
-
- ATTESE
-
-
- Non so se lungi avrò
nell'animo
- quest'angoscia che stringe le
tempie
- silente ma intensa e accompagna
- i miei giorni maturi
- eppure mai colmi.
-
- Resterà forse una vita
errabonda.
- In nessun luogo vorrei essere e
vivere
- e ovunque voglio restare a lungo.
-
- Attenderò l'avvento del
nuovo
- e la coscienza di tanto raggiunta
- darà un attimo di gioia
- a lunghe attese sfuggito
- e il cuore in fremito che pulsa
- afferrando la corda tesa nel vuoto.
-

-
- Attesa
-
- Sarà il sole al primo
mattino,
- il canto sbadato della fanciulla,
- il fischio del treno oltre la
collina,
- la prece rivolta all'effige
- sacra di mille ex voto
- o la carità di una moneta
- nell'incavo della mano tesa
- dal medico in riva al porto.
-
- E poi, riscoperti i volti noti
- nei giovani profili di noi che
fummo
- come mille voci acute di bambini
- e nei richiami severi dei genitori,
- sarà nostro il desiderio
- di fuggire verso il giorno che
nasce,
- dove perdura il tempo, liberi eredi
- di tanti che più nessuna
chiama.
-

-
- E come d'illustri antichi
- fai tacere la storia dei tuoi anni,
- del tuo mestiere, della tua vita,
- fai silenzio intorno a te,
- spegni le attese,
- che nulla trapeli di questi tempi
- né cronache, né favoleggiar di
miti.
-
- Sola resterà la tua parola
scritta,
- come chi amò il silenzio
- eppure non smise di parlare,
- di far volare la penna,
- leggera come il nulla
- in un refolo di vento.
-

-
- Riflessi
-
- Se proprio tu, celato nella stanza
- dietro le tende mosse
- e dal riflesso bianco,
- quel tuo volto tagliato
- mezzo rifratto e mezzo cieco,
- sconosciuto nel profilo
- che l'ombra poco nasconde,
-
- riguardandoti scoprissi
- l'altra parte, quella buia
- senza nome e senza aspetto
- non essere la tua metà
esatta?
-

-
-
-
-
-
- Un'ora al giorno è la
dodicesima parte
- della vita cosciente
- (Musil)
-
- Attendo la notte.
- Può accadere ad un'ora
qualunque
- anche un'ora prima dell'alba
- nel cielo stellato
- sotto la luna a falce ridotta
- nel buio che muore.
-
- Quando attendo la notte
- non c'è ora che sia misura,
- è notte e ritorna in mente
- quel buio che tutto circonda,
- un aspro comando
- a cui non potrò sfuggire.
-
- Si spegne l'attesa, si spegne
- mentre la notte
- ora m'inghiotte.
-

-
- Mardì
gras
-
- Falò nel cortile.
-
- Hai infranto le piccole fiamme
- quando il vento allunga le ombre,
- labili e arricciate, tremule
- sui nostri corpi davanti al fuoco,
- mentre brucia Carnevale.
-
- Domani tu sai, le stesse fiamme
- saranno avvinte al dolore che offende
- e costringerà le tue mani
- protese nel vuoto ad implorare
perdono.
-

-
- Disperso
-
- Così ha detto il vento
stanotte.
- Ha disperso anche le paure
- sottese agli sguardi
- come vele schioccate sugli alberi
- e un battito d'ali, su placide
acque.
-
- Quest'oggi scricchiolano gli abeti
- e le nude fronde dei tigli.
- Questo il mio unico orizzonte;
- In me svela
- la verità che sovrasta la
menzogna.
-

-
- Breve il tempo che
rimane
-
- Breve il tempo che rimane
- anche accontentandoci
- di quanto sarà domani
- o tra vent'anni o poco più.
-
- Era ieri o ieri l'altro, io ricordo
- quel viso piccolo e smunto
- e del tuo prendermi per mano,
- era ieri o ieri l'altro o poco
più.
-
- O tra vent'anni dirai - fugge
- questo temo in fretta,
- ci fosse almeno la salute. -
- Tanto o forse potrò
aspettare.
-

-
- Visioni
-
- Le parole scemano per non ferire
- il tempo che mantengono in vita.
- - Parlate, parlate a bassa voce -
- io attonito temo il vuoto
- dell'intervallo che l'attesa impone
- e immobile subisco eterna
- come il ritmico fluire del vento.
-
- E ora vengono, chiedendo il
resoconto
- anche dei più lontani
eventi,
- remoti e celati negli anfratti
- della memoria mia
- che non vorrei svelare.
-

-
- Delft
-
- Cercava lo sguardo attento
- quanto Bergotte ora conosce
- dietro l'ala di muro gialla,
- in ombra sotto i rossi cupi
- e ripidi tetti, come quinta
- aperta sull'acque del canale,
- fredde nei vapori del mattino.
-
- Lo stesso sarebbe stato
- osservando i passi inquieti
- di gitanti domenicali
- la prima volta in piazza,
- forse la più bella e strana
- o lungo l'argine di sabbia
- rosa, tra vasi e terrecotte.
-

-
-
- Amico
-
- Credici, è come se
- ci fossimo lasciati ieri.
- Tue le parole grosse
- e quel fumare nervoso
- stretto tra le guance gonfie.
-
- Cullavamo i sogni lievi
- che libertà e desideri
- potessero vestire d'avorio
- e di fiori rossi e rosa
- la sabbia sotto il nostro passo.
-
- Ombre le ultime sere,
- trascorse tra vite credute vere
- e uomini di cui non sappiamo
- tacere o richiamare in vita
- nel nostro vano ricordare.
-

-
- Attendo il silenzio.
- Dopo resterà
- il frullo d'ali d'un passero,
- il fruscio di fronde nel vento,
- uno scroscio di pioggia d'agosto.
-
- Vorrei il silenzio,
- ché solo lo sguardo
- serbasse le emozioni. Le parole
- taciute resteranno in mezzo a noi.
-

-
- D'inverno
-
- Stiamo a lungo davanti alle
finestre.
- Né angeli né dannati,
attendiamo i riflessi
- sfuggiti nel vuoto che intorno
- richiama il vuoto di dentro
- dove sprofondano l'anima e la
mente.
-
- Ripetiamo false promesse, parole
- che illudono la storia del mondo.
- Siamo mostri terreni, senza coda
- né unghie per aggrapparci al
vento.
-

-
-
-
- Ci sono giorni in cui nulla
- tra noi resta da dire
- eppure tutto s'evolve, succede
- e le ore scandite dal tempo
- sono attese e incise sul corpo
- come il colore svelato dal cielo,
- una voce spezzata dal pianto,
- la treccia prima del sonno recisa,
- il vento sulla piazza deserta,
- il tremolar dei lampioni accesi,
- un fiore che il capo reclina.
-
- Sarà poi un volo d'uccelli al
ritorno
- e il sorgere del sole sul piano
- svelata la luce dopo la bruma
- o la cima inviolata oltre il colle
- e tu, tu che ricordi l'ascesa
- come un miraggio la sera d'estate.
-

-
- Si fa e disfà
- la goccia di pianto
- sul filo d'erba
- piegato dal vento
- sul colle lontano
- o sul ramo spogliato
- dell'ultima foglia
- o sul vetro dell'auto
- bagnato di pioggia.
-
- È come una mano
- che appena ti sfiora,
- ti volti, ma nulla
- nulla e nessuno ti chiama.
-
- È forse l'angelo alla tua
porta?
-

-
- Sulla
strada
-
- Alzerò un dito, sul ciglio
- della strada fuggendo, a passo
lento.
- Non so quale aspetto inciderà
- il mio volto,
- salendo sull'auto di uno
sconosciuto,
- io qui dove sono nato,
- con i nomi delle strade
- e le voci della gente
- ancora in mente.
-
- Eppure mi sento straniero e
basterà
- il fischio delle gomme sull'asfalto
- e la polvere leggera alzata
- dietro al cofano dell'auto.
-
- Mi costringerò a non
ricordare.
|