovo,
proprio di fronte a Sermito, e portava le acque del Po
attraverso Seriano, Tresenta, Giagnolo, castel
Gulielmo, Maneggio, San Bellino, villa di Comedato,
ora detta Fratta, Gavignano, villa Martiana, Arquade,
Cornoti, Gragnano, Borseda, S Apollinare, Romagnano,
Balcarno, Grumulo e Cerognano. Poi sfociava nel
Tartaro e, insieme con questo, entrava nelle paludi di
Adria, dove sul mare formava il porto di
Filistina.
- Nei secoli
successivi le fosse non vennero più tenute in
ordine e tutta la regione s'impaludò. Tanto che
il Tartaro e il Menaco, che nascono nel territorio
veronese, vi si gettavano, insieme ad un ramo
dell'Adige che si staccava presso Castagnano e villa
Bartolomea. A quei tempi non esisteva ancora quel
Canale (Oggi Canal Bianco N.d.A.) che scorre tra
Maneggio e Castel Gulielmo, e che attraversa poi tutta
la regione convogliandone le acque.
- (Castelguglielmo
deve il proprio nome a Guglielmo III degli Aleardi
Marcheselli, uomo potente di Ferrara, che nel 1146
fece ricostruire il Castello, probabilmente su una
costruzione già esistente. Secondo i documenti
questo era a pianta circolare, munito di una torre
d'avvistamento. Le sue ultime vestigia caddero la
notte del 29 settembre 1780. Boccaccio vi
ambientò una delle novelle del Decamerone.
Nelle vicinanze del paese si trovava un posto di
dogana tra la Repubblica Veneta e il Ducato di
Ferrara, contrassegnato da un bassorilievo in tufo col
leone alato di San Marco. N.d.A.)
- L'Alberti, nella
sua opera, ci descrive inoltre le altre città
della Romagna Transpadana.
- Innanzitutto, ci
ricorda il luogo detto Dorso dove sorgeva
l'antichissima città di Spina, chiamata
così dal fiume Spino, secondo quanto scrive
Stefano (Di Bourbon, 1190-1261):
- Dionigi di
Alicarnasso (I sec. d.C.), nel 1° libro delle
historie, ci racconta invece come la città fu
fondata dai Pelasgi, partiti dalla Grecia e dall'Asia,
per ordine dell'Oracolo di Delfo. Indirizzatisi verso
l'Italia, allora detta Saturnia, risalirono
l'Adriatico e giunsero a Spineto, una delle bocche del
Po. Qui alcuni scesero lasciando altri a guardia delle
navi. A terra costruirono un accampamento e poi lo
circondarono di mura. Essendosi questi ben sistemati,
le navi poterono partire verso altri lidi. Spina
divenne man mano sempre più forte e ricca
grazie ai commerci sul mare, tanto che per molto tempo
poté inviare a Delfo le ricchissime decime dei
suoi guadagni. Questi tesori si potevano ancora vedere
nel tempio di Delfo e alcune scritture testimoniavano
la grandezza del suo impero marittimo.
- Strabone (63
a.C.-19 d.C.), nel 5° libro, conferma quanto
detto, ma riferisce che ai suoi tempi la città
era ridotta a una picciola contrada, per essere stata
invasa e distrutta dai Barbari (Galli N.d.A.) Plinio
nel capo 15° del 3° libro, ritiene
diversamente che il suo fondatore sia stato Diomede.
Catone (Marco Porcio il censore, 234-149 a.C.) nel 13
cap. dei frammenti, concorda i vari pareri dicendo che
fu fondata dai Pelasgi e, in seguito, restaurata da
Diomede.
- Il nobile Monastero
della Pomposa era abitato, come dice Prisciano, da
gran numero di monachi per il servitio di Dio. Un
tempo vi visse in solitudine San Guido, Abate da
Ravenna, della famiglia degli Strambiati. Si vede
ancora tra i boschi la sua abitazione, ma hora
è in comenda.
- Vicino al mare
esisteva poi un'enorme palude, ricca di pesci,
chiamata Sette Mari. Si trovava presso la città
di Adria o Atria, che fu edificata, secondo Trogo
(Pompeo, I sec. a.C.-I sec. d.C.) nel 20° libro,
dai Greci, e precisamente da Diomede, loro Capitano.
Secondo Catone, invece, dagli Etruschi. E Tolomeo
crede fosse abitata dai Veneti. Fu comunque in seguito
Colonia de' Toscani, come dice Polibio. Di lei scrive
Trogo: Adria Illyrico mari proxima, quae Adriatico
mari nomen dedit.
- Più a sud,
sempre presso il mare, si trova un altro stagno che
gira intorno 12 miglia, dove è posta la
Città di Comachio. Giovan Pietro Ferretto,
Vescovo di Milo e insigne storico, sostiene che
secondo quanto ha ritrovato nei documenti degli
antichi privilegi della Chiesa di Ravenna, anticamente
questa città era chiamata Cimaculum, dal greco
cimati, le onde marine, per essere posta fra queste.
La qual città fu profondata ai tempi che Adria
sommerse. Ma sulla sua origine l'Alberti dice di non
aver trovato memoria presso gli antichi. Fu
però già ricca, e dotata di una
ragguardevole flotta, già ai tempi dei Goti.
Biondo racconta che fu distrutta dai Veneziani nel 931
d.C. per aver dato aiuto ad Alberto, figlio di
Berengario, contro di loro. Da allora in poi non ha
più rialzato il capo e, secondo l'Alberti, essa
era ridotta ad una contrada disabitata. Si traggono
comunque dalle sue paludi il sale e grande abbondanza
di pesce, soprattutto cefali e anguille, che nel mese
di ottobre cadono a migliaia nei trabucchi predisposti
dai pescatori. Vengono poi salate e commercializzate
in tutta la Romagna e anche oltre, tanto che i
Marchesi di Ferrara traggono tanta ricchezza da questi
pesci, quanto dai dazi. Questa palude sbocca nel mare
a Magna Vacca.
- Nell'entroterra,
secondo Prisciano, esisteva la Fossa Pelosella (Anche
Fossa della Polisella. Derivava il suo nome dalla
pelosella, hieracium pilosella, comunissima erba delle
composite con capolini gialli e foglie cotonose, ha
proprietà depurative N.d.A.). Fu scavata per
scaricare nel Po le acque delle cupe e profonde paludi
di quella zona, insieme a parte dell'acqua dell'Adige.
Questo luogo è famoso per la vittoria navale,
combattuta sul Po contro l'armata dei Veneziani, che
avevano risalito il fiume per attendere l'arrivo delle
truppe di terra, durante la guerra contro la Lega di
Cambrai. Vittoria ottenuta dal Cardinal Ippolito
d'Este, il 22 dicembre 1509, con l'aiuto del signor
Allegra, Capitano di Lodovico XII, Re di Francia,
Galeazzo Sforza da Pesaro e Lodovico Pico dalla
Mirandola, Capitani dei cavalieri di Papa Giulio II e
Ramaciotto da Scarcalasino, Capitano dei suoi fanti.
Dopo la vittoria vennero portate a Ferrara, attraverso
il Po, 11 galee, 5 fuste e 2 marani. Altre 5 galee
furono affondate nel fiume, con 3 grippi e con le
munizioni. 4.000 soldati veneziani vennero uccisi e
scacciato Angelo Trivisano, Capitano dell'armata. 70
bandiere nemiche, con i rostri e i becchi delle galee,
vennero appesi nel Duomo, come trofei. Dopo qualche
tempo, però, fatta la pace, tutto venne
restituito.
- (Per dare voce
anche all'altra "campana" in questa contesa possiamo
riportare quello che scrive Francesco Sansovino nella
sua opera Venetia città nobilissima et
singolare, del 1663, parlando delle opere del Doge
Leonardo Loredano:
- ÖHebbe assai a
che fare per l'animosità di Papa Giulio II. Il
quale huomo invitto, e feroce, deliberò di
ricuperare le terre, e le giurisdizioni alienate per
qualsivoglia cagione, di Santa Chiesa. Onde tessuta
una lega in Cambrai, da i primi Principi del mondo
contra la Republica, si divisero in quella il suo
stato fra loro Ö di maniera, che pareva, che
fosse venuta la fine dell'Imperio Veneto, quando i
Padri con animo veramente costante, prudente, e
invitto, s'armarono sotto il governo del Conte Nicola
Orfino,Ö e di Bartolomeo d'Alviano Capitani
principali Ö Si guerreggiò adunque in
Lombardia, nel regno di Napoli, in Romagna, nella
Marca Trivisana, e in diversi altri luoghi con diversa
fortuna. N.d.A.)
- Il Volaterrano, nel
4° libro dei Comentari Urbani, ci racconta che
Francolino era una fortezza costruita dai Marchesi
d'Este a salvaguardia dei confini del Ducato. Ora,
dice l'Alberti, è solo un luogo di sosta per i
forasterieri che vogliono passare a Vinegia. Vi si
vede, comunque, un bel palazzo del quale fu
proprietario Giovan Maria della Sala, nobile cavaliere
ferrarese. Gli fu donato da Alfonso d'Este per i suoi
meriti.
- L'Alberti ci
ricorda che esisteva anche un antichissimo e
grossissimo albero, chiamato Olmo Formoso, situato
poco lontano dalla Fossa Burana. Prisciano riteneva
segnasse il confine della Romagna, posto invece,
secondo l'Alberti, sul fiume Scultenna, cioè il
Panaro. Perciò egli pone il castello di Bondeno
nel territorio della Lombardia. Il nome di Bondeno
deriva dal termine Bondinco che, secondo Plinio nel
15° capo del 3° libro, in lingua Ligustica
(Ligure N.d.A.) significa "senza fondo", proprio
perché in quella posizione anticamente il letto
del Po sarebbe stato molto profondo. Bondeno faceva
parte dei domini dei Marchesi d'Este ed era questo
castello assai civile.
- Proseguendo lungo
il corso del Po verso Ferrara, si arriva infine alla
contrada di Ponte di Lago Scuro, dove esiste il porto
per attraversare il fiume.
- Con questo concludo
la descrizione della città di Ferrara e della
Romagna Transpadana secondo quanto ci ha lasciato Fra
Leandro Alberti, bolognese, nella sua "Descrittione di
tutta l'Italia". Ho cercato, per quanto ho potuto, di
essere fedele al testo e di aggiungere solo alcune
cose che ho trovato presso altri autori. E chi
avrà la bontà di leggere questo mio
lavoro spero davvero che, se troverà mancanze o
imprecisioni, vorrà, proprio come dice
l'Alberti "più tosto iscusarmi amichevolmente,
che malignamente dannarmi".
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