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- L'uomo di
Murlo
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- I turisti accaldati e distratti che arrivano
all'antico borgo fortificato, erto tra le melodiose
ondulazioni delle colline toscane, lo notano appena,
molti di loro sono stranieri e non ne comprendono
nemmeno il biascichio. Gli studiosi di archeologia lo
guardano divertiti e gli chiedono se serva ricordo di
qualche ritrovamento, i compaesani lo rispettano
perché l'hanno sempre visto, come la rocca e le
mura. Ma nessuno sembra prenderlo veramente sul serio
e ne ascolta le storie. Eppure, quando cerca di
trascinare qualche avvenente signora nella sua cantina
sotterranea, scavata nel tufo, quel vecchio dalla
faccia incartapecorita si rianima nel promettere il
piacere di un vino genuino, dorato, fresco, dal
profumo di rose.
- Un giorno di ottobre, forse per i fumi della
vendemmia, il nonno del castello, seduto nel suo
antro, borbottava strane storie, con accanto due
biondone scandinave arrivate fin lassù in
mountain bike e da lui convinte a visitare, dopo il
museo, anche quel suo antro.
- "Erano altri tempi - ricordava - quando
obbedire significava veramente qualcosa! E il mio
signore non ammetteva repliche, lui era il dio supremo
di tutto il territorio, lui comandava migliaia di
contadini schiavi che portavano i raccolti nel suo
palazzo: frumento, uva, olive orzo, farro, fave,
ortaggi. E poi i pastori che pascolavano le sue
greggi: migliaia di capi che punteggiavano di bianco
intere vallate! Mai visto tanto ben di Dio! Era lui,
Larth Vaithati, il padrone, il Signore, il Papa, il
principe, il re. Non esistevano sfumature a quei
tempi! E io ero il suo uomo di fiducia".
- Sapendo quanto fosse sfuggente nel parlare di
ciò che lo riguardava direttamente, sentendo
quella voce levarsi dal sottosuolo, ci nascondemmo
dietro lo stipite dell'ingresso e lo lasciammo dire.
Che pensasse pure di non essere ascoltato: almeno
raccontava cose interessanti e non i soliti discorsi
di vino e di sesso. Dopo aver ingoiato ancora qualche
sorsata del suo inimitabile nettare, riprese con foga:
"Mi chiamava di continuo, si fidava solo di me, gli
organizzavo le corse dei cavalli che tanto gli
piacevano, gli portavo le donne più belle con
cui sollazzarsi (a quei tempi non facevano tante
storie, come ora!), mi occupavo della produzione del
vino che è un'arte eccelsa, non da tutti. Ero
insomma il ministro incontrastato dei suoi piaceri.
Aveva altri dipendenti: cerimonieri per il culto, di
cui era ministro, contabili per le rendite fondiarie,
guardiani per la disciplina da mantenere e giudici per
la giustizia da amministrare. C'era chi processava e
tagliava teste per lui, chi gli contava le staia di
grano e le giare d'olio e seguiva l'accumulo delle
derrate, chi si occupava del culto che, in suo nome,
si estendeva anche agli antenati, quei bamboccioni
dalle facce stralunate - li avete visti in museo - che
dovevano continuamente essere ricordati, onorati,
placati. Ma chi gli forniva la chiave della vita ero
io; gli altri erano solo squallidi tirapiedi.
Però ero anche un po' cialtrone, sapete? E
spesso, quando passavo presso le stanze della sua
sposa, la giovane Velia dalla pelle di giglio, la
spiavo mentre si bagnava e sbavavo dietro alle sue
cosce d'avorio e alla sua peluria dorata, tutte cose
riservate solo a lui e per la cui vista mi avrebbe di
certo messo a morte". Per sottolineare il concetto, il
vecchio dava grandi manate sui fianchi delle sue
ospiti che, nella loro lingua, protestavano
vistosamente.
- "Vedete come fate le preziose, Avete la testa
piena di stupidaggine, come quelli che fanno gli
scavi, cercano le necropoli, sperano di trovare le
tombe piene d'oro, come se quelle aspettassero loro.
Come le donne del resto! Bisogna prenderle, anzi
predarle, quando si può; un momento dopo
potrebbe già essere troppo tardi. Aaah!
Sedetevi, ignoranti! Lunghe e sceme! Non valete un
millesimo di ciò che era Velia Vaihati sposa
del principe, non l'unica si capisce, ma la vera
sposa, la regina di questi luoghi. Aveva quarant'anni
meno di lui, eppure non aveva fatto tante storie,
sapeva con chi aveva a che fare e cercava di
compiacerlo in tutto e guadagnarsi la sua preferenza.
Non voleva certo che il suo vecchio marito smettesse
di amarla! Tutto fino a quando non capitò qui
quel mercante che arrivava da Vulci, uno che
viaggiava, smerciava roba greca e anche al mio signore
quella roba piaceva, anche se diceva di non averne
bisogno perché le sue officine producevano
anche quella. Ma non era mica la stessa cosa! I vasi,
avevi un bel dire che non si notasse la differenza! Se
erano fatti a Corinto saltava agli occhi, eccome!
Naturalmente tutti dicevamo che non era vero, che
quelli di Vaithati erano i migliori, che "sembravano
usciti dalla fornace degli dei". Ma era tutta
piaggeria. In realtà la Grecia ci dava dei
punti. Il mercante tornò più volte. Era
giovane, bruno, vigoroso, non aveva paura di nulla,
risaliva la valle dell'Ombrone senza scorta armata e
cantava. Lo si sentiva arrivare da sotto, per via di
quella voce melodiosa che cantava arie di taverna. Lo
odiavo, ma il mio signore lo stimava, lo onorava,
forse lo temeva o lo invidiava perché possedeva
oggetti più belli dei suoi. Ma più di
tutti lo amava Velia che si illuminava appena sentiva
la sua voce che l'eco le riportava dalla valle
sottostante. La spiavo come non mai. Lui alloggiava
all'officina dei vasi e dormiva con gli artigiani: Una
notte vidi delle ombre in giardino: mi precipitai
fuori, silenzioso e rapace, come un falco. Li scoprii
che facevano l'amore nel bosco e li odiai entrambi, di
un odio che voi cristiani non potete capire
perché non avete mai capito l'amore!. Una delle
turiste chiese un altro po' di nettare e
commentò: "Capito! Tu dice noi no capire amore?
Anche now gente ama, pazzi per amore!".
- Il vecchio tacque, gli occhi lucidi, un po'
fissi, forse per il vino. "No, non è la stessa
cosa, vichingona mia. Lo so, ti ci metti d'impegno,
fai del tuo meglio, in questi tempi tristi. Ma allora
l'amore aveva il sapore del sale e del miele al tempo
stesso, non il gusto sciapo di ora
Io per amore
sono arrivato a tutto: al tradimento, al delitto.
Sì perché ho avvertito il mio signore di
quanto era successo e, insieme, abbiamo spiato i due
amanti la notte precedente la partenza di lui. Anche
Larth Vaithati vide quello che io già avevo
visto e forse il mondo, quel mondo di cui era padrone
assoluto, gli crollò addosso. Fece arrestare
subito i due adulteri e il giorno dopo il giovane
mercante fu squartato nel cortile centrale del
palazzo, senza che a nessuno fosse data spiegazione
della condanna. A Velia pensai io. Il mio signore mi
ordinò di ucciderla nel modo più
indolore, tanto aveva già sofferto
nell'assistere all'orrendo supplizio del suo amante.
La portai nel bosco, di notte, con le catene ai piedi
e ai polsi e le conficcai uno stiletto nel cuore. Ne
portai il cadavere tra le mie braccia al cospetto del
mio signore e la distesi ai suoi piedi. La
guardò con infinita tristezza e disse:
"Peccato! Era tanto bella!"; solo questo. Pochi giorni
dopo iniziò la demolizione del palazzo. Larth
Vaithati rinunciò al suo regno, che ruotava
attorno a lui, alle sue prerogative dinastiche e
divine, ai suoi piaceri e alle sue follie. Fece
distruggere tutto e spargerlo in giro, poi mi
chiamò. "Vado via, resterai tu a guardare le
rovine del mio palazzo fino al mio ritorno!".
- Così disse e per me gli ordini non si
discutono. Lasciò altri ad amministrare le
terre e le greggi, io solo fui il custode della sua
vita perduta, una vita che fu pari solo agli
dei".
- A questo punto il vecchio cominciò a
piangere senza ritegno, tanto che le due ragazze, dopo
aver cercato invano di confortarlo, messe in imbarazzo
da tale scena, si allontanarono in punta dei piedi,
passandoci accanto e notando con stupore la nostra
presenza. Scendemmo a nostra volta, in punta dei
piedi, nella cantina fresca e odorosa gurdandolo con
perplessità. Si accorse allora di noi.
- "Ma voi non siete le due di prima!".
- "No! Volevamo solo qualche litro di vino". Si
alzò, travasò in silenzio da una botte,
ci disse il prezzo, pagammo, tutto in
silenzio.
- "Signor Mino - gli chiesi alla fine, non
reggendo alla curiosità - Ma lei è
davvero il custode del palazzo etrusco? Allora lei
è qui da duemilacinquecento anni!".
- "Ti piacerebbe saperlo, vero, imbrattacarte da
strapazzo? Vieni nel bosco con me e te lo
dirò!". Gli occhi, prima malinconici e
languorosi, si erano fatti feroci.
- "Nossignore! Io sono di quelle che fanno tante
storie!". Dovetti rassegnarmi a non conoscere il
seguito del racconto.
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