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- IL LIBRAIO
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- Mi attiravano le luci della piccola
libreria, che rischiaravano i masegni della
fondamenta davanti all'ingresso e alle due vetrine
quadrate, simmetriche. A volte mi divertivo a
immaginare la bottega come una dimora accogliente o
un piccolo asilo pieno di giochi e di bimbi felici.
Ma questo succedeva soltanto quando i ricorrenti
tormentosi pensieri allentavano la stretta dalle
viscide spire e la mente - per poco - quasi si
alzava in volo, bianca colomba dalle rinate
ali.
- Quella sera sentivo di aver assaggiato la
feccia dell'angoscia e improvvisamente provai una
grande tensione verso la risalita, una forza
scaturita da chissà dove, di cui avrei
voluto possedere il controllo o il dominio. La
forza magnetica mi spinse a fermarmi davanti alla
bottega, per leggervi tutti i titoli dei libri
esposti, osservare le copertine, ammirare la
tecnica di disporre i volumi, scorgendo nel giovane
libraio insospettate doti di vetrinista. Va detto
che ho sempre amato i libri, ma anche che ho sempre
odiato il freddo e quella sera era una delle ultime
dell'anno, spazzata da una bora gelida che durava
ormai da tre giorni. La mia attenzione fu attratta
da un libriccino semi-nascosto, disegno astratto in
copertina su sfondo grigio. L'autore era di lingua
tedesca, cercai di ricordarne il nome mentre
entravo per chiedere il libro. Mi accolse un
delizioso tepore, che sciolse ogni rigidità
nelle membra ma appannò gli occhiali e per
qualche istante mi trovai smarrita e confusa, come
se il potermi guardare intorno fosse condizione
indispensabile all'aprir bocca. Quando la visione
tornò limpida, il mio sguardo
incontrò il caldo sorriso del libraio.
"Desidera?" "Il segreto". Mi sentii strana e
importuna, anche se è più che
naturale chiedere un libro in una libreria. "Voglio
dire... quel volumetto grigio nell'angolo, in
alto...". Avevo dimenticato il nome dell'autore,
sebbene avessi studiato tedesco. Il libraio
però capì subito e in un attimo mi
porse il libro. Solo in quel momento lessi il nome
dell'editore. Mi stupì che una così
grande casa editrice, solita a rutilanti best
seller, avesse scelto una veste tipografica
dimessa. Il libraio parve leggermi nel pensiero,
perché senza perdere il sorriso aggiunse:
"Questo è un libro veramente diverso,
speciale. Praticamente non è riconducibile a
nulla di conosciuto. Non appartiene ad alcun genere
particolare: non si può definire esoterico,
psicologico, filosofico o in altro modo; non
è un saggio vero e proprio né un
romanzo; nemmeno si può dire se sia prosa o
poesia". Poi, abbassando la voce: "So che non sei
entrata qui per caso. Forse ora intuisci
confusamente che cosa significhi questo titolo, ma
quando incomincerai a leggere te ne accorgerai e la
sorpresa si farà sete e ogni pagina, ogni
riga, sarà per te acqua. Acqua che berrai
avidamente e nella quale ti specchierai,
perché il segreto è quello della tua
vita, è la risposta a tutte le tue
domande".
- Mi irritavo sempre, allora, quando si
rivolgevano a me con il tu, attribuendomi di sicuro
un numero minore dei miei quasi vent'anni. Quella
sera invece fu come una carezza il tono
confidenziale del libraio. Mi sembrava di vivere un
sogno, un incantesimo, forse perché lo
desideravo. Avrei voluto un deus ex machina, che
scendesse dal cielo a risolvere i miei problemi,
"con mano potente e braccio teso", come è
scritto nella Bibbia. Invece le lucciole natalizie,
ammiccanti stelle multicolori, continuavano a
ripetere il monocorde messaggio dell'intermittenza:
"Attenzione! Attenzione! Attenzione!". E il
bambinello di gesso, dai lineamenti delicati,
continuava a tenere aperte le braccine rosee in un
abbraccio sempre disponibile, che però non
poteva chiudersi sul mio corpo ed avvolgermi di
luce e di calore. Lui non sentiva il pizzicore
della paglia attraverso il sottile abitino bianco e
sorrideva, circondato da un'aureola di raggi d'oro,
e la sua paziente immobilità sembrava dirmi:
"Aspetta! Cerca e troverai. Bussa e ti sarà
aperto". Ma a troppe porte avevo già
bussato, inutilmente. Troppe risposte avevo
già trovato, ma nessuna era la mia.
Così quella sera sentii, per la prima volta,
che la mia mano tesa a chiedere aiuto era stata
stretta con un amore che non conosce abbandono. Non
era un semplice rapporto di compravendita,
né uno di quei trucchi pubblicitari
abominevoli, che lasciano l'acquirente con la bocca
amara. Nemmeno si trattava però - seguitemi
bene - di un idillio nascente fra un libraio poco
più che trentenne e la nuova cliente,
matricola di lettere. No, il sesso non c'entrava
affatto; benché il libraio fosse decisamente
carino, il mio cuore era tutto per il libro e il
suo autore. Che fosse questo l'aiuto tanto invocato
dal Cielo? E se anche non fosse, che cosa ci avrei
rimesso? Un tentativo in più potevo farlo e
poi il prezzo era più che accessibile.
Sentivo che era giusto così: la via della
saggezza deve presentarsi umile, sobria, disadorna,
aperta a chiunque voglia cercarla. Acquistai il
libro - era l'unica copia rimasta e non erano
previste ristampe - e uscii nel buio pervasa da
un'emozione mista di turbamento e speranza. Mi
voltai con l'impulso di tornare a ringraziare il
libraio, ma sentii il cigolio assordante delle
serrande, che si abbassavano rapidamente, e in un
attimo la notte regnò assoluta nel tratto di
fondamenta, sebbene fosse appena passata l'ora di
chiusura. Sole, un po' più lontano,
l'insegna al neon di una farmacia e la luce fioca
di un lampione rimanevano a guidare i passi di
qualche viandante frettoloso. Non potevo estrarre
il libro dal sacchetto e leggerne qualche parola o
almeno sfogliarne le pagine, come avrei desiderato,
quindi affrettai il passo anch'io.
- Superata la farmacia, già in vista
del ponte che chiude la fondamenta, mi accorsi che
la bora era cessata e stava avanzando un banco di
fitta nebbia. Dapprima sparirono la luna e le
stelle, poi anche le case al di là del
canale e il ponte e rimasero solo il biancore del
marmo scivoloso al limite della fondamenta, le
colonnine di ferro scuro del parapetto e lo
sciacquio dell'acqua, invisibile come in un baratro
senza fondo. Nel cuore ancora eccitato di
entusiasmo penetrò una lama di gelida
angoscia - sensazione non nuova, ma in quel momento
con un indicibile presentimento di morte - e i
battiti accelerarono, li sentii nelle orecchie come
la corsa ansimante di una belva lanciata
all'inseguimento, poi percepii distintamente dei
passi alle mie spalle. Mi voltai e lo vidi; anzi
vidi soltanto una figura alta e magra, oscura, e il
lampo feroce negli occhi, che rilucevano attraverso
il buio e la nebbia come quelli dei gatti. Capii
che era lui, lo avevo sentito già prima di
udirne i passi, nell'agitazione del cuore, nel
fremito delle viscere, nei brividi lungo la schiena
e nella debolezza delle gambe, incapaci di
avanzare. Era lui, il Diavolo. La visione
durò un attimo: mi sentii afferrare e
spingere verso il canale, senza poter più
scorgere l'aggressore, e nel divincolarmi pensai
solo ad aver salva la vita. In una frazione di
secondo percepii che il sacchetto aveva perso peso
e guardando nell'acqua vidi un piccolo rettangolo
chiaro che affondava fino a scomparire, inghiottito
dal nero informe. La mia stessa vita affondava con
il libro, inghiottita dalle tenebre della
disperazione.
- A casa mi sembrava di avere la febbre. Il
dolce sogno si era trasformato in incubo. Scese il
torpore della depressione. In quel paio di giorni
che mi separava dalla notte di San Silvestro,
però, non provai alcuno dei consueti sensi
di colpa, perché la mia mente era come
paralizzata, e mi riuscì di dormire, oltre
che a letto per almeno dieci ore, anche sulla
poltrona o sul divano, prima del pranzo e dopo. A
poche ore dalla mezzanotte, che segna il confine
fra i rottami dell'anno vecchio e i sogni
iperbolici dell'anno nuovo di cui son pieni gli
oroscopi, sentii in me dissolversi progressivamente
la sonnolenta foschia: all'inizio non la riconobbi,
ma era quella forza misteriosa che mi aveva
condotta nella bottega del libraio. Mi venne il
desiderio di comporre una poesia. Già da
parecchi anni mi dilettavo a scrivere poesie, ma
solo occasionalmente, l'ispirazione era dono raro,
che credevo frutto di adolescenziali incantamenti.
Fu da quella sera che divenni... ma sì,
perché aver timore di questa parola?
"poetessa". Divenni dunque per sempre discepola
della poesia. Vissi i festeggiamenti del Capodanno
con serenità e il primo sonno di gennaio non
nacque dalla depressione, ma da una rinnovata
speranza di salute. Era il vestibolo del sogno. Un
sogno il cui luminoso ricordo ancor oggi mi
accompagna: inseguita dal Diavolo, giungevo non so
come in un ameno chalet d'oltralpe. Lì il
Diavolo non poteva entrare. Guardandomi intorno,
vidi un angolo di soggiorno con una finta pelle di
bue per tappeto e lo scorcio di un'altra stanza,
che immaginai ampia e che si apriva, con larghe
vetrate, sulla corona innevata dei monti. Mi
dispiace di non riuscire a spiegare, se non in modo
banale, l'atmosfera di quell'ambiente: era la casa
della felicità. Sapevo, anche se non lo
incontrai, che lì abitava l'Autore.
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