- Danzando
nel buio
-
- Lo spettacolo era
terminato ed il pubblico tributò un'ovazione ai
protagonisti della serata. Il maestro, l'orchestra e
quel corpo di ballo, proveniente da Israele, che si
era trasfigurato in un repertorio di
sardane.
- La tournée
era finita, con quell'ultima esibizione in Catalogna.
Un rapido giro d'Europa, costruito sulle città
che accoglievano le principali comunità
ebraiche e su uno spettacolo dal respiro etnico, la
cui formula alternava la tradizione dell'antica musica
giudaica a fedeli omaggi alla danza del Paese
ospitante.
- Quando il sipario
si riaprì, per la seconda volta, i ballerini si
disposero a ventaglio e introdussero l'ingresso di
Michal, la coreografa.
- La donna esile e
raffinata, giovanissima per il suo ruolo, comparve dal
retroscena con movenze avvedute, come se non volesse
uscire dal sentiero di fiori che trapuntavano il
palcoscenico.
- In realtà
stava mascherando il suo portamento claudicante, gli
undici, indelebili sfregi che altrettante biglie di
ferro, esplose da un Kamikaze palestinese, le avevano
lasciato sulle gambe in una nitida mattina di
dicembre.
- Ogni passo,
così misurato, le era innaturale e le provocava
una fitta lanciante. Con la stessa, torpida sofferenza
si chinò a raccogliere una rosa e la
offrì a Vered, la sua grande amica ed ora prima
ballerina della compagnia: era un gesto intrinseco,
perché Vered, in ebraico, significa rosa e
perché quel fiore racchiudeva l'ideale
passaggio di consegne tra Michal e la sua
compagna.
- Il sipario si
richiuse, definitivamente, ma la coreografa attese
ancora un minuto prima di strascicarsi lungo le scale
ed il corridoio che costeggiava i
camerini.
- Vered l'aspettava
davanti la porta del suo spogliatoio personale con la
rosa tra le mani: "Grazie" esordì accennando al
fiore di cui aveva pienamente compreso il simbolico
valore "ma confidavo nel nostro, e dico nostro,
successo per vederti finalmente libera dal tuo passato
di ballerina!"
- Con tono supponente
Michal rispose:
- "Io non posso
concepire la mia vita senza la danza, ma la danza
è un arte del corpo. Una coreografa, invece,
balla di cuore e di testa. Siete voi che avete dato
forma ai miei pensieri ed alle mie emozioni. Mi sento
come un pittore che coglie una luce speciale nel
paesaggio di ogni giorno, ma non ha mani per mettere
sulla tela quell'immagine e allora la spiega al suo
allievo, lo segue in ogni pennellata fino a scoprire
che la realtà è già mutata da
come la voleva raffigurare."
- Vered
l'aggredì:
- "Liberissima di
autoflaggellarti di ricordi per tutta la vita; ma
nessuno può appropriarsi del tuo
dolore!"
- "È vero"
ribatté Michal con la solita modulazione
monocorde "perché le vostre impeccabili movenze
sono dettate dalla gioia. Ricordi il giorno
dell'attentato quando tu gridavi di alzarmi ed io non
potevo muovermi? Ecco, vorrei solo tornare a danzare,
ma non sento più nessuna voce, neppure dentro
me stessa, che mi incita a farlo."
- "Quei suoni non si
sono spenti. Tu hai smesso di ascoltarli,
dimenticando, come disse il chirurgo che ti
operò, che tornare a ballare sarebbe dipeso
soltanto da te!"
- La coreografa non
ebbe modo di replicare: Gali, la più giovane
componente del gruppo, l'avvertì, con infantile
emozione, che un giornalista la stava attendendo nel
foyer.
- "Per quale rivista
scrive?" Chiese Michal in un mix di insofferenza e
curiosità. "Non lo so!" rispose Gali "Ha
esibito l'accredito stampa e poi ha chiesto
espressamente di te".
- Michal
zoppicò velocemente fino al vestibolo. Prima di
entrare si ricompose, come aveva fatto dieci minuti
prima sul palco e decise che l'inglese sarebbe stata
la lingua ideale per dare un tono professionale e
spersonalizzato a quell'incontro.
- La donna si
compiacque della sua tattica quando vide che i
lineamenti del giornalista tradivano una chiara
origine mediorientale. Questi, seduto su una poltrona
di velluto, accolse Michal con un sorriso cordiale ma
non si alzò e quell'insolenza indispose
ulteriormente la donna:
- "Mi ha
cercato?"
- "Solo se lei
è Michal Keret, la coreografa dello splendido
spettacolo cui ho appena assistito e di cui vorrei
raccontare la storia!" rispose il giornalista in
perfetto inglese.
- "C'erano trenta
ballerini in scena" lo provocò Michal "e, tra
loro, almeno due talenti destinati ad esibirsi nei
teatri di tutto il mondo nel giro di pochi anni e lei
pensa che la protagonista di questa serata sia la
sottoscritta!"
- "Io non sono un
critico artistico" spiegò il cronista "spetta a
loro decretare il trionfo della vostra esibizione e
predire un luminoso futuro ai giovani artisti. Io sono
solo un free-lancer, cerco storie singolari da vendere
al miglior offerente, e mi sembra che una coreografa
ebrea, per di più claudicante ma capace di
allestire un'inappuntabile interpretazione di danze
catalane, possa rappresentare un punto di partenza
ideale per un articolo."
- "Come lo sa?"
chiese Michal, confusa dalla rivelazione del suo
stato.
- Per tutta risposta
il giornalista si levò in piedi e percorse un
breve tratto del foyer zoppicando
vistosamente.
- "Diciamo che ho una
certa esperienza in materia!" Esclamò
sorridendo e rimettendosi seduto. "Posso riconoscere
uno storpio quando s'impone di camminare normalmente
dai lineamenti alterati, dalle contrazioni muscolari,
dal profumo, intriso di dolore, che emana ogni suo
gesto. Per anni ho cercato anch'io di nascondere il
mio stato, frutto di un incidente automobilistico per
arrivare, davanti a tutti, sul posto dello scoop. Fino
a quel giorno ero stato un brillante
inviato.
- L'alternativa era
diventare un redattore, un assemblatore di pagine,
come io chiamo i giornalisti da scrivania. Ho deciso
di emigrare, di mettermi in proprio ed ho smesso di
correre contro il tempo. Lascio che le cose seguano il
loro corso naturale e cerco solo di cogliere l'attimo
per ripercorrerle a ritroso perché il passato
ha il ritmo che scegliamo noi. Quando ho capito tutto
questo, ho anche scritto il mio primo articolo da
free-lancer. Era la mia storia, neanche tanto
romanzata, eppure me la pagarono
profumatamente.
- Adesso vuol
parlarmi di lei?"
- Michal era
frastornata dalla razionale autobiografia di
quell'uomo e si ritrovò ad esordire con un
banalmissimo:
- "Mia madre mi
iscrisse alla prima scuola di danza classica quando
avevo solo cinque anni
"
- All'inizio il
racconto di Michal era un condensato di luoghi comuni,
per di più esposto tra mille titubanze.
Tuttavia il giornalista non intervenne mai.
Incoraggiava la donna con un perenne sorriso di
curiosità e ciondolava ritmicamente la testa in
avanti e indietro in segno di
comprensione.
- Il calcolato
silenzio del suo interlocutore aveva un certo effetto
manipolatore: Michal non si rese conto che stava
svelando la sua vita ad uno sconosciuto quando si
addentrò in quei ricordi che, fino a pochi
istanti prima, avrebbe desiderato
rimuovere.
- A quindici anni
abbandonò il tutù e le scarpette di raso
per dedicarsi, con adolescente incoscienza, alle danze
etniche.
- L'insegnamento
classico, combinato ad un talento naturale, fecero
della ragazzina riccioluta, dai capelli lunghi e
scuri, un interprete ineguagliabile, alla quale
critici predicevano, senza fatica, un futuro
radioso.
- Le luci della
ribalta si spensero una limpida mattina di dicembre
sotto il Monte degli Olivi a Gerusalemme. Un kamikaze
palestinese, col suo carico di odio ed esplosivo, si
scagliò contro un autobus di coloni. Michal e
Vered erano solo di passaggio, dirette, come facevano
cinque pomeriggi la settimana, alla scuola di
danza.
- Uno sciame di
schegge impazzite si abbatté sulle ragazze:
Vered ne uscì miracolata, Michal con tredici
biglie in corpo, undici nelle gambe e due nella
schiena che tolsero ogni sensibilità ai suoi
arti inferiori.
- Michal antepose al
terrore per l'attentato quello di aver perso gli
strumenti per ballare. Solo al risveglio
dall'anestesia, cercando di inarcare i piedi in un
esercizio che ripeteva ogni giorno, provò un
dolore crudelmente liberatorio che le restituì
l'interezza del suo fisico.
- Dopo sei mesi di
fisioterapia comprese che interezza non significava
integrità.
- Nelle prime sedute,
dottori ed infermieri, la fissavano negli occhi e
promettevano che sarebbe tornata a piroettare sul
palcoscenico. Poi il loro sguardo cominciò a
vagare, e con diagnosi sibilline, riversavano sulla
forza di volontà le menomazioni dei suoi
muscoli, delle sue ossa, dei suoi nervi.
- L'ultima ipocrisia
fu di mettere a disposizione la stanza della
riabilitazione per ospitare gli allenamenti del corpo
di ballo: una bimba sgraziata costretta
all'improponibile confronto con lo stile e la
maturità dei suoi compagni. Un corpo
ingombrante che zavorrava la naturale evoluzione
artistica della "sua" troupe.
- "Fu allora che
decisi di propormi nel ruolo di coreografa."
concluse Michal
"L'estremo appiglio per restare aggrappata al mondo
della danza. Non sempre il passato ha il ritmo che
scegliamo noi. I miei ricordi ballano ancora al tempo
del rimpianto."
- Era la battuta
finale: il giornalista spense il registratore
tascabile in cui aveva raccolto ogni passo
dell'intervista e chiese a Michal se poteva avere un
fotografia che la ritraesse in costume di
scena.
- "Provi nel camerino
di Vered" sviò la donna. "Ha l'abitudine di
tappezzarlo con vecchie istantanee!"
- "Un'ultima regola"
disse il cronista "Prima di venderli, sottopongo
sempre i miei pezzi all'approvazione della persona che
ho intervistato. lo spedirò al suo indirizzo di
posta elettronica tra qualche giorno."
- "Si attenga ai
fatti" lo ammonì Michal, "e scriverà
solo della viltà di questo corpo,
signor
"
- "Hamza Kheir"
rispose con un inchino d'imprevedibile galanteria
"nato a Betlemme, Cisgiordania, ed ora apolide della
carta stampata."
- Il cronista
uscì dal foyer, probabilmente diretto al
camerino di Vered. Michal era disorientata dalla
disinvoltura con la quale, nell'arco di pochi minuti,
l'uomo aveva ostentato prima il suo handicap e poi le
sue origini arabe.
- In un attimo
percepì tutta l'ambiguità del
comportamento di Hamza, ma non trovò la forza
di seguirlo. Si sentiva soffocata dalla stessa
sensazione d'incognito che aveva provato nel giorno
dell'attentato quando le sue gambe sembravano
rifiutare ogni comando.
- Da quella sera, il
computer portatile di Michal rimase costantemente
acceso. Navigava in Internet, specialmente di notte,
alla ricerca di ispirazioni per la danza e
saltabeccava nei siti di medicina per cogliere
l'annuncio di qualche nuova terapia che potesse
risvegliare i suoi movimenti. Ma con la coda
dell'occhio fissava l'angolo in fondo, a destra dello
schermo, sussultando ad ogni accensione del simbolo di
ricezione di posta elettronica.
- Cancellò
decine di e-mail prima di leggere le parole di
Hamza:
- "Ho scritto questo
articolo attenendomi alle sue istruzioni, ma non ho
potuto evitare di contrapporre alla viltà del
suo corpo quella della mia anima. Non venderò
questa storia al miglior offerente. Il nostro incontro
può diventare il crocevia del nostro futuro.
Alla fine dell'articolo, se saprà ancora
scoltare la voce del suo cuore, potrà
rispondere all'unica domanda che non ho avuto il
coraggio di farle."
- Sotto queste frasi,
una foto ritraeva Michal e Vered in body e
scaldamuscoli durante gli allenamenti di
jazz-dance.
- A cornice di
quell'istantanea, l'articolo:
- Mio fratello
è morto in una missione suicida. Una limpida
mattina di dicembre, nel nome di Gerusalemme, la sposa
contesa che nessuno potrà mai impalmare, ha
conficcato un'autobomba dentro una corriera di coloni
israeliani: dieci morti e trentaquattro
feriti.
- Tra i sopravvissuti
una donna: il suo nome è Michal, un'intima
ispirazione per la vita attraverso la danza. il suo
futuro è andato in frantumi insieme ai vetri
dell'autobus: con le gambe sciancate dall'esplosione,
oggi, come coreografa, può solo delegare i suoi
sogni al corpo di ballo dove era
cresciuta.
- L'ho incontrata in
Spagna, all'ultima tappa di una tournée
europea
- Michal giunse alla
fine dell'articolo senza capire se aveva letto
un'intervista o una lettera, se era stata la vittima o
la protagonista della subdola maestria giornalistica
di Hamza.
- Per questo
passarono molti giorni prima che trovasse la
risposta.
- Per l'epilogo
indossò il body della fotografia e
caracollò debolmente sulle punte nel pallido
riflesso del monitor..
- Sedette alla
tastiera e scrisse poche frasi, lucide e scarne come
una poesia.
- "Il mio rabbino
ripete sempre che la verità prima libera e poi
consola. Se questo vale anche per lei, non ha bisogno
del mio perdono. Il mio corpo è troppo saturo
di dolore per chiedere al mio cuore di spargere sale
sulle ferite altrui, perché continuino a
bruciare senza marcire. Possano le nostre preghiere
innalzarsi un giorno dallo stesso lato del Muro del
Pianto."
- Michal chiuse il
file e lo rimandò-intatto-al
mittente.
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