Ha pubblicato il
libro
-
- Marco Spinicci, Oltre
l'orizzonte, editrice Montedit, 1997,
- pp. 32, Lit. 6.000, ISBN
88-86957-25-4
-
- PREFAZIONE
-
- La prima e più importante chiave di
lettura per intendere la poesia di Marco Spinicci
è offerta dall'autore stesso nelle poche
parole premesse alla raccolta: siamo immersi in un
"mondo di segni" da svelare, ci dice, e la poesia
non può essere altro che "ricerca di
radici". Poche parole che hanno tutto l'aspetto di
una vera dichiarazione di poetica: fuori da questo
difficile cammino di ricerca, pare concludere
l'autore, non c'è poesia. Essa, per dirsi
tale, deve abbandonare ogni facile compiacimento
sentimentale e descrittivo per addentrarsi senza
timore nei segreti rapporti tra le cose, cercando e
creando analogie che nella loro inusitatezza
facciano scaturire la scintilla della vera
comprensione.
- Ricerca di radici e di significati, dunque;
entrambe quanto mai necessarie in un'epoca che
tende a bruciare la storia di ieri - e figuriamoci
quella un poco più remota - e vive di segni
e immagini che spesso dei significati non sanno che
farsene.
- Marco Spinicci cerca le sue, e le nostre,
radici in un mondo agreste e contadino che si
riveste dei colori del mito apparendo svincolato da
qualsiasi precisa connotazione spazio temporale.
Paesaggi e figure umane emergono lentamente,
evocati da parole di uso comune scelte con estreme
cura e attenzione; parole che accompagnano come
musica silenziosa il sollevarsi del vento, delle
prime nebbie d'autunno, lo schiudersi della
primavera; parole che ricalcano, con i loro suoni
sommessi e modesti, quelli della natura e quelli
dei pensieri più intimi e segreti che
mettono in relazione l'animo dell'uomo a quello del
mondo. Esemplare in questo senso la poesia che
significativamente apre la raccolta, "Era una
nascita quell'attesa"; qui, in un'atmosfera sospesa
che pare un respiro appena trattenuto, ci si
compone dinanzi agli occhi, nel primo quadro
disegnato dal poeta, l'immagine di una campagna
nebbiosa, all'imbrunire, e di uno dei genitori, la
madre, che attende una bicicletta che, "facendo
gemere il ghiaino", annuncia il ritorno a casa del
padre. Successivamente il quadro cambia e ci
troviamo sbalzati in una camera d'ospedale; la
sensazione di attesa resta tuttavia la medesima,
mentre l'occhio della cinepresa si sposta ora anche
sul figlio, fermo a letto, e sui suoi pensieri:
"nell'allungarmi fece gemere / le mebrane del
mondo", scrive lo Spinicci; e così, con due
soli versi, riesce a realizzare un felicissimo
collegamento tra l'uomo e il mondo, proponendo
altresì la suggestiva immagine di una
sofferenza individuale che diventa cosmica nel
momento in cui si riesca a porgere l'orecchio al
sotterraneo rumore della natura, al suo palpitare
così vicino a noi. Si capisce così
come ogni attesa possa diventare una nascita,
l'emergere dalla natura di nuove correnti di forza
che si alimentano a vicenda.
- L'ascolto e la silenziosa contemplazione,
che necessariamente accompagnano la ricerca di
radici, si configurano dunque come due tra le
caratteristiche più rilevanti della
raccolta, imprimendo, come si è detto, il
loro segno alle scelte lessicali e metriche, le
quali prediligono suoni sommessi e versi brevi e
melodiosi.
- Gli stessi suoni che ritroviamo nelle
liriche dedicate al tempo dell'infanzia. Sia
chiaro: anche in questo caso Spinicci non si lascia
prendere al laccio da facili luoghi comuni,
nè si accontenta di mettere in rima
fanciullezza con purezza. L'infanzia viene evocata
di sbieco, senza mai nominarla direttamente; e si
svela dapprima in una lirica sognante come
"Autunno", dove è facile indovinare, dietro
quel "vetro appannato" da cui "non s'intendeva
l'autunno" gli occhi bambini del poeta stesso,
cullato da "dolci lenzuola di fanciulle e coccolato
da lavorio di lieviti"; ritorna poi, trasferita in
altri fanciulli teneramente chiamati "Miei bambini"
(la lirica è "La strada della vita") e qui
assume i toni di un'invocazione alla strada, che
non consumi le mani di chi, già grande,
faticosamente arranca verso una meta, faticosamente
cerca di costruire una propria piccola
felicità insieme ai piccoli uomini che gli
stanno attorno. Infine, il confronto tra bimbo e
uomo adulto è presente nella bellissima "Il
tuo sorso d'acqua", dove la sorpresa e il mistero
della paternità sono suggestivamente
riassunti in pochi efficaci versi sospesi tra cielo
e acqua, tra quel cielo dove abitano il vento e le
nuvole e quel sorso d'acqua generatore di vita
sulla terra e in ogni uomo.
- Come si vede, la vocazione per così
dire cosmica del poeta, quel suo sentirsi parte di
un tutto più vasto è sempre presente;
ma non costituisce, si badi, un mezzo per sentirsi
onnipotente. Al contrario, Spinicci conosce bene
quanto limitata possa essere la capacità di
comprensione dell'uomo. Il quale, se da un lato
deve recuperare la possibilità di una vita
più armoniosa con ciò che lo
circonda, d'altro lato - proprio in virtù di
quest'armonia - deve sentire che esiste una
volontà più forte della sua e a lui
incomprensibile; una volontà ben
sintetizzata negli ultimi versi di "Mi adeguo: E
all'ombra che rimane / di un solo granello di luce
/ mi adeguo / perché lì vi è
la mano del figlio / silente / che aspetta, tra
tutte / quella sicura del padre"; una
volontà esplicitamente evocata in
"Così Dio ha voluto", dove in un breve ma
imponente crescendo l'uomo viene rappresentato come
motore dell'universo, creatore finanche della luce
di quelle stelle di cui egli ha tuttavia bisogno:
"perché oscuro tutto è di me / che io
voglia e non voglia".
-
- Olivia Trioschi
-
-
-
|