- IL
ROSSETTO ROSSO SANGUE
-
- Jack
le faceva sempre dei regali stravaganti, ma questa
volta si era superato: la mattina alle 9.00 precise
si era presentato nel suo ufficio con un pacchetto
incartato malissimo in una improbabile plastica blu
a fiori gialli che aveva deposto con molta
attenzione sulla scrivania. Con aria compunta
mentre gli occhi ridevano aveva detto:
- -
Melanie, questo l'ho portato per te da Haiti:
è un feticcio woodoo molto potente. La mama
che me l'ha venduto dice che risolverà tutti
i problemi della donna a cui
apparterrà.
- E
aveva raccontato con il suo solito entusiasmo per
le sciocchezze quello che aveva tutta l'aria di
essere stato un rito per turisti sprovveduti, al
termine del quale naturalmente ognuno aveva potuto
acquistare un talismano carico di forze ancestrali
o qualcosa del genere per vivere
meglio.
- Era
tanto caro Jack: un cucciolone troppo cresciuto che
le voleva bene come ad una specie di mamma orsa da
accudire e da cui essere accudito.
- Erano
poi arrivati altri pacchetti da colleghi amici: il
giorno dopo, sabato, avrebbe compiuto 30 anni;
lavorava alla casa editrice Stafford ormai da
quattro anni ed era rispettata e benvoluta da
molti.
- Uscì
alle 16.00, prima del solito: era tesa, per tutto
il giorno aveva inciampato dappertutto, aveva fatto
cadere oggetti, muovendosi aveva urtato mobili che
erano lì da sempre. Le accadeva sempre
più spesso ultimamente; era come se il suo
corpo le dicesse che qualcosa non andava, ma lei
non capiva, coglieva i segnali ma non riusciva ad
interpretarli.
- Respirò
lentamente e si guardò intorno. Chicago era
molto bella in dicembre, soprattutto la zona del
centro in cui aveva la fortuna di lavorare: il
freddo era ancora sopportabile, la neve era
arrivata abbondante e gli scoiattoli facevano le
ultime scorte prima del sonno forzato. Decise di
non andare subito a casa, tanto non c'era nessuno
ad aspettarla: Philip era dovuto andare a Seattle
due giorni prima per lavoro e sarebbe tornato solo
martedì. Le cose non si stavano mettendo
molto bene: la società informatica presso la
quale lavorava era sull'orlo del fallimento e non
era certo il momento più felice per trovare
un nuovo impiego.
- Si
diresse verso la profumeria Whiterose, la
più bella della zona, che era proprio
lì vicino: perché non festeggiare un
compleanno così importante con un acquisto
frivolo e costoso? Non aveva mai dato la minima
importanza ai prodotti di bellezza, proprio come
sua madre, ma forse era venuto il momento di
cominciare, di prendere più contatto con
questo suo corpo che sfuggiva sempre più al
suo controllo.
- Entrò
e comprò d'istinto, senza pensarci due
volte, semplicemente un rossetto rosso sangue.
Quando fu di nuovo in strada si chiese
perché diavolo (non riusciva ad usare
termini più pesanti nemmeno con se stessa)
avesse acquistato una cosa che non avrebbe mai
usato: troppo volgare, avrebbe detto sua madre.
Certo il rosso scuro era in generale il suo colore
preferito, il colore della passione repressa: lei
era una passionale, ma pochi se ne
accorgevano.
- Pensò
di andare al parco e sedersi un po' in pace a
meditare. A casa avrebbe dovuto per forza parlare
al telefono con sua madre; l'aveva già
chiamata due volte in ufficio, ma lei si era fatta
negare: sapeva che la depressione si acuiva in
occasione delle ricorrenze familiari e quel giorno
non si sentiva proprio di fare l'angelo
consolatore.
- Mentre
si sedeva sulla panchina, le caddero di mano i
sacchetti con i regali, tutti tranne quello di
Jack: questo problema stava diventando veramente
fastidioso, bisognava venirne a capo. Quando era
cominciato? Non ricordava esattamente, ma andando
indietro nel tempo riuscì a vedere
nitidamente un periodo della sua vita in cui si
muoveva con sicurezza e
fluidità.
- Aveva
11 anni, era estate e si trovava a Newport.
Passavano sempre le loro vacanze a Newport,
chissà perché: era la spiaggia di New
York, non di Chicago. Ma sua madre aveva deciso che
era l'unico posto accettabilmente chic di loro
conoscenza e suo padre naturalmente non aveva fatto
obiezioni. Lì aveva conosciuto Roland, il
suo primo vero amore. Con lui aveva provato, appena
adolescente, una passione soffocante, bruciante,
non più ritrovata da adulta. Roland aveva 14
anni allora. Non avevano mai fatto l'amore, ma ci
erano andati molto vicini e la notte Melanie non
riusciva a dormire: si sentiva il cuore stretto e
gli occhi brillanti. Erano amanti consumati senza
avere esperienza: sapevano come capirsi, ferirsi e
rendere felice l'altro compiutamente, con una
sicurezza che lei non aveva più conosciuto
in seguito.
- Non
ne poteva parlare con nessuno, le amiche erano
troppo bambine per ricevere confidenze del genere,
del resto difficili da esprimere in modo chiaro:
erano sensazioni fortissime ma elusive.
- Proprio
in quel periodo erano cominciate anche le prime
conversazioni intime con sua madre. Dopo pranzo, si
sedevano da sole in terrazza all'ombra e si
confidavano, mentre Melanie imparava a ricamare:
voleva tanto diventare brava come lei, che tutti
ritenevano insuperabile in quest'arte difficile e
ricercata. Non ricordava le parole precise, ma
risentiva il tono benevolo, complice che sua madre
usava così di rado e che bisognava cogliere
con attenzione amorevole appunto perché era
insolito. Le aveva fatto capire con delicata ironia
che il suo comportamento con Roland era
sconveniente, da donnicciola e poteva essere
giudicato addirittura volgare. Nel loro codice
privato ma assoluto, la volgarità era il
vero peccato, ben più grave
dell'immoralità: era molto peggio abbinare
colori sbagliati o ridere sguaiatamente che
uccidere qualcuno per un motivo ritenuto giusto.
Del resto gli uomini erano rozzi e alla fine
miravano ad una cosa sola, che alle donne
interessava poco; quindi era elegante farsi amare e
mercanteggiare con cura questo bene che a loro
sembrava così prezioso per ottenere
più vantaggi possibile, poi abbandonarli
alla loro sofferenza: se l'erano meritato in fondo.
Le aveva raccontato tanti aneddoti in proposito e
avevano riso insieme alle spalle dei
malcapitati.
- Sull'onda
delle confidenze, le parlava anche della nonna: a
Melanie piaceva molto, era una donna non comune,
rigida e aristocratica, ma capace di improvvisi
momenti di folle allegria che l'affascinavano. Sua
madre invece non la sopportava, diceva che l'aveva
oppressa per tutta la vita in tanti modi; eppure,
pensava Melanie, non riusciva a stare a lungo senza
parlare di lei nel bene o nel male, senza litigare
e fare pace, senza portarla a modello o
disprezzarla.
- L'amore
con Roland era continuato, pur se meno intenso, per
due estati ancora, poi avevano continuato a
frequentarsi per altri 4 anni e alla fine si erano
lasciati perché la magia non si ripeteva
più, qualcosa si era spezzato. Da allora i
suoi amori erano stati una serie di
fraintendimenti: non ci si capiva, si
interpretavano male i segnali inviati dall'altro,
si viaggiava a velocità diverse, si rimaneva
distanti. Era come se lei tentasse sempre di
mettersi in una posizione di superiorità;
quando ci riusciva la cosa non la interessava
più, quando non ci riusciva sbagliava
tutto.
- Si
guardò intorno. Si era fatto buio, ma il
parco era ben illuminato. Si accorse all'improvviso
che sulla panchina di fronte stava ora seduto un
uomo che la guardava. Doveva essere buffa, nel suo
cappotto lungo blu, i guanti gialli, a capo
scoperto nonostante il freddo, circondata da
sacchetti multicolori e con lo sguardo fisso da
molti minuti su una insignificante
betulla!
- Soppesò
in pochi istanti il suo dirimpettaio di panchina:
35 anni, alto, capelli lunghi curati,
disinvoltamente elegante, maschio ma di classe; non
in cerca di avventure (non sopportava il genere),
solo curioso. Poteva essere intrigante, ma quel
giorno non ne aveva proprio voglia. Lo fissò
con il suo migliore sguardo sprezzante, lui
guardò altrove, lei si alzò e si
avviò alla fermata del metro.
- Le
capitava spesso: incontrava un uomo nelle
circostanze più disparate e scattava in lei
un bisogno inconsapevole di dispiegare tutto il suo
fascino. Riusciva ad essere tanto più
brillante quanto meno le interessava la persona in
questione. Lo faceva anche solo per arricchire la
sua collezione di un pezzo insolito o come sfida
con se stessa in una mission impossible. E se si
metteva d'impegno non falliva mai. La parte
veramente divertente del gioco era come uscirne:
cercava di inventarsi sempre modi diversi,
modificando le strategie a seconda dell'avversario
che si trovava di fronte. Quando era l'altro a
convincersi di averla lasciata e lei faceva la
parte della vittima, si sentiva trionfante. Giocare
al gatto e al topo le piaceva molto e lei amava e
capiva benissimo i gatti.
- Se
qualcuno le scompigliava il gioco con mosse strane,
si infuriava ed era capace di fare davvero male.
Giusto un anno prima Mr Stafford le aveva dato
finalmente l'aiuto che gli chiedeva da tanto tempo.
Un giorno era arrivato in ufficio raggiante e le
aveva detto:
- -
Ho trovato la persona che fa per te: è
giovane, in gamba e soprattutto ha molta voglia di
imparare. Fallo lavorare un po' e poi dimmi cosa te
ne pare: se funziona potremmo anche mandarlo a
Little Rock a impiantare la nuova sede.
- Così
aveva conosciuto Mark, 20 anni, spalle larghe e
sorriso disarmante. Effettivamente era inesperto ma
imparava in fretta. Melanie aveva deciso che poteva
anche essere l'allievo giusto a cui insegnare
cos'è la vera passione d'amore: c'era
qualcosa nel suo atteggiamento quando la guardava
dritto negli occhi che sembrava una via di mezzo
tra la sicurezza del conquistatore nato e la
verginità del neofita. Le cose procedevano
bene, quando un pomeriggio lui le disse che doveva
assolutamente parlarle prima di uscire. Lei si
predispose ad ascoltarlo immaginando con
voluttà le successive contromosse; allora
Mark le confessò con aria sognante che
grazie a lei aveva capito che cos'era veramente
l'amore e ora si era innamorato perdutamente di una
ragazza che aveva conosciuto da poco e con la quale
stava vivendo un'intensissima passione! Melanie
decise all'istante di vendicarsi fino in fondo:
stese un rapporto molto negativo su Mark e gli
suggerì le risposte più sbagliate da
dare al direttore dell'Ufficio del Personale nel
colloquio decisivo per la sua assunzione.
Naturalmente fu allontanato subito e anche le
successive richieste di referenze da parte di altre
case editrici ricevettero risposte scoraggianti.
Aveva avuto solo quello che si meritava, non si
pentiva affatto del suo comportamento, nemmeno a
distanza di un anno.
- Si
fermò ad ammirare di nuovo Chicago: di sera
era perfino meglio che alla luce del giorno. Era
illuminata in modo vivace e cordiale, c'era tanta
gente in giro che non andava di corsa verso casa
dopo essere uscita dagli uffici, ma incontrava
amici e si preparava alla serata; si sentiva la
vita scorrere sopra e sotto la neve. Aveva sempre
pensato che, proprio per via del clima infame e dei
ritmi di lavoro più intensi qui che in altre
parti degli States, gli abitanti di Chicago
sentivano un bisogno di calore umano, di allegria e
di bellezza che si manifestava in tanti modi:
c'erano parchi e fiori dappertutto in estate;
ottimi ristoranti e cabaret di razza, e soprattutto
era la patria del blues! Melanie aveva ascoltato
blues in tanti posti, anche a New Orleans, ma a
Chicago era diverso: sembrava che qui l'anima dei
neri, immigrati a forza tanto tempo prima, avesse
deciso di dare il meglio di sé per reagire
alle condizioni avverse e non dimenticare. Il blues
le prendeva le viscere, si rendeva conto che
lì c'era l'essenza della vita e non serviva
nient'altro per capire il mondo. Ecco l'idea giusta
per festeggiare quel benedetto anno in più:
andare con Annie alla House of Blues! Ma bisognava
prima affrontare la mamma, che avrebbe preteso come
sempre, come se fosse un diritto, un'intera
giornata di dedizione reciproca; oltretutto odiava
il blues, diceva che era una musica da
selvaggi.
- Melanie
si sorprese a battere furiosamente i piedi per
terra nel breve spazio d'ombra tra due lampioni.
Sua madre, sua madre, sua madre! Perché
doveva sempre trovarla in mezzo quando esprimeva
un'opinione, quando faceva un progetto, quando
pensava a qualcuno? Si accorse che era sempre stato
così, che non erano mai state due persone
realmente distinte e il condizionamento era stato
talmente pesante da impedirle di rendersene conto.
La vide per la prima volta com'era, come l'avrebbe
vista un estraneo: una donna di 62 anni invecchiata
male per via della depressione, grassa (mangiava in
continuazione), fumatrice accanita e in fondo
ignorante: questo sì era un grave peccato,
ma solamente per Melanie, che aveva studiato alla
Columbia di New York e non sopportava chi non
sentiva la vera cultura come parte necessaria della
propria vita. Guardò i suoi pacchetti e
sentì un moto di irrefrenabile allegria: ma
sì, evviva il blues, evviva il rossetto
rosso sangue, evviva il feticcio woodoo che adesso
non vedeva l'ora di scartare! Lo avrebbe messo
vicino alla maschera indiana di Philip e alla
lancia maori che le aveva portato Freddy dalla
Polinesia, avrebbe girato il mondo per comprare una
quantità di oggetti assurdi ma divertenti:
basta guardare al passato, bisognava essere
ottimisti e pratici, c'era il lavoro, c'era Philip,
eccetera eccetera.
- Scese
di corsa le scale della fermata del metro, prese al
volo il treno e si sedette con calma, lontana da
altri passeggeri. I due giganteschi poliziotti neri
di pattuglia la guardavano benevoli e sembravano
dirle: "Non si preoccupi Miss, pensi
tranquillamente alle sue cose, ci siamo qui noi".
Già, Philip. Erano insieme da cinque anni.
Dopo Roland era l'unico uomo che avesse amato:
dagli altri si faceva amare e basta; in ogni caso
il suo orgoglio non le permetteva di farsi
coinvolgere se non aveva in partenza la certezza di
essere adorata, e questo non era amore, lo sapeva,
era solo un scambio di favori da misurare con
attenzione per non subire perdite. Il legame con
Philip era solido e rassicurante: lei gli si
aggrappava nei momenti di disperazione e lui le
tendeva sempre la mano, semplicemente, senza
chiedere contropartita; senza di lui si sarebbe
sentita completamente perduta. Eppure non le
bastava, doveva sempre avere qualcuno sottomano da
dominare, con cui giocare in modo
crudele.
- Arrivò
a casa senza rendersene conto. Aprì la porta
e vide subito la luce rossa della segreteria
telefonica che lampeggiava: sua madre l'aveva
cercata chissà quante volte. Il senso del
dovere si fece avanti imperioso: ascoltò i
messaggi. Il contenuto lo conosceva a memoria: la
solitudine, le mille ansie quotidiane, le colpe
della figlia. La colpì per la prima volta,
quasi con ripugnanza, il tono di voce aldilà
delle parole: a quella nenia angosciata non c'era
rimedio, non serviva il suo tono rassicurante, non
serviva ragionare con pacato ottimismo sui fatti,
non serviva vedersi sempre o non vedersi affatto.
C'era dentro il fallimento di una vita, consapevole
di essere senza speranza, che cercava solo di
scaricare sugli altri il proprio dolore per
soffrire meno. Melanie non ne poteva più di
sforzi inutili, di sentirsi risucchiare la vita
senza scopo. Forse sua madre non voleva guarire,
forse voleva solo tenerla stretta e trascinarla nel
suo baratro. Ricordava bene quando era comparsa la
depressione: esattamente quando lei era andata a
vivere con Philip e si era lasciata alle spalle la
bella casa con giardino di Evanston per un piccolo
appartamento nel centro di Chicago, in mezzo al
traffico e al rumore; aveva bisogno di sapere che
intorno c'era tanta gente viva, che le teneva
compagnia senza saperlo quando la solitudine
prendeva quel terribile sapore amaro.
- Chiuse
un attimo gli occhi, emise un gemito di impotenza
poi si gettò disperatamente ad aprire i suoi
regali, prima di tutti quello di Jack: era una
statuetta di legno scuro piuttosto rozza, alta
circa 30 cm., che rappresentava un guerriero
completamente nudo, accovacciato con le ginocchia
divaricate; teneva una lancia nella mano sinistra e
un coltello nella destra. Il viso appariva
singolare: era coperto di strisce rosse, forse
simboli di guerra, in mezzo alle quali spiccavano
due occhi di vetro colorato intensissimi, che la
colpirono profondamente. Sia pure con le debite
proporzioni, le ricordavano gli occhi del famoso
scriba che aveva visto due anni prima al museo
egizio del Cairo. Aveva accompagnato Philip in un
viaggio di lavoro ed era rimasta incantata da tutto
quanto, ma in modo particolare da quello sguardo
che nemmeno gli stessi Egizi erano più
riusciti a riprodurre in seguito; per lei
rappresentava l'essenza dell'arte: creato dall'uomo
ma più vero del vero, era la somma di tutti
gli sguardi, ti attraversava e ti costringeva a
dargli una risposta adeguata. Cosa le diceva ora il
guerriero e soprattutto che risposta chiedeva?
Melanie avvertì un senso di pericolo,
distolse lo sguardo e si concentrò sugli
altri pacchetti.
- All'improvviso
suonò il campanello: Melanie andò ad
aprire e si trovò davanti con piacere Mrs.
Dawson, la sua vicina di casa, una vecchia signora
adorabile che lei considerava una specie di angelo
custode: viveva da sola ma c'era sempre allegria
nei suoi occhi pervinca; sembrava indovinare i
pensieri e calmare le ansie di tutti. Aveva in mano
un mazzo di rose gialle e una scatolina che Philip
le aveva affidato prima di partire, pregandola di
consegnargliele proprio quella sera. Melanie
ringraziò con gioia e non insistette quando
Mrs Dawson rifiutò di entrare dopo averle
fatto gli auguri con la sua voce bassa e dolce che
sapeva di vita dura ma attraversata con
passione.
- Le
rose gialle se le aspettava: erano le sue preferite
e Philip non gliele faceva mancare mai, in tutte le
ricorrenze. Ma la scatolina, consegnata in quel
modo poi, era una novità. Adorava le
sorprese di qualsiasi genere, come una bimba.
L'aprì e rimase senza fiato: c'era un anello
con un brillante straordinario, un solitario di
almeno un carato. Troppo bello, troppo costoso per
la loro situazione economica, troppo al disopra di
ogni sua aspettativa. Questo era Philip! Non gli
interessavano i soldi e tutto il resto, la sola
cosa che contava per lui era vedere, o immaginare
in questo caso, un'espressione davvero felice sul
viso della sua donna. Sapeva che quella sera
sarebbe stata sola e disperata, lui capiva tutto
anche senza spiegazioni perché l'amava
veramente, e aveva scelto proprio quel momento per
darle forza e calore. Lesse il biglietto che
spuntava dal mazzo di rose. Diceva: "Un gioiello
speciale per l'unica passione della mia vita: tu."
Si dichiarava e basta, non pretendeva niente da
lei, intuiva che lei non poteva essere di un uomo
solo ma non gli importava. Melanie andò
vicino alla finestra, guardò fuori e si mise
a piangere, non per solitudine o per un'emozione
contingente: era come se una parte compressa della
sua anima avesse trovato finalmente la strada per
uscire. Non si trattenne come al solito, ma si
lasciò andare ai singhiozzi che la
scuotevano tutta.
- Si
preparò un bagno caldo e vi rimase
finché l'acqua non si fu raffreddata, con
gli occhi chiusi senza far nulla, senza
pensare.
- Tornò
a guardare il guerriero: i suoi occhi erano ancora
più brillanti e non facevano più
paura. Melanie poteva sostenere quello sguardo
perforante e cominciava a trovare una risposta. Ora
si muoveva sicura e agile, non inciampava, non
urtava nulla perfino chiudendo gli
occhi.
- Era
notte ormai. Si distese sul letto completamente
nuda, come non le accadeva mai. Pensò a
Roland, a Philip e a tutta la sua vita e piano
piano sentì nascere un orgasmo lungo e
dolcissimo che dalla vagina si diffondeva in tutto
il corpo e anche oltre, fino ad abbracciare la
stanza e i suoi pensieri. Non era un orgasmo voluto
a tutti i costi e conquistato come una preda di
guerra; non era breve, controllato dal cervello e
subito dimenticato come le accadeva spesso. Tutto
ora aveva un senso preciso, un significato chiaro,
tutto rientrava o veniva respinto dalla grande
armonia che le era penetrata
nell'anima.
- Suonò
il telefono. Melanie andò a rispondere con
lucida lentezza. La solita, insopportabile voce
implorante disse:
- -
Finalmente ti trovo Mely! (odiava quel diminutivo
con cui la chiamava sempre sua madre per ricordarle
l'infanzia, quando non riusciva ancora a
pronunciare bene il suo nome). Perché non mi
hai chiamato? Beh, non importa: vengo da te domani
alle nove così potremo stare insieme tutto
il giorno una volta tanto e parlare delle nostre
cose. Ne ho tanto bisogno, sai?
- Melanie
rispose con calma, lasciando cadere la parole una
ad una:
- -
Mamma, domani vorrei festeggiare il mio compleanno
con Annie, giusto per fare qualcosa di diverso. Noi
potremmo vederci un'altra volta, no?
- Dopo
un lungo silenzio, la voce, divenuta
improvvisamente sicura, disse con sarcasmo
implacabile:
- -
Ma cara, lo sai che non si possono interrompere le
tradizioni di famiglia: il tuo compleanno lo devi
festeggiare con me.
- Melanie
abbassò il ricevitore e tornò a
letto. Era arrivato il momento. Ciò che
aspettava nelle sue giornate riempite a forza di
azioni indispensabili, ciò che sapeva da
sempre, si stava per compiere. Dormì
tranquillamente fino al mattino, come le succedeva
ormai di rado.
- Si
alzò, andò in bagno, prese in mano il
rossetto rosso sangue e si guardò allo
specchio.
- Pochi
minuti dopo era davanti alla porta d'ingresso,
nuda, accovacciata con le ginocchia divaricate;
batteva ritmicamente sul pavimento la lancia maori
che teneva con la mano sinistra; nella destra aveva
un coltello da cucina. Il viso era coperto da
strisce rosso sangue. Aspettava sua
madre.
|