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- Stecchino
-
- Questa
è una storia vera.
- Avevo cinque
anni quando compresi che la Terra non era un paradiso.
Tornai a casa dopo un lungo periodo di forzata assenza
e lei non c'era.
- Compresi.
- Il volto
severo di mia nonna, lo sguardo spento di mio nonno e
le occhiaie di mio padre. Tutto intorno a me aveva
preso strane tonalità grigie. Inutili menzogne
mi stizzivano e offendevano la mia intelligenza
vivace.
- La signora
morte aveva invitato mia madre a brindare al suo
banchetto.
- Divenni
taciturna, scontrosa, ribelle.
- I miei vestiti
cominciarono a divenire immettibili: tutto ciò
che ritenevo opprimente stracciato e buttato via. Per
lunghe giornate indossavo le sue camicie da notte
inciampando negli orli.
- Mi
mancava.
- Le mie
giornate trascorrevano così, lente e
silenziose.
- Dondolavo
sulla mia altalena con lo sguardo perso nel vuoto
inventando canzoni e strane filastrocche. I piedi
sudici, i capelli lunghi ed
ingarbugliati.
- Musetto
indisponente!
- Sentivo spesso
i grandi parlare di me: "è intrattabile, un
vero demonio, non c'è verso di
educarla!".
- Al buio nel
mio letto piangevo, il suo nome si bloccava in gola e
mi soffocava. Sognavo spesso mia madre e nella notte
durante il sonno passeggiavo con lei per
casa.
- Si dice che le
anime ci mettono un po' per arrivare a
destinazione.
- Mi piace
credere che lei fosse titubante nel lasciarmi e le
piacesse addolcirmi ancora per un po' l'amarezza di
una vita senza più certezze.
- I giorni
passavano lenti e tutti maledettamente uguali: la
rabbia, l'odio, l'incomprensione stavano annerendo il
mio bel volto roseo e sereno.
- Aspettavo con
ansia le passeggiate in compagnia di mio
nonno.
- Non molto
distante da casa mia c'era un ospedale, circondato da
un enorme giardino completo anche di giostre.
Lì trascorrevo le mie ore più liete
rincorrendo le farfalle per poi catturarle ed
osservarle all'interno di un
colapasta.
- Fu allora che
lo vidi: era minuti e scarno, il viso era bianco,
anemico, lo sguardo vitreo,
inespressivo.
- Aveva braccia
sottili e ben visibili erano le vene.
- Nell'incavo
del braccio un grosso buco nero.
- "Non guardare
così, tira il corso tuo
è un
drogato
è
pericoloso
".
- Avevo paura di
tutti quei tipi scarni e pallidi che andavano in
quell'ospedale per prendere il metadone. Vedevo spesso
per quella strada gruppi di "anime perse" dirigersi in
quel giardino con la speranza di vivere qualche ora in
più.
- Ne avevo
paura, al contempo mi turbavano, al contempo mi
incuriosivano.
- Un pomeriggio
estivo, mentre mio nonno leggeva il giornale mi
allontanai distratta da una farfalla particolarmente
colorata, non mi accorsi che lui mi
sorrideva.
- "Come sei
bella, come ti chiami?".
- "Francesca e
tu?".
- "Non ho
più un nome, non sono più nessuno ormai
da un po'".
- "Ti do io un
nome se ti va
stecchino
ma non
mangi?".
- "Poco".
- "Dovresti
ingrassare un po', la mia nonna dice che se non si
mangia si muore ed io non voglio che tu
muori".
- "Eh! Lo so,
mangerò oggi solo perché ti sento
preoccupata per me, nessuno mai lo
è".
- "Io sì,
anche se non ti conosco, oh! Ma io non ti conosco, non
potrei parlare con te".
- "Certo che mi
conosci, molto piacere "Stecchino"
Un giorno
vorrei avere una bambina bella come te, con questi bei
capelli biondi, dovresti pettinarli
però!".
- "Mi annoio e
poi mia madre me li pettinava sempre e non avevo nodi,
ora lei è andata via, è volata via su
una nuvola ed io sono tanto triste".
- "Non smettere
mai di sorridere, non essere triste, tua madre non ti
lascerà mai sola, quando vorrai lei
verrà sempre. È un angelo. Fidati e
sarà il tuo angelo per sempre,
credimi".
- "E tu ce l'hai
un angelo?".
- "Sì,
l'ho conosciuto oggi e mi ha regalato cinque minuti di
vita, ciao angioletto mio, sento che ti chiamano e
grazie". Mi baciò sulla fronte.
- Gli sorrisi,
presi la merenda che avevo in tasca e gliela porsi.
Corsi via.
- Le cose
cambiarono.
- Mio padre si
risposò.
- Le mie
giornate si entusiasmarono. Avevo anche una sorella
con cui giocare.
- Cambiai
casa.
- Abbandonai il
mio giardino, la mia altalena, le mie abitudini,
imparai ad usare le posate, controvoglia a stare
composta e a pettinare i capelli.
- La mia
matrigna e la mia sorellastra rendevano la mia vita
impossibile quanto io la rendevo loro.
- Ma il sole e
la luna si rincorsero più volte nell'emisfero
celeste e il tempo passò in
fretta.
- Abbandonai
anche il mio paese natale e ci trasferimmo in una
tranquilla cittadina di provincia. Mi ambientai con
difficoltà.
- La mia
ribellione e il mio temperamento aggressivo, via via
si moderarono e comincia ad assumere atteggiamenti
più femminili e rispettosi.
- Dentro di me,
l'inferno.
- In solitudine,
scalza camminavo per casa e senza posate mangiavo con
fusto tutto ciò che eccitava il mio
palato.
- Avevo ormai
vent'anni e quel giorno un ennesimo litigio aveva
snervato il mio sistema nervoso ormai fragile. Chiusa
la porta alle mie spalle avrei trovato una radura dove
fermarmi a scrivere o una Chiesa dove pregare e
rimproverare il Superiore!
- Scesi a piedi
col motorino spento: nemmeno un goccio di benzina. E
come al solito la solita mille lire racimolata qua e
là per casa.
- Un pallone
colpì il parafango del mio
motorino.
- Una bella
bambina bionda si avvicinò
timorosa.
- "Potrei
riavere la mia palla per favore, non l'ho fatto
apposta, mi scusi".
- "Non ti
preoccupare tieni pure, come sei bella, come ti
chiami?".
- "Francesca e
tu?".
- "Anch'io che
bel nome non è vero?".
- "Sì,
piace tanto al mio papà
io vado a scuola,
sai, all'asilo".
- "Brava e
studia mi raccomando".
- "Io studio
così da grande divento una dottoressa e
guarisco tutti quelli che sono
malati".
- "Che tesoro
che sei, sembri proprio un angioletto
va ti
stanno cercando
".
- Un uomo sulla
quarantina dall'aspetto curato, sereno
nell'espressione avanzò lentamente: il sole
precedeva i suoi passi e a me sembrò come in un
film.
- Vidi la scena
a rallentatore
lo sguardo sembrava
ma
no
i suoi occhi avevano una luce diversa,
qualcosa che prima mancava, la carnagione bianca ora
era rosea
ma io no non è possibile,
eppure
- Aprì le
braccia e la bambina gli si attaccò al
collo.
- Mi fece un
cenno con la testa e se ne andarono.
- Non ebbi la
forza di reagire, abbozzai un sorriso attonito,
sconvolto, sorpreso, contento.
- Brividi
percorsero il mio corpo ad un tratto dalla mente
riemersero i ricordi.
- Era lui,
proprio lui!
"Stecchino" quel ragazzo minuto,
scarno di quel pomeriggio estivo.
- La bambina
bionda era il suo angelo ed a me parve per un istante
che avesse qualcosa di mio.
- Una lacrima
furtiva mi bagnò le gote, il sole mi
illuminò il volto, guardai i riflessi sui miei
capelli, non c'erano nodi.
- Col tempo
avevo imparato ad amarli.
- Pensai a mia
madre, pensai a quell'uomo che nemmeno mi aveva
riconosciuto, ma che inconsciamente mi aveva
ricordato.
- Chissà
se era solo un caso che quella bambina portasse il mio
nome
- Mi piacque
credere che non lo fosse.
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