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- L'animaleso
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- Si crede a patto di
comprendere,
- e si comprende a patto di
credere
-
- (Sant'Agostino)
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- La lettura dovette ben presto essere
interrotta, mi era impossibile il proseguimento. Lo
scroscio martellante e cadenzato del temporale, che al
di fuori del vetro umido del mio studio si torceva con
tanto ingiustificato rancore e malanimo contro le
imposte, che battevano e si dibattevano lungo i muri,
attirò la mia curiosità assai più
delle Retractationes di Aurelio Agostino, non che
queste ultime, di per sé, non ne offrissero -
anzi il volume era stato attesissimo nei giorni
passati - ma tanto più ora il mio interesse
calava vertiginosamente colà, mentre giravo le
pagine, tanto più esso veniva convogliato su
nel mezzo dei negri tormenti di quel cielo nubifero.
Sicché a breve fui costretto a richiudere il
prezioso volume rilegato sulle mie ginocchia, quali
per ponderarne la materia dopo il mancato connubio
mentale e quasi ignorando, quando in realtà ne
ero perfettamente cosciente, che le mie dita
scorressero lungo le rugose superfici del tomo
traendone l'estremo godimento di possessione assoluta;
e riflettei, permettendo alle immagini che dentro si
susseguivano e si confondevano per poi disporsi a loro
piacimento. La poltrona seguiva i contorni del mio
dorso e il respiro si afflosciò con esso, calmo
e regolare. Eppure ero disturbato. Registravo le mie
emozioni con difficoltà, un senso in me quel
nervosismo dovuto ad una lunga attesa. Penetrando tra
le fuligginose pareti del mio studio, un servitore mi
avrebbe trovato immerso a tal punto nei miei pensieri
che lì, sonnecchiante quale dovevo parere se
non addirittura morto, con un tomo posato sulle
ginocchia, il capo reclinato verso l'angolo a nord
ovest del soffitto mai avrebbe avuto il coraggio o
l'arrogantissima necessità di scuotermi dal
siffatto torpore, pronunciando il fatidico e quanto
mai irritante: "Posso disturbarvi?" Seguito sempre
dalla scontatissima licenza di parola. Poiché
sarebbe troppo tardi tornare indietro e troppo
complicato spiegare che anche dopo il diniego il
fastidio era altresì arrecato.
- "Scusatemi, signore, se vi disturbo:" Cribbio!
Ricordo che fu Tallos, il mio maggiordomo; era dinanzi
a me.
- "Non mi avete risposto, sembravate dormire. Mi
sono permesso di entrare." era greco, corpulento e
atticciato, ma tradiva dal viso tondo, che pareva
esser fatto al tornio, l'affabilità d'un fedele
famiglio.
- Avrei scommesso tra i suoi antenati uno
spartano, tra i suoi eredi un condottiero.
- Mi porse un biglietto e sparì.
- Urgente, trovai descritto sulla busta
giallastra che lo custodiva. Attizzai un poco il
camino con il mantice, vi buttai sopra un ennesimo
ceppo, precisamente tagliato a metà dal greco e
avvicinai tra loro i due pesanti alari lavorati a
mano.
- Poi scartai la busta e fu con mio grande
stupore, tra la penombra che minacciosamente
s'incupiva e di curvava alle mie spalle per guardare
anch'essa, ch'io lessi quanto qui riporto:
-
- Urgente. Da stamani sir Rupert Colley Clausson
giace in uno stato di poco dissimile dalla
morte.
- Impossibile una diagnosi medica. Sulle pagine
del suo diario, trovato aperto accanto al letto, alla
data odierna 22 novembre, trovammo iscritti tre nomi:
tra codesti il suo. Ora come òai l'amicizia
invoca il vostro ausilio.
-
- 22 novembre. In fede Henry A.Marvell
-
- Al momento, quando lessi il sinistro messaggio,
la pioggia che fuori piangeva lacrime finissime
imbrigliava ancora il mio cervello. Rupert era un mio
carissimo amico d'infanzia, sempre purtroppo
contraddistinto da un'infelice propensione naturale
alla malattia. S'ammalava di continuo, ma era
apparentemente di sana e robusta costituzione vichinga
dal solido costrutto, difatti non pochi tratti
islandesi ancora tagliavano con le loro grezze
angolazioni il viso, pallido ma non illividito e
smorto.amava le cavalcate all'aria fresca e spaziava
agilmente tra le letture di Chaucher e Metastasio,
piuttosto che di Montagne o Richardson. Tutto insomma
dava a presumere, tralasciando la già
menzionata debolezza, un roseo futuro per il giovane
nostro. Ma già appena compiuti i diciott'anni
vennero a mancare entrambi i genitori, l'uno poco
appresso all'altro, ed egli tra i funerali e l'ululato
del demone Dolore ereditò da loro una cospicua
fortuna, di cui spesso parlava accennando alla
vacuità di quelle che era a raffronto con la
perduta famiglia. Rupert, dopodiché,
sparì come d'incanto dalla mia vita. Pur
vivendo poco distante da me, che conduco la mia
esistenza da intellettuale perdigiorno fuor dai luoghi
cittadini, egli si staccò, lentamente, ma
sempre più, dalla mia amicizia e così
dovette pur fare con chi, con me, lo conosceva, tanto
che io parlando con questi di lui, mi stupivo dei loro
stessi timori, che erano poi i miei, ma confermati. E
cioè che il giovane Rupert Clausson dovette
essere cambiato assai in codesti ultimi
tempi,isolandosi in un pericolosissimo conflitto con
se stesso.
- Poi il tutto fu obliato così come le
carovane passano per le steppe illimitate e nessuno ne
incontra mai neppure le tracce.
- Tali riflessioni occuparono per me un lasso
brevissimo di tempo, come esse vennero così
partirono. Il biglietto era stato scritto su carta da
lettera, ingiallita ad arte e scurita per meglio
rassomigliante a quella che si definirebbe una
pergamena. Non portava marchi o timbri e la
calligrafia, ben definita e dalla gotica lacerante
differenza tra altezza e lunghezza, trovava ovunque
deboli accenti baroccheggianti e tutta assieme pendeva
verso destra in maniera civettuola. Calligrafia e
carta, dunque, mi fecero pensare che quantunque fosse
firmata da un uomo fosse stata scritta da una
donna.
- Probabilmente il signor Marvell era il medico
del mio amico:accennava difatti
all'impossibilità d'una diagnosi ed essendo
molto occupato aveva forse dettato alla
donna.
- Ma certo! Ella era la moglie del mio amico. E
prima che rammentassi ch'egli assai prematuramente,
forse per rinsaldare i mancati affetti e colmare il
vuoto che gravita a lui attorno, si fosse sposato,
già Tallos mi porgeva lo scuro e largo
impermeabile ed io lo raccomandavo alla casa. Ed
uscendo capii che io non avevo mai assistito, come
d'altronde tutti i nostri comuni conoscenti, al suo
matrimonio. E io sospettai; che cosa, ancora non lo
sapevo, ma sospettai.
- Non sapevo quale fosse la situazione a casa
Clausson, la moglie non si era affatto sforzata di
precisare o fornire ulteriori spiegazioni: assieme al
mio mi era oscuro quali potessero essere i nomi
indicati sul diario del mio povero amico: Pareva
volesse stare sul vago. E il suo servitore giunto a
recarmi il sospetto messaggio, avrebbe dovuto
perlomeno attendere ch'io lo leggessi per poi guidarmi
nella Newcastle addormentata. Fin da ora provai la
sensazione simile a quanto certe cose vengono portate
avanti solo perché si è costretti
duramente dalla circostanze, obbligate da fuori,
mentre al tempo medesimo con tutti i mezzi si cerca di
osteggiarle pur garantendole.
- D'un balzo montai in sella alla mia corvina
cavalcatura, col mantello che s'apri al vento quanto
Tallos spalancò i cancelli della stalla e
mentre il battaglio della chiesa di San Nicola
già rintoccava dodici volte io spingevo il mio
destriero tra le vie del seicentesco municipio e poi
giù a lato del Tyne tra i suoi respiri
affannosi e i suoi risucchi.
- Dappertutto il fiume riceveva l'acqua dalle
strade che la rigurgitavano a fiotti, e dalla
fognature bolle grosse come coperchi di pentole
trasparivano una nerastra luminescenza dallo sporco
contorno. Pure sui muri colava acqua e gli schizzi
dello zoccolo del mio cavallo che ne chiazzavano di
fango le pareti venivano trascinati dalle piccole
cascate, immediatamente. Ma l'acqua piuttosto che
discendere per il normale influsso della
gravità sembrava risalire le abitazioni verso
il cielo gonfio e impenetrabile, violaceo e livido,
che sceso a terra invertiva il moto degli astri e le
leggi sperimentali, sicché dal fiume ora i
pesci e i rettili invadevano e stridevano contro i
parapetti e gli argini. E i ratti ghignavano ai piedi
degli scarichi e mi osservavano.
- Lo spettacolo fu di una terribile bellezza
mortuaria e si stese per l'intera nottata con la furia
del divino castigo, chissà mai contro quale
babelica umana sfida.
- Pervenni non senza difficoltà alla
dimora di Clausson o a quella che nella cupa
uniformità notturna meglio univa le
reminescenze della mia memoria alle austere facciate
di quei palazzi settecenteschi. E tornato che fui
più volte, fradicio come l'ubriaca sete, sui
miei passi, entrai in uno di questi e affidato il mio
destriero al servo che ebbi il sentore essere il
medesimo che , fuggito da casa mia, mi aveva recato il
biglietto, entrai nell'abitazione; mentre alle mie
spalle in cancello si richiudeva con il risuonante eco
della risata folle d'un buffone. Ed io giurai che
proveniva dalla gola del servo alle mie spalle. Ad
accogliermi fu la spettrale presenza o la
concretissima non-presenza della moglie di Rupert, mai
veduta prima d'allora, eppure, ora me ne resi conto,
sempre percepita in lui. Ella, avvolta in una sontuosa
eppur logora veste, mi rimandò ai trascolorati
avvenimenti che precorrevano la situazione attuale. Il
marito, così fu dipinto dalle sue parole, dopo
il matrimonio aveva acuito con estrema lentezza rare
forme di disparati malanni, finché il suo
interesse accanito per le scienze aveva,
coll'imbrunire della gioventù, smarrito l'amore
per la donna magra ed avvizzita, sicuramente un tempo
bellissima, che ora mi parlava.
- Ma ancora prima di riporre in codesti fogli
tali avvenimenti, ch'ella s'apprestò con
pigrizia e mal dissimulata preoccupazione a narrarmi,
vorrei annotare certune di quelle male riflessioni,
pari a spifferi e mormorii di Demoni, che si
soffermarono con le loro dubbie insinuazioni nel mio
animo. Difatti, poco dopo essermi presentato alla
padrona di casa, fui invitato a cambiarmi i vestiti
sciupati e gocciolanti in una delle innumerevoli
stanze degli ospiti del pianterreno; quivi mentre tra
le camicie ne cercavo una che fosse pressappoco della
mia misura, udii qualcosa. Tale non fu un rumore come
gli altri, non provenne dal basso tantomeno dall'alto
e non mi sorprese al fianco. Era diffuso.
- Io rigirai con circospezione lo sguardo
nell'immobilità tetra della stanza, nella sua
quiete disturbata solo dai bagliori di un candelabro a
tre bracci che sulle pareti ora si gettavano, ora di
ritraevano, come duellanti di scherma. E li
osservai.
- E guardando la danza sul muro, non vedendo
null'altro se non il mio lento respiro e il mio cuore
ballonzolante, lo udii di nuovo, ma diverso e
più agghiacciante. E quando lui veniva, la
fiamma della candela oscillava come smossa dall'alito
di una creatura. Ma in quella stanza c'ero io, solo!
Mi sforzai di trattenere il respiro e tenni d'occhio
il candelabro. Il rumore giunse ancora, puntuale,
simile al rintocco d'un granello di sabbia in una
clessidra sospesa e sì, io le vidi, vidi che le
deboli fiammelle si incurvarono come sospinte da
un'aria che io non avvertivo sulla mia pelle.
- Ma finii col non dare più rilievo
all'incomoda percezione. E ciò l'avrei scontato
dopo, troppo tardi per tornare indietro.
- Ma non scavalchiamo il corretto svolgimento
della nostra storia. Allora uscii dimentico del tutto
e deciso a non fare parola della mia inquietudine ad
alcuno e fui così subito portato nella camera
del mio remoto compagno: non sarà mai
abbastanza torva e perniciosa la descrizione del suo
stato? E che dire delle mie immediate reazioni...
disarmante l'abiezione in cui tutto il suo fiacco
corpo versava. Era il dipinto vivente della morte:
supino con le braccia lunghe abbandonate nude, magre,
e secchissime lungo un corpo che, anch'esso
deplorevolmente ossuto, lasciava scorgere tra le
pieghe della camicia aperta un petto infossato
incapace di contenere quelle costole troppo cresciute
che si staccavano col loro disegno a ragnatela. Il
dottore s'alzò a rilevare il respiro del mio
povero amico - che stentavo a riconoscere così
orribilmente mutato - e mi spiegò che, dopo di
me, egli era il secondo uomo indicato dal diario del
signor Clausson; mi disse anche il terzo, che mai
aveva sentito nominare ma che in me, appena citato,
risvegliò d'un sol tocco un torpido stagno di
ricordi polverosi, il cui ritorno mi diede un
immediato senso di vertigine e imponderabile
pesantezza e pure quasi rimorso, presto corrotto in
una sacrilega violazione del mio passato, d'una
smarrita devozione che ora tornava e con essa un nuovo
antichissimo mondo attorniato dal suo carico di atti
perduti. Un senso di mestizia proruppe poi nel mio
animo, inacidendolo.
- L'uomo di cui si parlava era Joseph Traher,
anche questo un uomo che non pronunciavo e non sentivo
chiamare da anni. Interruppe, ricorda, il liceo al
terzo anno, quando già era radicata in noi la
confidenziale affabilità che solo tra amici
può instaurarsi, e rammento che il suo fu un
addio, poiché dovette trasferirsi dalla
famiglia, a sud, in Francia, dove suo padre moriva e
abbandonare le rive del Cam ove così sovente ci
riunivamo per studiare e passare i pomeriggi. Di lui,
disperate, arrivarono inizialmente poche lettere,
brevi, e in queste allora capii quanto la situazione
drammatica in cui si rigirava l'impresa del padre
influenzasse il suo impegno tanto da renderlo schiavo
dell'alcool e d'altri riprovevoli vizi.
- Ricordo che nell'ultima lettera egli portava
avanti tre lavori contemporaneamente, finendo collo
sgobbare diciotto ore filate se non di più,
senza mai ottenere che le sue capacità
particolarissime di fabbro potessero essergli
riconosciute. Dacché il tempo e la distanza lo
strapparono da me per recluderlo nelle sue bettole e
Rouen, dove tra un bicchiere e l'altro, parole sue,
testuali, sperava annegassero i suoi debiti.
- Dio! Tanto mi sentii pentito di essermi tanto
insuperbito da dimenticare quanti furono coloro che
con me avevano convissuto felicemente assai lietissimi
della mia vita. Tali erano or dunque i demoni che
strizzavano le vite d'amici? Friabili essenze umane.
Ma Joseph era morto e Rupert lo ignorava.
- Il mio amico ora pareva supplicarmi. Il dottor
Marvell descrisse in toni medici il suo stato ed io
ascoltai.
- Ma compresi ben poco. La mente era lontana...
oh, come dite? nulla di riscontrabile, dunque,
all'occhio della scienza? Ma certo, questo male era
dell'anima. Egli non mostrava malanno alcuno che
offrisse possibili cure, l'ignoto pargolo della morte
forse si nascondeva in fasce all'interno del mio
amico, un pargolo che crescendo l'avrebbe ucciso?
Null'altro che un'estenuante agonia?
- Decisi di rimanere, sospinto energicamente dai
rimorsi che mi attanagliavano, a soddisfare quello che
poteva rappresentare il desiderio ultimo d'un
incosciente moribondo. La notte e le ore passarono e
l'alba sorrise in faccia al palazzo ove la notte era
fuggita insonne, sola. La signora Clausson aveva
riposato quattro ore per poi ritornare nella stanza
ove il dottore Marvell ed io assistevamo suo marito,
con riverenza e crescente ansietà.
Ventiquattr'ore ci separavano dall'inizio del siffatto
stato funebre.
- Ma ecco che una dozzina di volte durante la
notte, mentre la signora e il servitore dormivano,
giunsero alle mie orecchi i suoni che già
addietro avevo riscontrato là dove, nella
camera per gli ospiti, mi avevano incuriosito se non
confuso e quindi seccato. Ora al momento non ne feci
parola, neppure al dottore, che dal canto suo sembrava
totalmente indifferente al suono, dirò
addirittura rapito od estasiato al contatto uditivo
colla fonte del rumore di cui, nonostante le diversi
volte che mi capitò di ascoltarlo, non saprei
dar l'ubicazione, perciò mi limitai a
registrarne gli effetti, imprevedibili e sensazionali,
che dall'impercettibile suono erano causati. E
cioè la continua oscillazione delle fiamme
delle candele, l'estasi del dottore o semmai il
sorriso pacato di chi pensa a qualcosa di gradito e il
mio malessere.
- Notai altresì, con sommo disappunto, che
un'altra stranezza, un altro di quei tentativi di
rallentare, ostacolare o al peggio sopprimere i nostri
interessamenti per il signor Clausson fosse stato
messo in atto: ovvero, il suo diario, che come
già era stato annotato sul messaggio che diede
inizio al mio coinvolgimento con l'agonia dell'amico
posava a lui accanto, era sparito.
- Questa volta ne parlai col dottor Marvell, ed
insieme lo richiedemmo alla moglie del nostro
paziente. Ella inizialmente si rifiutò
categoricamente di darcelo, asserendo che le
divagazioni e le prese di posizione del marito negli
ultimi tempi avevano toccato l'apice
dell'inverosimile, permettendo che fosse la pazzia a
governare l'inchiostro, ma infine, poiché
spazientita dalle nostre insistenze, lo dovette
prendere, indignata, ove l'aveva riposto, e dal
cassetto della sua camera - quando che lo porse -
passò alle nostre mani. Forse fu in
quest'occasione che pensai a me stesso, protraendo le
mie insistenze ben oltre quelle del mio socio e ben
lungi dal rispetto per le sue lacrime, come ad un
bruto, nel momento in cui dall'occhio la sua goccia,
ch'ella perse per distrazione e non sofferenza
incoercibile, cadde sul diario che con ambo le mani mi
accordava e che cadendo lo chiazzò, e mentre
l'acquoso neo s'allargava, la goccia scivolò
sulla mia mano che lo ritraeva verso il petto, e non
fu acqua ma tormento, sangue e speranza a disporsi su
di essa e a rigarmela sul dorso, e lei lo vide, ma non
se ne curò il suo occhio serpigno e lordo e
scarlatto.
- Quella donna nascondeva un'intelligenza
diabolica e tanto in questa confidava e tanto in
questa confidava e tanto questa era prepotentemente
minacciosa e letale in lei che non cercava di
celarla.
- Da tale evento, dai rumori indescrivibili,
soffocati e impercettibili, ma programmati come un
pendolo che mai s'arresta, io trassi lo sconforto e il
nervosismo che chiunque avrebbe contratto, dopo anche
due notti insonni, trascorse vigilando col dottore il
mio amico che, ahimè, mi stava venendo
sottratto.
- Peggiorò il mio stato. Anche il dottore
Marvell si rese conto ci quanto ci stessimo logorando
e a nostre spese mandammo a chiamare, mediante Tallos,
due infermieri, affinché fossero alleviati i
nostri patimenti fisici. Ma molto di più avrei
speso per i miei dolori all'animo! E per l'anima lesa
di Rupert! Erano il mescersi del rimorso colla
stanchezza, dell'isteria coll'attesa ma ancor
più il timore di provare paura per quella donna
e questa casa col proprio rumore di morte che mi
ferivano l'animo.
- La moglie del mio amico appariva
all'improvviso, nei peggiori momenti in cui la sua
presenza era assolutamente da evitare, silenziosa,
creatura notturna simile ad un'arcigna civetta, una
matrigna, una novera laida e accostumata assieme, un
demonio educato alla maniera inglese, la più
infida delle ancroie che mai l'uomo avesse avuto per
scempio o colpe, pena di asservire col matrimonio. Mi
chiedevo come Rupert avesse potuto sceglierla, poi,
chiaramente , da quelle da lei descritte come pagine
dettate da folli vocine di spiriti, emersero i fatti.
Vedova di un aristocratico caduto in miseria si
servì di Rupert e delle sue ricchezze per
riscattarsi dal degrado che l'aveva tanto
incattivita.
- Riporto qui di seguito pagine del diario di
Rupert C. Clausson, che subito s'impressero nella mia
memoria per quanto di spaventevole e di crudele
dovesse nascondersi nella realtà che lui viveva
e nella perfidia di quella donna.
-
- 14 Settembre. Dies nefas: la paranoia raggiunge
il parossismo. Sento la pelle bruciare, gli occhi sono
punti dalle spille di bambole cattive, di bambole di
pezza, ed è la Tessitrice d'idoli che me le
scaglia addosso. Io la venero, è vero, ma
ahimè! Egli disse: "Colui che avrà
perseverato sino alla fine sarà salvo." Eppure
io m'indebolisco, discopro ferite macilente ad ogni
risveglio, ma quando capirò che così
facendo io mi condanno? Come posso essere tanto stolto
da rinnovare ogni giorno il matrimonio che osannai e
volli? Esso è duplice, due sono le donne che ho
accanto... ma dov'è quella che sposai? Dove le
promesse e le felicità? Dove Dio ha relegato lo
scrigno del mio ultimo sospiro? Attendo un
risveglio... ma oramai sempre più temo che esso
non giungerà mai, verrà a coincidere ,
forse, col giorno in cui avrò il coraggio di
dirmi: "ho sbagliato, ora ricomincia meglio..." No,
già lo so, non accadrà mai! Dio!
- Morirò... capirò i miei errori
sul letto di morte, pavido di finirla col mondo...
incapace anche allora di rigurgitare il vero in faccia
all'Amore che mi incatena ad un suolo di
menzogne.
-
- 18 Settembre. Gli fu portato l'aceto e,
preselo, disse: "Tutto è compiuto." Tre volte
nominai la sesta parola nella penombra
dell'Anticamera. Poi mi gettai nello stato dormiente,
e vennero i lupi rapaci a divorarmi nei miei incubi
reali.
-
- 19 Settembre. Dio, dammi più forza! Ella
mi perseguita. Tengo codesti appunti al riparo
poiché mai mi perdonerebbe tali scritture.
Riesco sempre meno a mettermi in salvo, il
Marchingegno mi sta tirando fuori di senno, la follia
s'impadronirà mai del mio Amore? Potrò
continuare ad amarvi entrambe? Oggi il fragore mi ha
sorpreso più volte, ella magari sospetta le mie
resistenze prodigiose... e qui la pagina bruscamente
era stata recisa, e poco più sotto si leggeva:
sempre più accanto e mi sorveglia... e...
ciò il maligno... e due pagine dopo
riprendeva... tanto vale ch'io inizi ad annotare e
pianificare le mie risorse di salvezza. Solamente
esigue garanzie.
-
- 25 Settembre. Un elogio all'arte sublime della
matematica, sorella Scienza e amante Arte. Da essa
ricavo un linguaggio universale che solca i mari e
ritrae l'infinito con definita maestà, ad essa
mi sono consacrato e all'imponderabile sua religione
dell'empirico e del teorico io m'affido.
-
- 26 Settembre. Ma or dirò: vi
sembrò ammattire?
-
- Pagine strappate.
-
- 15 Ottobre. La crisi galoppa. Un cavallo nel
vento, per chi sa intendere. M'indebolisco, pensavo di
cedere molto prima alla Tessitrice e al suo mirabile
artificio meccanico. Un diavolesco ornitottero? Le mie
misure precauzionali s'inabissano e si infiacchiscono
mentr'ella trae giovamento dal mio lento perire. Il
mio profilo oggi ha incontrato uno specchio: "Cuique
suum reddit." Così vi era inciso e così
parlò la mia immagine ivi riflessa. E ho
stabilito lì sarà imprigionata l'anima
mia, chi mai saprà se pure nel mondo alla
rovescia tale mio amore si suicida? Mi sarà
restituita giustizia... e la vita perduta?
Potrò mai amare chi mi uccide? Chi lo fece oggi
è grande! Lodi a lui!
-
- Pagine strappate. (Innumerevoli).
-
- 2 Novembre. Ancora pochi rintocchi del
marchingegno ed io inizierò il lento
inesorabile cammino che reciderà, giorno dopo
giorno, ora dopo ora, il sottile filo che ancora mi
regge il respiro. Ripongo in quell'equazione il mio
fato. O figlie di Acheronte e della Notte abbiate
ancora pietà!
-
- 7 Novembre.
- O Tessitrice sposa, Tisifone amata,
- Sorella d'Aleppo vessatrice e dell'anguicrinita
Megera,
- Lugubri vesti e negri drappeggi
- Saranno degno sudario di chi,
- Per il marchingegno inglorioso,
- Cederà con l'egida di Cristo.
-
- 9 Novembre. Oggi apprendo quanto sia aspro il
tragico destino dell'uomo sulla soglia dell'Erebo. Ho
calcolato che il Marchingegno deve risalire per
costruzione all'incirca poco prima dell'anno mille e
cento. L'ho intravisto, nella sua incorporeità
camuffata, è una straordinaria opera di fattura
e ingegno, creato dalle mani esperte di templari sotto
la guida del guida del sapere arabo, più minuto
e piccolo e concentrato di quanto mai abbia ritenuto.
Ma la forza di distruggere non mi
appartiene...
-
- 10 Novembre. Oggi mi è stato impossibile
aprirla. Impazzisco e mi abbruttisco invilendomi con
quel suono che mi risucchia il cervello.
-
- 11 Novembre. La domestica è morta. Ella
subito come se già lo conoscesse in precedenza
ha provveduto per il suo sostituto... un nuovo
famiglio.
- Anche per Mary, che così oggi noi
gettiamo in pasto agli avvoltoi del ricordo, il
Marchingegno è stato fatale. Che le sterpaglie
e i roveti del tempo ne serbino l'indiscussa
fedeltà.
-
- 18 Novembre. Ho pregato Dio ed egli ha
acconsentito a quanto oramai sono disposto a fare pur
di vivere e non uccidermi, pur d'amarti, mia
Christine, e non offenderti e pur respirare,
Tessitrice, e non lasciarti vincere. Visiterò
il luogo da cui non si torna e
deciderò.
-
- 19 Novembre. Il progetto è terminato.
T'amo, Christine, t'odio Tessitrice, Dio restituiscimi
la prima con la perdita dell'altra che, poi è
la reale forma dell'essere che io chiamo ancora
Christine ma che non è altro che Sogno ed ora
Incubo.
-
- 20 Novembre. Tenderò. Confido in chi
m'affido!
-
- Le pagine successive a queste erano state
strappate interamente fino alla già menzionata
del 22 Novembre:
-
- 22 Novembre. E... A.M..., Henry Arthur Marvell,
Joseph Traher.
-
- Marvell ed io non osammo credere inizialmente a
quanto giorno dopo giorno emergeva tra quelle
sporadiche annotazioni. Poi decidemmo d'agire.
Immediatamente e di priorità imprescindibile.
Egli s'era affidato a noi, nelle mani del suo medico
curante e di due vecchi amici.
- Anzitutto, ancora mentre si sfogliavano le
pagine, il dottore scoprì un rotolo di carta
ove alla chiara calligrafia di Rupert si confondeva un
intrico logico di ineguagliabile difficoltà di
soluzione. Questo avvenne casualmente poiché il
nostro avversario (non dichiarato!) - Marvell stesso
si ricredette dell'apparente integrità morale
della moglie e del servitore - probabilmente autore
dello sfacelo del diario, non si era accorto, come
noi, al principio (fortunatamente!), che all'interno
della copertina, spessa e compatta, del diario, era
celata, più volte ripiegata con cura, logora ed
usurata, ma ancora bel leggibile, una pagina, una
notazione insomma, recante il problema a cui ho
accennato sopra.
- Non riporterò di certo le
astrusità geometriche e matematiche ivi
contenute sotto il titolo di: "Illogica questione
d'una cassaforte ingegnosa". Ruberebbe troppo spazio
che affatto non gioverebbe ai fini del nostro
racconto, in fondo pur essendo, e me ne congratulo con
Rupert, un cervellotico e ingarbugliatissimo dedalo di
calcoli e raffinatissimi conteggi degni del più
zelante e caparbio degli abbachisti. Ma certo! La
cassaforte in salotto! La chiave si nascondeva
lì, per certo!
- La donna ci lasciò fare, ignorando i
nostri intenti, colla massima preoccupazione di
sorridere ai devastanti effetti che quella diabolica
macchina, celata dietro chissà quale parete del
sinistro palazzo, aveva sui nostri fisici. Così
in breve tempo, animati dal demone Speranza, a fianco
del letto ove i due infermieri a turno lavoravano sul
povero Rupert, Marvell ed io allestimmo una notevole
lavagna sulla quale avevamo riportato i dati
dell'enorme quesito. Sicché, Marvell i giorni,
io le notti, avremmo potuto lavorare, con due ore
combacianti di ragguaglio e confronto all'equazione
gigantesca che lentamente di riduceva e si intravedeva
tra le sfumature d'incognite sui nostri appunti e
sulla lavagna. E da lì, ne eravamo certi
sarebbe sorta la combinazione per la cassaforte e la
salvezza. Rupert frattanto, aveva diminuito i battiti
del cuore come in un sogno che sempre più
sconfinava in morte. Diminuì pure il respiro, e
a detta di Marvell e degli infermieri non avrebbe
retto ancora tanto a lungo. Il che si vedeva da
sé, poiché il biancore diveniva quasi
trasparenza.
- Eppure visse ancora, il suo stato si
stabilizzò, mentre, però, sua moglie
rideva alle nostre spalle e dei nostri sforzi e ci
puniva, ogniqualvolta noi risolvevamo una riga delle
innumerevoli, scatenandoci addosso le ire del
Marchingegno che ora, anch'io come Rupert, odiavo e
fuggivo incapace di umane reazioni. E inoltre non mi
erano possibili altre strade, cosa potevo tentare?
Nulla, assolutamente niente. Dovevo solo resistere e
aver fede, eppure... no! Ma che dico? Sapevo benissimo
di non essere in grado di evocare uno sforzo di fede
come quello di Rupert...
- Trovai difesa e conforto contro il maledetto
Marchingegno tra le pagine del diario del mio amico,
la sua forza, la sua determinazione e la sua poesia mi
entravano dentro, nel profondo dell'anima, ed io le
rendevo mie. E come lui rivissi gli attimi di terrore
quando quel suono ti penetra dentro, ammaliante eppur
letale e poi scompare, così come viene; ma tu
sai che la prossima volta sarà ancora
più atroce perché i suoi figli, il suo
eco, è ormai al tuo interno e ti sviscera di
continuo.
- Poi anche in me fu delirio. Mi procurai dei
tappi per le orecchie, giunsi persino a pensare di
farmi colare cera bollente fino ai timpani - e ci
pensai solo ora perché il Marchingegno mi aveva
ingannato, mi aveva illuso assicurandomi che ce
l'avrei fatta a sopportarlo ed io, stolto, gli prestai
fede - finché realizzai, al primo tentativo,
che il rumore ciò nonostante dilagava
ugualmente, troppo sottile per essere fermato da un
impedimento fisico e come se già fosse in me,
irrimediabilmente catturato dalle pareti del mio
cervello. Sì! lo sentivo aggrapparmisi
dentro.
- Fu non senza astio che gettai in strada l'unico
rimedio possibile contro il Marchingegno. E la donna
mi vide... alla finestra dell'altra ala del palazzo,
la tenda di poco scostata, una debole luce soffusa
d'una lampada ad olio e un viso impenetrabile, ma
cattivo!
- Proseguimmo nella decifrazione di quell'oscuro
messaggio matematico, come l'equazione si appianava,
così ora, per un errore, si ritraeva con un
balzo ai nostri intelletti avidi di risposte,
rigirandosi ancor più su se stessa e sulle sue
spire.
- E la donna ci osservava, spiava e non
comprendeva il nostro lavoro, solo i due infermieri le
riferivano lo stato del marito, e pur non capendo e
rodendosi per questo, mai ci fece mancare nulla, mai
un ritardo coi pasti che ci portava Tallos, mai un
segno per congedarci dalla sua abitazione, ma solo una
sfida... una sfida lanciata contro di noi, troppo
umani a confronto del suo mostruoso progetto, ai suoi
diabolici mezzi, al suo Marchingegno.
- Ma ogni Speranza ormai era stata assassinata a
ghiado col pugnale dell'evidenza.
- Il tre dicembre, dirò allora, alle ore
5.00 del mattino, sei delle nove cifre che componevano
il codice d'apertura della cassaforte erano state
trascritte.
- Come prima di noi altri avevano avuto modo di
sperimentare , il Marchingegno già pareva aver
mutato in scherno le sue note prima di sfida e
avvillimento... era forse il segnale che eravamo
perduti? Io e Marvell - da tempo anche lui al corrente
del terribile essere o meccanismo - ci guardammo. Dio!
quanto eravamo diversi e stanchi, sfiniti da quella
corsa infinita che ci gelava i respiri tra le brume
delle notti insonni, o che bruciava le nostre menti,
con lentezza, sulle fiamme deboli dei candelabri, che,
scosse dal suono del Marchingegno, avvampavano
irose.
- Due giorni dopo Marvell mi lasciò solo.
A mezzanotte lo trovai disteso in una innaturale
posizione freddo e morente.
- Un infermiere fuggì, in piena crisi, fu
costretto dalle mie urla a ridestarsi e a prestare
soccorso... ma era inutile, cosa chiedevo? Solo la mia
disperazione e la mia vita necessitavano di soccorso
ora, Marvell era spacciato! Il Marchingegno gli diede
il colpo di grazia e quando allora suonò, col
suo suono che non s'udiva ma era tra noi io vidi i
denti di Marvell conficcarsi tra loro nei suoi
denti... così che egli ne morì. E allora
l'infermiere spossato dall'ennesimo suono
scappò di corsa da quel palazzo che io non
abbandonavo da due settimane. Ora temevo che il
prossimo assalto del Marchingegno mi
finisse...
- Non so neanch'io perché l'idea di uscire
da quella casa non mi si pose nemmeno, ma capii solo
in seguito quanto io abbia grattato sul fondo della
mia ferinità, e quanto fosse allettante quella
irresistibile tentazione.
- Gettai il viso tra le lenzuola del letto ove
riposava Rupert, sua moglie era sparita, ma chi non
sapeva che in realtà ci stava spiando dietro
chissà quale muro, godendosi le agonie delle
sue vittime. Era lì disteso dal 22 Novembre, ma
perché? Rifiutavo oramai una ragione medica.
Ormai pensavo che il solo scopo dell'esistenza della
moglie fosse quello di tormentare il suo disgraziato
marito, questi incapace di odiare colei che aveva
sposato per riavere la famiglia che tanto brutalmente
gli era stata sottratta, si era inchinato al suo
flagello alzato.
- E allora m'interessò soltanto, come solo
può importare ad una bestia, mosso come da
belluino istinto animalesco, il sapore della vendetta.
La mia forza stava risorgendo nella furia omicida che
spinge chi più non spera, nel buio di se
stesso, ad arrancare così come, prima che siano
la legge, la follia o Dio a rattenerlo, contro
chiunque egli ritenga suo nemico e cioè chi lo
svalutò e lo sospinse a tale inumana abiezione.
Così io, forse, in preda ai miei istinti, anzi,
per certo da questi domato, affrontai le ultime righe
dell'equazione maledetta. Lì, pregai Iddio che
nessun errore, nessuna complicazione di sorta
s'immischiasse coll'ultimo tentativo: uno sbaglio
voleva significare il rifacimento di innumerevoli
passaggi e per me, la follia. Poiché tal
periodo, breve o esteso non so dirlo, fu concitato e
battagliero quanto lo smeriglio audace, mi parve, nel
centro del caos che tentavo di riordinare e per quanto
io riuscissi a ragionare in quegli istanti ed a
ricordare ora quel che pensavo allora accadesse, che
il cervello e l'animo si affaticassero insieme, si
avvicinassero per salvare il mio corpo e avvinghiati
che erano, separarsi come i riflussi delle maree dalle
rocce degli scogli. Ed io persi la cognizione del
tempo, arrivando a dilatarlo o a restringerlo col solo
movimento del polso, e con esso fu smarrito il senso
spaziale delle cose, dal momento che l'arredamento si
sfaldò ai miei occhi come crema di latte fino
a sciogliersi sotto la pressione del mio sangue. Le
tempie mi dolevano e credetti di essere svenuto quando
scambiai il pavimento per il soffitto, eppure
l'equazione, o meglio i suoi risultati, gli ultimi tre
numeri, l'uno dopo l'altro, si materializzarono ai
miei occhi. Essi combaciavano perfettamente con le
cifre, dall'uno al trentasette (questo le scoprii solo
in seguito) dei dati da noi utilizzati per la
risoluzione dello stesso problema, pertanto leggendo
alternativamente i numeri, tutti i dispari, saltando
cioè i pari, si potevano osservare subito i
risultati del teorema! Come non accorgersene dopo che
già sei erano stati svelati? sarebbe bastata
una occhiata veloce al testo iniziale! Sarebbe stato
sufficiente girare la lavagna per rendersene conto! Ma
ormai era troppo tardi! Rupert era riuscito a stupirmi
ancora, così facendo tutti quelli come noi
erano tratti in inganno! In fondo la matematica era
l'arte dell'organizzazione, egli aveva sempre
sott'occhio la combinazione nel suo diario, nei dati
di un problema che risolto li restituiva dopo immani
sforzi di giorni! Ma io ebbi l'impressione che lui
avesse voluto che io risolvessi l'equazione dopo tutto
questo tempo, per temporeggiare e fare non so che cosa
in tale immobilità. L'esaltazione fu immediata
e sconvolgente, la soluzione a lungo preclusa era ora
mia; la conquistai così come il filosofo, tanto
impercettibilmente, d'un solo balzo della ragione, per
un inconscio meccanismo di sillogismi e di deduzioni
anche istintive, scruta, comprende e prevarica la
Verità.
- Mi gettai in salotto e, con trepidante attesa,
mossi il meccanismo della cassaforte e, una alla
volta, furono inserite le cifre della combinazione.
Scattò la prima, seguita dalla seconda e la
terza... e così la quarta! Scattarono la quinta
e la sesta cifra! Cielo! Dio! fate che non abbia
sbagliato ora! La settima corrispose. Ne mancavano
due, solo due! Non ora! Con gli occhi chiusi e i nervi
tesi ascoltai lo schiocco della ottava mandata dirmi
che era con me, il sudore mi aveva macchiato la
camicia, tremavo dall'ansia, Rupert poteva essere
salvato dal terribile Marchingegno! Dovevo muovermi!
Io stesso non avrei resistito molto! Lo sapevo,
qualche battito ancora della macchina e sarei affogato
nella mia follia... strinsi il cuore, gli implorai di
non far rumore... e la nona cifra... fu l'ultima.
Esatta! Non credetti a me, pensai solo per un istante
al dottor Marvell, quindi aprii la cassaforte,
febbricitante.
- E vidi qualcosa di tremendo.
- Uno specchio, largo e alto quanto l'interno
della cassaforte con una cornice di legno nodoso, si
trovava là dentro, ma questo non era solo, con
lui o meglio in lui, riflesso nella sagoma della mia
immagine che si delineava e seguiva i miei movimenti
sulla superficie perfetta del vetro, era raffigurato
come in un'icona russa il suo volto, il volto del mio
più caro ed unico amico. Egli, in me, era tale
e quale io l'avevo abbandonato sul letto, tra le
lenzuola sporche e sudicie, eppure in quel momento io
sentii di non essere completamente me stesso, anzi di
non esserlo affatto e tuttavia ero cosciente di quanto
accadeva, di quanto attraverso il mio corpo stava
avvenendo. E fissando senza interruzioni lo specchio,
osservai che si offuscava e si incupiva di continuo, e
infine, finalmente, al posto del volto di Rupert, si
intravide il mio, e vedendolo m'accorsi di quanto
fosse smagrito e teso, ma soprattutto notai di come i
miei occhi mentre io li fissavo al di qua del vetro,
al di là dello stesso fossero chiusi come poco
prima lo erano stati quelli di Rupert. E fu in quegli
istanti che tutto avvenne come nel peggiore degli
incubi, dove assisti impotente al tuo destino. E
così fu per me.
-
- Mi mossi, mi alzai e cercai una donna, cercai
la Tessitrice, non so per quale motivo volli chiamarla
Christine, ma lo feci e lei di questo nome rise,
ghignò mentre il volto trasudava la sua
cattiveria, mentre la sua apparenza svaniva e di lei,
del suo astuto inganno, non rimaneva che il vero, di
lei, donna, intravidi il lato bestiale e demoniaco e
come se questo non fosse il suo mondo, quella cosa
scomparve, capendo solo allora che l'intelligenza di
un uomo aveva sconfitto la malvagità d'un
diavolo. Rupert aveva viaggiato durante quel periodo,
stando fermo sul suo letto, e come riportavano le
pagine dei suoi diari, egli aveva visitato con Dio,
tanto la fede era ricolma in quest'uomo, il suo futuro
e tra i cieli aveva imparato ad odiare la donna che
aveva stravolto la sua vita e aveva capito che quel
suo amore era per una moglie che non era più.
Mi mossi ancora, aprendo porte in quel palazzo che
nemmeno immaginavo esistessero, e andai in un luogo,
oscuro e recondito, addirittura al di sotto della
cantina. Non capii cosa giudasse i miei passi ma ora
ero certo, ora che assistevo a quando dovevo vedere
che quella non era la mia andatura, che quella persona
non ero io. Ma scesi ancora passando per una piccola
scala e penetrai in un cunicolo, qui sul fondo,
incastonato nella pietra sulla quale era stato eretto
il palazzo, si trovava uno strumento, simile ad un
pendolo, regolato da sottili fili di rame e ingranaggi
d'ottone, con due piccole clessidre affusolate ai lati
che potevano essere rigirate da assi di legno. Lo
riconobbi: era il Marchingegno.
- Ora capii cosa aveva causato la mia follia in
questi giorni. Era una macchina magnifica, l'uomo ama
tanto l'ingegno, non lo distrussi, lo avrei spento,
era stato uno strumento del demonio, nelle mani di
quella donna aveva ucciso il dottor Marvell e la
domestica e chissà quante altre persone, l'uso
che ne era stato fatto mi fece schifo, ma in sé
era una tentazione irresistibile, non volli
distruggerlo. Ma presi una ganga che poggiava alla
parete, o almeno le mani la strinsero con una rabbia
che non conoscevo, non andava colpito così
duramente, Dio, le clessidre vanno in frantumi, ma chi
muove le braccia? chi lo fa a pezzi? fermati! Il
marchingegno ora non canterà più! Era
stata perduta una grandissima invenzione, e solo ora
avevo capito che era stato il suo giustiziere: la sua
vittima! E piansi per la giustizia.
-
- Mi risvegliai poco dopo che questo accade, ero
nel letto di Rupert, ero al suo posto, anzi per poco o
anche molto tempo ero stato Rupert. Avevo gli occhi
chiusi ma immediatamente non li aprii. Mi vennero in
mente tutte le ultime vicende. Capii, così, che
mentre io fissavo lo specchio che era custodito in
quella cassaforte qualcosa che superava l'umana
comprensione era avvenuto, qualcosa a cui si poteva
solamente credere. Solo la fede talvolta poteva dare
quelle lezioni di grandezza ... mi credevo un
intellettuale, pensavo che tutto potesse essere
abbracciato dalla mia comprensione. Ahimè!
Tanto m'illusi, tanto ero umano!
- Aprii gli occhi, qualcuno stata risalendo i
gradini, sentii lo strascicare di piedi avvicinarsi,
poi prima del volto dell'amico che avevo salvato dalla
Tessitrice e che ora mi salvava dal Marchingegno, vidi
la vanga sporgersi dalla porta. la teneva in pugno,
era la vanga con cui aveva distrutto il Marchingegno.
Sì, era come avevo pensato. Al contatto con lo
specchio io ero divenuto il morente, lui il
folle.
-
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