
- Agnese La
Guardia
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- Parte 1
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- Il prato era in pieno rigoglio, verde e morbido
come un mare quieto luccicante al sole.
All'estremità più settentrionale c'era
il cascinale, deserto in quell'ora di calma
pomeridiana e tutt'intorno il silenzio che il brusio
degli insetti della campagna sembrava sottolineare ed
accrescere, fatto com'era della mancanza delle voci e
dell'operosità dell'uomo.
- L'uomo ascoltava la pace dei suoi campi e
godeva della vista dell'erba prospera e sana. Era un
grande uomo bruno, dagli occhi attenti e profondi; se
ne stava appoggiato al tronco della quercia che con la
cima dominava il suo mondo.
- Quella terra che era sua, quegli alberi che suo
padre aveva piantato e che erano cresciuti con lui,
quei filari che egli curava, quelle zolle che gli
davano di che vivere, quelle erano per lui le cose
più importanti di tutto il mondo. A volte gli
pareva di vivere su un'isola, tanto si teneva fuori da
ogni contatto diretto con altri modi di vivere o di
pensare, eppure la solitudine non gli pesava, anche se
le sole persone con cui aveva quotidiano contatto
erano la vecchia madre ed il Toni, anzi si sentiva
grato e felice, consapevole che tanti altri uomini,
diversi nei pensieri da lui, vivevano in luoghi vicini
e lontani e spartivano con lui quell'esperienza che
era il vivere.
- La madre, Agnese La Guardia, era ormai anziana
e il suo carattere forte e provato da una vita non
facile, s'era, per così dire, irrigidito,
rendendola prevenuta, perennemente insoddisfatta,
ristretta d'idee: magra, alta, grigia di capelli, nel
volto rugoso aveva occhi azzurri che, soli, sembravano
avere ancora la capacità di respirare e godere
l'aria pura dei monti intorno. Parlava poco e spesso
solo per lamentarsi; pareva che, da quando le era
morto il marito, la sua mente si fosse chiusa,
sbattendo la porta in faccia al mondo.
- Toni, il garzone, grande, grosso e un po' tonto
che aiutava nei lavori dei campi e viveva alla
cascina, roteava ancora gli occhi, dopo tanti anni, se
mai qualcuno, così per caso, gli ricordava il
giorno in cui Luigi La Guardia era morto, colpito dal
fulmine, mentre, sorpreso dal temporale nei campi,
raccoglieva gli attrezzi per tornarsene a casa.
-
- Ciò che forse aveva terrorizzato il
Toni, allora poco più di un bambino, non era
stata tanto la morte improvvisa del padrone, quanto
ciò che aveva visto sul volto della dura,
angolosa Agnese, quando aveva ritrovato il corpo del
suo uomo. Toni si era spaventato, ma i figli
già grandi di Agnese La Guardia avevano capito,
e l'avevano capito per la prima volta, che quell'uomo,
invecchiato precocemente, quell'uomo che li faceva
sgobbare come muli, era stato per la loro madre la
luce di tutto il suo mondo: ora che s'era spenta, la
donna era rimasta come cieca.
- Tre figli aveva avuto Agnese La Guardia: una
femmina e due maschi. La prima a lasciare la cascina
era stata Marta, la maggiore che s'era sposata con un
giovane che lavorava alla macelleria giù al
paese. S'erano conosciuti, l'estate dopo la morte di
Luigi La Guardia e l'inverno s'erano sposati. Agnese
non era stata contenta del matrimonio: non voleva
perdere la figlia e l'aiuto che la figlia le dava in
casa. Era solita dire che lei, Agnese, mai avrebbe
lasciato sua madre sola, con tre uomini cui accudire,
una madre vecchia e stanca, poi: lei mai l'avrebbe
fatto. Marta non l'era stata ad ascoltare. Aveva preso
l'abitudine di canticchiare, poi un giorno aveva
detto: «Guarda che mi sposo la prossima
festa». Così era stato e alla cascina
Marta non era più tornata.
- Del resto dei due figli maschi, anche Stefano
se ne era andato presto, prima al borgo a mezzacosta
del monte, dove aveva trovato lavoro in una piccola
officina, poi in città, in pianura, dove si era
sistemato in un'officina ben più grande:
ché Stefano era ambizioso e voleva farsi la sua
strada, lontano dai campi e dallo sterco di
vacca.
- Ottavio era il maggiore dei due fratelli la
Guardia: lui era rimasto sui campi, alla cascina,
insieme alla madre ed al Toni. Sentiva che quello era
il suo posto; c'era in lui un sentimento, una
sensazione che lo turbava e che non capiva, ma che lo
faceva rimanere lì, a lavorare la terra, a
mungere le vacche calde e grasse, a raccogliere le
uova, ad allevare i conigli, ad arare, a seminare,
zappare, potare, a veder passare il tempo, misurandolo
sull'epoca dei raccolti, con le figliate delle
bestie.
- Dalla finestra della cucina a volte, Agnese si
fermava a guardare quel figlio e l'occhio velato le
splendeva, le labbra severe sorridevano. Mai avrebbe
confessato, neanche al prete, neanche in punto di
morte, d'amare quel figlio più di tutti gli
altri.
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- Quel figlio non era bello, come Stefano, non
sapeva parlare - Stefano incantava con la sua
parlantina -, no, Ottavio era un mulo e basta, ma era
quello che lei sentiva più suo, poiché
era quello che, solo, era riuscita a partorire,
diverso d'aspetto, ma identico nello spirito al suo
uomo. E lei sola sapeva quanto avesse amato il suo
uomo: l'aveva sgridata, l'aveva anche battuta, ma
l'aveva raccolta fra le braccia nel sonno tante volte,
l'aveva sollevata per la vita, ridendo e scherzando e
lei sapeva tutto del suo cuore. Bene, Ottavio era suo
figlio: duro, inselvatichito forse, ma buono e
umano.
- Ottavio si mosse. Con cura controllò lo
steccato ad est del pascolo, poi lentamente si diresse
verso casa. Trovò la madre seduta in cucina,
vicino al tavolo; quando egli entrò,
alzò gli occhi dalla vecchia Bibbia che teneva
aperta in grembo, ché in quegli ultimi anni
aveva preso l'abitudine di leggere ogni giorno qualche
pagina della Bibbia.
- Disse: «Toni è tornato dal paese.
Ha portato la farina e lo zucchero... All'ufficio
postale c'era una lettera... di Stefano, viene a
casa». Ottavio rimase immobile un istante poi
prese a far scorrere l'acqua nel grande recipiente di
rame. «Va bene». Avrebbe voluto chiederle se
era contenta, sapeva quanto aveva sofferto per il
figlio che se ne era andato via, lasciando la terra,
voleva dirle di stare tranquilla. Ma non poteva. Il
volto della madre pareva ancora più rigido del
solito.
- «Dice che resta?»
domandò.
- No, rispose con il capo la vecchia. «Dice
che viene a trovarci, ma non si ferma. Porta una
donna».
- Ecco dunque cos'era: tornava, ma non per
restare, tornava con una donna. Dopo tanti anni di
silenzio. Agnese non glielo avrebbe perdonato, lei che
l'aveva già perso una volta e ancora non ci si
era rassegnata. Una donna? Chi? La fidanzata? Un
insulto in più per la vecchia La Guardia.
Agnese sedeva immobile, guardava lontano, ché
la sua mente stanca sapeva ancora vedere... e le cime
dei monti non erano troppo lontane per lei: tante
volte le aveva raggiunte e i piedi calzati negli
scarponi pesanti parevano danzare e il suo cuore
volava sulle orme stampate innanzi a lei sulla neve
fresca.
- E quando tornava alla casa e andava nella
stalla, animata dal calore delle bestie, sentiva il
sangue battere forte nei polsi e, mentre alzava il
fieno con il forcone, il gesto di nutrire le vacche
floride la riempiva di forza e di felicità; il
marito alle sue spalle rideva della sua energia e del
rosso delle guance, fra il fieno che odorava di
fragranze sempre nuove e la vita che muggiva,
respirava, ruminava intorno a lei, su di lei, dentro
di lei.
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- Parte 2
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- «C'è Stefano! È
arrivato!» gridò Toni all'estremità
del campo nord. Con calma Ottavio si volse verso la
casa, vi si diresse attraverso il prato, la falce
sulla spalla, lentamente.
- Non era cambiato Stefano, era quello di sempre:
allegro, agile, bello, forse un po' troppo vivace,
forse qualche ruga sul volto, ma niente di più.
C'era la donna con lui: era esile, di pelle chiara,
con grandi occhi scuri: era la fidanzata. Agnese era
rigida, ma non scortese, con il figlio poi parlava
tranquillamente. Ottavio si
tranquillizzò.
- «Eccoti qui! Grande e grosso e sempre
attaccato alla terra!» gridò
Stefano.
- Il saluto fece ricordare ad Ottavio quanto egli
avesse insistito affinché anche lui lasciasse
la casa: avrebbero convinto la madre a vendere,
avrebbero aperto un'officina loro due insieme:
Officina La Guardia, anche il nome aveva trovato. Ma
Ottavio aveva detto di no, ché lui restava e
così era stato.
- Stefano parlava: lui e la Luisa si sarebbero
sposati di lì a qualche mese, l'aveva portata
alla cascina perché la madre la conoscesse;
Agnese assentiva. La giovane era silenziosa, sorrideva
leggermente, quasi con sforzo.
- «Non è la donna per Stefano».
Furono le parole di Agnese, quando insieme ad Ottavio
andò alla stalla a chiudere le bestie. Ottavio
non rispose: gli era venuto da pensare che forse era
Stefano a non essere l'uomo per lei. Più tardi,
dopo che la madre se ne fu andata, mentre riponeva gli
attrezzi sulla scansia vicino alla porta, sentì
la voce del fratello venire dal sentiero dietro la
stalla, quello verso i campi.
- «Ma non sei buona di parlare? La lingua ce
l'hai, dunque parla! Vuoi che mia madre pensi che
sposo un'oca? Non che mi interessi poi molto quello
che pensa, la vecchia è matta, ma voglio che
parli, che tu le piaccia, lo sai, parla, oca!».
Ottavio si sentì irritato dal tono querulo,
infantile del fratello: gli sembrava di vederlo:
spalle rigide, viso corrucciato, mani in
tasca.
- La voce della donna era piana e gentile:
«Tu non capisci: non è la mia casa, quella
donna non è mia madre, non mi vuole qui e forse
non vuole neanche te. Vuoi che le piaccia, vuoi che ti
aiuti a convincerla a vendere questa terra, non ci hai
ancora rinunciato: è il tuo sogno».
«Ne avevamo pur parlato, lo sapevi, è
l'ultima possibilità che ho, che abbiamo, posso
ancora diventare qualcuno e se la vecchia si crede
d'impedirmelo...».
- «C'è tuo
fratello...».
- «Ottavio? storie... non vede più
d'un palmo davanti al suo naso».
- «Guarda là, cos'è? Una
stella? La luce di un aereo? Dio, che pace, sembra che
non esista niente di brutto qui, è tutto
così...».
- «Così come? Ma dico ti sei
rincretinita? Qui tutto è vecchio, sporco e sa
di vacca...». I passi risuonarono sulla terra
battuta, le voci si allontanarono.
- Ottavio s'accorse d'aver tenuto il fiato, si
vergognò d'aver ascoltato, si vergognò
per quello che aveva udito, guardò le sue
bestie con amore: «Odor di vacca!»
borbottò. Chiuse la porta della stalla e,
mentre si dirigeva verso la casa, guardò due o
tre volte in su il cielo stellato e si domandò
quale luce mai fra tante aveva colpito così con
il suo splendore la Luisa.
- La mattina successiva Stefano scese al paese
portando il Toni con sé: la donna no. Fu
così che Ottavio se la vide venire incontro
attraverso il campo, mentre conduceva i buoi verso la
valletta verde: toccava a lui se il Toni non c'era.
Era bella la donna. Ma parlava poco davvero. Era
timida forse: forse non aveva niente da dire o non
trovava il modo di esprimersi, chissà, forse
era solo a disagio.
- Si fermò di fianco all'uomo e chiese:
«Mi giudicate sciocca?».
- Ottavio non rispose: da quel gran parlatore che
era anche lui, non sapeva che dire e poi l'imbarazzava
il solo rendersi conto che a lei importava sapere come
lui la giudicasse.
- Mosse la testa e accarezzò la testa
della vacca bianca. Sapeva che la madre li poteva
vedere e questo lo imbarazzava di più. Ma la
donna scendeva verso la valletta, svelta, con passo
elastico. Si voltò ad un tratto, agitò
la mano, poi si mise a correre. Quando Ottavio e le
vacche la raggiunsero, la donna era seduta
sull'erba.
- «Siete felice voi qui, vero?». Questa
volta Ottavio fece segno di sì. Forse non
avrebbe potuto dire se lo era davvero o no dal momento
che il significato pieno della parola felicità
gli sfuggiva. Ma se felicità era ciò che
lui intendeva o anche meno, lui era felice. La donna
disse; «Ci credo». Si alzò e si mosse
per tornare e mentre andava aggiunse: «Partiamo
domani».
- La sera a casa vennero con Stefano anche Marta
e il marito macellaio. Si assomigliavano Marta e
Stefano. Risero e scherzarono molto; si fermarono
tutti a dormire.
- Quella sera nessuno passò vicino alla
stalla, ma Ottavio, andando a riprendere il badile che
aveva lasciato accanto al pozzo, vide il fratello
baciare la donna.
- L'indomani Marta e il marito se ne andarono con
grandi promesse di tornare e auguri di felicità
per i due prossimi sposi. «Non saranno
felici». Pensava Agnese fra sé e
sé, asciugandosi le mani nel grembiule di tela;
si girò un poco verso l'interno della stanza e
disse rivolta a Stefano che stava seduto al tavolo di
cucina: «Non venderò la terra
Stefano».
- «Tu vuoi rovinarmi... Ti aspetti che
diventi come quel bue di Ottavio, tu mi odi
perché me ne sono andato, tu...».
- «Non venderò la terra. Puoi tornare
qui se sei rovinato».«No, mai e lo sai! lo
sai bene!» gridò l'uomo e sbatté
con forza la tazza bianca piena del forte caffè
nero sul tavolo. La tazza si ruppe, il liquido si
riversò sulla cerata azzurra. Stefano
guardò la macchia scura allargarsi e
bestemmiò forte. Agnese La Guardia lo
fissò e non c'erano né rimprovero
né delusione nei suoi occhi, solo indifferenza,
apatica accettazione di una reazione aspettata. Questo
lo spaventò: capì che niente avrebbe
smosso la madre, una madre che non l'amava abbastanza
da fare ciò che lui le chiedeva. Che cosa poi,
in ultima analisi? Togliersi da quella vita selvatica,
permettere ad Ottavio di lavorare decentemente con lui
in un'officina loro, comprata con i soldi ricavati
dalla vendita della terra, trascorrere i suoi ultimi
anni in un appartamento, con una camera tutta sua, con
lui e la Luisa.
- Diavolo d'una vecchia rimbambita. Uscì
sbattendo la porta e andò diritto verso i campi
deciso a parlare con Ottavio. Potevano farla interdire
infine la vecchia. Ottavio lo ascoltò, gli fece
anche qualche domanda e quando fu sicuro di aver ben
compreso ciò che il fratello andava dicendo,
sentì le gambe irrigidirsi e una vampata
attraversargli il ventre fino alla gola. Agnese non
era pazza, era sua madre, la terra era sua, era nel
suo diritto. La collera lo prese alla gola forte e
irrefrenabile, non seppe, non tentò neppure di
trattenerla. Picchiò una volta sola con forza,
mirando alla bocca del fratello e lo lasciò che
sputava sangue sul margine del campo. «Brutto
idiota... soldi e soldi e soldi e quella maledetta
città!» Si sentì triste per il
cretino e si sentì triste per la Luisa: gli era
simpatica e adesso gli faceva un po' pena.
- Sul tavolo c'era solo il suo piatto quella
sera. Agnese gli disse che Stefano e la donna erano
partiti, Stefano non aveva detto che sarebbero tornati
e lei pensava di no. Ottavio mangiò in silenzio
mentre Agnese leggeva una pagina della Bibbia: non
c'era serenità in loro, ma l'istinto diceva che
presto, molto presto ogni cosa sarebbe tornata a
posto, che il loro mondo aveva subito una scossa, ma
aveva resistito.
- Così fu infatti. Il ritmo delle ore e
dei giorni tornò a scandire la vita dei due La
Guardia nei campi ai piedi dei monti. C'era molto
lavoro: s'era in autunno inoltrato, presto sarebbe
stato inverno; le scorte per il bestiame andavano
fatte e riposte, i campi, dopo il raccolto, erano
pronti per il sonno invernale. Ottavio pregustava
l'odore della legna che bruciava nel grande camino, le
lunghe serate passate a leggere la rivista
dell'agricoltore e a scolpire le figure in legno, cosa
che faceva con passione, aveva fatto le statuine per
il presepio della pieve alcuni anni prima. Ma
l'intaglio era solo uno svago per lui, un passatempo
cui si dedicava in inverno, quando il lavoro nei campi
era sospeso.
- Quando cadde la prima neve sui monti Ottavio
fece un lungo giro per la terra dei La Guardia e
controllò bene ogni cosa, ispezionò
accuratamente gli steccati, le due stalle e il grande
fienile, fece una lista di ciò che mancava per
le riserve della dispensa e sottopose tutto ad
Agnese.
- «Va bene, bene» disse la vecchia
guardandolo «Va bene, Ottavio. Se pensi che ci
voglia più foraggio per le bestie, ordinalo e
anche per il resto, ... va bene, fa' tu». Da
qualche tempo Agnese sembrava stanca, svogliata,
svuotata e Ottavio era preoccupato per lei. Aveva
pensato di parlare alla madre per capire che cosa
avesse, poi pensò di no, che era meglio
chiedere al dottore, il Bianchi, che passava dal paese
proprio quel giorno, di fare un salto su alla cascina,
con la scusa di una chiaccherata e darle così
un'occhiata.
- Nel pomeriggio sul presto Ottavio scese in
paese e andò dal Bianchi, proprio mentre
questi, dopo aver mangiato in sacrestia, ché
infatti per quanto ateo convinto, intratteneva
cordiali rapporti col curato con cui condivideva il
gusto per la discussione e per lo scambio spesso
caustico e irriverente d'idee, se ne andava lentamente
ad aprire la porta dell'ambulatorio. C'erano
già due donne che l'aspettavano. Ottavio attese
il suo turno e poi entrò. Non era ben sicuro di
come incominciare il discorso e, a dire la
verità, il Bianchi, buono, ma burbero, non gli
facilitò le cose. «Bene, allora, La
Guardia che c'è? Siediti, dai, che devo andare
da una che partorisce. In 'sto posto c'è sempre
qualcuno che partorisce. Allora? Che hai? L'aspetto
è buono».
- «È mia madre, dottore...»
Aveva deciso di chiamarlo solo dottore e non, come
aveva sentito far gli altri, signor dottore, non
sapeva neanche lui perché.
- «La vecchia La Guardia! Toh! E che ha?
Perché non me l'hai portata?» Ottavio
cercò di spiegare il perché: era un'idea
sua che sua madre non stesse bene, una paura
sua.
- «Mah, ha già una bella età
ormai, l'Agnese. Senti, adesso ho quel parto, poi vedo
se ce la faccio a venire stasera a darle un'occhiata.
Ti sta bene così? E guarda che un bicchiere di
quello buono lo voglio però, anzi, meglio,
facciamo due. Siamo intesi?» Ottavio fece di
sì, certo, lo ringraziò e fece per
uscire, quando il Bianchi disse a voce alta, ma quasi
a se stesso: «Però c'hai un bel fratello
fetente, figlio mio. Non che siano affari miei, ma al
paese giù ne parlano tutti di
Stefano».
- «Perché, che è successo a
Stefano?»
- «Dico, non lo sai? a lui proprio niente,
ma quella ragazza, la Luisa è gravida e lui
l'ha piantata e dicono che andrà in Germania e
la Luisa che vada al diavolo, lei e il
bambino.
- «Di' su, non te la prendere a questo modo;
guarda che faccia hai... Dai son cose che capitano ,
solo che nei paesi se ne parla di più. Va' a
casa. A stasera e non ci pensare».
- Ma Ottavio non poteva non pensare alla Luisa.
Ci aveva pensato tanto in tutti quei mesi. Gli veniva
in mente quando meno se lo aspettava, ma sempre
allontanava il pensiero: era la donna di Stefano. Oh,
se lo era stata la donna di Stefano! aveva suo figlio
in pancia. Avrebbe voluto che la Luisa avesse il suo
di figlio. Dio, l'aveva pensato, aveva avuto il
coraggio di pensarlo alla fine e non se ne
rimproverava. Ma la Luisa era andata a letto con
Stefano e lui l'aveva mollata. Incominciò a
cadere acqua mista a neve dal cielo che s'inscuriva
rapidamente. Doveva pensare e capire perché si
sentiva confuso e agitato e infelice: per la Luisa?
Per il suo bastardo che era poi un La Guardia?
Incominciò a camminare lungo il viottolo in
salita e salì e salì su per il sentiero
fin che il fiato non gli mancò e s'accorse solo
allora d'aver quasi corso per gli ultimi metri e di
sentirsi in fondo all'animo ferito , sconvolto,
deluso. Si fermò allora, ansimando. Ormai era
buio e nevicava, fiocchi piccoli e fitti che gli
ferivano il viso. Aveva voglia di piangere, lui che di
donne ne aveva avute ben poche, che nessuna aveva
amato, che nessuna aveva conosciuto come la Luisa:
chiara di pelle, scura d'occhi, fine di lineamenti,
snella, quasi troppo, con i suoi lunghi silenzi e
quelle sue poche parole. Non riusciva ad immaginarsela
gonfia per il figlio che portava, sola e derisa da
quelli del paese a mezzacosta dove Stefano l'aveva
conosciuta, figlia di un mezzadro vedovo e povero, per
illuderla d'un amore e forse d'un benessere che non
sarebbe mai arrivato. L'avrebbe voluta lui una donna
così, dalla voce dolce e bassa, lui l'avrebbe
voluta. Non ci aveva mai neanche lontanamente pensato,
solo, a volte, aveva immaginato per un attimo,
qualcosa di simile «Sì, proprio io, il
mulo!» Piangeva e rideva, schernendo se stesso.
La terra era la sua donna, era il suo amore.
S'inginocchiò piano e rimase là con le
spalle rivolte al monte e il viso in giù verso
le luci baluginanti delle fattorie.
-
- ***
-
- «È vecchia, Ottavio, solo vecchia,
stanca di vivere anche. Ne ha passate tante, ha
lavorato troppo... Se ne andrà piano piano,
figlio mio, e credo senza paura e rimpianti. È
forte d'animo, ma anche la candela più
splendente finisce per spegnersi. Dai, è la
vita». Il Bianchi gli disse e gli batté la
mano sulla spalla.
- «Ho capito. Le starò
vicino».
- «Sì, bravo. L'hai sempre fatto.
Senti, quella faccenda di Stefano, non dirgliela,
tanto...»
- «Non lo so, non ci ho ancora pensato....Ma
la Luisa adesso dov'è?».
- «Dove vuoi che sia? È tornata dal
padre, al paese a mezzomonte e gli tiene la casa, gli
fa da serva. Il bambino nascerà a primavera. Se
ce la fa».
- «Se ce la fa?».
- «Non è mica una La Guardia, lei!
È come era sua madre: delicata. Mah, speriamo
bene». Il Bianchi s'incamminò verso la
vecchia jeep con cui si spostava nella valle, di
fattoria in fattoria.
- «Dottore!»
- «Che vuoi?»
- «Vedrà la Luisa?»
- «No. Perché?»
- «Ma passa dal paese?»
- «Sì, dopodomani».
- «Se la vede, le dica che mi dispiace,
sì mi dispiace, l'ho vista una volta sola, ma
m'è piaciuta e mi dispiace, vorrei aiutarla
e...».
- «E che cosa ? Va be', glielo dico. Addio
Ottavio».
- «Le dica che se ha bisogno io son qua. No,
le dica che giovedì prossimo vado giù,
c'è mercato, vado io al posto del Toni. Vorrei
vederla». Il Bianchi guardò l'uomo un
attimo, poi distolse lo sguardo e scosse il capo.
«Non devi sentirti responsabile per
Stefano».
- «Non è per Stefano, è per la
Luisa. Voglio vederla».Testardo come la madre,
pensò il Bianchi, avviando il motore. L'avrebbe
vista, come no. Era perplesso, perché conosceva
Ottavio da molto e gli voleva bene a quel campione di
razza montanara ormai in estinzione. Ne avrebbe
parlato con l'amico, il nemico parroco. Bella
discussione sarebbe stata quella! Ghignò,
soddisfatto.
-
-
- Parte 3
-
- La corriera fermò nella piazzetta del
paese, il giovedì, proprio davanti al sagrato
della chiesa. Il mercato era nel piazzale dietro il
municipio, stipato di paesani che coglievano
l'occasione per incontrarsi, far affari, scambiar
chiacchiere e farsi un bel bicchiere.
- Ottavio scese dalla corriera e
s'incamminò verso il mercato, a passi lenti,
guardandosi attorno. Non aveva detto al Bianchi dove
avrebbe incontrato la Luisa e non sapeva di preciso
dove stava la casa del padre, non che fosse un
problema, qualcuno gliela avrebbe indicata, ma avrebbe
preferito non chiedere. La mattina era fredda e l'aria
gli gelava le mani grosse arrossandogliele. Aveva
ormai superato la chiesa, quando vide la Luisa, con
quello scialle scuro che dal capo le scendeva
giù sotto la vita, era quasi irriconoscibile.
«Oddio, non è la donna di Stefano,
è un'altra» pensò. La donna non
mosse un passo, non fece un gesto. Ottavio si
fermò un attimo prima di andare verso di lei.
Le si fermò davanti. Gli sembrò stupido
chiederle; «Come va? Come stai?» Idiozie per
gente senza problemi. «Eccomi qui». Le disse
e voleva dire:
- «Sono venuto apposta per te, perché
voglio aiutarti, e lo voglio fare per te e per il
bambino, se vuoi». E c'era anche: «Mi sei
piaciuta sempre e t'ho sognata... sognata...
sognata...».
- Lei non mosse un muscolo. Ottavio la prese per
un braccio e la scosse leggermente: «Adesso
andiamo al mercato insieme e parliamo».
- «No».
- «E invece sì». La forzò
a muoversi per il mercato e la gente vide l'uomo
grande e grosso con i pantaloni di velluto marrone a
coste e la giaccona di fustagno che camminava con
quella povera Luisa: «Avete visto la figlia del
Filippi, quella incinta? Ma avete visto con chi
è? Lui è il fratello di Stefano».
«L'Ottavio, dai!» «Ma è proprio
l'Ottavio». «È un giovane a posto
l'Ottavio. sarà venuto per vedere come stanno
le cose, un po' di soldi magari...» Così
le voci del mercato ciarlavano. Nessuno sapeva che
Ottavio, mentre salutava i conoscenti, sempre tenendo
stretta la Luisa come per paura che gli scappasse,
pensava e pensava. Alla fine si fermò vicino al
bancone delle granaglie e disse alla Luisa: «Tu
vieni alla cascina».
- «No».
- «Tu vieni a casa da mia madre, è
suo nipote che deve nascere. Vieni a casa
nostra».
- «No»
- «Luisa, io ti sposo». La donna
tremò così forte che per poco non cadde.
Lui la tenne su.
- «Perché?»
- «Perché t'ho sognata». Era il
massimo per Ottavio.
- «Perché?»
- «Perché sì. Da quando ci
siamo parlati alla malga, t'ho sognata e quanto a
Stefano...»
- «No, non voglio...»
- «D'accordo, vai a prendere le tue cose,
torniamo a casa, ci sposiamo, se vuoi: non sono come
mio fratello e lo sai e questo è il discorso
più lungo che ho mai fatto e non lascerò
mai la valle: questo lo devi sapere».
- La guardò e la vide sorridere appena.
Aveva il ventre già gonfio per il figlio che
sarebbe nato a primavera. Ottavio allentò la
stretta quasi per vedere se sarebbe fuggita o no.
«La corriera è alle tre. Ti aspetto
davanti alla chiesa. Ci verrai?».
- La Luisa non disse nulla, né sì,
né no. Solo si strinse lo scialle più
stretto attorno alle spalle. Rimase un attimo
immobile, poi si voltò e si allontanò.
Ottavio rimase piantato in mezzo alla strada. Non
sapeva che cosa pensare. Non poteva impedirsi di
paragonare la Luisa di oggi a quella di Stefano. Aveva
perso di lucentezza, di gioventù, non solo per
gli abiti tanto diversi che l'avevano fatta sembrare
una di città, ma per il modo di guardare ora
così fisso, per il modo di camminare, ma forse
era per il bambino... realizzò di colpo che
l'aveva chiesta in moglie, quella donna estranea che
pure aveva sentito e sentiva tanto vicina,
pensò alla madre, a quello che avrebbe detto
quando l'avesse visto arrivare con lei, se pure lei
fosse venuta.
- Aveva due ore da far passare prima della
corriera e doveva togliersi dalla strada, ormai la
gente lo guardava incuriosita: sembrava un albero
piantato in un prato con tante galline chioccianti
attorno. Girò dietro le case, dove un muro
limitava la borgata; sotto si stendevano i campi
coltivati.
- Si appoggiò al muro e guardò
giù e lui che quasi mai aveva pensato all'amore
per una donna, si trovò a pensarci. Amore,
passione, volersi bene, vivere insieme, invecchiare
insieme. Si sentiva confuso. Di certo sapeva che la
Luisa l'aveva colpito la prima volta, l'aveva sentita
capace di capire le cose che per lui erano importanti,
forse di goderle come lui le godeva. L'amava? Oddio.
«Non lo so». Sentiva di certo di volerle
bene, di voler provare a darle quel suo bene, ma non
sapeva se questo era amore. Non si domandò se e
che cosa la Luisa potesse mai provare per
lui.
- Alle tre la corriera arrivò e della
Luisa nessuna traccia.
- «Non viene» si disse deluso. Quando
la gente incominciò a salire, Ottavio rimase
indietro, ad aspettare fino all'ultimo e all'ultimo la
vide. Era vicino alla chiesa, anzi ne era appena
uscita. Aveva una valigia con sé. La
chiamò, gridò all'autista: «Un
momento!» Le andò incontro, le prese la
valigia, la fece salire sulla corriera. Si sedettero e
Ottavio fece i biglietti.
- «Arriveremo a casa tardi» disse. La
Luisa stava piangendo. Ottavio si sentì
inutile.
-
- ***
-
- Agnese La Guardia aveva acceso un gran fuoco
nel camino e la cucina era calda ed accogliente. Aveva
anche preparato una zuppa calda per quando Ottavio
fosse tornato. Il Toni aveva già cenato e se
n'era andato a dormire. Agnese guardava il fuoco, gran
lingue lucenti levate contro il nero del camino e
scintille, scintille senza fine, mentre smuoveva le
braci ardenti del fondo con la punta dell'attizzatoio
scurito dal tempo. Il tempo. Gran scherzo giocava il
tempo, gran giostra era la vita. Da giovane donna era
solita vedere figure nell'agitarsi delle fiamme,
figure dai morbidi contorni sfumanti: ora non vi
vedeva più niente, non c'era più niente
da vedere: agitò forte l'attizzatoio, una
nuvola di rosse scintille si alzò,
brillò e scomparve. «C'era una
volta...» Le tornavano alla mente le fiabe che le
avevano raccontato da bambina, le favole delle
montagne, di alberi parlanti, di gnomi benevoli, di
stelle cadenti, di regine di neve e di ghiaccio, le
stesse che lei aveva raccontato ai figli bambini e
filastrocche lunghe e senza senso che aveva
cantilenato per loro al tramonto. Ogni filastrocca le
tornava alla mente e i volti dei figli piccini e
sentì Luigi chiamare: «Agnese»,
forte. L'attizzatoio le sfuggì di mano e rimase
un attimo come sospesa, dolente, ma non spaventata
né sorpresa. Non ci fu più nulla a cui
pensare per Agnese La Guardia: il suo tempo s'era
concluso e fuori dalla sua casa, sui suoi campi, sui
suoi monti la neve cadeva a ricoprire la
valle.
-
- S'infittiva mentre Ottavio e la Luisa salivano
verso la casa. Lui portava la valigia della donna. La
tenne per il braccio, quando s'accorse che scivolava.
Non c'erano lacrime negli occhi della Luisa. Mentre
Ottavio apriva la porta della cascina, ella si
fermò prima d'entrare, un momento solo, e
guardò nell'oscurità i fiocchi bianchi
contro il lucore del cielo di neve, si mise la mano
sul ventre, ché suo figlio, un La Guardia, si
muoveva dentro di lei.
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-
- "Dedicato a un uomo che nella vecchiezza, nella
malattia e con la morte seppe esprimere tutto l'amore
che provava per la vita: dedicato a mio
padre."
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