- Sulla
mitizzazione
- della scrittura
cinese
- di Luciana
Bressan
-
- 1. La persistenza del
mito
-
- A l'heure actuelle,
les théories tendant à faire des
écritures anciennes ou exotiques des systèmes
de signes indépendants de toute langue parlée
n'ont plus cours1.
-
- Ciò è
sostanzialmente vero se ci si riferisce agli specialisti in
linguistica e/o semiologia; pur tuttavia, è giocoforza
prendere atto del fatto che, ancora a trent'anni di distanza da
quella osservazione, sono ancora correnti in Italia, come in
altri paesi, e non soltanto in pubblicazioni rivolte al largo
pubblico, ma anche nella mente di molte persone di buon livello
culturale, miti e pregiudizi sulla scrittura cinese diffusisi
in Europa qualche secolo fa per motivi che dovrebbero essere,
oggi, storicamente superati.
-
- Many scholars, especially
linguists and Sinologists, now agree that the Chinese script
may be described as an enormously large but phonetically
imprecise syllabary, with strong visual and semantic
qualities (De Francis 1984, 1989). A few philosophers still
insist that the Chinese writing system is pictographic and
"ideographic" (Hansen 1993), but their views have been
effectively countered by the empirical and historical
evidence (Unger 1990, 1993).2
-
- Le vicende della
scoperta della lingua e della scrittura cinesi da parte del
mondo estremo-occidentale sono state oggetto di numerose
pubblicazioni e convegni negli anni '90; vari sinologi hanno
contribuito al revival degli studi sulla deformazione e
strumentalizzazione dei dati allora disponibili su varie
componenti della cultura cinese - tra cui la scrittura - a fini
ideologici "europei" tra i secoli XVI e XVIII, così come
alla rievocazione dei dibattiti sulle tipologie linguistiche
che hanno fornito argomenti alla teoria della supremazia
intellettuale e/o culturale degli occidentali sui cinesi nel
corso del secolo XIX, teoria evidentemente funzionale alle
politiche colonialiste3.
- Sembra che gli europei
non si siano interessati alla scrittura cinese prima del
sedicesimo secolo, nel corso del quale testi scritti in cinese
cominciano a essere introdotti nel vecchio mondo. I primi
gesuiti installati in Giappone scoprono che i Kanji
provengono dalla Cina, e che cinesi e giapponesi possono
comunicare fra loro per iscritto pur parlando lingue diverse.
Tra gli ultimi decenni del sedicesimo secolo e i primi del
diciassettesimo si diffondono sempre più abbondanti
informazioni sulla cultura cinese, parallelamente alla
formazione dei primi sinologi, fra cui persone a stretto e
prolungato contatto con l'élite intellettuale cinese del
tempo. Molti studiano il cinese e si rendono conto del fatto
che ogni Hanzi viene letto con una sillaba; vengono elaborate
le prime trascrizioni dei caratteri cinesi in alfabeto
latino4.
- I missionari europei
esposti al contatto con gli usi scritti cinesi sono colpiti dal
numero dei segni grafici diversi; molti riferiscono che ci sono
tanti caratteri quante parole o cose; si trovano analogie con i
geroglifici egiziani; prende piede l'idea secondo la quale uno
Hanzi = una sillaba = una parola = un concetto, ovvero,
ogni carattere rappresenterebbe una parola, perchè in
cinese tutte le parole sarebbero monosillabiche, e un testo
scritto in cinese può essere letto con "pronuncia"
diversa da locutori di varianti orali diverse (non solo cinesi
di aree geografiche o epoche distanti, ma anche giapponesi,
coreani, vietnamiti...) ma ugualmente compreso in quanto i
caratteri stessi sarebbero segni che veicolano un significato
visivamente, senza la mediazione dei suoni vocali. Il
diciottesimo secolo vede il trionfo dell'esotico cinese come
moda culturale; e, parallelamente, la sempre maggiore
diffusione dell'idea di un "codice cifrato" riferito a
scritture di popoli lontani nel tempo e/o nello
spazio.
-
- On trouve [...] une
lecture proprement cabalistique de l'écriture
chinoise; c'est celle d'un petit groupe de jésuites,
pourtant parmi les mieux informés, mais qui furent
incapables de résister à l'idée de
décryptage caractéristique de leur
époque. Ces "figuristes" pensaient retrouver par
l'analyse des caractères chinois les symboles de la
foi chrétienne. [...] leurs analyses
graphiques les plus fantastiques étaient
fondées non seulement sur le Yijing, dont les
hexagrammes sont sans rapport avec l'écriture, mais
aussi sur le données et les méthodes du grand
dictionnaire éthymologique chinois du début de
notre ère, le Shuowen. En elles-mêmes,
les idées des Figuristes, condamnées par Rome,
n'eurent guère de succès en Europe, mais leur
manière d'analyser l'écriture chinoise a
laissé des traces
durables5.
-
- Di fatto, molte
qualità vere o presunte della civiltà cinese
furono ampiamente utilizzate come argomenti a favore di
determinate tesi ideologiche sostenute da esponenti della scena
politico-culturale europea.
-
- Negli scritti della fine del
sec. XVII, gesuiti come Bouvet descrissero K'ang-hsi come un
tipo benevolo di "Re Sole", sul modello di Luigi XIV: non
senza secondi fini, perchè il finanziamento della
Francia era essenziale per la missione
cinese6.
- Un'altra delle idee che quegli
scrittori francesi avevano cara era quella che il
confucianesimo in qualche modo presagisse la
possibiltà di una morale universale e che gli
ideogrammi della scrittura cinese autorizzassero a sperare
in un linguaggio universale che trascendesse le lingue e le
nazioni. Entrambi questi aspetti vennero notati da
Leibnitz.[...] Per qualche tempo Leibnitz fu anche
attratto dalla posizione cosiddetta figurista, come molti
altri scienziati fino al termine del Settecento;
[...] Il loro lavoro [dei figuristi] va
visto nel contesto di quello che gli storici
dell'antropologia descrivono come l'ultima difesa della
teoria di una "monogenesi" dell'umanità, che
riconduca l'origine di tutti gli uomini a Noè e da
lui ad Adamo. Alla posizione monogenetica si contrapponeva
il crescente interesse per le teorie "multigenetiche", che,
ammettendo un'origine multirazziale dell'uomo, permettevano
di degradare interi segmenti della famiglia umana e di
collocare alcuni popoli in una regione prerazionale
dell'umanità. Le teorie poligenetiche aprirono la
strada a pretese "giustificazioni scientifiche" del
razzismo7.
-
- In questo contesto, il
"monosillabismo" della lingua cinese, considerato affine alle
prime fasi dell'apprendimento del linguaggio nell'infanzia, fu
visto come una prova del fatto che questa fosse la lingua
primitiva, nella connotazione positiva di
primigenia, dell'umanità, prima della dispersione
di Babele. Secondo George A. Kennedy la prima esposizione
sistematica di tali argomentazioni in lingua inglese è
quella redatta da John Webb ne An Historical Essay
Endeavoring a Probability That the Language of the Empire of
China is the Primitive Language del 1668. Lo stesso Kennedy
mette poi in rilievo lo slittamento che il termine
primitiva applicato alla lingua cinese - sempre in
quanto "monosillabica" - ha avuto verso la connotazione
negativa di "infantile, povera, non evoluta", che divenne
dominante nel diciannovesimo secolo8. A suo parere
non si era avuto nel frattempo "the slightest increase in any
real knowledge of or about the language, but merely an
emotional change connected with the general nineteenth century
reaction against extravagant glorification of the Celestial
Empire that had earlier been the
mode"9.
- Secondo De Francis, il
mito della "ideograficità" della scrittura cinese appare
strettamente legato a quello della sua "universalità",
nonchè all'idea del "monosillabismo" della lingua
cinese10.
- Già nel corso del
XIX secolo si erano levate voci discordanti rispetto alle idee
ancora diffuse circa il monosillabismo della lingua e/o
l'ideograficità della scrittura cinesi. L'americano Du
Ponceau sostenne che la scittura cinese non è
ideografica, cosi' come non potrebbe esserlo alcuna scrittura
degna di questo nome: "[...] ideographic writing is a
creature of the imagination, and cannot exist, but for very
limited purposes, which do not entitle it to the name of
writing. [...] all writing, as far as I know,
represents language in some of its elements, which are words,
syllables, and simple sounds"11. Il francese Callery
sostenne la funzione prevalentemente fonologica dei caratteri
cinesi, in analogia con quella dei geroglifici egiziani come
elucidata da Champollion12. Appare ormai chiara,
almeno per i migliori sinologi, la necessità di una
trattazione distinta delle caratteristiche degli usi scritti
rispetto a quelle degli usi orali: si può citare ad
esempio l'impostazione dei corsi di cinese tenuti a partire dal
1815 da Abel Rémusat al Collége Royal, basati
sull'opera fino allora dimenticata di Joseph de
Prémare13. Anche Wilhelm von Humboldt,
filosofo conoscitore della lingua cinese, era dell'opinione che
"gli studiosi che si sono lasciati andare fino a dimenticare
che il cinese è una lingua parlata hanno talmente
esagerato l'influenza della scrittura da mettere, per cosi'
dire, la scrittura al posto della
lingua"14.
- Rimane tuttavia
dominante, soprattutto nella seconda metà del XIX
secolo, un'impostazione che privilegia lo studio degli usi
scritti, e in particolare antichi, come il solo degno di essere
intrapreso (in questo tradizione nazionale cinese e
conservatorismo culturale "occidentale" vanno perfettamente
d'accordo), e, come in altri campi delle scienze umane dominate
dal positivismo, l'idea di uno sviluppo storico unilineare che
dovesse passare per le stesse tappe, anche se a velocità
diverse, in tutte le società umane15. Si
diffonde l'idea che il cinese sia una "lingua priva di
grammatica", laddove la "grammatica" per eccellenza è la
morfologia delle lingue indo-europee; molte descrizioni della
"lingua cinese" realizzate da sinologi sulla base di modelli
letterari sono interpretate come valide anche per le varianti
orali da studiosi non-sinologi, che le divulgano come
tali.
- La seconda metà
del secolo XIX vedrà fiorire gli studi sinologici in
Europa prima e negli Stati Uniti poi grazie alla "apertura"
forzata della Cina da parte delle potenze occidentali; ma le
opere filologicamente più rigorose, per lo più
riservate a pochi specialisti, hanno potuto convivere a lungo
con la divulgazione delle interpretazioni più
fantasiose, sia ereditate dal passato che di nuova creazione.
Strascichi di queste tendenze contrapposte, che possono anche
sovrapporsi nell'opera di uno stesso autore, sono sopravvissute
fino ai nostri giorni.
- Se la genesi di
determinati miti sulla scrittura cinese nei secoli scorsi
può essere oggi ben ricostruita, vale forse la pena di
chiedersi quali possano essere i motivi della loro persistenza,
apparentemente antistorica, in epoca contemporanea; sono essi
riducibili alla "forza d'inerzia" di idee fortemente radicate
nel passato rispetto alla debole volontà di serio
aggiornamento scientifico di chi controlla i canali della
trasmissione delle conoscenze, e al provincialismo culturale
che deriva dalla sottovalutazione dell'importanza di
comprendere il "diverso" solo perché apparentemente
"lontano", anche in un mondo ormai integrato da Internet, dal
turismo di massa e dal "pensiero unico" sull'economia di
mercato?
- O sussiste ancora oggi
una funzionalità di tali miti rispetto alla difesa di
precisi interessi di parte? O hanno un qualche fondamento nella
realtà, al di là delle strumentalizzazioni di cui
possono essere oggetto? Vale forse la pena di riassumere
brevemente le principali tendenze in materia come dibattute fra
gli specialisti del XX secolo per tentare di farsene una
ragione.
-
-
- 2. Il fascino
discreto dell'ideogramma
-
- Le unità grafiche
fondamentali della scrittura cinese (col che intendo ciò
che si trova tra due spazi vuoti in una linea di testo) sono
chiamate attualmente, in cinese, Hanzi, e in giapponese,
Kanji. Le traduzioni più vicine al senso
originale in una lingua occidentale sono forse gli inglesi
Sinograph, o Sinogram, entrati nell'uso a partire
da centri accademici statunitensi in tempi recenti. Altri
termini usati da autori di lingua inglese sono tetragram
e tetragraph, come traduzione del cinese fangkuai zi
(caratteri quadrati), di uso comune in Cina in quanto ogni
Hanzi viene tracciato, nella scrittura a stampa, in modo
da occupare una stessa superficie quadrangolare. L'italiano
"sinogramma" non ha avuto per ora altrettanto successo, e non
trovo personalmente di meglio che "carattere cinese", sintagma
più lungo ma di comprensione immediata anche per i non
specialisti e privo di connotazioni particolari circa la natura
della scrittura cinese.
- Appare oggi dominante,
almeno tra i sinologi, la concezione secondo la quale i
caratteri cinesi rappresenterebbero parole o parti di parole di
varianti linguistiche determinate, anche se non tutti sono
d'accordo sull'adozione del termine "logograph" proposta
da Boodberg nel 1937:
-
- Pictograms and symbolic signs
do not constitute in themselves Graphs, i.e., elements of a
written Language....
- the term 'ideograph' which is
so widely used by both layman and scholar is, we believe,
responsible for most of the misunderstanding of the
evolution of writing. The sooner it is abandoned, the
better. We should suggest the revival of the old term
'logograph'. Signs in writing, however ambiguous, stylized,
or symbolic, represent words16.
-
- Secondo De Francis
però "logografico" non è meno fuorviante di
"ideografico": "the term 'logographic' is simply taken as a
fancier equivalent for 'ideographic' and is not fulfilling the
expectations of Boodberg and other sinologists that it would
help avoid misconceptions regarding the basic nature of Chinese
writing". In alternativa egli propone "morphosyllabic",
termine "which calls attention to the phonetic aspect, can
contribute to dispelling the widespread misunderstanding of the
nature of the Chinese writing"17.
- Dal punto di vista della
genesi dei caratteri, la parola "ideogramma" rende abbastanza
bene i cinesi zhishi (segno) e huiyi
(associazione di senso), con cui la tradizione filologica
autoctona designa due specifiche categorie di Hanzi,
basate sul loro modo di formazione, e comprendenti un numero
estremamente esiguo di quelli odierni; l'uso comune occidentale
vi comprende anche gli xiangxing (pittogrammi); si
potrebbero aggiungere gli zhuanzhu nell'interpretazione,
peraltro controversa, che ne danno alcuni studiosi sia cinesi
che stranieri, tra cui Creel (estensione di
senso)18. La maggior parte dei sinologi
contemporanei ritiene, come l'autore dello Shuowen
diciotto secoli fa19, che gran parte dei caratteri
cinesi in uso siano collocabili nella categoria degli
xingsheng, composti da due elementi, dei quali uno ha
valore semantico e l'altro, fonologico20. Vi
è però una minoranza che, sulla base di analisi
filologiche puntuali, interpreta in modo diverso la genesi di
molti caratteri. Inoltre, si può obiettare il fatto
incontestabile che a causa delle variazioni diacroniche e
diatopiche degli usi orali la corrispondenza tra componente
fonologica di uno xingsheng zi e sillaba effettivamente
pronunciata è oggi in parte perduta (fenomeno analogo
alle incongruenze, per esempio, dell'ortografia inglese).
Chiamare "ideogrammi" gli Hanzi può comportare
pertanto una presa di posizione consapevole e deliberata sulla
natura della scrittura cinese, o essere semplicemente il
residuo di una tradizione del passato dura a morire. Resta il
fatto che il rapporto tra lingua e scrittura non può
essere ridotto alla sola analisi di singoli elementi di
quest'ultima; e la scrittura non può essere, per
definizione, pura ideografia.
- Se per scrittura si
intende un sistema convenzionale di simboli grafici che
permetta - almeno potenzialmente - di trascrivere qualsiasi
enunciato di una data lingua - in modo da poter essere
ricostituito integralmente alla lettura da tutti i membri della
comunità di utenti - allora un sistema di scrittura
puramente pitto/ideografico è materialmente impossibile,
perchè il numero dei grafi da memorizzare diventa
talmente spropositato da renderne impossibile l'utilizzo
pratico. È oggi nozione acquisita il fatto che le
più antiche scritture attestate, sviluppatesi in epoche
diverse ma in modo - fino a prova contraria21 -
reciprocamente indipendente nell'area della "mezzaluna
fertile", nella valle del fiume Giallo e nello Yucatán,
si sono tutte evolute da una prima fase pitto-ideografica
(protoscrittura) in base al medesimo procedimento, ovvero il
rebus o "sostituzione per omofonia", che consiste
nell'utilizzare lo stesso segno per rappresentare due o
più parole (o parti di parole) fra loro omofone;
storicamente, è l'invenzione di questo procedimento che
ha permesso di passare da messaggi ideografici (limitati per
contenuto) a testi scritti (a contenuto potenzialmente tanto
ricco quanto il linguaggio verbale). È solo dal momento
in cui viene introdotto il principio dell'uso con funzione
fonologica di almeno una parte dei simboli grafici che si
può avere vera e propria scrittura. I testi più
antichi sinora rinvenuti in Cina (ossa e carapaci "oracolari"
di epoca Shang, databili fra il 1500 e il 1200 a. C. circa)
attestano effettivamente l'avvenuta applicazione di tale
principio22.
- È oggi
altrettanto chiaro, almeno agli specialisti, come l'evoluzione
storica di un elemento grafico può modificarne non solo
la forma, ma anche la funzione: da pittogramma a ideogramma, da
ideogramma a fonogramma; pertanto il risalire alla
forma
- pittografica antica
, di un
carattere cinese di uso co-
- mune, oggi
, ma = cavallo, non dimostra di per sé
- che esso sia un
"ideogramma" più di quanto il risalire alla
forma
=
alef = bue in un'antica scrittura mesopotamica
dimostri
- che l'alpha
dell'alfabeto greco o la
di
quello latino siano a loro volta ideogrammi.
- Una critica generale
dell'impiego del termine "ideogramma" per designare
unità grafiche di varie scritture antiche - tra cui il
cinese - è stata condotta sistematicamente da linguisti
e semiologi a partire almeno dalla pubblicazione dell'opera di
Gelb sull'evoluzione della scrittura23; con scarso
successo per quel che ci riguarda, a quanto pare, vista la
frequenza con la quale gli Hanzi sono ancora oggi
chiamati "ideogrammi" in testi redatti in lingue occidentali.
DeFrancis ne dà la seguente giustificazione:
-
- Each character is presented as
an independent unit and is defined as having at least one
meaning. The assumption that each character represents an
independent meaningful syllable leads to the conclusion that
each character represents a monosyllabic
word24.
- Since the syllable is
represented by a character, the latter too is held to
represent a word. The equating of syllable with character,
the notion that both represent a word, and the fact that
each individual character, and hence each individual
syllable attached to it, has individual meaning, all combine
to characterize both speech and writing as
"monosyllabic"25.
-
- Una spiegazione triviale
ma verosimile, almeno per quanto riguarda le opere di carattere
divulgativo, è che - al di là della competenza e
della diligenza degli autori - la parola "ideogramma" conserva
un'aura di mistero esotico e, insomma, si vende meglio di un
banale "carattere cinese".
- La natura della
scrittura cinese, i termini più appropriati per
designarne gli elementi costitutivi, i rapporti tra usi scritti
e usi orali sono stati peraltro oggetto di vivaci dibattiti sia
tra sinologi occidentali che tra linguisti e filologi cinesi
anche nel corso di questo secolo; molti hanno scelto - e alcuni
scelgono tuttora - di conservare il termine "ideogramma" con
riferimento agli Hanzi a ragion veduta, sulla base di
argomentazioni basate sulla filologia o sulla psicolinguistica;
altri hanno suggerito termini sostitutivi come
logograph, morphemograph o tetragraph,
difendendone la scelta con disamine approfondite dei rapporti
tra usi orali e usi scritti in Cina.
- È indubbio che
gli usi scritti standard, a partire almeno dalla "unificazione
della scrittura" realizzata per ordine del fondatore
dell'Impero Qin circa due secoli prima della nostra era,
prevedono che ogni carattere rappresenti una sillaba. Il fatto
che in precedenza un singolo carattere potesse rappresentare
anche una successione di due o più sillabe (come accade
ancor oggi, per esempio, in giapponese), è stato messo
in rilievo tra gli altri dal Creel, che vi trovava una prova
della natura "ideografica" della scrittura26.
Personalmente penso che si possano formulare almeno due
ipotesi, che peraltro non si escludono a
vicenda:
- è
possibile che gli stessi caratteri siano stati trasferiti da
una lingua tipologicamente affine alle attuali varianti siniche
a lingue tipologicamente eterogenee, parlate a livello
regionale nella Cina antica; in tal modo, il carattere che
nella lingua A rappresenta la parola monosillabica x
viene usato anche per rappresentare la parola plurisillabica
y che è l'equivalente semantico di x nella
lingua B: analogamente a quanto si è storicamente
verificato con l'introduzione dei caratteri cinesi in
Giappone27; vi è chi ritiene che
l'unificazione degli usi scritti operata nell'impero Qin avesse
una portata più ampia, ovvero l'imposizione della lingua
di un'etnia (quella al potere nel regno di Qin prima
dell'unificazione) su popolazioni linguisticamente
eterogenee28;
- è
possibile che quando due o più caratteri in successione
rappresentavano una parola o sintagma di uso frequente, gli
scribi usassero, come si usa tuttora in Cina a livello
popolare, creare un unico carattere "sintetico", composto
dall'unione di elementi estratti da ognuno dei caratteri della
serie in oggetto: una sorta di "stenografia",
insomma.
- A me sembra però
che quest'ultimo fenomeno avvalori le teorie "logografiche" (i
caratteri rappresenterebbero parole di una determinata variante
orale) piuttosto che "ideografiche" (i caratteri
rappresenterebbero "concetti" puri, senza mediazione di un
linguaggio verbale), visto che tali "caratteri sintetici", in
caso di verbalizzazione di secondo grado, sono "letti" con due
o tre sillabe, anche dopo più di duemila anni di
abitudine al monosillabismo della scrittura. In ogni caso,
tuttavia, l'applicazione dei caratteri cinesi a lingue
tipologicamente diverse in Asia ha comportato storicamente
difficoltà che hanno condotto, in tempi più o
meno lunghi, allo sviluppo di scritture compiutamente
fonologiche29, analogamente a quanto avvenuto nel
mondo occidentale quando la scrittura creata dagli antichi
sumeri, che oggi alcuni linguisti ritengono parlassero una
lingua tipologicamente affine al cinese30, fu
applicata a lingue semitiche tipologicamente diverse: la teoria
della "funzionalità" reciproca tra lingua cinese e
sistema di scrittura basata sugli Hanzi potrebbe non
essere del tutto priva di fondamento; è in ogni caso
evidente che il sistema di scrittura cinese viene percepito dai
suoi utenti come sostanzialmente diverso dalla maggior parte
dei sistemi di scrittura diffusi nel mondo contemporaneo. La
distinzione fra "scritture fonologiche" (quelle nelle quali il
segno grafico minimo denota unità linguistiche non
significanti) e "scritture ideografiche" (quelle nelle quali il
segno grafico minimo denota unità linguistiche
significanti) è tuttavia relativa, non assoluta: anche
le scritture classificate come fonologiche comprendono
caratteristiche di natura più propriamente
"ideografica"31. Alcuni sinologi sono giunti alla
conclusione che "l'écriture chinoise et les
écritures alphabétiques sont peu
différentes. Cela signifie qu'on admet des
différences, mais bien précises et non
essentielles en ce qui concerne la
lecture"32.
- Rimane il fatto che
l'espressione "scrittura ideografica", se utilizzata da non
specialisti, è ambigua, perchè può essere
intesa sia nel senso di "rapporto tra simboli e unità
linguistiche significanti", sia in quello, di marca
settecentesca, di "rapporto diretto tra simboli grafici e
immagini mentali" senza mediazione del linguaggio verbale. Il
termine "ideogramma", a prescindere dalle intenzioni di chi lo
utilizza, evoca indubitabilmente la concezione secondo la quale
la scrittura cinese sarebbe costituita unicamente da segni che
rappresentano direttamente oggetti e/o concetti piuttosto che
sillabe, parole o parti di parole di una variante linguistica
determinata.
-
-
- 3. I dibattiti
sull'evoluzione della lingua cinese nel XX
secolo
-
- La questione del
"monosillabismo" della lingua cinese ha costituito
probabilmente uno degli aspetti principali dei dibattiti fra
linguisti, sia occidentali che cinesi, nel corso di questo
secolo. Accanto al problema, più ideologico che
scientifico, dello stabilire se una lingua "monosillabica" vada
considerata come maggiormente o meno evoluta delle altre, e a
quello, ben più fondamentale sul piano teorico, di cosa
si debba intendere per "monosillabismo", la gran parte dei
contributi forniti da un'enorme massa di pubblicazioni
sull'argomento possono essere ricondotti a tre posizioni
principali:
- 1) il cinese, sia
parlato che scritto, è una "lingua
monosillabica";
- 2) gli usi scritti
cinesi, specie quelli classici, rappresentano una lingua
monosillabica (parlata nel passato o più o meno
artificiale); gli usi orali, almeno moderni,
no;
- 3) né gli usi
scritti antichi, né gli usi orali presenti, possono
essere qualificati di "monosillabici".
- Nel corso del secolo XIX
e nei primi decenni del XX si levarono sporadicamente voci di
sinologi occidentali volte a difendere i valori culturali della
Cina contro il disprezzo dominante, o contro modelli secondo
cui tali valori non potevano essere autoctoni ma dovevano
essere stati importati nell'antichità dall'Occidente.
Talvolta queste voci non sono prive di contraddizioni; recita
ad esempio Karlgren, in un'opera divulgativa del 1923 riedita
nel 1962:
-
- ...the old theory which
classified Chinese as a 'primitive' language, not yet raised
to the inflectional and derivative status, is the opposite
of the truth. Chinese, in fact has followed exactly the same
line of evolution as the Indo-European languages in the
gradual loss of synthetic terminations and phonetic stem
variations, with all the stronger appeal to the listener's
(or reader's) faculty of pure logical analysis. English is
perhaps in this respect the most highly developed
Indo-European language; but Chinese has progressed much
further33.
-
- Ma più
oltre:
-
- The suffixes formed in modern
Chinese are certainly few, and do not as yet invalidate the
general rule that Chinese is a suffixless language. But they
are of high symptomatic interest; they show how the
sound-simplification discussed above is gradually forcing
the language into entirely new lines of evolution, thus
bringing it more into accord with the system of our Western
languages34.
-
- L'idea di una
"gerarchia" di sviluppo tra le lingue è stata
completamente abbandonata solo dopo la seconda guerra mondiale.
Si discute ancora, peraltro, di possibili "oscillazioni" del
cinese da un raggruppamento tipologico all'altro: "To sum up,
from the ancient polysyllabism to monosyllabism, and then to a
new polysyllabism - this is the observed path of the
development of the Chinese
language"35.
- Per alcuni decenni
è stata popolare la teoria, esposta fra gli altri da
Karlgren, secondo la quale la lingua cinese sarebbe passata dal
monosillabismo al posillabismo alcuni secoli d. C. a causa di
un "impoverimento fonologico", per cui "...the number of
homophones in Chinese must have become detrimental to the
intelligibility of the spoken language"36.
Ciò avrebbe stimolato l'abbinamento dei monosillabi per
formare "compounds [...] words consisting of two or
more parts each of wich can appear by itself [...] as
an independent word"37. Tale teoria fu attaccata in
particolare da George A. Kennedy, che contestava la
divisibilità in parti di varie parole bisillabe
attestate in scritti pre-Han38; "...the words of
more than one syllable are so thoroughly camouflaged by the
system of writing, by the arrangement of dictionaries, and by
the labor of centuries of fertile-minded scholars, that it
requires a real effort to see them"39. Kennedy aveva
intrapreso uno studio sistematico sull'argomento, "...a
desultory opus that is chiefly concerned with combating some of
the traditional views on the Chinese language, particularly as
expressed by Bernhard Karlgren"40, rimasto
incompiuto a causa della sua morte prematura, nel 1960; le sue
idee sono state riprese e sviluppate da John DeFrancis circa
venticinque anni dopo41.
- Uno dei filoni di
più duraturo successo appare l'applicazione alla lingua
cinese delle categorie "strutturaliste" di Bloomfield, la cui
introduzione in Cina è attribuita soprattutto a Zhao
Yuanren42. Tale approccio ha comportato, fra le
altre conseguenze, il prevalere dell'idea secondo la quale, in
cinese, i morfemi sono monosillabici, ed è in tal senso
da intendersi l'espressione "lingua monosillabica"; si
realizzerebbe pertanto l'equazione uno Hanzi = una
sillaba = un morfema: secondo molti autori, fra i quali si
può citare Kratochvil43, i morfemi bi- o
plurisillabi in cinese sono rari, e probabilmente di origine
straniera. Questa teoria non spiega, a mio parere, la presenza
di bisillabi (indivisibili) che designano insetti molto comuni
in Cina in testi pre-Han, come rilevata da Kennedy, a meno di
ipotizzare fenomeni di adstrato o superstrato tra lingue
tipologicamente diverse nella Cina antica. Comunque, dall'idea
di un "monosillabismo dei morfemi" sono derivate varie
proposte, di seguito limitato, sulla definizione della natura
della scrittura cinese: morfemica, morfosillabica... Tale
impostazione è sopravvissuta fino ad ora in posizione
dominante, ma non sono mancate voci discordanti. Per Arlotto,
ad esempio "It seems quite clear, and admitted by everyone,
that assigning some sort of meaning to each syllable is deeply
involved with a knowledge of the written
language"44.
- Da notare che, mentre
nel mondo occidentale i linguisti rinunciavano ad una
definizione universalmente applicabile del concetto di "parola"
per concentrarsi su nuovi strumenti di analisi della catena
parlata,45 in Cina i dibattiti sulla definizione di
parola (ci), e sulla individuazione delle parole in cinese,
già animati negli anni '30, hanno ripreso vigore negli
anni '50 e '60, in funzione chiaramente strumentale rispetto
alle ipotesi di alfabetizzazione della scrittura46.
Il concetto stesso di parola era estraneo al contesto culturale
cinese, poichè l'ortografia tradizionale prevede un
identico spazio tra ogni Hanzi e quelli adiacenti, a
prescindere dai rapporti semantici, grammaticali o fonetici fra
le sillabe che essi rappresentano.
- Il ventesimo secolo ha
visto comunque un rinnovamento sostanziale degli studi sulla
lingua e la scrittura cinesi antiche grazie anche a importanti
ritrovamenti archeologici che hanno portato alla luce grandi
quantità di documenti originali. Una enorme mole di
lavoro di ricerca è stata compiuta (ma molto più
ne rimane da compiere) dopo la scoperta delle iscrizioni su
ossa di bovini e carapaci di tartarughe alla fine del XIX
secolo, e gli scavi archeologici nel sito di Yinxu che,
già tra il 1928 e il 1937, ne hanno portato alla luce
una quantità impressionante. Tali ritrovamenti hanno
permesso di dimostrare l'esistenza storica della dinastia Shang
e di ricostruire una fase piu' antica nell'evoluzione della
scrittura cinese47. Altrettanto fondamentale appare
in questo secolo l'esame sistematico della letteratura
buddhista di Dunhuang, con testi che permettono di rintracciare
elementi di lingua volgare risalenti all'indietro fino al
secondo secolo d.C.48. L'esegesi di tali documenti,
che probabilmente terrà ancora impegnate varie
generazioni di ricercatori, fornisce già elementi che
permettono nuove ipotesi sull'evoluzione della lingua cinese.
È anche grazie a tali prove obiettive che molte delle
teorie sulla lingua e la scrittura cinesi ancora dominanti
all'inizio del secolo sono finite nella
spazzatura.
- Si può peraltro
trovare ancora, specie in opere di carattere divulgativo, la
teoria secondo cui i cinesi non possono capirsi fra loro
parlando perchè la loro lingua "è troppo ricca di
omofoni": l'inventario di sillabe è limitato, le parole
sono monosillabiche, pertanto ogni sillaba ha troppi
significati diversi... spesso si citano a esempio famosi
"giochi" di cui si dilettavano i letterati cinesi, come la
scrittura di un brano formato da caratteri che si pronunciano
tutti "shi": un pò come se si descrivesse la lingua
italiana basandosi unicamente sui giochi di parole o di stile
presentati da Umberto Eco o Giampaolo Dossena.
- Un esempio
rappresentativo di operazioni soggette a forti critiche nel
mondo accademico, anche se affascinanti per il pubblico,
è probabilmente la vicenda delle "traduzioni" dei
classici confuciani da parte di Ezra Pound49. "Does
the superiority of Pound's translation lie in the
end-product, the superiority or style and poetic quality
of his English, or does it lie at the source, a deeper
penetration into the mind and art of the Chinese poet who
furnishes the raw material for the translation?"50.
Esse si collocano in una tradizione di pensiero che considera
gli Hanzi, ed anche le parti componenti
(pianpang) di un singolo carattere, come gli elementi
principali, o magari esclusivi, per l'interpretazione del senso
sia letterale che figurato di un testo, specie se poetico;
ciò ha portato spesso a trascurare il ruolo della lingua
che i caratteri trascrivono; ed a sbizzarrire la fantasia nella
moltiplicazione di "decifrazioni" basate su etimologie non
documentabili storicamente dei caratteri stessi. Secondo George
A. Kennedy, Pound, che "is not a professional student of the
Chinese language"51, ha certamente subito
l'influenza delle idee di Ernest Fenollosa, come esposte nel
saggio The Chinese Written Character as a Medium for
Poetry; "Pound received the manuscript of this essay after
the author's death in 1908. He edited it, and in some
introductory paragraphs dated 1918 described it as 'a study of
the fundamentals of all aesthetics'"52; per quanto
riguarda quest'ultimo, sempre secondo Kennedy, "the oriental
language with which Fenollosa was best acquainted was
Japanese"53 e, soprattutto, "Fenollosa's essay is a
small mass of confusion"54.
- Conseguenza pratica di
tale tendenza, che ha elementi in comune con il lavoro dei
"figuristi" del XVIII secolo:
-
- Nothing then seems simpler to
the western mind that [...] the meaning of a
composite [Chinese character] is derivable from the
sum of its parts. Once this view is adopted, the reading and
translation of Chinese becomes a game that any number can
play, and with infinite variety. For the association of a
fish, an eye, and a roof, can suggest different things to
different people. (That is why the Rohrschach tests are
effective)55.
-
- Opere divulgative che
descrivono gli Hanzi sulla base delle "etimologie
popolari", in parte derivate dallo Shuowen, in parte
create successivamente, che i maestri elementari cinesi
utilizzano tuttora come efficaci mnemotecniche, godono ancora
di un discreto successo editoriale anche in
Italia56. Ad un livello più serio, si
è tuttavia dibattuto ancora nel corso del nostro secolo
sulla possibilità di un approccio "diretto" alla
lettura, che prescinda da ogni forma di
subvocalizzazione.
- Per Creel "We have
specialized on the representation of sounds; the Chinese have
specialized on making their writing so suggestive to the eye
that it immediately calls up ideas and vivid pictures, without
any interposition of sounds"57.
- Tale posizione fu
criticata in particolare da Boodberg, il quale sostiene che gli
Hanzi rappresentano oggetti e concetti non direttamente,
ma attraverso la mediazione delle corrispondenti parole che li
designano negli usi orali58. Il termine
"logograph" da lui proposto è stato accolto da
molti autori di lingua inglese, ma è fortemente
criticato da altri. I suoi sostenitori in sostanza ritengono
che il testo scritto evochi innanzitutto parole e sintagmi
della catena parlata (logos), e questi ultimi rimandino
poi agli oggetti e concetti significati, in qualsiasi sistema
di scrittura propriamente detto. Per i critici, il termine
"logografico", dal punto di visto dei non specialisti, non
risulterebbe però meno ambiguo del vecchio
"ideografico".
- Per De Francis ad
esempio è vero che i caratteri cinesi possono evocare
immagini mentali direttamente (senza l'intermediazione del
linguaggio verbale), ma tale possibilità, a sua volta,
non sarebbe una caratteristica della scrittura cinese
bensì una possibilità dell'approccio alla lettura
da parte di tutte le persone istruite in qualsiasi sistema di
scrittura59. Tale possibilità è
sfruttata, aggiungo io, nella cosiddetta "lettura funzionale",
utilizzata nell'istruzione di persone con forte ritardo
mentale: in tal caso però può riguardare un
numero limitato di parole, al massimo poche decine. De Francis
ribadisce ulteriormente le sue posizioni in merito e il rifiuto
di termini come logograph o lexigraph nella sua
opera sistematica sui sistemi di scrittura del 1989, basandosi
sulla distinzione tra grapheme, definito come "the
meaningless graphic unit that corresponds to the smallest
segment of speech represented in the writing system" e
frame, ovvero "the basic unit of writing that is
surrounded by white space on the printed page"; gli
Hanzi sarebbero quindi frames, mentre i
graphemes della scrittura cinese sarebbero le componenti
fonologiche degli xingsheng zi; i grafemi della
scrittura cinese, pertanto, rappresenterebbero sillabe senza
alcun riferimento semantico. La polemica è lungi
dall'essere conclusa60.
-
- As to form, there is nearly
unanimous agreement that writing started with pictures. As
to function, there is less agreement. Did an Indian or
Egyptian or Chinese picture of the sun convey an idea
directly, or did it evoke a spoken word and through this
intermediary convey the
meaning?61
-
- La questione è
più complessa, ma anche maggiormente pregna di
implicazioni scientificamente appassionanti di quanto possa
forse apparire a prima vista. In effetti, verte sui meccanismi
attraverso i quali la mante umana accede a successivi livelli
di astrazione. In quali circostanze il segno diventa simbolo
(viene percepito/interpretato come simbolo?) In quale misura i
grafemi o gruppi di grafemi di diversi sistemi di scrittura
storicamente attestati sono associati da lettori diversi,
con diversi livelli di competenza ed esperienza, a suoni (o
gruppi di suoni) e in quale misura direttamente a significati?
I vari linguaggi gestuali per sordomuti, basati su alcune
migliaia di segni che rimandano direttamente a significati
prescindendo dal linguaggio verbale, consentono solo una
comunicazione limitata?
- Le diverse risposte che
sono state formulate per questo tipo di quesiti hanno avuto in
certi casi conseguenze pratiche surreali; intorno agli anni '70
si sono condotte parallelamente, ma indipendentemente,
sperimentazioni didattiche volte a facilitare l'apprendimento
della lettura a bambini affetti da patologie dello sviluppo
cognitivo sia in Cina che negli Stati Uniti; i ricercatori
cinesi hanno utilizzato parole e frasi della loro lingua in
scrittura alfabetica (derivata dal Hanyu Pinyin, sistema
di trascrizione ufficiale degli Hanzi in alfabeto
latino); gli americani parole della lingua inglese scritte
mediante caratteri cinesi!62
- Tali problematiche hanno
comunque stimolato, fra l'altro, da qualche decennio a questa
parte, il fiorire di ricerche sperimentali nel campo della
psicolinguistica e della
neurolinguistica63.
-
-
- 4. Lingua, scrittura
e orgoglio nazionale
-
- Secondo V. Alleton, il
rifiuto di considerare la lingua cinese come "monosillabica"
è partito da parte cinese come reazione difensiva
rispetto alle teorie divenute dominanti nel XIX secolo; il che
implicava tuttavia l'accettazione acritica dell'equazione,
importata insieme ad altri elementi della cultura occidentale,
"monosillabico = primitivo".
-
- Lorsque bien plus tard,
à la fin du XIXe siècle et surtout dans les
premières décennies du XXe siècle, les
Chinois eurent connaissance de l'idée que l'on se
faisait en Europe de leur langue, il n'est pas
étonnant qu'ils en aient été
choqués et profondément
marqués.
- Or, justement à cette
époque les intellectuels chinois entreprenaient de
remplacer dans tous les écrits l'usage du style noble
(wenyan), où le monosyllabisme était
dominant, par le style vernaculaire (baihua), plus
proche des usages parlés et plus riche en mots
dissyllabiques. Il leur était dès lors
possible de montrer que dans ce registre ces derniers jouent
un rôle important: le monosyllabisme n'aurait
caractérisé que le chinois ancien et non pas
le chinois moderne. Cependant, le souci bien légitime
de récuser le soi-disant primitivisme de leur langue
a abouti à ce que les linguistes comme les politiques
n'eussent plus d'autre souci que de montrer la progressive
disparition du monosyllabisme. Et, dans leur
majorité, les sinologues de tous pays se sont
alignés sur cette position qui n'est pas
erronée mais quelque peu
réductrice64.
-
- Per la verità,
come si è visto, vi è anche chi ha sostenuto che
il cinese "monosillabico" si è evoluto da antiche forme
linguistiche "flessive", o/e che il monosillabismo
rappresenterebbe una fase evolutiva più avanzata cui
tendono, in ritardo rispetto al cinese, altre lingue, come
l'inglese65.
- In effetti molti
intellettuali impegnati nella "modernizzazione" degli usi
scritti cinesi hanno, deliberatamente o inconsciamente,
contribuito alla creazione di un nuovo "stile nobile" che
sostituisce almeno in parte l'imitazione dei modelli letterari
classici con l'imitazione di modelli letterari stranieri,
redatti in lingue ricche di elementi lessicali polisillabi e/o
struttura morfologica complessa (giapponese, russo, tedesco,
francese...). Molti ritengono che tale evoluzione degli usi
scritti, soprattutto nella prima metà di questo secolo,
abbia finito con l'influenzare in un certo grado l'evoluzione
grammaticale degli usi orali colti, senza peraltro modificare
gli usi orali popolari, per definizione "dialettali", salvo che
nell'integrazione di elementi lessicali di origine straniera,
per lo più sostantivi bi- o
plurisillabi66.
- La reazione di
autodifesa che il colonialismo militare ed economico da una
parte, e le teorie sulla "inferiorità" razziale o/e
culturale dei cinesi che le hanno accompagnate ha provocato in
molti intellettuali cinesi di questo secolo si è
manifestata con tendenze contrapposte schematicamente
riconducibili alle seguenti:
- 1) accettare la teoria
del "ritardo nello sviluppo" della Cina e cercare di assimilare
il più rapidamente possibile gli elementi della cultura
occidentale ritenuti essenziali per il successo; colloco in
questo filone, per esempio, l'idea di sostituire i caratteri
cinesi con una scrittura fonologica, considerata più
efficiente ai fini delle "modernizzazioni";
- 2) minimizzare le
differenze, allo scopo di dimostrare che la Cina - o alcuni
elementi della sua cultura - non sono da meno di corrispondenti
elementi delle culture occidentali; riconduco a questo filone
le idee sul "plurisillabismo" cui si riferisce la Alleton (v.
sopra);
- 3) valorizzare le
differenze, allo scopo di dimostrare che certi elementi della
cultura cinese sono qualitativamente superiori ai
corrispondenti elementi delle culture occidentali; vedi ad
esempio la difesa ad oltranza della scrittura e degli usi
scritti tradizionali, portata avanti soprattutto negli anni
trenta ma successivamente riproposta in modo ricorrente sotto
varie forme, come elemento peculiare nazionale ed espressione
di una cultura di livello superiore cui ben pochi stranieri,
abituati alle facili scritture alfabetiche, riescono ad
accedere.
- Sul fronte delle prese
di posizione teoriche sulla lingua e la scrittura da parte di
studiosi cinesi, è indubbio che esse siano state
fortemente condizionate da pregiudiziali di natura
politica:
- la volontà
di creare e diffondere una lingua nazionale unitaria anche
negli usi orali; e, in questo ambito, le divergenze e i
compromessi tra fautori dell'imposizione a tutto il Paese di
una variante naturale esistente (il mandarino di Pechino) e
promotori della formazione di una coinée
"interdialettale";
- la riforma degli
usi scritti, dal loro avvicinamento agli usi orali fino alla
eventuale sostituzione degli Hanzi con una scrittura
fonologica; per esempio, l'opposizione alle ipotesi di
fonologizzazione della scrittura ha anche stimolato
argomentazioni basate sulla funzionalità della scrittura
ideografica a causa della natura "monosillabica" e "isolante"
della lingua cinese: ritornello ricorrente anche in Cina
è l'idea che la lingua cinese sia troppo ricca di
omofoni per risultare intelligibile in scrittura
alfabetica.
- L'opera ormai classica
di De Francis ricostruisce esaurientemente le vie della
"modernizzazione" perseguite dagli intellettuali cinesi
confrontati all'impatto con l'Occidente in questo
campo67.
- Il concetto di stato
nazionale è forse uno degli elementi che il colonialismo
culturale occidentale ha introdotto con maggior successo,
probabilmente suo malgrado, in Cina: "The idea of a national
state has always been unknown to the Chinese
tradition"68. In epoca imperiale, l'unità
dello stato era basata soprattutto sulla fedeltà alla
dinastia regnante e sulla adesione all'ideologia da questa
propugnata da parte dell'insieme dei "quadri intermedi" che
garantivano la trasmissione del potere dal vertice alla
periferia, non sull'omogeneità etnica.
- Pochi popoli al mondo
hanno avuto gruppi dirigenti altrettanto costanti nel
rivendicare una continuità storico-culturale
ininterrotta dalle radici antiche quanto quella cinese; anche i
periodi di divisione politica e /o dominazione straniera
dell'Impero sono stati riassorbiti a posteriori dagli storici
di Stato nell'ambito di tale continuità; e anche alcune
etnie straniere che in epoche diverse hanno conquistato e
dominato in tutto o in parte il territorio cinese hanno aderito
alla tradizione dei clan dinastici autoctoni fondando la
propria legittimità sulla base di tale continuità
- il passaggio del "mandato celeste" dalla dinastia
precedente69. Nucleo di tale continuità, a
partire dalla dinastia Han, è stato un corpus di antiche
scritture tramandate e prese come modello sia per
l'apprendimento formale della lettura/scrittura che per
l'indottrinamento etico-politico. Ma l'applicazione dell'idea
di stato nazionale alla realtà cinese ha condotto a
ritenere essenziale, per la difesa dell'unità politica
del paese in epoca contemporanea, anche l'affermazione di una
continuità etnica, linguistica, da far risalire a epoche
più remote possibile.
- Spesso si dimentica, nel
mondo occidentale, che gli intellettuali cinesi, o almeno
quelli le cui opere sono state conservate, sono stati spesso
impegnati nelle lotte politiche contemporanee. Il ventesimo
secolo non fa eccezione: la volontà o la
necessità di dimostrare tesi dalle implicazioni
politicamente pertinenti ha continuato a condizionare le vie
della ricerca accademica. Implicazioni che sono potute talvolta
sfuggire agli studiosi occidentali coinvolti in dispute
all'apparenza meramente "scientifiche".
- Dopo il 1911 le
decisioni a livello politico-amministativo si sono rivelate
costanti, al variare dei gruppi dirigenti e delle loro
impostazioni ideologiche generali, almeno su un punto: il
primato del mandarino di Pechino come lingua nazionale
unitaria. Credo che il timore di vedere sviluppare usi anche
scritti divergenti a livello regionale abbia costituito un
freno non solo rispetto alle ipotesi di fonologizzazione della
scrittura, ma anche rispetto ad una totale convergenza tra usi
scritti ed usi orali; ed un incoraggiamento a sottovalutare
sistematicamente le obiettive differenze diastratiche e
diatopiche di quell'insieme eterogeneo cui si dà
convenzionalmente il nome di "lingua cinese". Hanno suscitato
in particolare reazioni di rigetto quei sinologi o linguisti
occidentali che hanno denominato "lingue regionali" piuttosto
che "dialetti" le principali varianti; mentre il grande
successo delle opere di Yuan Ren Chao (Zhao
Yuanren)70 in Cina non riposa solo sull'indubbio
valore scientifico delle sue ricerche, ma anche sulle sue
posizioni circa la sostanziale convergenza, a livello
grammaticale, tra usi scritti anche classici e usi orali
locali:
-
- The grammar of Chinese is
practically the same, not only among the dialects, but even
between modern speech and the classical language. That was
why in describing in detail the grammar of the dialect of
Peking, I made bold to call it grammar of spoken
Chinese71.
-
- In realtà gli
studi scientificamente più seri sono quelli che
delimitano e definiscono esplicitamente un determinato ambito o
campione di indagine; l'opera di Zhao ne è un esempio;
ma egli doveva trovare il modo di renderla ben accetta
all'ideologia dominante! In genere, le estrapolazioni e
generalizzazioni incrociate tra usi scritti e usi orali
appaiono decisamente azzardate. Eppure, anche nella seconda
metà del secolo sono frequentissimi, in Cina, studi e
pubblicazioni le cui conclusioni su determinati aspetti della
lingua parlata sono tratte dall'esame di ... testi scritti!
Ciò può essere dovuto alla persistenza del
prestigio degli usi scritti nell'inconscio delle persone colte,
ma, per quanto riguarda la Repubblica Popolare Cinese, è
anche la conseguenza di una applicazione burocratica della
definizione ufficiale di putonghua (lett. = lingua
comune, denominazione ufficiale della lingua standard dal
1956), artificialmente eterogenea72.
- Vi è spesso stata
confusione, in Cina, tra verbalizzazione di primo grado (usi
orali della lingua) e verbalizzazione di secondo grado (lettura
di un testo ad alta voce); se usi scritti ed usi orali sono
molto divergenti, la differenza tra i due gradi di
verbalizzazione non è affatto trascurabile. Vi sono
state a più riprese, nella storia della Cina, iniziative
di pianificazione linguistica nel senso dell'unificazione: ma
esse si sono sempre concentrate sul problema della unificazione
della pronuncia dei caratteri; compresa la prima "Conferenza
sull'unificazione della pronuncia" della Repubblica Cinese nel
191373. Gli stessi metodi di diffusione della
putonghua attraverso i canali formali di istruzione
nella Repubblica Popolare Cinese hanno risentito a lungo di
questa impostazione: ancora nei primi anni '80, le prime prove
di conoscenza della putonghua introdotte negli esami nazionali
di ammissione alle università consistevano nella
trascrizione di alcuni caratteri cinesi in base alla pronuncia
standard74.
- La sottovalutazione
delle divergenze dialettali riposa sul fatto che,
effettivamente, tutto si riduce ad una divergenza di
"pronuncia" quando si parta dalla verbalizzazione di secondo
grado di un testo scritto (ma lo stesso accade, ad esempio, se
si fa leggere ad alta voce a persone di madrelingua italiana,
francese e inglese lo stesso testo redatto in latino!); proprio
questa sottovalutazione, a sua volta, ha secondo me perpetuato
impostazioni didattiche che hanno rallentato la diffusione
della putonghua, specie nella Cina meridionale, per
molti decenni. In epoca più recente il maggior impulso
al bilinguismo o al trilinguismo (patois locale + variante
linguistica regionale + lingua nazionale) anche fra gli strati
sociali di scarsa scolarizzazione è fornito, più
che dalle misure amministrative, dall'espansione delle
dimensioni delle aziende e dei mercati, dalle migrazioni
interne e dalla televisione, analogamente a quanto accaduto a
suo tempo nel microcosmo italiano.
- L'avvento nella
Repubblica Popolare Cinese di un sistema di gestione del potere
politico ispirato al marxismo ha prolungato in questo paese,
forse più che altrove, le dispute in campo storico e
antropologico conseguenti ai tentativi di far rientrare la
preistoria e la storia antica cinesi in gabbie concettuali
originariamente concepite in contesto europeo. "Tra i marxisti
cinesi ... era destinata a prevalere la tendenza, nella
periodizzazione della storia della Cina, alla dimostrazione
della sostanziale identità dello sviluppo storico della
società cinese rispetto a quello percorso dalla
società europea e alla conseguente negazione di un suo
carattere 'peculiare'"75. Ciò ha avuto
ripercussioni anche nello studio della storia della lingua e
della scrittura; anche fra i sinologi occidentali, comunque,
grande è la confusione che deriva dall'uso di
espressioni del tipo "medioevo cinese" per designare periodi
diversi a seconda degli autori76.
- Nel mondo occidentale
molti specialisti hanno rinunciato da tempo a fornire
definizioni di concetti come "lingua vs./ dialetto" o "razza",
considerandoli di natura politica e privi di fondamento
scientifico. Ma, curiosamente, gli sviluppi dell'antropologia
molecolare ed i suoi accostamenti allo studio degli alberi
linguistici hanno riproposto sotto altra forma la vecchia
disputa settecentesca sulla monogenesi o poligenesi
dell'umanità: secondo un modello "multi-regionale" o
"del candelabro" l'evoluzione dall'Homo sapiens arcaico
all'Homo sapiens sapiens si sarebbe verificata
parallelamente in varie zone del vecchio mondo, con flusso
genico nelle zone di contatto a causa degli incroci fra
popolazioni limitrofe; secondo il modello detto "dell'arca di
Noè" o "dell'Eva mitocondriale", invece, tutti gli
uomini moderni sarebbero discendenti dello stesso ceppo di
Sapiens africani77.
- Le campagne di Telefono
Azzurro ci hanno insegnato che, spesso, i bambini maltrattati
diventano a loro volta, da grandi, seviziatori di bambini.
Sembra che possa accadere anche alle Nazioni, e gli esempi
nella storia recente del mondo non mancano. Senza arrivare a
tali estremi è chiaro che lo spirito di rivalsa
può essere grande.
- Negli anni '70, il
piccolo ma grazioso museo che ospita i reperti del Sinantropo
Pechinese a Zhoukoudian esponeva, tra gli altri pannelli
esplicativi, una ricostruzione delle tappe evolutive, dalla
scimmia all'Homo sapiens sapiens; vi erano raffigurati
vari esseri in successione crescente per postura eretta e
decrescente per pelosità: l'ultimo, del tutto glabro,
aveva tratti somatici decisamente asiatici; il penultimo, con
barba, baffi, e villosità pettorali, un aspetto
tendenzialmente "arianoide"...
- Oggi è grande
l'orgoglio con cui i passanti osservano, sul megaorologio
elettronico a piazza Tian'anmen, la conta all'indietro dei
secondi che mancano alla restituzione di Hong Kong. Sono
piccoli e innocenti piaceri che chi ha subito grandi
umiliazioni non manca di apprezzare.
- Gli attuali gruppi
dirigenti cinesi sono particolarmente sensibili riguardo
qualsiasi argomento potrebbe essere utilizzato, a torto o a
ragione, da forze interne od esterne per minacciare
l'unità politica della Cina; le vicende dell'ex-URSS e,
ancora di più, quelle della ex-Yugoslavia, hanno fatto
aleggiare anche in Cina i fantasmi di invasioni straniere e
guerre civili di recente memoria. Sono personalmente convinta
che l'unità politica della Cina nei prossimi cinquanta
anni potrà dipendere da eventi della storia più
recente - diciamo, gli ultimi centocinquanta anni - o dalle
più svariate iniziative sui piani economico, politico e
militare che potranno originarsi all'interno o all'esterno
della Cina, ma ben difficilmente dal grado di divergenza delle
varianti linguistiche parlate nei "regni combattenti" tre o
quattro secoli a. C.; o dal fatto che si dimostri una maggiore
vicinanza genetica tra cinesi meridionali e austronesiani - da
una parte, e tra cinesi settentrionali e mongoli o coreani,
dall'altra, piuttosto che tra cinesi del Nord e del
Sud78; o dal fatto che il cantonese si riveli essere
una coinée di lingue austroasiatiche e
sino-tibetane79; ciò non toglie che una
cooperazione scientifica basata su criteri obiettivi tra
studiosi occidentali e cinesi su temi di questo tipo si scontra
ancora in tempi recenti con il timore di possibili
strumentalizzazioni dei risultati, se diversi dalle linee
canoniche ufficiali. D'altra parte, non può essere
considerato casuale, dal punto di vista cinese, il fiorire e
moltiplicarsi, da una decina d'anni a questa parte, di studi
sulla dialettologia e le letterature dialettali cinesi nel
mondo accademico statunitense80. Così come,
sempre dal punto di vista cinese, non può essere
sfuggita la coincidenza temporale tra abbandono, almeno da
parte della maggioranza degli intellettuali europei, delle
teorie di supremazia razziale e/o culturale e perdita della
supremazia economica e militare nel mondo da parte delle
potenze europee. È difficile d'altra parte difendere la
buona fede di interventi "occidentali" su argomenti sensibili
in Cina quando
-
- [...] there existed a
Chinese territory with almost the population of Switzerland
where the European concept of human rights could have been
implemented since the nineteen fifties: Hong Kong. Based on
Art. 63 of the European Convention of Human Rights of
November 4, 1950 (ratified by the United Kingdom in 1951),
the United Kingdom could have extended, by a mere
declaration of its government, the validity of the European
Convention of Human Rights to Hong Kong. [...]
However, the United Kingdom did never extend the Convention
to Hong Kong, and never, as far as is known, did anybody in
Europe criticise this omission81.
-
- I nostalgici delle
teorie sull'inuguaglianza delle razze che ancora agiscono tra
noi non si rendono forse conto del fatto che, una volta
stabilito che ci debba essere una gerarchia di "valore" fra i
popoli, questa potrebbe anche ribaltarsi a loro
sfavore.
-
-
- 5. I termini attuali
della questione
-
- La situazione di
diglossia in cui si trova la Cina ancora in questo secolo
è ben descritta da Demiéville:
-
- La lingua cinese comporta due
aspetti assai differenti l'uno dall'altro. Esiste, da una
parte, un cinese volgare, o piuttosto una quantità di
dialetti di cui uno, attualmente quello di Pechino, serve
come lingua volgare comune per tutto il paese, e dall'altra
parte, un cinese letterario, che è lo stesso ovunque
e che non è molto cambiato da circa venti secoli.
Questa lingua letteraria è praticamente
incomprensibile ad ascoltarla e non si può che
leggerla e scriverla
[...]82.
- Il cinese scritto è un
idioma depurato, volutamente ellittico e lapidario. Il senso
è suggerito agli iniziati, che devono afferrarlo per
mezzo di una intuizione educata a lungo attraverso la
lettura e lo studio83.
- [...] quando si
paragoni un testo in lingua scritta con uno parallelo in
lingua parlata: questo è sempre una o due volte
più lungo della redazione in lingua
scritta84.
-
- È indubbio che la
lingua classica cinese sia sempre stata apprezzata per la sua
concisione; essa è stata certamente usata per
"abbreviare" il testo scritto rispetto alla pura trascrizione
dei corrispondenti enunciati verbali; in questo senso, la
scrittura basata sugli Hanzi e lo stile letterario si
sostengono reciprocamente: i caratteri cinesi rendono
intelligibile il senso di un testo redatto in lingua classica;
l'uso della lingua classica riduce la fatica del tracciare
caratteri complessi diminuendone il numero necessario.
Affermava Lu Xun nel 1923 per giustificare la sua scelta
linguistica nella redazione della "Breve storia della narrativa
cinese", opera largamente dedicata anche alla rivalutazione di
testi considerati fino allora di scarso valore letterario
perchè redatti almeno parzialmente in
volgare:
-
- Ho scritto [questo
libro] perché tre anni fa mi è capitato di
tenere qualche lezione sull'argomento e temendo che i miei
limiti come oratore potessero rendere la comprensione
difficile per gli uditori, ho buttato giù una
dispensa e l'ho fatta riprodurre per i miei studenti. Poi,
per non dare troppo lavoro al copista, l'ho condensata
usando la lingua classica
[...]85.
-
- L'idea che lo smisurato
patrimonio letterario dell'antichità tramandato nella
scrittura cinese, dal jiaguwen ai classici confuciani
alle prime opere storiche, sia stato redatto in una specie di
stenografia che ometteva o troncava gran parte delle parole
(del linguaggio verbale dell'epoca) considerate non
strettamente indispensabili alla ricostruzione del testo, non
è affatto peregrina. La tendenza spontanea ad
"abbreviare" il testo scritto anche volendo scrivere in volgare
è del resto ben presente ancor oggi tra i cinesi con un
livello di cultura medio o alto, anche se è difficile
valutare quanto ciò possa dipendere da una esposizione
alla letteratura in lingua classica.
- Negli usi orali moderni
una parte importante del lessico comprende coppie di "forme
brevi" (monosillabiche) e "forme lunghe" (spesso costituite
dalla sillaba della "forma breve" più un'altra sillaba)
che appaiono semanticamente analoghe, ma presentano
possibilità combinatorie diverse nei vari contesti
linguistici in cui occorrono. Ad esempio:
shang/shangbianr; ge/gege; dian/dianzhong,
xue/xuexi ecc. Alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi
che la scelta dell'una o dell'altra forma in un dato contesto
possa essere basata, più che su criteri puramente
semantici o "di registro", su motivazioni di carattere
fonologico86 o grammaticale87. Secondo
Michael Sofronov:
-
- The rhythmic rules of Chinese
speech are reflected also in the types of synonymy in
Chinese lexics. The same contents in different rhythmic
conditions is transferred by linguistic units with different
quantitative structure. The two-syllable mianyi
"cotton cloth" has a three-syllable synonym mianhua
yi and four-syllable mianhua yifu. They are
identical both semantically and stylistically. However they
are distinguished on the rhythmic function and are used when
other requirements of the speech rhythm the sense "cotton
cloth" should accordingly be rendered with two, three or
four-syllable word. Thus, the rhythmic synonymy is one of
important peculiarities of lexis of modern Chinese, and the
rhythmic rules are one of the reasons of the evolution in
the Chinese lexis88.
-
- In realtà in
questo - come in altri campi - la separazione dei tre piani
fonologico-grammaticale-semantico nell'analisi linguistica
rischia di rendere opache le interazioni reciproche tra singoli
fenomeni ascrivibili all'uno o all'altro di
essi.
- Ciò che importa
qui è ricordare che uno dei principali aspetti che
differenziano ancora oggi lo stile scritto (shumianyu)
dallo stile parlato (kouyu) è la frequente
opzione per la "forma breve" anche in contesti in cui il
locutore nativo opterebbe per la "forma lunga" corrispondente.
In realtà è probabile che la tendenza a
"abbreviare" per quanto possibile il testo scritto induca
abbastanza spontaneamente, in questi casi, a vergare solo il
carattere che trascrive la sillaba che forma breve e forma
lunga hanno in comune, lasciando sottintesa/e la o le altre.
Naturalmente l'apprendimento degli usi scritti può poi
comportare la familiarizzazione con tali "abbreviazioni", e la
percezione soggettiva di una differenza di registro piuttosto
che di una scelta consapevole.
- Riferendosi agli usi
orali contemporanei, Hana Trísková afferma che
"prosodic and rhythmical features play a highly important role
in conveying a language message in Chinese"89.
L'importanza del ritmo non solo nella poesia ma anche nei testi
in prosa classici è così descritta da
Demieville:
-
- Esistono, infatti, in cinese
stretti legami tra ritmo e senso, tra l'economia metrica
delle sillabe e quella dei segmenti significativi che
formano i periodi del discorso. La catena dei monosillabi
non si svolge a caso, in un disordine meccanico che sarebbe
incompatibile con ogni espressione del pensiero organizzato.
Essa si distribuisce in gruppi di sillabe il cui equilibrio
dev'essere abbastanza consistente ed altrettanto evidente
per offrire ad un tempo delle pause al respiro e dei
caposaldi allo spirito. È il ritmo che, con l'ausilio
di alcune particelle grammaticali, permette al lettore (o al
loro recitatore, in quanto questi testi, quando si volevano
leggere ad alta voce, erano salmodiati su una melopea che
gli alliavi imparavano dal loro maestro) di suddividerli in
frasi e periodi, di riconoscervi le articolazioni del
pensiero, dissimulate dietro l'uniformità dei
monosillabi e dei loro composti
polisillabici90.
-
- Il sistema di scrittura
basato sui caratteri cinesi non prevede la notazione della
posizione degli accenti, e solo molto parzialmente di quella
delle pause; anche i segni di interpunzione sono un'innovazione
recente91. Si tratta indubitabilmente di aspetti che
implicano vocalizzazione (o subvocalizzazione) del testo per
essere colti.
- Secondo Jaromír
Vochala:
-
- In contemporary Chinese, almost
all tonic syllables can function as morphemes. On the other
hand, the morphemes are fully identifiable only through the
context (linguistic or situational) - even in the case of
free morphemes. In an isolated position they have merely the
character of potential morphemes and it depends on their
mutual combination whether they become real morphemes or
not. On the contrary, graphemes in an isolated position will
be identified as a symbol of contextually defined linguistic
units and, in certain cases, in consequence of their
combination they can become graphic symbols denoting
syllables92.
-
- Lo stesso autore ha il
merito di attirare ulteriormente l'attenzione sulla
fondamentale differenza tra genesi e funzione dei caratteri.
Ciò che si tende spesso a trascurare è il fatto
che lo stesso segno grafico può essere utilizzato
alternativamente con funzione diversa (ideografica o
fonologica) anche nello stesso periodo storico, anche da parte
dello stesso autore, anche nello stesso testo: in un qualsiasi
manuale di algebra in lingua italiana, per esempio, la lettera
"a" può avere funzione ideografica nelle formule e
funzione fonologica nelle parti esplicative. Così lo
stesso carattere cinese - per esempio
-
(ma
= cavallo) può essere considerato "ideogramma" (o
"logogramma"?) in certi contesti, ma è certamente usato
con valore meramente fonologico per trascrivere la sillaba
"ma"
- in nomi propri
stranieri, come

- (Marx,
Maastricht).
- L'abitudine a imparare i
caratteri mediante mnemotecniche che fanno riferimento a genesi
vere, presunte o di fantasia, rende certamente consapevole il
cinese medio riguardo il contenuto semantico di molti elementi
che entrano nella composizione di parole o sintagmi di uso
comune, più di quanto lo siano coloro che imparano a
scrivere in scrittura fonologica; ad esempio, qualsiasi cinese
ricollega facilmente l'avverbio mashang (= subito,
immediatamente) all'etimo "sul cavallo", "senza neanche
scendere da cavallo", anche perché il ma di
mashang si scrive ancora con un carattere derivato dal
pittogramma di "cavallo" e viene appreso come tale
nell'infanzia. Probabilmente il locutore francese medio
è meno consapevole dell'analogo rapporto tra
maintenant e "mano".
- Scrive V.
Alleton:
-
- Pour l'écriture, nous
avons plutôt cherché les origines
européennes de nos préjugés. Cette
démarche serait bancale si elle ne s'accompagnait pas
d'une étude sur les aspects de l'écriture
chinoise - et de la tradition - qui ont permis à ces
représentations de se construire [...] Ne
faut-il pas examiner, au-delà du processus de
lecture qui est tout à fait identique en
chinois et dans les systèmes alphabétiques, ce
qui se passe lorsqu'il y a arrêt sur image,
c'est-à-dire quand on fait abstraction du texte pour
considérer un caractère isolé? Les
psycholinguistes pensent que cette distinction est
importante. Depuis une trentaine d'années, les
travaux sur la latéralisation cérébrale
semblaient prouver que l'écriture chinoise
n'était pas traitée par le même lobe
cérébral que les écritures
alphabétiques: celles-ci paraissaient être du
ressort du côté gauche du cerveau, alors que
l'écriture chinoise semblait contrôlée,
comme les images, par le côté droit. Tout
récemment, des équipes sino-américaines
ont découvert que c'était à la fois
vrai et faux: la distinction existe bien si l'on
présente au sujet un caractère isolé,
mais dès lors qu'il y a un texte, même minimal,
le traitement se fait du côté gauche, comme
pour les écritures
alphabétiques93.
-
- Tuttavia, gli studi di
psicolinguistica e neurolinguistica in questo campo si sono
finora avvalsi di informatori che hanno già subito il
condizionamento dell'apprendimento della lettura in caratteri
cinesi. Per determinare in quale misura ciò possa
modificare non solo l'approccio al testo scritto, ma la stessa
percezione degli elementi linguistici significativi, sarebbero
necessari studi sperimentali con gruppi di controllo costituiti
sia da analfabeti, sia da locutori cinesi che abbiano imparato
a leggere la loro lingua in scrittura fonologica, senza
esposizione alcuna agli Hanzi.
- Per circa un secolo, a
partire dagli studi di Broca sulla localizzazione dell'"area
del linguaggio", gli studi sulla topografia delle funzioni
cerebrali si sono basati soprattutto sull'esame autoptico
dell'encefalo di individui che avevano perso determinate
facoltà o abilità in seguito a traumi o patologie
noti; a questo si sono aggiunte successivamente le tecniche di
registrazione elettoencefalografica su persone viventi. Ma solo
più recentemente si sono messe a punto tecnologie
(risonanza magnetica, tomografia a emissione di positroni,
ecc.), che combinate fra loro e con l'ausilio di complessi
programmi di elaborazione dei dati permettono una ricostruzione
in immagini quadridimensionali (le tre dimensioni spaziali
più la dimensione temporale) di flussi di
attività cerebrale in condizioni sperimentalmente
controllate. Ciò ha permesso notevoli progressi nella
comprensione del funzionamento delle reti neurali sia in
individui sani che malati, ma ha anche rivelato una maggiore
complessità di quanto non si ritenesse in passato circa
la specializzazione asimmetrica degli emisferi
cerebrali.
- I modelli più
diffusi fino ad una decina di anni fa postulavano una
specializzazione dell'emisfero dominante (nella maggior parte
dei casi il sinistro) nel campo verbale, e dell'altro nel campo
spaziale; risultati sperimentali più recenti
indicherebbero che la lateralizzazione cerebrale del
trattamento delle informazioni visive ed auditive dipende, ad
un tempo, sia dalla natura degli stimoli che dalla natura del
loro trattamento: così suoni di bassa frequenza (intorno
ai 200 Hertz) possono essere discriminati meglio dall'emisfero
destro e suoni di alta frequenza (sui 1900 Hertz) da quello
sinistro; l'analisi di forme globali (frequenza spaziale bassa)
si svolge di preferenza nell'emisfero destro, quella dei
particolari (frequenza spaziale alta) nel sinistro. Inoltre,
l'asimmetria funzionale è anche correlata alla
modalità simultanea o sequenziale della acquisizione
della percezione: se il linguaggio verbale è
evidentemente percepibile solo in modo sequenziale, la lettura
(e la comprensione) di un testo comporta una complessa
interazione fra le due modalità. Quindi, la dominanza
laterale riguarderebbe singoli sottoprocessi piuttosto che
modalità sensoriali o funzioni complessive. Infine, si
sono rilevate notevoli differenze inter-individuali
nell'organizzazione neurologica, ovvero nella distribuzione
asimmetrica di alcuni
sottoprocessi94.
- L'approfondimento di
questi aspetti richiederà la raccolta ed il confronto di
enormi quantità di dati sperimentali su un campione
statisticamente rappresentativo di individui; la
difficoltà pricipale è data dal fatto che, oltre
a dover impiegare apparecchiature costose e personale altamente
qualificato, la lettura e l'interpretazione dei dati raccolti
dalle tecniche di esplorazione cerebrale summenzionate
richiedono tempi lunghi (dell'ordine dei mesi). Le prime banche
dati in materia sono state istituite negli Stati Uniti solo
negli anni novanta.
- Almeno altrettanto
complessa è tuttora la delimitazione del ruolo di
fattori genetici e fattori ambientali e culturali
nell'organizzazione neurologica di individui diversi; nel corso
dello sviluppo del sistema nervoso centrale, le connessioni tra
neuroni si realizzano in base ad un principio di
competizione/selezione: quelle più frequentemente
sollecitate si conservano, quelle inutilizzate si eliminano;
è da tempo noto del resto che la mancata utilizzazione
di determinate potenzialità funzionali nella prima
infanzia può comportare la perdita della capacità
di svilupparle successivamente, anche se oggi sembra che la
plasticità funzionale delle aree corticali, primarie o
associative, possa essere maggiore di quanto non ci si
attendesse anche in età adulta. In ogni caso, è
ipotizzabile che il privilegiare determinate modalità
sensoriali o di trattamento degli stimoli in processi di
apprendimento che si svolgono in età evolutiva possa
condizionare in qualche modo l'evoluzione dell'organizzazione
neurologica individuale.
- Ancora molto resta da
scoprire, tra l'altro, sui processi neurologici collegati allo
sviluppo del linguaggio verbale; per non parlare,
evidentemente, dei rapporti tra pensiero e linguaggio, o tra
cervello e eventi mentali in genere...campi dove, in mancanza
di dimostrazioni scientificamente conclusive, ci si
potrà ancora sbizzarrire a lungo nei modelli esplicativi
più fantasiosi e rimane viva l'antica contrapposizione
tra materialismo (o "riduzionismo biologico"?) e idealismo (o
"spiritualismo"?).
- Mi permetto di citare,
purtroppo estrapolandole dal contesto, al quale rimando gli
eventuali interessati, alcune affermazioni pertinenti il
presente discorso dalla Lettura Magistrale tenuta dal prof.
Luigi Lombardi Vallauri, ordinario di Filosofia del Diritto
all'Università di Firenze, in occasione del VI Congresso
della Società Italiana di Neuroscienze (Milano, 25
giugno 1995):
-
- La mente come si coglie per
autocoscienza (e solo per autocoscienza) è un
quid completamente diverso da qualsiasi oggetto
materico-energetico-informazionale accessibile alla fisica
latamente intesa. [...] La tesi
dell'eterogeneità si rafforza ancora molto passando
al livello intellettivo, [...] Basti
considerare i concetti che chiamerei non-naturalistici o
non-figurativi, i quali hanno come supporto fisico le sole
immagini linguistiche: per esempio tutti i concetti evocati
dai segni fisici che formano questo capoverso. È
subito evidente che nei significanti (fonici o grafici) non
c'è nulla di ontologicamente simile ai concetti
significati. Il concetto di concetto è cosa
totalmente diversa dal suono corrispondente all'italiano
"concetto" o dal grafismo CONCETTO; come lo è dal
suono corrispondente al tedesco "Begriff" o dal grafismo
BEGRIFF. Ogni concetto può essere espresso da un
numero indefinito di immagini, foniche o grafiche, in tutte
le lingue e in tutti gli alfabeti reali o immaginabili, in
tutte le pronunce, in tutte le grafie reali o immaginabili.
La differenza ontologica tra pensiero e linguaggio è
dunque radicale. Il concetto capito è un
verbum intellettuale essenzialmente diverso da
ogni possibile immagine naturalistica o
linguistica95.
-
- Conclusioni
-
- Per tornare ai quesiti
iniziali, è probabile in effetti che le cause della
"persistenza" di certi miti sulla scrittura cinese siano
molteplici.
- Innanzi tutto vi sono
difficoltà oggettive nella trasmissione tempestiva delle
conoscenze, in qualsiasi campo dello scibile umano. La maggior
parte delle persone riesce ad essere competente, se lo
è, in uno specifico settore di un determinato ramo della
sua disciplina di specializzazione: anche il grande Needham,
volendo descrivere sommariamente le caratteristiche della
lingua e della scrittura cinesi nella parte introduttiva della
sua Sciences and Civilisation in China, si è
rifatto soprattutto all'opera di alcuni noti filologi, tra cui
Karlgren, che del resto cita ripetutamente, e non a proprie
ricerche originali in questo
campo96.
- La sovrapposizione di
competenze areali e di competenze disciplinari, eclatante nel
caso della sinologia, richiederebbe un'organizzazione del
lavoro (di ricerca, ma anche didattico e di divulgazione)
basata su équipes interdisciplinari ben affiatate, cosa
che spesso non è favorita dal regime di spietata
concorrenza imperante nel mondo accademico. Dovendo ovviare
individualmente a esigenze di tipo enciclopedico è
inevitabile ricorrere - in tutti i casi in cui si esula dal
proprio ben coltivato orticello - all'autorità di
studiosi di chiara fama, e possibilmente alle loro opere di
sintesi, che in genere sono di taglio più divulgativo e,
inevitabilmente, datate. Se tali opere contengono errori
(nessun essere umano è infallibile!) o, più
semplicemente, si prestano a essere fraintese o dogmatizzate,
l'effetto moltiplicatore è più che evidente.
Molti equivoci sono derivati dal fatto che si è
descritta la "lingua cinese" senza specificare chiaramente se
ci si riferiva agli usi scritti, a quelli orali, o a
entrambi.
- Spiegare un qualsiasi
argomento evitando il più possibile un linguaggio troppo
tecnico per i non specialisti, e riuscendo a essere chiari,
succinti e completi, senza che proposizioni poste come ipotesi
ne risultino dogmatizzate, non è affatto compito
semplice.
-
- Le nostre teorie possono essere
cambiate, o persino distrutte, nel giro di dieci anni o
meno. Noi stessi perseguiamo questo fine, continuando le
notre ricerche. Tutto ciò che si scrive di scienza
può essere modificato. È talvolta stupefacente
vedere, dal di fuori, la quantità di condizionali che
vengono utilizzati nella prosa scientifica [...] Al
pubblico questo può apparire strano: la scienza non
dovrebbe dare certezze?97.
-
- Non so se il dogmatismo
di tante opere di divulgazione sia il risultato di una domanda
di certezze; ma l'offerta di certezze è spesso munifica;
nessuna legge di natura impedisce a persone di grande
erudizione di essere anche portatrici di precisi interessi
personali o di parte, e di utilizzare quindi deliberatamente la
propria autorità in campo culturale per precisi
obiettivi di propaganda ideologica, per esempio. Ma anche la
massima onestà e cautela da parte di chi espone i
risultati delle proprie ricerche spesso poco può sulle
deformazioni o dogmatizzazioni che altri, per interesse
economico o politico, possono apportarvi.
- Dal punto di vista di
chi gestisce l'informazione culturale come merce è
inevitabile preferire l'argomento - e il modo di trattarlo -
che costa meno e rende di più. Le cineserie si vendevano
bene nel settecento; si vendono bene ancora oggi; poco importa
che siano autentiche, se c'è qualcuno che le compra. La
Cina è lontana, è diversa, i caratteri cinesi
affascinano il pubblico: se ne può dire quello che si
vuole, tanto chi va a controllare?
- Ma possiamo ancora
permetterci il lusso di allevare classi dirigenti che ignorano
gli altri in un mondo multipolare di cui l'Europa non è
più, da almeno mezzo secolo, il fulcro? Difficile non
vedere analogie con l'atteggiamento di quei mandarini cinesi
del secolo scorso che pensavano di poter ignorare i "barbari
dell'Occidente", visto che la Cina era, ai loro occhi,
culturalmente autosufficiente, e naturalmente
superiore.
-

Home
page Culture
- Indice
Culture
dante.liano@unimi.it



-
-