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- In quel
metrò...
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- Non dimenticherò mai quel volto
sorridente in quell'assurdo metrò di Londra, in
un pomeriggio torrido d'estate del 90.
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- Salii di fretta a Paddington, mi dirigevo a
Finsbury Park, dove avevo affittato un camera, tornavo
dalla lezione d'inglese in una delle tante scuole per
stranieri. Faceva davvero caldo, un caldo afoso,
soffocante e lo sentivi ancora di più a causa
della cappa di smog che sovrastava costantemente
quella città così grande, enorme.
Nonostante il clima, amavo Londra che era sempre stata
un obiettivo dei miei sogni d'adolescente, amavo il
movimento di gente di innumerevoli razze, le scritte
luminose di sera a Piccadilly Circus, i negozietti
caratteristici di Oxford Street e l'affascinante
British Museum e la National Gallery che visitai
più volte. Amavo sentire la lingua inglese,
nonostante le difficoltà di comprensione e ce
la stavo mettendo tutta per impararla, perché
mi sarebbe stata di grande utilità per il mio
futuro. Quello che avevo riscontrato però, era,
come del resto in gran parte delle grandi
città, una certa freddezza, una singolare
freddezza delle persone per strada. È
certamente bello vedere la gente che si muove, ma se
li guardi in viso anche solo per un attimo, intravedi
nella loro espressione ansia, paura, affanno e voglia
d'arrivare in fretta dove si sono proposti d'arrivare:
a casa, in ufficio, a scuola. Arrivare ad occupare
posti di rilievo: la cosiddetta carriera. Insomma si
leggevano in ogni volto i segni di una disperazione
dovuta al progresso, all'egoismo costruito nel tempo,
all'aver dimenticato se stessi, al correre senza
riflettere. Rimasi in quei giorni un po' sconcertato
da questa mia osservazione che mi fece riflettere su
dove può andare il mondo e mi portò a
chiedermi: la maggioranza della gente è
così superficiale?
- Ma poi salii su quel metrò
affollatissimo che quasi mancava l'aria e come sempre
una voce metallica nascosta gridò: «Mind
the gap», attenti allo scalino. Dopo essermi
infilato come un microbo tra i viaggiatori ormai
posizionati, raggiunsi qualche centimetro quadrato di
spazio, come una scimmia m'attaccai all'asta fissata
al tetto cercando di stare in equilibrio. Così
passarono alcune fermate in quella posizione e la
folla non voleva diminuire. Poi, finalmente, davanti a
me si liberarono alcuni posti e immediatamente, come
un avvoltoio, mi buttai occupandone uno senza indugio.
Ed ecco che di fronte a me vidi un volto di ragazzo
che sorrideva, avrà avuto tra i venticinque e i
ventotto anni, carnagione chiara, viso allungato,
capelli sul rossiccio tirati all'indietro, poteva
forse essere un irlandese e sorrideva o meglio rideva
tra sé e sé in modo più che
evidente. No, non era pazzo, si vedeva, semplicemente
era felice.
- Si notava che dai suoi pori traspariva
felicità, gioia. Sorrideva e poi pensava,
sempre con il sorriso sulle labbra ed è chiaro
che immaginava la scena, l'oggetto o il soggetto che
aveva fatto scaturire una tale gioia in lui e poi
tornava a ridere sommessamente ed era impossibile non
vederlo. Non voglio dire di non aver mai visto nessuno
sorridere o ridere, ma come quel ragazzo certamente
no. Aveva sul suo volto qualcosa d'eccezionale, di
raro. Gioiva e chissà per cosa? Forse aveva
fatto l'amore per la prima volta in vita sua, oppure
aveva avuto qualche bella notizia o semplicemente
rideva per una barzelletta molto divertente. Ma non
credo a quest'ultima ipotesi e neppure che gioisse per
una vendetta riuscita.
- No, lui gioiva per qualcosa di bello, di
straordinario che gli era accaduto e che stava
silenziosamente vivendo dentro, mentre tutti attorno
s'agitavano e pensavano ai progetti della giornata.
Forse aveva incontrato Dio nella sua intimità.
Il metrò arrivò alla mia stazione e io
dovetti scendere di fretta, trascinato dalla folla,
mentre ancora avevo lo sguardo puntato su quel
giovane.
- Scesi e lo rividi attraverso i finestrini,
mentre il treno riprendeva affannosamente la sua
corsa. Era lì, solo, con il suo volto gioioso,
mentre io m'accingevo a tornare in mezzo ad una folla
esagitata in quella affascinante
città.
- Così, mi rimase solo un ricordo di un
volto raro e felice, quasi un segno di speranza, in
una società caotica ed indifferente.
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