-  
 
                  
                  - Questo
                  libro è composto da sei brevi racconti
                  ognuno con una sua tematica di fondo: il tentativo
                  di combattere la solitudine con un gatto stralunato
                  che sarà chiamato Fido, tipico nome per un
                  cane. Incontri imprevisti con diverse tipologie di
                  donne e i ricordi adolescenziali tra discoteche e
                  spericolate corse in auto con tutte le inevitabili
                  conseguenze.
 
                  
                  - Le
                  storie essenziali ed intriganti scorrono veloci e
                  si fanno leggere tutte d'un fiato in una
                  sera.
 
                  
                  -  
 
                  
                  Massimo
                  Barile  
                  
                  -  
 
                  
                  -  
  
                  
                  -  
 
                  
                  - Racconto
                  felino
 
                  
                  -  
 
                  
                  - Si
                  chiamava Fido, così l'aveva chiamato il suo
                  padrone perché più che ad un gatto
                  somigliava ad un cane. Sperava soltanto che il buon
                  Dio, che non si dimentica mai degli animali, ma che
                  forse a volte, li preferisce agli uomini, gli
                  avesse dato le sue belle sette vite, che spettano
                  di diritto ad ogni gatto.
 
                  
                  - Ci
                  sperava tanto, anche se, pensava che qualcuna se
                  l'era già giocata ed anche male.
 
                  
                  - "Vero
                  Fido che sei un po' scemo?", gli diceva sempre il
                  suo padrone. Ma lo diceva con bontà,
                  accarezzandogli il pelo, lui per tutta risposta gli
                  tirava fuori le unghie affilate e pungenti a
                  ricordargli che non era un cane ma un gatto vero,
                  ma non infieriva, perché anche a lui faceva
                  un po' di pietà.
 
                  
                  - Il
                  suo padrone era infatti un tipo solitario, si era
                  da tempo separato e lo aveva comprato
                  affinché gli facesse un po' di compagnia. Si
                  ricordava ancora di quando era andato a comprarlo:
                  lo aveva visto, era stralunato, gli occhi tristi,
                  la testa bassa, stava passando davanti alla vetrina
                  del negozio quando lui lanciò un miagolio;
                  lo vide, era un piccolo gattino secco e
                  spelacchiato, gli fece un po' di pena ma
                  entrò ugualmente nel negozio e chiese:
                  "Quanto costa?". "Niente, glielo regaliamo",
                  rispose cortesemente la commessa.
 
                  
                  - Lui
                  per tutta risposta vide la porta del negozio
                  accostata e svicolò fuori rischiando di
                  essere travolto da un'auto di passaggio. Già
                  una vita se la giocò allora, per fortuna la
                  commessa che lo conosceva riuscì a farlo
                  tornare mostrandogli una fettina di
                  salmone.
 
                  
                  - "Sa,
                  riprese la commessa, è un gatto selvaggio ma
                  non si accontenta di pesce comune, gli piace solo
                  il salmone".
 
                  
                  - "Accidenti,
                  rispose lui, mi manca solo un gatto dai gusti
                  difficili e sono a posto".
 
                  
                  - "Perché
                  - riprese lei - non le sta simpatico?"
 
                  
                  - "Sì,
                  sì per essere simpatico è simpatico,
                  ma quanto mi verrà a costare?"
 
                  
                  - "Ma,
                  poco, lo sa perché..."
 
                  
                  - "Perché?"
                  disse lui.
 
                  
                  - "Perché
                  mangia pure le ossa".
 
                  
                  - "No,
                  non è possibile" pensò
                  lui.
 
                  
                  - "Ora
                  mi chiamerà Fido", pensò il gattino
                  nel frattempo, che con il suo istinto felino e con
                  la sua bontà canina aveva già capito
                  tutto.
 
                  
                  - "Fido,
                  lo chiamerò Fido", pronunciava a bassa voce
                  lui, mentre il gatto chiuso nella gabbietta
                  miagolava in continuazione.
 
                  
                  - "Sì
                  - continuava a pensare - è un nome che gli
                  si addice". Intanto era già arrivato a casa,
                  aprì la porta e gli disse: "Questa adesso
                  è la tua casa".
 
                  
                  - Fido
                  smise di miagolare, si guardò intorno e vide
                  che la casa era spaziosa, il che andava bene per un
                  gatto un po' selvaggio come lui. Alle finestre vi
                  erano anche delle tende che erano l'ideale per
                  grattarsi le unghie ed anche numerosi divani e
                  sedie dove dormire tranquillamente.
 
                  
                  - "Niente
                  male nel complesso" pensò Fido, sul retro
                  della casa vi era anche un giardino dove avrebbe
                  potuto fare i suoi bisogni, perché d'altra
                  parte, non era mica fatto di stoffa.
 
                  
                  - E
                  c'era anche una sorpresa: una bella scala che
                  portava su nel tetto dove avrebbe potuto
                  passeggiare nelle notti d'estate.
 
                  
                  - Non
                  avrebbe potuto chiedere di meglio, c'era una sola
                  cosa che non andava: non conosceva ancora bene il
                  suo padrone.
 
                  
                  - Questa
                  era la cosa più importante, perché da
                  lui dipendeva la sua esistenza, pensava saggiamente
                  Fido.
 
                  
                  - Il
                  padrone sembrò quasi intuire il suo
                  pensiero, aprì il frigorifero e gli diede
                  una fettina di salmone che era rimasta. Fido li per
                  lì storse la bocca ma tutto sommato gli era
                  andata bene perché sempre salmone era. Ormai
                  s'era stabilito un buon rapporto, tra lui e Fido,
                  tanto che questo cominciò ad annusare un po'
                  dappertutto.
 
                  
                  - "E
                  questo sarebbe un gatto selvaggio", pensò ad
                  alta voce lui.
 
                  
                  - Fido
                  si strofinò allora alla gamba del suo
                  padrone con la coda alzata e facendo le fusa; ormai
                  si volevano bene ed erano diventati
                  amici.
 
                  
                  - Saltò
                  subito sul divano e si accovacciò leccandosi
                  il pelo, lui lo guardava pensando a volte che fosse
                  la reincarnazione di un uomo vissuto nel passato
                  chissà come e chissà quando e
                  pensò a se stesso se morendo sarebbe
                  diventato un gatto o magari donna o forse meglio
                  un'anima del paradiso o del purgatorio.
 
                  
                  - Se
                  l'era fatte spesso queste domande quando si era
                  separato da sua moglie e dai suoi figli, prima era
                  impegnato con la sua famiglia, ora aveva tanto di
                  quel tempo libero che centinaia di pensieri gli
                  attraversavano la mente.
 
                  
                  - Fido
                  si continuava a leccare il pelo e lui lo osservava
                  invidiando la sua condizione di animale forse, per
                  certi versi, migliore di quella di un
                  uomo.
 
                  
                  - Fido
                  lo guardò, poi girò la testa vide la
                  porta aperta e scappò: forse per davvero era
                  troppo selvaggio.
 
                
             
            
            
                
               
               
                  -  
 
                  
                  - Alba
                  magica
 
                  
                  -  
 
                  
                  - Era
                  mattina. Il chiarore dell'alba illuminava la
                  città ancora semideserta. Le luci dei
                  lampioni si riflettevano sulle pozzanghere d'acqua
                  lasciate dalla pioggia notturna. Gli ultimi sprazzi
                  di nebbia si scioglievano ai primi raggi di sole.
                  Tutto sembrava irreale, perfino lo scampanellio
                  delle biciclette sembrava provenire da lontano.
                  Eppure la città si stava svegliando,
                  stancamente come ogni mattina. Il panettiere alzava
                  la serranda del negozio, dopo aver passato parte
                  della notte al lavoro nel retrobottega, ed i primi
                  avventori potevano sentire l'odore del pane fresco
                  uscire ed inondare l'aria.
 
                  
                  - Il
                  tabaccaio con la sua solita sigaretta in bocca
                  avvolto in una spirale di fumo si disponeva dietro
                  il suo bancone in attesa dei primi accaniti
                  fumatori. Le massaie con sottobraccio le loro
                  sporte, si avviavano verso i banchi appena
                  approntati del mercato. Insomma era una giornata
                  qualunque, di un mese qualunque, di un anno
                  qualunque.
 
                  
                  - Anche
                  per Ernesto iniziava una giornata di dura
                  fatica.
 
                  
                  - La
                  sveglia con il suo bip bip, suonava in
                  continuazione, ma Ernesto non ne voleva sapere di
                  alzarsi dal letto. D'improvviso, entrò in
                  camera sua madre:
 
                  
                  - "Alzati
                  che fai tardi" gli disse con tono
                  deciso.
 
                  
                  - "Guarda
                  mamma - rispose - oggi non ho voglia di andare a
                  scuola".
 
                  
                  - "Ma
                  come, sei stato a casa tre giorni con la scusa di
                  essere malato perché mi avevi detto che
                  avevi una interrogazione da preparare".
 
                  
                  - "Sì,
                  è vero, ma oggi devo partire".
 
                  
                  - La
                  madre trasalì: "E dove devi andare?" chiese
                  concitata.
 
                  
                  - "Devo
                  andare a Londra".
 
                  
                  - "Come
                  a Londra, questa è bella! E che ci vai a
                  fare a Londra?" continuò.
 
                  
                  - "Sai
                  - rispose - quegli amici di cui ti avevo parlato
                  tempo fa, che avevo conosciuto in viaggio l'anno
                  scorso?"
 
                  
                  - "Sì,
                  ricordo, quelli che avevi conosciuto a
                  Milano".
 
                  
                  - "Sì,
                  loro, mi hanno invitato in una loro casa che hanno
                  preso in affitto in Inghilterra".
 
                  
                  - "Vai,
                  vestiti, non dire scempiaggini".
 
                  
                  - Ernesto
                  desistette, sua madre non poteva capire quello che
                  gli passava per la testa. Lui aveva deciso, voleva
                  andare a fare fortuna a Londra, gli avevano detto
                  che lì la vita era più facile, che le
                  ragazze erano disponibili, che la vita era
                  più bella.
 
                  
                  - Sua
                  madre l'avrebbe sicuramente cercato tramite Chi
                  l'ha visto? Già si vedeva, la sua foto sullo
                  schermo del computer, con la barba lunga e le
                  occhiaie. Ma cacciò questi pensieri dalla
                  mente e si avviò verso la stazione dove
                  l'attendeva il suo solito treno.
 
                  
                  - Ma
                  stavolta non sarebbe sceso alla prima fermata
                  assieme ai suoi compagni di scuola, avrebbe tirato
                  dritto fino al capolinea dove avrebbe preso il
                  treno per Londra.
 
                  
                  - Era
                  fatta, i suoi compagni erano scesi alla fermata che
                  conduceva alla scuola, ormai non poteva più
                  tornare indietro.
 
                  
                  - Affacciandosi
                  dal finestrino vedeva la campagna ancora avvolta
                  nella nebbia mattutina, filari di alberi scorrevano
                  davanti ai suoi occhi, sembravano anch'essi irreali
                  come i momenti che stava vivendo in questo istante.
                  Ripensava alla sua vita passata, a come i suoi
                  genitori lo avevano accudito sin da bambino, ai
                  compagni di giochi della sua infanzia, alla sua
                  ragazza che forse, adesso, si chiedeva come mai non
                  fosse venuto a scuola proprio oggi, il giorno della
                  sua interrogazione; ma era contento lo stesso, si
                  sentiva finalmente libero, libero su quel treno che
                  correva nella campagna ormai già rischiarata
                  dal sole dell'alba.
 
                  
                  - Mentre
                  questi pensieri gli affollavano la mente,
                  entrò nello scompartimento un anziano
                  signore, il sigaro in bocca che emanava miasmi
                  tremendi, pulì il sedile e si
                  accomodò a sedere.
 
                  
                  - Ernesto
                  lo guardava mentre apriva il giornale e ne
                  sfogliava le pagine con fare metodico e
                  preciso.
 
                  
                  - Si
                  fece coraggio e gli chiese:
 
                  
                  - "Dove
                  finisce questo treno?".
 
                  
                  - Il
                  signore lo guardò e gentilmente
                  rispose:
 
                  
                  - "A
                  Milano".
 
                  
                  - Milano,
                  pensò, sto andando a Milano, la
                  città, anzi la metropoli italiana. Ad un
                  certo punto, però, un dubbio lo
                  assalì: Ma che ci faccio a Milano?,
                  pensò tra sé, non conosco nessuno,
                  non so dove andare. Non si preoccupò del
                  fatto più di tanto.
 
                  
                  - L'importante
                  era andare da qualche parte: Milano, Monaco,
                  Parigi, Londra. Sì, l'importante era andare
                  e lasciarsi alle spalle le fatiche di tutti i
                  giorni, almeno per un po'. Considerava quella fuga,
                  perché di fuga si trattava, non poteva
                  mentire a se stesso, come un diversivo della sua
                  vita. Sarebbe tornato a casa? Mah, non lo sapeva,
                  ed anzi adesso non si voleva porre nemmeno il
                  problema. Riprese il dialogo con il compagno di
                  scompartimento.
 
                  
                  - "Scusi
                  - chiese - ma lei a Milano ci abita?"
 
                  
                  - "Sì"
                  rispose conciso.
 
                  
                  - "E
                  mi dica - insistette - come ci si
                  vive?"
 
                  
                  - "Bene,
                  - rispose - ci sono tante cose da fare, -
                  continuò - andare a teatro, al cinema, per
                  mostre o a ballare..."
 
                  
                  - "A
                  ballare?" chiese Ernesto stupito.
 
                  
                  - "Sì,
                  perché, non le do l'impressione di uno che
                  sa ballare?"
 
                  
                  - "Mah...
                  veramente..."
 
                  
                  - "Caro
                  giovanotto, io ballo e ballo molto
                  bene".
 
                  
                  - Quella
                  risposta gli diede fastidio ed interruppe la
                  conversazione. Una persona di quella età che
                  ballava, con quel sigaro che lo faceva apparire
                  ottuagenario e, se non lo era, ci mancava veramente
                  poco.
 
                  
                  - Mah!
                  Il mondo è veramente strano, pensò
                  Ernesto e riprese a guardare fuori dal finestrino.
                  Ormai la luce del giorno aveva inondato la campagna
                  circostante, il sole col suo calore aveva dissolto
                  la nebbia: erano le dieci.
 
                  
                  - Sentì
                  il treno che rallentava, vedeva le case di
                  periferia di una cittadina, supponeva. Poi ad un
                  certo punto il treno si fermò.
 
                  
                  - "Panini,
                  panini, bibite" non c'era dubbio, era proprio fermo
                  in una stazione. Si alzò di scatto dal
                  sedile sul quale un torpore soporifero lo stava
                  cogliendo, abbassò il finestrino e chiese:
                  "Quanto costano un panino e una Coca?"
 
                  
                  - "Cinquemila"
                  rispose l'omino.
 
                  
                  - Non
                  aveva molti soldi, ma un panino e una Coca se li
                  poteva permettere. E poi, come avrebbe fatto? Mah,
                  ci avrebbe pensato Dio. Addentò subito il
                  panino con fare famelico, era il panino più
                  buono che mai avesse mangiato in vita sua, forse il
                  pane era un po' duro, ma quel panino aveva un
                  sapore di libertà, di voglia di vivere, di
                  spensieratezza. Era immerso in questi pensieri,
                  quando un vociare concitato, urla e schiamazzi
                  attirarono la sua attenzione. Si affacciò
                  nuovamente dal finestrino e vide un gruppo di
                  ragazzi con stivaletti di cuoio, giubbotti di pelle
                  e bottiglia di birra alla mano, che si spintonavano
                  nella fretta di salire sul treno.
 
                  
                  - "Mah,
                  saranno naziskyn o che altro" pensò
                  Ernesto.
 
                  
                  - Il
                  gruppetto infilò il corridoio e si
                  sistemò proprio nello scompartimento dove si
                  trovava il nostro malcapitato.
 
                  
                  - Lo
                  sferragliare del treno, intanto, era come se lo
                  cullasse nei suoi pensieri, ricordava ancora sua
                  madre ed il suo sorriso dolce che lo aveva
                  accompagnato fin da bambino.
 
                  
                  - Il
                  gruppetto dei giovani naziskyn era lì
                  silenzioso, accanto a lui, e non credeva che dei
                  giovani così ribelli potessero essere
                  così tranquilli.
 
                  
                  - S'affacciò
                  dal finestrino del treno e intravide la struttura
                  della stazione centrale da lontano, quelle grandi
                  volte di acciaio erano così imponenti che
                  solo una grande metropoli poteva
                  averle.
 
                  
                  - Il
                  treno, sibilando rumorosamente, si fermò.
                  Ernesto scese, un portabagagli gli si
                  avvicinò, gli fece vedere il piccolo zaino
                  con le povere cose che si era portato. In effetti
                  guardando bene vide che oltre ai libri aveva solo
                  qualche maglietta di quelle con le scritte come
                  piacevano a lui.
 
                  
                  - Era
                  iniziata la sua grande avventura. In quella
                  città così grande sperava di farsi
                  una nuova vita, di conoscere persone nuove, poi
                  avrebbe telefonato ai suoi. Comprò un anche
                  settimanale di annunci economici.
 
                  
                  - Incominciò
                  a sfogliarlo, vide che c'erano un'infinità
                  di occasioni di lavoro, da operaio a centralinista,
                  da fattorino a dirigente, cercò quindi
                  quella che faceva al suo caso, ne trovò una
                  che diceva: "cercasi persona anche senza esperienza
                  lavorativa, per attività intellettuale e di
                  concetto, astenersi perditempo". Pensò
                  subito che quella era la sua grande occasione, non
                  si riteneva infatti così in basso da fare il
                  fattorino e nemmeno in grado di fare l'operaio in
                  una catena di montaggio o in un'officina. Scorse
                  quindi di nuovo l'inserzione, vi era solo il numero
                  di telefono. Andò quindi alla cabina
                  telefonica e chiamò.
 
                  
                  - "Pronto,
                  chi parla?" una voce femminile non più
                  giovane rispose dall'altro capo del
                  telefono.
 
                  
                  - "Chiamo
                  per quell'annuncio sul giornale - ribatté
                  Ernesto - volevo sapere di cosa si
                  tratta".
 
                  
                  - "Guardi,
                  - rispose la donna - non posso dirle altro per
                  telefono. Se il lavoro le interessa, venga a
                  trovarmi visto che è stato il primo a
                  chiamare, l'indirizzo è via delle
                  Buganvillee, 15 e suoni al campanello in basso,
                  quello senza nome".
 
                  
                  - Tutto
                  si faceva misterioso ed interessante, via della
                  Buganvillee doveva essere un posto di gente molto
                  ricca ed eccentrica, pensò sperando di
                  trovare il lavoro giusto.
 
                  
                  - La
                  stazione degli autobus era poco distante, la
                  raggiunse in fretta, incontrò subito un
                  autista e chiese: "Scusi, via delle
                  Buganvillee?"
 
                  
                  - "Ci
                  arriva l'autobus numero trenta - rispose - deve
                  scendere al capolinea, anche se poi deve fare un
                  pezzo a piedi".
 
                  
                  - "Non
                  si preoccupi, sono abituato a camminare"
                  ribatté.
 
                  
                  - Salì
                  sulla linea trenta, l'autobus era quasi vuoto,
                  anche perché cominciava a imbrunire: il
                  primo a chiamare, pensò, in tutta la
                  giornata. Solo lui poteva rispondere ad un annuncio
                  così sibillino e misterioso.
 
                  
                  - L'autobus
                  partì, dopo circa un quarto d'ora
                  arrivò al capolinea, l'autista spense il
                  motori ed aprì tutte le porte.
 
                  
                  - Ernesto
                  chiese di nuovo: "Scusi, via delle
                  Buganvillee?"
 
                  
                  - "È
                  lì, vede, dove c'è quel castello
                  diroccato..." rispose l'autista.
 
                  
                  - In
                  lontananza, infatti, si vedeva uno strano castello
                  fatiscente, si fermò, c'erano delle
                  indicazioni: "Fortezza dei Marchesi di
                  Acquapendente" e sotto: via delle
                  Buganvillee.
 
                  
                  - Le
                  sue supposizioni si erano rivelate concrete,
                  quell'avventura incominciava ad affascinarlo, gli
                  sembrava quasi di sognare ed invece era tutto
                  vero.
 
                  
                  - La
                  strada era poco illuminata anche se si vedeva
                  abbastanza bene. Ogni tanto passava qualche
                  automobile sempre di grossa cilindrata, camminava
                  lungo il bordo della strada e le auto gli
                  sfrecciavano accanto, sfiorandolo, poi ad un certo
                  punto arrivò ad un bivio, era buio, ma si
                  leggeva chiaramente: via delle Buganvillee,
                  indicava una mentre Fortezza dei Marchesi indicava
                  l'altra. Sono arrivato finalmente, pensò, e
                  si avviò verso il numero 15. Era un
                  condominio, molto grande, e tra i tanti campanelli
                  illuminati vide subito quello senza nome che
                  cercava.
 
                  
                  - Suonò,
                  il portone si aprì, si affacciò una
                  signora non più giovane ma ancora avvenente
                  e con una sua particolare bellezza. Era molto alta
                  e fu quello il particolare che lo colpì
                  subito, le gambe un po' più lunghe del corpo
                  erano la cosa che si notava per prima.
 
                  
                  - Chiese:
                  "È quel giovane che mi ha telefonato poco
                  fa?"
 
                  
                  - "Sì"
                  rispose.
 
                  
                  - "Prego,
                  si accomodi".
 
                  
                  - Entrò.
 
                  
                  - "Cercavo
                  proprio una persona di fiducia - riprese la donna -
                  e lei penso proprio faccia al caso mio. Sa, si
                  tratta di un lavoro non molto impegnativo ma che
                  richiede molta intelligenza, e lei mi pare proprio
                  un tipo intelligente".
 
                  
                  - Aveva
                  un aspetto da nobile decaduta, ed anche la casa era
                  arredata con mobili antichi ormai consunti dal
                  tempo.
 
                  
                  - "Si
                  accomodi - riprese - e mi dica, quanti anni
                  ha?"
 
                  
                  - "Venti"
                  rispose Ernesto.
 
                  
                  - "Mah,
                  forse è un po' troppo giovane per questo
                  lavoro".
 
                  
                  - "Di
                  cosa si tratta?"
 
                  
                  - La
                  signora non rispose ma si alzò di scatto e
                  si allontanò verso la cucina. Dopo qualche
                  minuto ritornò con due bicchieri in mano:
                  "Beva - disse - dobbiamo festeggiare perché
                  lei è stato assunto".
 
                  
                  - Ernesto
                  prese il bicchiere, il suo sguardo si fissò
                  sui riflessi luminosi che il bicchiere gli
                  rimandava, pensò alla sua ragazza ed un
                  grande sentimento di nostalgia lo avvolse: non era
                  quello ciò che avrebbe voluto, non era
                  quello ciò che aveva sempre pensato. Eppure
                  ora, le sue idee diventavano concrete. Avrebbe
                  voluto tornare indietro, a casa, dai suoi
                  familiari, ma, soprattutto dalla sua ragazza che,
                  forse, adesso lo cercava
                  disperatamente.
 
                  
                  - Nonostante
                  tutti questi pensieri che gli affollavano la mente,
                  bevve ugualmente, riposò il bicchiere sul
                  tavolo e chiese garbatamente alla signora:
                  "Scusate, ma io non vi conosco, né voi
                  potete conoscere me in così poco
                  tempo".
 
                  
                  - Lo
                  sguardo gli cadde nuovamente sul bicchiere appena
                  posato, fu di nuovo ammaliato dai riflessi che
                  questi gli rimandava.
 
                  
                  - "Sono
                  di cristalli - disse subito lei, - vedo che li
                  osservate con intensità".
 
                  
                  - "Sì
                  signora, ero un forte bevitore una volta - disse
                  Ernesto, per apparire all'altezza della situazione.
                  - Sono irlandese di origine, lo sa? Anche se
                  è molto tempo che abito qui in Italia. E
                  lei?" chiese Ernesto.
 
                  
                  - "Io
                  sono svizzera - rispose - e precisamente di
                  Ginevra".
 
                  
                  - "Ora
                  capisco perché tutti questi orologi alle
                  pareti e, beh, diciamolo, tutti questi
                  soldi!".
 
                  
                  - "Non
                  esageri, sono benestante ma non ricca. Molto tempo
                  fa ero veramente ricca, prima che morisse mio
                  marito e rimanessi vedova".
 
                  
                  - "E,
                  scusi se sono impertinente, di cosa è morto
                  suo marito?"
 
                  
                  - "D'infarto
                  - rispose subito lei. - Era un industriale della
                  cioccolata".
 
                  
                  - "In
                  Svizzera era d'obbligo".
 
                  
                  - "Non
                  faccia lo spiritoso - ribatté subito lei -
                  Ci amavamo molto ed abbiamo avuto due figli: un
                  maschio e una femmina".
 
                  
                  - "Classico"
                  riprese Ernesto.
 
                  
                  - "Il
                  primo si è laureato in ingegneria ed
                  è sposato, vive e lavora in India, mentre
                  l'altra figlia è più fannullona e
                  spero che presto trovi qualcuno che la sposi". Nel
                  mentre concludeva quel discorso, i suoi occhi
                  caddero su Ernesto.
 
                  
                  - Forse
                  oltre al lavoro aveva trovato anche moglie, pensava
                  lui, visto che quell'occhiata poteva significare
                  ciò.
 
                  
                  - "Bene,
                  per oggi è tutto - riprese lei - ci vediamo
                  domattina alle otto in punto". Gli strinse la mano
                  e chiuse la porta.
 
                  
                  - Ernesto
                  decise che era ancora presto per andare a dormire,
                  e poi dove sarebbe andato a dormire coi pochi soldi
                  che aveva in tasca? Decise quindi di prendere la
                  metropolitana, fortuna che aveva portato con
                  sé la sua chitarra che aveva sempre usato
                  nelle feste coi suoi amici di scuola, adesso ormai
                  così lontani.
 
                  
                  - Scese
                  alla prima fermata, prese la sua chitarra e
                  cominciò a suonare, le arcate della galleria
                  amplificavano il suono e parecchi passanti
                  lasciavano pochi spiccioli di
                  elemosina.
 
                  
                  -  
 
                  
                  - "Hei,
                  tu, cosa fai qua? Lo sai che non si può
                  suonare con la chitarra?"
 
                  
                  - "Ma,
                  signora guardia, stavo solo strimpellando quattro
                  note!"
 
                  
                  - "Seguimi
                  in questura ti daremo il foglio di via per
                  vagabondaggio".
 
                  
                  - E
                  così, volente o nolente, Ernesto
                  ritornò a casa.
 
                  
                  -  
 
                  
                  
                
                
             
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