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- Caterina
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- Claudia attendeva l'autobus insieme ad altri
ragazzi e ragazze studenti come lei Dietro le sue
spalle, si stendeva il mare fin oltre l'orizzonte,
così verde ed agitato in quella stagione
Davanti, i alto, il castello e le torri del suo paese
le ricordavano una storia gloriosa, mai conclusa nella
mente di tutti loro. Claudia frequentava a Savona
l'ultimo anno del Liceo Scientifico, poi, sarebbe
andata all'università di Genova. Il suo sogno
era di diventare medico e tornare lì, nel suo
paese chiuso ed arroccato tra vicoli antichi ed un
mare amato ed odiato insieme. Ancora si potevano
scorgere sulla spiaggia gli uomini con il berretto a
punta, i calzoni corti alle ginocchia e la fascia in
vita come i pescatori di un tempo lontano. Mentre la
fanciulla osservava, come ogni giorno, il paesaggio a
lei così caro, la corriera era giunta ed aveva
caricato la piccola folla in attesa. Dopo pochi
chilometri, alla fermata successiva, spesso saliva un
giovane che, le avevano detto, frequentava a Genova il
secondo anno di Università, Facoltà di
Economia e Commercio. Stefano, così si
chiamava, le lanciava lunghi sguardi teneri mentre
scherzava e discuteva con i suoi amici. Ma i due
gruppi di ragazzi rimanevano rigorosamente separati,
consci dell'animosità esistente ancora tra gli
abitanti dei loro due paesi. Noli e Spotorno, infatti,
come nella più antica tradizione storica,
rimanevano nemici.
-
- Caterina fissava il mare oltre l'orizzonte dove
la striscia verde dell'acqua incontrava lembi
arricciati di candide nubi.
- Non si vedeva null'altro, mentre l'aria
oscurava lentamente e gli scogli a picco sui flutti
divenivano sempre più neri, trascinando ombre
minacciose che le davano i brividi e la brezza
avviluppava scherzosa la sua gonna pesante attorno
alle caviglie.
- «U ma l'à u numme cun le», il
mare ha il nome con sé, Giovanni le raccontava
spesso di questo proverbio spotornese che sua zia gli
aveva insegnato perché in mare aveva perso il
marito, rimanendo con cinque figli da crescere. Ed era
voce comune che dal mare arrivassero insidie di ogni
tipo, tanto che le parole male e mare avevano,
appunto, lo stesso suono. «U ma u l'à u
numme con le» si diceva orami sottovoce anche
Caterina incerta se, per lei, fosse venuto bene o male
da quella distesa.
- Il giorno dopo sarebbe andata sposa ad un
contadino del podere confinante il misero campo di suo
padre ma la sua vita non sarebbe cambiata
granché: avrebbe continuato a lavorare
dall'alba al tramonto in casa, nei campi, nel bosco o
alla fonte. Le lacrime scendevano ormai copiose dai
suoi occhi neri poi, trascinando gli zoccoli sulla
sabbia e sulle pietre, si era avviata verso la
casupola che avrebbe abitato per l'ultima
notte.
- Correva il 1198 e, solo un anno prima, un
pomeriggio, Caterina si trovava nel bosco a
raccogliere legna per il fuoco. Senza rendersene
conto, aveva risalito la collina arrivando al limitare
del feudo. Dall'altra parte si stendevano le terre di
Spotorno, un piccolo villaggio stretto intorno al
Castello simile a tanti altri della riviera col suo
paesaggio di boschi e vigneti digradanti verso il
mare, di orti e terreni incolti, di modesti campi di
grano e uliveti verso il Monte Mao. Là aveva
incontrato un giovane che, canticchiando, stava
lavorando di buona lena per abbattere un enorme pino.
Accortosi della sua presenza, l'uomo si era fermato e
l'aveva guardata: Caterina aveva solo quindici anni e
mai aveva visto qualcuno più bello di lui con
quegli occhi azzurri nel viso abbronzato e quei
muscoli saettanti che spuntavano dalla camicia
consunta.
- «Attenta, stai per entrare nel territorio
del Vescovo e se ti vedono le guardie ti porteranno in
prigione. Ti conviene tornare indietro!», aveva
esordito lui. Il vescovo Ambrogio di Savona, infatti,
era padrone degli uomini spotornesi suoi vassalli,
circa trecento anime, così come del territorio,
ed era in contrasto con Noli per l'uso di terre e
boschi confinanti. Spesso le liti accendevano gli
animi di una popolazione costretta a difendere, da una
parte e dall'altra, una terra povera che le dava
sostentamento. Allora, focolari di intere famiglie
attaccate ad una terra aspra, vite di fatiche e
disagi, venivano distrutti in poche ore in crudeli
battaglie e depredati dal vincitore di turno.
- «Sì, certo &endash; aveva risposto
Caterina &endash; Non mi ero accorta di essere andata
così lontano. Sta per scendere la sera e devo
cuocere la cena».
- «Vieni, ti mostrerò una
scorciatoia. Mi chiamo Giovanni e tu?».
- «Caterina». Sorridendo, Giovanni si
era caricato sulle spalle la cesta di legna di lei e,
presala per mano, l'aveva accompagnata lungo un ripido
sentiero che arrivava a Noli, proprio dietro il gruppo
di case del paese fatte coi sassi delle cave, dai
soffitti bassi e dalle porte anguste per non sprecare,
d'inverno, troppa legna per scaldarsi. Proprio come a
Spotorno.
- Là l'aveva lasciata dicendo:
«Domani ti aspetterò lungo questo
sentiero. Ti prego, vieni».
- E Caterina era tornata nel bosco a far legna.
Giovanni, che conosceva la zona albero per albero,
l'aveva condotta ad una grotta nascosta dagli arbusti
dove nessuno avrebbe potuto scorgerli e dove avrebbero
potuto restare un po' insieme. Molti pomeriggi erano
trascorsi: Caterina andava quasi ogni giorno alla
ricerca di rametti da bruciare nel bosco ma, ormai, la
bella stagione si avvicinava e non c'era più
bisogno di legna se non per cuocere. Le occasioni di
incontro con Giovanni si facevano, dunque, più
rare ed era stato lui a proporle:
- «Senti, amore mio, cerca di scendere alla
spiaggia quando tutti saranno a dormire. Io
prenderò la barca di un mio amico pescatore e
verrò a trovarti ogni sera».
- Così Caterina aspettava che il padre ed
i fratelli, stanchi del duro lavoro di braccianti,
fossero andati a letto e poi, silenziosamente,
sgusciava nell'oscurità fino agli scogli e
rimaneva silenziosa in attesa. Egli giungeva dal mare
su una piccola barchetta che, poi, più tardi,
nella notte, sarebbe servita ad un altro per andare a
guadagnarsi da vivere combattendo contro le onde e le
tempeste. Fermava l'imbarcazione al riparo degli
scogli e l'abbracciava stretta stretta: «Non
voglio lasciarti mai più, troveremo una
soluzione, vedrai! Forse, andremo a lavorare lontano,
dove nessuno ci conosce e sa che siamo
nemici».
- Caterina beveva quelle parole dalle sue labbra
ed il tempo crudele scorreva veloce. Prima di
mezzanotte lui doveva tornare a Spotorno e lei si
avviava con lo sguardo sognante al suo giaciglio di
paglia. Il giorno sarebbe stato duro anche per lui che
doveva lavorare con il padre la terra in affitto e
ricavarne abbastanza per mantenere la famiglia e
pagare un quartino di avena (Kg. 47,5) e due polli,
ottenere dai terreni liberi per la corvè un
quartino di vino, biade e le spalas porchorum
nutritorum. Tutto da consegnare annualmente al
Vescovo.
- Molte sere erano trascorse finché, un
mattino, suo padre le aveva detto: «È
arrivato per te il momento di andare sposa. Il nostro
vicino Giuseppe che possiede anche un po' di terra, ti
ha chiesta. Presto combineremo».
- A Caterina era caduto il cielo addosso: sapeva
che alla sua età le ragazze si dovevano sposare
ma aveva sperato, forse, in un miracolo. La sera si
era subito confidata con Giovanni che l'aveva
rassicurata: «Dunque, non possiamo aspettare
oltre. Tra pochi giorni sarò pronto per partire
con te. Lasceremo questo paese per sempre ed andremo
in Francia, mi hanno detto che là è
possibile trovare lavoro. Sarai mia moglie,
finalmente!».
- Le lacrime di lei si erano asciugate al fuco
dei baci e delle carezze e, poi, come ogni notte era
rientrata alla semplice casupola.
- La sera dopo il tempo minacciava tempesta:
rossi nuvoloni scuri si spingevano gonfi di pioggia
verso la terra mentre i vento sollevava gigantesche
onde sfracellandole contro le rocce.
- Così Giovanni non era giunto e neppure i
giorni successivi: inutilmente i vento aveva taciuto
ed il mare si era acquietato, la fragile barchetta che
lo portava da Spotorno alle acque di Noli non era
più arrivata.
- Correva l'anno 1198. Mentre Caterina di buon
mattino stava per diventare moglie di un contadino di
Noli, così come doveva essere, il padre di
Giovanni, Nicolò si avviava, come ogni giorno,
verso una tomba disadorna appena fuori della strada
che attraversava la piana raggiungendo il Castello.
Lungo i vicoli schermati dagli archetti che tenevano
su le pareti ingobbate e scrostate dallo scirocco, gli
uomini si muovevano silenziosi per recarsi a lavorare
nelle fasce dall'alba al tramonto.
- Nicolò rivolgeva dapprima una breve
preghiera davanti ad una cappelletta votiva che doveva
tenere lontano siccità, grandine, carestie,
epidemie e malocchio. Poi si fermava davanti alla
tomba del suo unico figlio Giovanni. Tre mesi prima,
dopo un periodo di carcere nelle segrete del Castello,
Giovanni era stato giustiziato. Traditore, l'avevano
detto. Spia e confidente dei Nolesi ai quali portava
notizie quasi ogni notte, raggiungendo, furtivo, la
spiaggia di Noli con una barca non sua. Una sera,
mentre stava per prendere il mare, le guardie lo
avevano bloccato ed arrestato. Inutili erano state le
sue grida di innocenza. Nessuno gli aveva mai creduto,
neppure al momento della morte quando aveva invocato
disperatamente una santa di nome Caterina. Ma
Nicolò sapeva che suo figlio non era un
traditore. Non era certo così che lo aveva
allevato, forte e coraggioso, capace di lavorare il
doppio degli altri giovani. Ogni giorno, anche se non
poteva capire il motivo di quelle uscite in barca,,
andava a trovarlo là, nella terra odorosa di
erbe e di fiori. Poi, anche lui, come tutti, tornava
al lavoro che avrebbe continuato fino a quando le sue
forze glielo avessero permesso.
-
- Un giorno, l'autobus si era fermato per un
guasto. Anche Claudia ed il giovane Stefano si erano
scambiati qualche parola. Da allora, gli incontri si
erano fatti più frequenti ed
importanti.
- Qualche anno era passato.
- La storia di Claudia e Stefano continuava
ancora: lentamente, e reciproche diffidenze avevano
lasciato il posto ad un amore totale e felice. Qualche
volta, si arrampicavano per uno scosceso sentiero
proprio dietro le case di Noli fino ad una grotta
nascosta dagli arbusti dove nessuno avrebbe potuto
scorgerli. Era assai dolce tenersi per mano e fare
progetti per il futuro! Stefano si era laureato e
Claudia frequentava ormai
l'Università.
- Correva l'anno 1998. Un pomeriggio, seduti ad
un tavolino di un bar proprio in vista della Basilica
romanico-bizantina di San Pargorio, mentre nugoli di
turisti affollavano le vie del borgo e la passeggiata
a mare, Stefano aveva detto a Claudia di avere una
novità da confidarle. «Bene, anch'io ho
qualcosa di importante da confidarti
&endash;
aveva risposto lei abbassando lo sguardo. &endash;
Dimmi, poi parlerò io»». La Chiesa
ornata i lesene, archi e maioliche medievali attirava
lo sguardo di Claudia: forse si vedeva in abito bianco
proprio là, un giorno che non sarebbe stato
lontano
- «Mi hanno convocato per un colloquio in
una grande azienda di Milano. Chissà, se mi
assumessero
la vita potrebbe cambiare. Qui, non
c'è lavoro per me. Là cercano un futuro
dirigente amministrativo, mi preparerebbero con dei
corsi interni e poi dovrei iniziare il lavoro:
probabilmente in qualche fabbrica secondaria del loro
gruppo, magari all'estero, ma potrei avere
opportunità di carriera
».
- Gli occhi dell'uomo brillavano, le parole
uscivano entusiaste dalle sue labbra, quelle labbra
che ella amava così tanto.
- «Sono felice, tanto felice
Anch'io
ho qualcosa che cambierà la vita
Stefano,
aspetto un bambino».
- Un lampo di fastidio era passato negli occhi di
lui diventati gelidi: «È
non me
l'aspettavo
forse, è un po' presto per
noi
».
- Claudia aveva un viso così triste che
Stefano si era subito corretto: «Non
preoccuparti, se mi assumeranno risolveremo ogni
problema
».
- Le frasi si rincorrevano veloci e la fanciulla
si era un po' tranquillizzata. Come sempre, pensava,
un figlio viene accettato subito dalla madre e un po'
dopo dal padre. Ma Stefano non l'avrebbe delusa. La
sera a casa, come al solito, avrebbe dovuto sentire le
lamentele di sua madre e suo padre per quella storia
con uno spotornese, ma avrebbe potuto sempre pensare
che il passato non può influenzare il presente.
I tempi cambiano e solo le persone sono artefici del
loro destino.
- Così, quel pomeriggio, dopo un lungo
colloquio, Stefano era tornato a Spotorno e l'indomani
sarebbe partito per Milano.
- L'appuntamento sarebbe stato poi la sera sulla
spiaggia. Là Avrebbero deciso il
futuro.
- Correva l'anno 1998.
- Claudia aspettava sulla riva del mare dove
erano soliti incontrarsi durante l'inverno per essere
soli.
- Ma non giungeva alcun rumore di passi sulla
ghiaia e la sera scendeva lentamente coprendo lo
sciacquio di carezzevoli onde blu. La pace sembrava
avviluppare le rocce che si stagliavano contro un
cielo fermo e sicuro e neppure un filo di vento
giungeva a scuotere la sua gonnellina corta sopra le
ginocchia.
- Ma il dubbio incrinava i suoi pensieri: "Ecco,
no ci si può fidare di uno spotornese, è
ancora e sempre un nemico, in fondo
". Le lacrime
scendevano ormai copiose dai suoi occhi neri, poi,
trascinando gli zoccoletti sulla sabbia e sulle
pietre, si era avviata verso casa.
- Poche ore prima, Stefano guidava la sua auto
sull'autostrada di ritorno da Milano. L'importante
azienda l'aveva assunto ed era impaziente di tornare
da lei, sulla spiaggia, a dirle che l'avrebbe sposata,
che sarebbe stato felice di vivere con lei ed il loro
bambino. Magari sarebbero stati un po' in un paese
straniero, ma sarebbero partiti insieme. Non si
sarebbero lasciati mai più. Le notti avrebbero
potuto dormire abbracciati, chiacchierare
tranquillamente, vivere compiutamente l'esperienza
della vita. Le note di una canzoncina allegra si
dilatavano dall'autoradio nell'abitacolo della vettura
ed egli le accompagnava canticchiando. Avrebbe
iniziato una nuova vita con lei
- Lo schianto era stato violento. Il camion aveva
invaso la sua corsia e schiacciato quell'utilitaria
azzurra. Inutile era stato il suo grido anche se,
nell'ultimo istante, aveva invocato, chissà
perché, il nome di Caterina.
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