Sulla mitizzazione
della scrittura cinese
di Luciana Bressan
 
1. La persistenza del mito
 
A l'heure actuelle, les théories tendant à faire des écritures anciennes ou exotiques des systèmes de signes indépendants de toute langue parlée n'ont plus cours1.
 
Ciò è sostanzialmente vero se ci si riferisce agli specialisti in linguistica e/o semiologia; pur tuttavia, è giocoforza prendere atto del fatto che, ancora a trent'anni di distanza da quella osservazione, sono ancora correnti in Italia, come in altri paesi, e non soltanto in pubblicazioni rivolte al largo pubblico, ma anche nella mente di molte persone di buon livello culturale, miti e pregiudizi sulla scrittura cinese diffusisi in Europa qualche secolo fa per motivi che dovrebbero essere, oggi, storicamente superati.
 
Many scholars, especially linguists and Sinologists, now agree that the Chinese script may be described as an enormously large but phonetically imprecise syllabary, with strong visual and semantic qualities (De Francis 1984, 1989). A few philosophers still insist that the Chinese writing system is pictographic and "ideographic" (Hansen 1993), but their views have been effectively countered by the empirical and historical evidence (Unger 1990, 1993).2
 
Le vicende della scoperta della lingua e della scrittura cinesi da parte del mondo estremo-occidentale sono state oggetto di numerose pubblicazioni e convegni negli anni '90; vari sinologi hanno contribuito al revival degli studi sulla deformazione e strumentalizzazione dei dati allora disponibili su varie componenti della cultura cinese - tra cui la scrittura - a fini ideologici "europei" tra i secoli XVI e XVIII, così come alla rievocazione dei dibattiti sulle tipologie linguistiche che hanno fornito argomenti alla teoria della supremazia intellettuale e/o culturale degli occidentali sui cinesi nel corso del secolo XIX, teoria evidentemente funzionale alle politiche colonialiste3.
Sembra che gli europei non si siano interessati alla scrittura cinese prima del sedicesimo secolo, nel corso del quale testi scritti in cinese cominciano a essere introdotti nel vecchio mondo. I primi gesuiti installati in Giappone scoprono che i Kanji provengono dalla Cina, e che cinesi e giapponesi possono comunicare fra loro per iscritto pur parlando lingue diverse. Tra gli ultimi decenni del sedicesimo secolo e i primi del diciassettesimo si diffondono sempre più abbondanti informazioni sulla cultura cinese, parallelamente alla formazione dei primi sinologi, fra cui persone a stretto e prolungato contatto con l'élite intellettuale cinese del tempo. Molti studiano il cinese e si rendono conto del fatto che ogni Hanzi viene letto con una sillaba; vengono elaborate le prime trascrizioni dei caratteri cinesi in alfabeto latino4.
I missionari europei esposti al contatto con gli usi scritti cinesi sono colpiti dal numero dei segni grafici diversi; molti riferiscono che ci sono tanti caratteri quante parole o cose; si trovano analogie con i geroglifici egiziani; prende piede l'idea secondo la quale uno Hanzi = una sillaba = una parola = un concetto, ovvero, ogni carattere rappresenterebbe una parola, perchè in cinese tutte le parole sarebbero monosillabiche, e un testo scritto in cinese può essere letto con "pronuncia" diversa da locutori di varianti orali diverse (non solo cinesi di aree geografiche o epoche distanti, ma anche giapponesi, coreani, vietnamiti...) ma ugualmente compreso in quanto i caratteri stessi sarebbero segni che veicolano un significato visivamente, senza la mediazione dei suoni vocali. Il diciottesimo secolo vede il trionfo dell'esotico cinese come moda culturale; e, parallelamente, la sempre maggiore diffusione dell'idea di un "codice cifrato" riferito a scritture di popoli lontani nel tempo e/o nello spazio.
 
On trouve [...] une lecture proprement cabalistique de l'écriture chinoise; c'est celle d'un petit groupe de jésuites, pourtant parmi les mieux informés, mais qui furent incapables de résister à l'idée de décryptage caractéristique de leur époque. Ces "figuristes" pensaient retrouver par l'analyse des caractères chinois les symboles de la foi chrétienne. [...] leurs analyses graphiques les plus fantastiques étaient fondées non seulement sur le Yijing, dont les hexagrammes sont sans rapport avec l'écriture, mais aussi sur le données et les méthodes du grand dictionnaire éthymologique chinois du début de notre ère, le Shuowen. En elles-mêmes, les idées des Figuristes, condamnées par Rome, n'eurent guère de succès en Europe, mais leur manière d'analyser l'écriture chinoise a laissé des traces durables5.
 
Di fatto, molte qualità vere o presunte della civiltà cinese furono ampiamente utilizzate come argomenti a favore di determinate tesi ideologiche sostenute da esponenti della scena politico-culturale europea.
 
Negli scritti della fine del sec. XVII, gesuiti come Bouvet descrissero K'ang-hsi come un tipo benevolo di "Re Sole", sul modello di Luigi XIV: non senza secondi fini, perchè il finanziamento della Francia era essenziale per la missione cinese6.
Un'altra delle idee che quegli scrittori francesi avevano cara era quella che il confucianesimo in qualche modo presagisse la possibiltà di una morale universale e che gli ideogrammi della scrittura cinese autorizzassero a sperare in un linguaggio universale che trascendesse le lingue e le nazioni. Entrambi questi aspetti vennero notati da Leibnitz.[...] Per qualche tempo Leibnitz fu anche attratto dalla posizione cosiddetta figurista, come molti altri scienziati fino al termine del Settecento; [...] Il loro lavoro [dei figuristi] va visto nel contesto di quello che gli storici dell'antropologia descrivono come l'ultima difesa della teoria di una "monogenesi" dell'umanità, che riconduca l'origine di tutti gli uomini a Noè e da lui ad Adamo. Alla posizione monogenetica si contrapponeva il crescente interesse per le teorie "multigenetiche", che, ammettendo un'origine multirazziale dell'uomo, permettevano di degradare interi segmenti della famiglia umana e di collocare alcuni popoli in una regione prerazionale dell'umanità. Le teorie poligenetiche aprirono la strada a pretese "giustificazioni scientifiche" del razzismo7.
 
In questo contesto, il "monosillabismo" della lingua cinese, considerato affine alle prime fasi dell'apprendimento del linguaggio nell'infanzia, fu visto come una prova del fatto che questa fosse la lingua primitiva, nella connotazione positiva di primigenia, dell'umanità, prima della dispersione di Babele. Secondo George A. Kennedy la prima esposizione sistematica di tali argomentazioni in lingua inglese è quella redatta da John Webb ne An Historical Essay Endeavoring a Probability That the Language of the Empire of China is the Primitive Language del 1668. Lo stesso Kennedy mette poi in rilievo lo slittamento che il termine primitiva applicato alla lingua cinese - sempre in quanto "monosillabica" - ha avuto verso la connotazione negativa di "infantile, povera, non evoluta", che divenne dominante nel diciannovesimo secolo8. A suo parere non si era avuto nel frattempo "the slightest increase in any real knowledge of or about the language, but merely an emotional change connected with the general nineteenth century reaction against extravagant glorification of the Celestial Empire that had earlier been the mode"9.
Secondo De Francis, il mito della "ideograficità" della scrittura cinese appare strettamente legato a quello della sua "universalità", nonchè all'idea del "monosillabismo" della lingua cinese10.
Già nel corso del XIX secolo si erano levate voci discordanti rispetto alle idee ancora diffuse circa il monosillabismo della lingua e/o l'ideograficità della scrittura cinesi. L'americano Du Ponceau sostenne che la scittura cinese non è ideografica, cosi' come non potrebbe esserlo alcuna scrittura degna di questo nome: "[...] ideographic writing is a creature of the imagination, and cannot exist, but for very limited purposes, which do not entitle it to the name of writing. [...] all writing, as far as I know, represents language in some of its elements, which are words, syllables, and simple sounds"11. Il francese Callery sostenne la funzione prevalentemente fonologica dei caratteri cinesi, in analogia con quella dei geroglifici egiziani come elucidata da Champollion12. Appare ormai chiara, almeno per i migliori sinologi, la necessità di una trattazione distinta delle caratteristiche degli usi scritti rispetto a quelle degli usi orali: si può citare ad esempio l'impostazione dei corsi di cinese tenuti a partire dal 1815 da Abel Rémusat al Collége Royal, basati sull'opera fino allora dimenticata di Joseph de Prémare13. Anche Wilhelm von Humboldt, filosofo conoscitore della lingua cinese, era dell'opinione che "gli studiosi che si sono lasciati andare fino a dimenticare che il cinese è una lingua parlata hanno talmente esagerato l'influenza della scrittura da mettere, per cosi' dire, la scrittura al posto della lingua"14.
Rimane tuttavia dominante, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, un'impostazione che privilegia lo studio degli usi scritti, e in particolare antichi, come il solo degno di essere intrapreso (in questo tradizione nazionale cinese e conservatorismo culturale "occidentale" vanno perfettamente d'accordo), e, come in altri campi delle scienze umane dominate dal positivismo, l'idea di uno sviluppo storico unilineare che dovesse passare per le stesse tappe, anche se a velocità diverse, in tutte le società umane15. Si diffonde l'idea che il cinese sia una "lingua priva di grammatica", laddove la "grammatica" per eccellenza è la morfologia delle lingue indo-europee; molte descrizioni della "lingua cinese" realizzate da sinologi sulla base di modelli letterari sono interpretate come valide anche per le varianti orali da studiosi non-sinologi, che le divulgano come tali.
La seconda metà del secolo XIX vedrà fiorire gli studi sinologici in Europa prima e negli Stati Uniti poi grazie alla "apertura" forzata della Cina da parte delle potenze occidentali; ma le opere filologicamente più rigorose, per lo più riservate a pochi specialisti, hanno potuto convivere a lungo con la divulgazione delle interpretazioni più fantasiose, sia ereditate dal passato che di nuova creazione. Strascichi di queste tendenze contrapposte, che possono anche sovrapporsi nell'opera di uno stesso autore, sono sopravvissute fino ai nostri giorni.
Se la genesi di determinati miti sulla scrittura cinese nei secoli scorsi può essere oggi ben ricostruita, vale forse la pena di chiedersi quali possano essere i motivi della loro persistenza, apparentemente antistorica, in epoca contemporanea; sono essi riducibili alla "forza d'inerzia" di idee fortemente radicate nel passato rispetto alla debole volontà di serio aggiornamento scientifico di chi controlla i canali della trasmissione delle conoscenze, e al provincialismo culturale che deriva dalla sottovalutazione dell'importanza di comprendere il "diverso" solo perché apparentemente "lontano", anche in un mondo ormai integrato da Internet, dal turismo di massa e dal "pensiero unico" sull'economia di mercato?
O sussiste ancora oggi una funzionalità di tali miti rispetto alla difesa di precisi interessi di parte? O hanno un qualche fondamento nella realtà, al di là delle strumentalizzazioni di cui possono essere oggetto? Vale forse la pena di riassumere brevemente le principali tendenze in materia come dibattute fra gli specialisti del XX secolo per tentare di farsene una ragione.
 
 
2. Il fascino discreto dell'ideogramma
 
Le unità grafiche fondamentali della scrittura cinese (col che intendo ciò che si trova tra due spazi vuoti in una linea di testo) sono chiamate attualmente, in cinese, Hanzi, e in giapponese, Kanji. Le traduzioni più vicine al senso originale in una lingua occidentale sono forse gli inglesi Sinograph, o Sinogram, entrati nell'uso a partire da centri accademici statunitensi in tempi recenti. Altri termini usati da autori di lingua inglese sono tetragram e tetragraph, come traduzione del cinese fangkuai zi (caratteri quadrati), di uso comune in Cina in quanto ogni Hanzi viene tracciato, nella scrittura a stampa, in modo da occupare una stessa superficie quadrangolare. L'italiano "sinogramma" non ha avuto per ora altrettanto successo, e non trovo personalmente di meglio che "carattere cinese", sintagma più lungo ma di comprensione immediata anche per i non specialisti e privo di connotazioni particolari circa la natura della scrittura cinese.
Appare oggi dominante, almeno tra i sinologi, la concezione secondo la quale i caratteri cinesi rappresenterebbero parole o parti di parole di varianti linguistiche determinate, anche se non tutti sono d'accordo sull'adozione del termine "logograph" proposta da Boodberg nel 1937:
 
Pictograms and symbolic signs do not constitute in themselves Graphs, i.e., elements of a written Language....
the term 'ideograph' which is so widely used by both layman and scholar is, we believe, responsible for most of the misunderstanding of the evolution of writing. The sooner it is abandoned, the better. We should suggest the revival of the old term 'logograph'. Signs in writing, however ambiguous, stylized, or symbolic, represent words16.
 
Secondo De Francis però "logografico" non è meno fuorviante di "ideografico": "the term 'logographic' is simply taken as a fancier equivalent for 'ideographic' and is not fulfilling the expectations of Boodberg and other sinologists that it would help avoid misconceptions regarding the basic nature of Chinese writing". In alternativa egli propone "morphosyllabic", termine "which calls attention to the phonetic aspect, can contribute to dispelling the widespread misunderstanding of the nature of the Chinese writing"17.
Dal punto di vista della genesi dei caratteri, la parola "ideogramma" rende abbastanza bene i cinesi zhishi (segno) e huiyi (associazione di senso), con cui la tradizione filologica autoctona designa due specifiche categorie di Hanzi, basate sul loro modo di formazione, e comprendenti un numero estremamente esiguo di quelli odierni; l'uso comune occidentale vi comprende anche gli xiangxing (pittogrammi); si potrebbero aggiungere gli zhuanzhu nell'interpretazione, peraltro controversa, che ne danno alcuni studiosi sia cinesi che stranieri, tra cui Creel (estensione di senso)18. La maggior parte dei sinologi contemporanei ritiene, come l'autore dello Shuowen diciotto secoli fa19, che gran parte dei caratteri cinesi in uso siano collocabili nella categoria degli xingsheng, composti da due elementi, dei quali uno ha valore semantico e l'altro, fonologico20. Vi è però una minoranza che, sulla base di analisi filologiche puntuali, interpreta in modo diverso la genesi di molti caratteri. Inoltre, si può obiettare il fatto incontestabile che a causa delle variazioni diacroniche e diatopiche degli usi orali la corrispondenza tra componente fonologica di uno xingsheng zi e sillaba effettivamente pronunciata è oggi in parte perduta (fenomeno analogo alle incongruenze, per esempio, dell'ortografia inglese). Chiamare "ideogrammi" gli Hanzi può comportare pertanto una presa di posizione consapevole e deliberata sulla natura della scrittura cinese, o essere semplicemente il residuo di una tradizione del passato dura a morire. Resta il fatto che il rapporto tra lingua e scrittura non può essere ridotto alla sola analisi di singoli elementi di quest'ultima; e la scrittura non può essere, per definizione, pura ideografia.
Se per scrittura si intende un sistema convenzionale di simboli grafici che permetta - almeno potenzialmente - di trascrivere qualsiasi enunciato di una data lingua - in modo da poter essere ricostituito integralmente alla lettura da tutti i membri della comunità di utenti - allora un sistema di scrittura puramente pitto/ideografico è materialmente impossibile, perchè il numero dei grafi da memorizzare diventa talmente spropositato da renderne impossibile l'utilizzo pratico. È oggi nozione acquisita il fatto che le più antiche scritture attestate, sviluppatesi in epoche diverse ma in modo - fino a prova contraria21 - reciprocamente indipendente nell'area della "mezzaluna fertile", nella valle del fiume Giallo e nello Yucatán, si sono tutte evolute da una prima fase pitto-ideografica (protoscrittura) in base al medesimo procedimento, ovvero il rebus o "sostituzione per omofonia", che consiste nell'utilizzare lo stesso segno per rappresentare due o più parole (o parti di parole) fra loro omofone; storicamente, è l'invenzione di questo procedimento che ha permesso di passare da messaggi ideografici (limitati per contenuto) a testi scritti (a contenuto potenzialmente tanto ricco quanto il linguaggio verbale). È solo dal momento in cui viene introdotto il principio dell'uso con funzione fonologica di almeno una parte dei simboli grafici che si può avere vera e propria scrittura. I testi più antichi sinora rinvenuti in Cina (ossa e carapaci "oracolari" di epoca Shang, databili fra il 1500 e il 1200 a. C. circa) attestano effettivamente l'avvenuta applicazione di tale principio22.
È oggi altrettanto chiaro, almeno agli specialisti, come l'evoluzione storica di un elemento grafico può modificarne non solo la forma, ma anche la funzione: da pittogramma a ideogramma, da ideogramma a fonogramma; pertanto il risalire alla forma
pittografica antica , di un carattere cinese di uso co-
mune, oggi , ma = cavallo, non dimostra di per sé
che esso sia un "ideogramma" più di quanto il risalire alla forma
= alef = bue in un'antica scrittura mesopotamica dimostri
che l'alpha dell'alfabeto greco o la di quello latino siano a loro volta ideogrammi.
Una critica generale dell'impiego del termine "ideogramma" per designare unità grafiche di varie scritture antiche - tra cui il cinese - è stata condotta sistematicamente da linguisti e semiologi a partire almeno dalla pubblicazione dell'opera di Gelb sull'evoluzione della scrittura23; con scarso successo per quel che ci riguarda, a quanto pare, vista la frequenza con la quale gli Hanzi sono ancora oggi chiamati "ideogrammi" in testi redatti in lingue occidentali. DeFrancis ne dà la seguente giustificazione:
 
Each character is presented as an independent unit and is defined as having at least one meaning. The assumption that each character represents an independent meaningful syllable leads to the conclusion that each character represents a monosyllabic word24.
Since the syllable is represented by a character, the latter too is held to represent a word. The equating of syllable with character, the notion that both represent a word, and the fact that each individual character, and hence each individual syllable attached to it, has individual meaning, all combine to characterize both speech and writing as "monosyllabic"25.
 
Una spiegazione triviale ma verosimile, almeno per quanto riguarda le opere di carattere divulgativo, è che - al di là della competenza e della diligenza degli autori - la parola "ideogramma" conserva un'aura di mistero esotico e, insomma, si vende meglio di un banale "carattere cinese".
La natura della scrittura cinese, i termini più appropriati per designarne gli elementi costitutivi, i rapporti tra usi scritti e usi orali sono stati peraltro oggetto di vivaci dibattiti sia tra sinologi occidentali che tra linguisti e filologi cinesi anche nel corso di questo secolo; molti hanno scelto - e alcuni scelgono tuttora - di conservare il termine "ideogramma" con riferimento agli Hanzi a ragion veduta, sulla base di argomentazioni basate sulla filologia o sulla psicolinguistica; altri hanno suggerito termini sostitutivi come logograph, morphemograph o tetragraph, difendendone la scelta con disamine approfondite dei rapporti tra usi orali e usi scritti in Cina.
È indubbio che gli usi scritti standard, a partire almeno dalla "unificazione della scrittura" realizzata per ordine del fondatore dell'Impero Qin circa due secoli prima della nostra era, prevedono che ogni carattere rappresenti una sillaba. Il fatto che in precedenza un singolo carattere potesse rappresentare anche una successione di due o più sillabe (come accade ancor oggi, per esempio, in giapponese), è stato messo in rilievo tra gli altri dal Creel, che vi trovava una prova della natura "ideografica" della scrittura26. Personalmente penso che si possano formulare almeno due ipotesi, che peraltro non si escludono a vicenda:
• è possibile che gli stessi caratteri siano stati trasferiti da una lingua tipologicamente affine alle attuali varianti siniche a lingue tipologicamente eterogenee, parlate a livello regionale nella Cina antica; in tal modo, il carattere che nella lingua A rappresenta la parola monosillabica x viene usato anche per rappresentare la parola plurisillabica y che è l'equivalente semantico di x nella lingua B: analogamente a quanto si è storicamente verificato con l'introduzione dei caratteri cinesi in Giappone27; vi è chi ritiene che l'unificazione degli usi scritti operata nell'impero Qin avesse una portata più ampia, ovvero l'imposizione della lingua di un'etnia (quella al potere nel regno di Qin prima dell'unificazione) su popolazioni linguisticamente eterogenee28;
• è possibile che quando due o più caratteri in successione rappresentavano una parola o sintagma di uso frequente, gli scribi usassero, come si usa tuttora in Cina a livello popolare, creare un unico carattere "sintetico", composto dall'unione di elementi estratti da ognuno dei caratteri della serie in oggetto: una sorta di "stenografia", insomma.
A me sembra però che quest'ultimo fenomeno avvalori le teorie "logografiche" (i caratteri rappresenterebbero parole di una determinata variante orale) piuttosto che "ideografiche" (i caratteri rappresenterebbero "concetti" puri, senza mediazione di un linguaggio verbale), visto che tali "caratteri sintetici", in caso di verbalizzazione di secondo grado, sono "letti" con due o tre sillabe, anche dopo più di duemila anni di abitudine al monosillabismo della scrittura. In ogni caso, tuttavia, l'applicazione dei caratteri cinesi a lingue tipologicamente diverse in Asia ha comportato storicamente difficoltà che hanno condotto, in tempi più o meno lunghi, allo sviluppo di scritture compiutamente fonologiche29, analogamente a quanto avvenuto nel mondo occidentale quando la scrittura creata dagli antichi sumeri, che oggi alcuni linguisti ritengono parlassero una lingua tipologicamente affine al cinese30, fu applicata a lingue semitiche tipologicamente diverse: la teoria della "funzionalità" reciproca tra lingua cinese e sistema di scrittura basata sugli Hanzi potrebbe non essere del tutto priva di fondamento; è in ogni caso evidente che il sistema di scrittura cinese viene percepito dai suoi utenti come sostanzialmente diverso dalla maggior parte dei sistemi di scrittura diffusi nel mondo contemporaneo. La distinzione fra "scritture fonologiche" (quelle nelle quali il segno grafico minimo denota unità linguistiche non significanti) e "scritture ideografiche" (quelle nelle quali il segno grafico minimo denota unità linguistiche significanti) è tuttavia relativa, non assoluta: anche le scritture classificate come fonologiche comprendono caratteristiche di natura più propriamente "ideografica"31. Alcuni sinologi sono giunti alla conclusione che "l'écriture chinoise et les écritures alphabétiques sont peu différentes. Cela signifie qu'on admet des différences, mais bien précises et non essentielles en ce qui concerne la lecture"32.
Rimane il fatto che l'espressione "scrittura ideografica", se utilizzata da non specialisti, è ambigua, perchè può essere intesa sia nel senso di "rapporto tra simboli e unità linguistiche significanti", sia in quello, di marca settecentesca, di "rapporto diretto tra simboli grafici e immagini mentali" senza mediazione del linguaggio verbale. Il termine "ideogramma", a prescindere dalle intenzioni di chi lo utilizza, evoca indubitabilmente la concezione secondo la quale la scrittura cinese sarebbe costituita unicamente da segni che rappresentano direttamente oggetti e/o concetti piuttosto che sillabe, parole o parti di parole di una variante linguistica determinata.
 
 
3. I dibattiti sull'evoluzione della lingua cinese nel XX secolo
 
La questione del "monosillabismo" della lingua cinese ha costituito probabilmente uno degli aspetti principali dei dibattiti fra linguisti, sia occidentali che cinesi, nel corso di questo secolo. Accanto al problema, più ideologico che scientifico, dello stabilire se una lingua "monosillabica" vada considerata come maggiormente o meno evoluta delle altre, e a quello, ben più fondamentale sul piano teorico, di cosa si debba intendere per "monosillabismo", la gran parte dei contributi forniti da un'enorme massa di pubblicazioni sull'argomento possono essere ricondotti a tre posizioni principali:
1) il cinese, sia parlato che scritto, è una "lingua monosillabica";
2) gli usi scritti cinesi, specie quelli classici, rappresentano una lingua monosillabica (parlata nel passato o più o meno artificiale); gli usi orali, almeno moderni, no;
3) né gli usi scritti antichi, né gli usi orali presenti, possono essere qualificati di "monosillabici".
Nel corso del secolo XIX e nei primi decenni del XX si levarono sporadicamente voci di sinologi occidentali volte a difendere i valori culturali della Cina contro il disprezzo dominante, o contro modelli secondo cui tali valori non potevano essere autoctoni ma dovevano essere stati importati nell'antichità dall'Occidente. Talvolta queste voci non sono prive di contraddizioni; recita ad esempio Karlgren, in un'opera divulgativa del 1923 riedita nel 1962:
 
...the old theory which classified Chinese as a 'primitive' language, not yet raised to the inflectional and derivative status, is the opposite of the truth. Chinese, in fact has followed exactly the same line of evolution as the Indo-European languages in the gradual loss of synthetic terminations and phonetic stem variations, with all the stronger appeal to the listener's (or reader's) faculty of pure logical analysis. English is perhaps in this respect the most highly developed Indo-European language; but Chinese has progressed much further33.
 
Ma più oltre:
 
The suffixes formed in modern Chinese are certainly few, and do not as yet invalidate the general rule that Chinese is a suffixless language. But they are of high symptomatic interest; they show how the sound-simplification discussed above is gradually forcing the language into entirely new lines of evolution, thus bringing it more into accord with the system of our Western languages34.
 
L'idea di una "gerarchia" di sviluppo tra le lingue è stata completamente abbandonata solo dopo la seconda guerra mondiale. Si discute ancora, peraltro, di possibili "oscillazioni" del cinese da un raggruppamento tipologico all'altro: "To sum up, from the ancient polysyllabism to monosyllabism, and then to a new polysyllabism - this is the observed path of the development of the Chinese language"35.
Per alcuni decenni è stata popolare la teoria, esposta fra gli altri da Karlgren, secondo la quale la lingua cinese sarebbe passata dal monosillabismo al posillabismo alcuni secoli d. C. a causa di un "impoverimento fonologico", per cui "...the number of homophones in Chinese must have become detrimental to the intelligibility of the spoken language"36. Ciò avrebbe stimolato l'abbinamento dei monosillabi per formare "compounds [...] words consisting of two or more parts each of wich can appear by itself [...] as an independent word"37. Tale teoria fu attaccata in particolare da George A. Kennedy, che contestava la divisibilità in parti di varie parole bisillabe attestate in scritti pre-Han38; "...the words of more than one syllable are so thoroughly camouflaged by the system of writing, by the arrangement of dictionaries, and by the labor of centuries of fertile-minded scholars, that it requires a real effort to see them"39. Kennedy aveva intrapreso uno studio sistematico sull'argomento, "...a desultory opus that is chiefly concerned with combating some of the traditional views on the Chinese language, particularly as expressed by Bernhard Karlgren"40, rimasto incompiuto a causa della sua morte prematura, nel 1960; le sue idee sono state riprese e sviluppate da John DeFrancis circa venticinque anni dopo41.
Uno dei filoni di più duraturo successo appare l'applicazione alla lingua cinese delle categorie "strutturaliste" di Bloomfield, la cui introduzione in Cina è attribuita soprattutto a Zhao Yuanren42. Tale approccio ha comportato, fra le altre conseguenze, il prevalere dell'idea secondo la quale, in cinese, i morfemi sono monosillabici, ed è in tal senso da intendersi l'espressione "lingua monosillabica"; si realizzerebbe pertanto l'equazione uno Hanzi = una sillaba = un morfema: secondo molti autori, fra i quali si può citare Kratochvil43, i morfemi bi- o plurisillabi in cinese sono rari, e probabilmente di origine straniera. Questa teoria non spiega, a mio parere, la presenza di bisillabi (indivisibili) che designano insetti molto comuni in Cina in testi pre-Han, come rilevata da Kennedy, a meno di ipotizzare fenomeni di adstrato o superstrato tra lingue tipologicamente diverse nella Cina antica. Comunque, dall'idea di un "monosillabismo dei morfemi" sono derivate varie proposte, di seguito limitato, sulla definizione della natura della scrittura cinese: morfemica, morfosillabica... Tale impostazione è sopravvissuta fino ad ora in posizione dominante, ma non sono mancate voci discordanti. Per Arlotto, ad esempio "It seems quite clear, and admitted by everyone, that assigning some sort of meaning to each syllable is deeply involved with a knowledge of the written language"44.
Da notare che, mentre nel mondo occidentale i linguisti rinunciavano ad una definizione universalmente applicabile del concetto di "parola" per concentrarsi su nuovi strumenti di analisi della catena parlata,45 in Cina i dibattiti sulla definizione di parola (ci), e sulla individuazione delle parole in cinese, già animati negli anni '30, hanno ripreso vigore negli anni '50 e '60, in funzione chiaramente strumentale rispetto alle ipotesi di alfabetizzazione della scrittura46. Il concetto stesso di parola era estraneo al contesto culturale cinese, poichè l'ortografia tradizionale prevede un identico spazio tra ogni Hanzi e quelli adiacenti, a prescindere dai rapporti semantici, grammaticali o fonetici fra le sillabe che essi rappresentano.
Il ventesimo secolo ha visto comunque un rinnovamento sostanziale degli studi sulla lingua e la scrittura cinesi antiche grazie anche a importanti ritrovamenti archeologici che hanno portato alla luce grandi quantità di documenti originali. Una enorme mole di lavoro di ricerca è stata compiuta (ma molto più ne rimane da compiere) dopo la scoperta delle iscrizioni su ossa di bovini e carapaci di tartarughe alla fine del XIX secolo, e gli scavi archeologici nel sito di Yinxu che, già tra il 1928 e il 1937, ne hanno portato alla luce una quantità impressionante. Tali ritrovamenti hanno permesso di dimostrare l'esistenza storica della dinastia Shang e di ricostruire una fase piu' antica nell'evoluzione della scrittura cinese47. Altrettanto fondamentale appare in questo secolo l'esame sistematico della letteratura buddhista di Dunhuang, con testi che permettono di rintracciare elementi di lingua volgare risalenti all'indietro fino al secondo secolo d.C.48. L'esegesi di tali documenti, che probabilmente terrà ancora impegnate varie generazioni di ricercatori, fornisce già elementi che permettono nuove ipotesi sull'evoluzione della lingua cinese. È anche grazie a tali prove obiettive che molte delle teorie sulla lingua e la scrittura cinesi ancora dominanti all'inizio del secolo sono finite nella spazzatura.
Si può peraltro trovare ancora, specie in opere di carattere divulgativo, la teoria secondo cui i cinesi non possono capirsi fra loro parlando perchè la loro lingua "è troppo ricca di omofoni": l'inventario di sillabe è limitato, le parole sono monosillabiche, pertanto ogni sillaba ha troppi significati diversi... spesso si citano a esempio famosi "giochi" di cui si dilettavano i letterati cinesi, come la scrittura di un brano formato da caratteri che si pronunciano tutti "shi": un pò come se si descrivesse la lingua italiana basandosi unicamente sui giochi di parole o di stile presentati da Umberto Eco o Giampaolo Dossena.
Un esempio rappresentativo di operazioni soggette a forti critiche nel mondo accademico, anche se affascinanti per il pubblico, è probabilmente la vicenda delle "traduzioni" dei classici confuciani da parte di Ezra Pound49. "Does the superiority of Pound's translation lie in the end-product, the superiority or style and poetic quality of his English, or does it lie at the source, a deeper penetration into the mind and art of the Chinese poet who furnishes the raw material for the translation?"50. Esse si collocano in una tradizione di pensiero che considera gli Hanzi, ed anche le parti componenti (pianpang) di un singolo carattere, come gli elementi principali, o magari esclusivi, per l'interpretazione del senso sia letterale che figurato di un testo, specie se poetico; ciò ha portato spesso a trascurare il ruolo della lingua che i caratteri trascrivono; ed a sbizzarrire la fantasia nella moltiplicazione di "decifrazioni" basate su etimologie non documentabili storicamente dei caratteri stessi. Secondo George A. Kennedy, Pound, che "is not a professional student of the Chinese language"51, ha certamente subito l'influenza delle idee di Ernest Fenollosa, come esposte nel saggio The Chinese Written Character as a Medium for Poetry; "Pound received the manuscript of this essay after the author's death in 1908. He edited it, and in some introductory paragraphs dated 1918 described it as 'a study of the fundamentals of all aesthetics'"52; per quanto riguarda quest'ultimo, sempre secondo Kennedy, "the oriental language with which Fenollosa was best acquainted was Japanese"53 e, soprattutto, "Fenollosa's essay is a small mass of confusion"54.
Conseguenza pratica di tale tendenza, che ha elementi in comune con il lavoro dei "figuristi" del XVIII secolo:
 
Nothing then seems simpler to the western mind that [...] the meaning of a composite [Chinese character] is derivable from the sum of its parts. Once this view is adopted, the reading and translation of Chinese becomes a game that any number can play, and with infinite variety. For the association of a fish, an eye, and a roof, can suggest different things to different people. (That is why the Rohrschach tests are effective)55.
 
Opere divulgative che descrivono gli Hanzi sulla base delle "etimologie popolari", in parte derivate dallo Shuowen, in parte create successivamente, che i maestri elementari cinesi utilizzano tuttora come efficaci mnemotecniche, godono ancora di un discreto successo editoriale anche in Italia56. Ad un livello più serio, si è tuttavia dibattuto ancora nel corso del nostro secolo sulla possibilità di un approccio "diretto" alla lettura, che prescinda da ogni forma di subvocalizzazione.
Per Creel "We have specialized on the representation of sounds; the Chinese have specialized on making their writing so suggestive to the eye that it immediately calls up ideas and vivid pictures, without any interposition of sounds"57.
Tale posizione fu criticata in particolare da Boodberg, il quale sostiene che gli Hanzi rappresentano oggetti e concetti non direttamente, ma attraverso la mediazione delle corrispondenti parole che li designano negli usi orali58. Il termine "logograph" da lui proposto è stato accolto da molti autori di lingua inglese, ma è fortemente criticato da altri. I suoi sostenitori in sostanza ritengono che il testo scritto evochi innanzitutto parole e sintagmi della catena parlata (logos), e questi ultimi rimandino poi agli oggetti e concetti significati, in qualsiasi sistema di scrittura propriamente detto. Per i critici, il termine "logografico", dal punto di visto dei non specialisti, non risulterebbe però meno ambiguo del vecchio "ideografico".
Per De Francis ad esempio è vero che i caratteri cinesi possono evocare immagini mentali direttamente (senza l'intermediazione del linguaggio verbale), ma tale possibilità, a sua volta, non sarebbe una caratteristica della scrittura cinese bensì una possibilità dell'approccio alla lettura da parte di tutte le persone istruite in qualsiasi sistema di scrittura59. Tale possibilità è sfruttata, aggiungo io, nella cosiddetta "lettura funzionale", utilizzata nell'istruzione di persone con forte ritardo mentale: in tal caso però può riguardare un numero limitato di parole, al massimo poche decine. De Francis ribadisce ulteriormente le sue posizioni in merito e il rifiuto di termini come logograph o lexigraph nella sua opera sistematica sui sistemi di scrittura del 1989, basandosi sulla distinzione tra grapheme, definito come "the meaningless graphic unit that corresponds to the smallest segment of speech represented in the writing system" e frame, ovvero "the basic unit of writing that is surrounded by white space on the printed page"; gli Hanzi sarebbero quindi frames, mentre i graphemes della scrittura cinese sarebbero le componenti fonologiche degli xingsheng zi; i grafemi della scrittura cinese, pertanto, rappresenterebbero sillabe senza alcun riferimento semantico. La polemica è lungi dall'essere conclusa60.
 
As to form, there is nearly unanimous agreement that writing started with pictures. As to function, there is less agreement. Did an Indian or Egyptian or Chinese picture of the sun convey an idea directly, or did it evoke a spoken word and through this intermediary convey the meaning?61
 
La questione è più complessa, ma anche maggiormente pregna di implicazioni scientificamente appassionanti di quanto possa forse apparire a prima vista. In effetti, verte sui meccanismi attraverso i quali la mante umana accede a successivi livelli di astrazione. In quali circostanze il segno diventa simbolo (viene percepito/interpretato come simbolo?) In quale misura i grafemi o gruppi di grafemi di diversi sistemi di scrittura storicamente attestati sono associati da lettori diversi, con diversi livelli di competenza ed esperienza, a suoni (o gruppi di suoni) e in quale misura direttamente a significati? I vari linguaggi gestuali per sordomuti, basati su alcune migliaia di segni che rimandano direttamente a significati prescindendo dal linguaggio verbale, consentono solo una comunicazione limitata?
Le diverse risposte che sono state formulate per questo tipo di quesiti hanno avuto in certi casi conseguenze pratiche surreali; intorno agli anni '70 si sono condotte parallelamente, ma indipendentemente, sperimentazioni didattiche volte a facilitare l'apprendimento della lettura a bambini affetti da patologie dello sviluppo cognitivo sia in Cina che negli Stati Uniti; i ricercatori cinesi hanno utilizzato parole e frasi della loro lingua in scrittura alfabetica (derivata dal Hanyu Pinyin, sistema di trascrizione ufficiale degli Hanzi in alfabeto latino); gli americani parole della lingua inglese scritte mediante caratteri cinesi!62
Tali problematiche hanno comunque stimolato, fra l'altro, da qualche decennio a questa parte, il fiorire di ricerche sperimentali nel campo della psicolinguistica e della neurolinguistica63.
 
 
4. Lingua, scrittura e orgoglio nazionale
 
Secondo V. Alleton, il rifiuto di considerare la lingua cinese come "monosillabica" è partito da parte cinese come reazione difensiva rispetto alle teorie divenute dominanti nel XIX secolo; il che implicava tuttavia l'accettazione acritica dell'equazione, importata insieme ad altri elementi della cultura occidentale, "monosillabico = primitivo".
 
Lorsque bien plus tard, à la fin du XIXe siècle et surtout dans les premières décennies du XXe siècle, les Chinois eurent connaissance de l'idée que l'on se faisait en Europe de leur langue, il n'est pas étonnant qu'ils en aient été choqués et profondément marqués.
Or, justement à cette époque les intellectuels chinois entreprenaient de remplacer dans tous les écrits l'usage du style noble (wenyan), où le monosyllabisme était dominant, par le style vernaculaire (baihua), plus proche des usages parlés et plus riche en mots dissyllabiques. Il leur était dès lors possible de montrer que dans ce registre ces derniers jouent un rôle important: le monosyllabisme n'aurait caractérisé que le chinois ancien et non pas le chinois moderne. Cependant, le souci bien légitime de récuser le soi-disant primitivisme de leur langue a abouti à ce que les linguistes comme les politiques n'eussent plus d'autre souci que de montrer la progressive disparition du monosyllabisme. Et, dans leur majorité, les sinologues de tous pays se sont alignés sur cette position qui n'est pas erronée mais quelque peu réductrice64.
 
Per la verità, come si è visto, vi è anche chi ha sostenuto che il cinese "monosillabico" si è evoluto da antiche forme linguistiche "flessive", o/e che il monosillabismo rappresenterebbe una fase evolutiva più avanzata cui tendono, in ritardo rispetto al cinese, altre lingue, come l'inglese65.
In effetti molti intellettuali impegnati nella "modernizzazione" degli usi scritti cinesi hanno, deliberatamente o inconsciamente, contribuito alla creazione di un nuovo "stile nobile" che sostituisce almeno in parte l'imitazione dei modelli letterari classici con l'imitazione di modelli letterari stranieri, redatti in lingue ricche di elementi lessicali polisillabi e/o struttura morfologica complessa (giapponese, russo, tedesco, francese...). Molti ritengono che tale evoluzione degli usi scritti, soprattutto nella prima metà di questo secolo, abbia finito con l'influenzare in un certo grado l'evoluzione grammaticale degli usi orali colti, senza peraltro modificare gli usi orali popolari, per definizione "dialettali", salvo che nell'integrazione di elementi lessicali di origine straniera, per lo più sostantivi bi- o plurisillabi66.
La reazione di autodifesa che il colonialismo militare ed economico da una parte, e le teorie sulla "inferiorità" razziale o/e culturale dei cinesi che le hanno accompagnate ha provocato in molti intellettuali cinesi di questo secolo si è manifestata con tendenze contrapposte schematicamente riconducibili alle seguenti:
1) accettare la teoria del "ritardo nello sviluppo" della Cina e cercare di assimilare il più rapidamente possibile gli elementi della cultura occidentale ritenuti essenziali per il successo; colloco in questo filone, per esempio, l'idea di sostituire i caratteri cinesi con una scrittura fonologica, considerata più efficiente ai fini delle "modernizzazioni";
2) minimizzare le differenze, allo scopo di dimostrare che la Cina - o alcuni elementi della sua cultura - non sono da meno di corrispondenti elementi delle culture occidentali; riconduco a questo filone le idee sul "plurisillabismo" cui si riferisce la Alleton (v. sopra);
3) valorizzare le differenze, allo scopo di dimostrare che certi elementi della cultura cinese sono qualitativamente superiori ai corrispondenti elementi delle culture occidentali; vedi ad esempio la difesa ad oltranza della scrittura e degli usi scritti tradizionali, portata avanti soprattutto negli anni trenta ma successivamente riproposta in modo ricorrente sotto varie forme, come elemento peculiare nazionale ed espressione di una cultura di livello superiore cui ben pochi stranieri, abituati alle facili scritture alfabetiche, riescono ad accedere.
Sul fronte delle prese di posizione teoriche sulla lingua e la scrittura da parte di studiosi cinesi, è indubbio che esse siano state fortemente condizionate da pregiudiziali di natura politica:
• la volontà di creare e diffondere una lingua nazionale unitaria anche negli usi orali; e, in questo ambito, le divergenze e i compromessi tra fautori dell'imposizione a tutto il Paese di una variante naturale esistente (il mandarino di Pechino) e promotori della formazione di una coinée "interdialettale";
• la riforma degli usi scritti, dal loro avvicinamento agli usi orali fino alla eventuale sostituzione degli Hanzi con una scrittura fonologica; per esempio, l'opposizione alle ipotesi di fonologizzazione della scrittura ha anche stimolato argomentazioni basate sulla funzionalità della scrittura ideografica a causa della natura "monosillabica" e "isolante" della lingua cinese: ritornello ricorrente anche in Cina è l'idea che la lingua cinese sia troppo ricca di omofoni per risultare intelligibile in scrittura alfabetica.
L'opera ormai classica di De Francis ricostruisce esaurientemente le vie della "modernizzazione" perseguite dagli intellettuali cinesi confrontati all'impatto con l'Occidente in questo campo67.
Il concetto di stato nazionale è forse uno degli elementi che il colonialismo culturale occidentale ha introdotto con maggior successo, probabilmente suo malgrado, in Cina: "The idea of a national state has always been unknown to the Chinese tradition"68. In epoca imperiale, l'unità dello stato era basata soprattutto sulla fedeltà alla dinastia regnante e sulla adesione all'ideologia da questa propugnata da parte dell'insieme dei "quadri intermedi" che garantivano la trasmissione del potere dal vertice alla periferia, non sull'omogeneità etnica.
Pochi popoli al mondo hanno avuto gruppi dirigenti altrettanto costanti nel rivendicare una continuità storico-culturale ininterrotta dalle radici antiche quanto quella cinese; anche i periodi di divisione politica e /o dominazione straniera dell'Impero sono stati riassorbiti a posteriori dagli storici di Stato nell'ambito di tale continuità; e anche alcune etnie straniere che in epoche diverse hanno conquistato e dominato in tutto o in parte il territorio cinese hanno aderito alla tradizione dei clan dinastici autoctoni fondando la propria legittimità sulla base di tale continuità - il passaggio del "mandato celeste" dalla dinastia precedente69. Nucleo di tale continuità, a partire dalla dinastia Han, è stato un corpus di antiche scritture tramandate e prese come modello sia per l'apprendimento formale della lettura/scrittura che per l'indottrinamento etico-politico. Ma l'applicazione dell'idea di stato nazionale alla realtà cinese ha condotto a ritenere essenziale, per la difesa dell'unità politica del paese in epoca contemporanea, anche l'affermazione di una continuità etnica, linguistica, da far risalire a epoche più remote possibile.
Spesso si dimentica, nel mondo occidentale, che gli intellettuali cinesi, o almeno quelli le cui opere sono state conservate, sono stati spesso impegnati nelle lotte politiche contemporanee. Il ventesimo secolo non fa eccezione: la volontà o la necessità di dimostrare tesi dalle implicazioni politicamente pertinenti ha continuato a condizionare le vie della ricerca accademica. Implicazioni che sono potute talvolta sfuggire agli studiosi occidentali coinvolti in dispute all'apparenza meramente "scientifiche".
Dopo il 1911 le decisioni a livello politico-amministativo si sono rivelate costanti, al variare dei gruppi dirigenti e delle loro impostazioni ideologiche generali, almeno su un punto: il primato del mandarino di Pechino come lingua nazionale unitaria. Credo che il timore di vedere sviluppare usi anche scritti divergenti a livello regionale abbia costituito un freno non solo rispetto alle ipotesi di fonologizzazione della scrittura, ma anche rispetto ad una totale convergenza tra usi scritti ed usi orali; ed un incoraggiamento a sottovalutare sistematicamente le obiettive differenze diastratiche e diatopiche di quell'insieme eterogeneo cui si dà convenzionalmente il nome di "lingua cinese". Hanno suscitato in particolare reazioni di rigetto quei sinologi o linguisti occidentali che hanno denominato "lingue regionali" piuttosto che "dialetti" le principali varianti; mentre il grande successo delle opere di Yuan Ren Chao (Zhao Yuanren)70 in Cina non riposa solo sull'indubbio valore scientifico delle sue ricerche, ma anche sulle sue posizioni circa la sostanziale convergenza, a livello grammaticale, tra usi scritti anche classici e usi orali locali:
 
The grammar of Chinese is practically the same, not only among the dialects, but even between modern speech and the classical language. That was why in describing in detail the grammar of the dialect of Peking, I made bold to call it grammar of spoken Chinese71.
 
In realtà gli studi scientificamente più seri sono quelli che delimitano e definiscono esplicitamente un determinato ambito o campione di indagine; l'opera di Zhao ne è un esempio; ma egli doveva trovare il modo di renderla ben accetta all'ideologia dominante! In genere, le estrapolazioni e generalizzazioni incrociate tra usi scritti e usi orali appaiono decisamente azzardate. Eppure, anche nella seconda metà del secolo sono frequentissimi, in Cina, studi e pubblicazioni le cui conclusioni su determinati aspetti della lingua parlata sono tratte dall'esame di ... testi scritti! Ciò può essere dovuto alla persistenza del prestigio degli usi scritti nell'inconscio delle persone colte, ma, per quanto riguarda la Repubblica Popolare Cinese, è anche la conseguenza di una applicazione burocratica della definizione ufficiale di putonghua (lett. = lingua comune, denominazione ufficiale della lingua standard dal 1956), artificialmente eterogenea72.
Vi è spesso stata confusione, in Cina, tra verbalizzazione di primo grado (usi orali della lingua) e verbalizzazione di secondo grado (lettura di un testo ad alta voce); se usi scritti ed usi orali sono molto divergenti, la differenza tra i due gradi di verbalizzazione non è affatto trascurabile. Vi sono state a più riprese, nella storia della Cina, iniziative di pianificazione linguistica nel senso dell'unificazione: ma esse si sono sempre concentrate sul problema della unificazione della pronuncia dei caratteri; compresa la prima "Conferenza sull'unificazione della pronuncia" della Repubblica Cinese nel 191373. Gli stessi metodi di diffusione della putonghua attraverso i canali formali di istruzione nella Repubblica Popolare Cinese hanno risentito a lungo di questa impostazione: ancora nei primi anni '80, le prime prove di conoscenza della putonghua introdotte negli esami nazionali di ammissione alle università consistevano nella trascrizione di alcuni caratteri cinesi in base alla pronuncia standard74.
La sottovalutazione delle divergenze dialettali riposa sul fatto che, effettivamente, tutto si riduce ad una divergenza di "pronuncia" quando si parta dalla verbalizzazione di secondo grado di un testo scritto (ma lo stesso accade, ad esempio, se si fa leggere ad alta voce a persone di madrelingua italiana, francese e inglese lo stesso testo redatto in latino!); proprio questa sottovalutazione, a sua volta, ha secondo me perpetuato impostazioni didattiche che hanno rallentato la diffusione della putonghua, specie nella Cina meridionale, per molti decenni. In epoca più recente il maggior impulso al bilinguismo o al trilinguismo (patois locale + variante linguistica regionale + lingua nazionale) anche fra gli strati sociali di scarsa scolarizzazione è fornito, più che dalle misure amministrative, dall'espansione delle dimensioni delle aziende e dei mercati, dalle migrazioni interne e dalla televisione, analogamente a quanto accaduto a suo tempo nel microcosmo italiano.
L'avvento nella Repubblica Popolare Cinese di un sistema di gestione del potere politico ispirato al marxismo ha prolungato in questo paese, forse più che altrove, le dispute in campo storico e antropologico conseguenti ai tentativi di far rientrare la preistoria e la storia antica cinesi in gabbie concettuali originariamente concepite in contesto europeo. "Tra i marxisti cinesi ... era destinata a prevalere la tendenza, nella periodizzazione della storia della Cina, alla dimostrazione della sostanziale identità dello sviluppo storico della società cinese rispetto a quello percorso dalla società europea e alla conseguente negazione di un suo carattere 'peculiare'"75. Ciò ha avuto ripercussioni anche nello studio della storia della lingua e della scrittura; anche fra i sinologi occidentali, comunque, grande è la confusione che deriva dall'uso di espressioni del tipo "medioevo cinese" per designare periodi diversi a seconda degli autori76.
Nel mondo occidentale molti specialisti hanno rinunciato da tempo a fornire definizioni di concetti come "lingua vs./ dialetto" o "razza", considerandoli di natura politica e privi di fondamento scientifico. Ma, curiosamente, gli sviluppi dell'antropologia molecolare ed i suoi accostamenti allo studio degli alberi linguistici hanno riproposto sotto altra forma la vecchia disputa settecentesca sulla monogenesi o poligenesi dell'umanità: secondo un modello "multi-regionale" o "del candelabro" l'evoluzione dall'Homo sapiens arcaico all'Homo sapiens sapiens si sarebbe verificata parallelamente in varie zone del vecchio mondo, con flusso genico nelle zone di contatto a causa degli incroci fra popolazioni limitrofe; secondo il modello detto "dell'arca di Noè" o "dell'Eva mitocondriale", invece, tutti gli uomini moderni sarebbero discendenti dello stesso ceppo di Sapiens africani77.
Le campagne di Telefono Azzurro ci hanno insegnato che, spesso, i bambini maltrattati diventano a loro volta, da grandi, seviziatori di bambini. Sembra che possa accadere anche alle Nazioni, e gli esempi nella storia recente del mondo non mancano. Senza arrivare a tali estremi è chiaro che lo spirito di rivalsa può essere grande.
Negli anni '70, il piccolo ma grazioso museo che ospita i reperti del Sinantropo Pechinese a Zhoukoudian esponeva, tra gli altri pannelli esplicativi, una ricostruzione delle tappe evolutive, dalla scimmia all'Homo sapiens sapiens; vi erano raffigurati vari esseri in successione crescente per postura eretta e decrescente per pelosità: l'ultimo, del tutto glabro, aveva tratti somatici decisamente asiatici; il penultimo, con barba, baffi, e villosità pettorali, un aspetto tendenzialmente "arianoide"...
Oggi è grande l'orgoglio con cui i passanti osservano, sul megaorologio elettronico a piazza Tian'anmen, la conta all'indietro dei secondi che mancano alla restituzione di Hong Kong. Sono piccoli e innocenti piaceri che chi ha subito grandi umiliazioni non manca di apprezzare.
Gli attuali gruppi dirigenti cinesi sono particolarmente sensibili riguardo qualsiasi argomento potrebbe essere utilizzato, a torto o a ragione, da forze interne od esterne per minacciare l'unità politica della Cina; le vicende dell'ex-URSS e, ancora di più, quelle della ex-Yugoslavia, hanno fatto aleggiare anche in Cina i fantasmi di invasioni straniere e guerre civili di recente memoria. Sono personalmente convinta che l'unità politica della Cina nei prossimi cinquanta anni potrà dipendere da eventi della storia più recente - diciamo, gli ultimi centocinquanta anni - o dalle più svariate iniziative sui piani economico, politico e militare che potranno originarsi all'interno o all'esterno della Cina, ma ben difficilmente dal grado di divergenza delle varianti linguistiche parlate nei "regni combattenti" tre o quattro secoli a. C.; o dal fatto che si dimostri una maggiore vicinanza genetica tra cinesi meridionali e austronesiani - da una parte, e tra cinesi settentrionali e mongoli o coreani, dall'altra, piuttosto che tra cinesi del Nord e del Sud78; o dal fatto che il cantonese si riveli essere una coinée di lingue austroasiatiche e sino-tibetane79; ciò non toglie che una cooperazione scientifica basata su criteri obiettivi tra studiosi occidentali e cinesi su temi di questo tipo si scontra ancora in tempi recenti con il timore di possibili strumentalizzazioni dei risultati, se diversi dalle linee canoniche ufficiali. D'altra parte, non può essere considerato casuale, dal punto di vista cinese, il fiorire e moltiplicarsi, da una decina d'anni a questa parte, di studi sulla dialettologia e le letterature dialettali cinesi nel mondo accademico statunitense80. Così come, sempre dal punto di vista cinese, non può essere sfuggita la coincidenza temporale tra abbandono, almeno da parte della maggioranza degli intellettuali europei, delle teorie di supremazia razziale e/o culturale e perdita della supremazia economica e militare nel mondo da parte delle potenze europee. È difficile d'altra parte difendere la buona fede di interventi "occidentali" su argomenti sensibili in Cina quando
 
[...] there existed a Chinese territory with almost the population of Switzerland where the European concept of human rights could have been implemented since the nineteen fifties: Hong Kong. Based on Art. 63 of the European Convention of Human Rights of November 4, 1950 (ratified by the United Kingdom in 1951), the United Kingdom could have extended, by a mere declaration of its government, the validity of the European Convention of Human Rights to Hong Kong. [...] However, the United Kingdom did never extend the Convention to Hong Kong, and never, as far as is known, did anybody in Europe criticise this omission81.
 
I nostalgici delle teorie sull'inuguaglianza delle razze che ancora agiscono tra noi non si rendono forse conto del fatto che, una volta stabilito che ci debba essere una gerarchia di "valore" fra i popoli, questa potrebbe anche ribaltarsi a loro sfavore.
 
 
5. I termini attuali della questione
 
La situazione di diglossia in cui si trova la Cina ancora in questo secolo è ben descritta da Demiéville:
 
La lingua cinese comporta due aspetti assai differenti l'uno dall'altro. Esiste, da una parte, un cinese volgare, o piuttosto una quantità di dialetti di cui uno, attualmente quello di Pechino, serve come lingua volgare comune per tutto il paese, e dall'altra parte, un cinese letterario, che è lo stesso ovunque e che non è molto cambiato da circa venti secoli. Questa lingua letteraria è praticamente incomprensibile ad ascoltarla e non si può che leggerla e scriverla [...]82.
Il cinese scritto è un idioma depurato, volutamente ellittico e lapidario. Il senso è suggerito agli iniziati, che devono afferrarlo per mezzo di una intuizione educata a lungo attraverso la lettura e lo studio83.
[...] quando si paragoni un testo in lingua scritta con uno parallelo in lingua parlata: questo è sempre una o due volte più lungo della redazione in lingua scritta84.
 
È indubbio che la lingua classica cinese sia sempre stata apprezzata per la sua concisione; essa è stata certamente usata per "abbreviare" il testo scritto rispetto alla pura trascrizione dei corrispondenti enunciati verbali; in questo senso, la scrittura basata sugli Hanzi e lo stile letterario si sostengono reciprocamente: i caratteri cinesi rendono intelligibile il senso di un testo redatto in lingua classica; l'uso della lingua classica riduce la fatica del tracciare caratteri complessi diminuendone il numero necessario. Affermava Lu Xun nel 1923 per giustificare la sua scelta linguistica nella redazione della "Breve storia della narrativa cinese", opera largamente dedicata anche alla rivalutazione di testi considerati fino allora di scarso valore letterario perchè redatti almeno parzialmente in volgare:
 
Ho scritto [questo libro] perché tre anni fa mi è capitato di tenere qualche lezione sull'argomento e temendo che i miei limiti come oratore potessero rendere la comprensione difficile per gli uditori, ho buttato giù una dispensa e l'ho fatta riprodurre per i miei studenti. Poi, per non dare troppo lavoro al copista, l'ho condensata usando la lingua classica [...]85.
 
L'idea che lo smisurato patrimonio letterario dell'antichità tramandato nella scrittura cinese, dal jiaguwen ai classici confuciani alle prime opere storiche, sia stato redatto in una specie di stenografia che ometteva o troncava gran parte delle parole (del linguaggio verbale dell'epoca) considerate non strettamente indispensabili alla ricostruzione del testo, non è affatto peregrina. La tendenza spontanea ad "abbreviare" il testo scritto anche volendo scrivere in volgare è del resto ben presente ancor oggi tra i cinesi con un livello di cultura medio o alto, anche se è difficile valutare quanto ciò possa dipendere da una esposizione alla letteratura in lingua classica.
Negli usi orali moderni una parte importante del lessico comprende coppie di "forme brevi" (monosillabiche) e "forme lunghe" (spesso costituite dalla sillaba della "forma breve" più un'altra sillaba) che appaiono semanticamente analoghe, ma presentano possibilità combinatorie diverse nei vari contesti linguistici in cui occorrono. Ad esempio: shang/shangbianr; ge/gege; dian/dianzhong, xue/xuexi ecc. Alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che la scelta dell'una o dell'altra forma in un dato contesto possa essere basata, più che su criteri puramente semantici o "di registro", su motivazioni di carattere fonologico86 o grammaticale87. Secondo Michael Sofronov:
 
The rhythmic rules of Chinese speech are reflected also in the types of synonymy in Chinese lexics. The same contents in different rhythmic conditions is transferred by linguistic units with different quantitative structure. The two-syllable mianyi "cotton cloth" has a three-syllable synonym mianhua yi and four-syllable mianhua yifu. They are identical both semantically and stylistically. However they are distinguished on the rhythmic function and are used when other requirements of the speech rhythm the sense "cotton cloth" should accordingly be rendered with two, three or four-syllable word. Thus, the rhythmic synonymy is one of important peculiarities of lexis of modern Chinese, and the rhythmic rules are one of the reasons of the evolution in the Chinese lexis88.
 
In realtà in questo - come in altri campi - la separazione dei tre piani fonologico-grammaticale-semantico nell'analisi linguistica rischia di rendere opache le interazioni reciproche tra singoli fenomeni ascrivibili all'uno o all'altro di essi.
Ciò che importa qui è ricordare che uno dei principali aspetti che differenziano ancora oggi lo stile scritto (shumianyu) dallo stile parlato (kouyu) è la frequente opzione per la "forma breve" anche in contesti in cui il locutore nativo opterebbe per la "forma lunga" corrispondente. In realtà è probabile che la tendenza a "abbreviare" per quanto possibile il testo scritto induca abbastanza spontaneamente, in questi casi, a vergare solo il carattere che trascrive la sillaba che forma breve e forma lunga hanno in comune, lasciando sottintesa/e la o le altre. Naturalmente l'apprendimento degli usi scritti può poi comportare la familiarizzazione con tali "abbreviazioni", e la percezione soggettiva di una differenza di registro piuttosto che di una scelta consapevole.
Riferendosi agli usi orali contemporanei, Hana Trísková afferma che "prosodic and rhythmical features play a highly important role in conveying a language message in Chinese"89. L'importanza del ritmo non solo nella poesia ma anche nei testi in prosa classici è così descritta da Demieville:
 
Esistono, infatti, in cinese stretti legami tra ritmo e senso, tra l'economia metrica delle sillabe e quella dei segmenti significativi che formano i periodi del discorso. La catena dei monosillabi non si svolge a caso, in un disordine meccanico che sarebbe incompatibile con ogni espressione del pensiero organizzato. Essa si distribuisce in gruppi di sillabe il cui equilibrio dev'essere abbastanza consistente ed altrettanto evidente per offrire ad un tempo delle pause al respiro e dei caposaldi allo spirito. È il ritmo che, con l'ausilio di alcune particelle grammaticali, permette al lettore (o al loro recitatore, in quanto questi testi, quando si volevano leggere ad alta voce, erano salmodiati su una melopea che gli alliavi imparavano dal loro maestro) di suddividerli in frasi e periodi, di riconoscervi le articolazioni del pensiero, dissimulate dietro l'uniformità dei monosillabi e dei loro composti polisillabici90.
 
Il sistema di scrittura basato sui caratteri cinesi non prevede la notazione della posizione degli accenti, e solo molto parzialmente di quella delle pause; anche i segni di interpunzione sono un'innovazione recente91. Si tratta indubitabilmente di aspetti che implicano vocalizzazione (o subvocalizzazione) del testo per essere colti.
Secondo Jaromír Vochala:
 
In contemporary Chinese, almost all tonic syllables can function as morphemes. On the other hand, the morphemes are fully identifiable only through the context (linguistic or situational) - even in the case of free morphemes. In an isolated position they have merely the character of potential morphemes and it depends on their mutual combination whether they become real morphemes or not. On the contrary, graphemes in an isolated position will be identified as a symbol of contextually defined linguistic units and, in certain cases, in consequence of their combination they can become graphic symbols denoting syllables92.
 
Lo stesso autore ha il merito di attirare ulteriormente l'attenzione sulla fondamentale differenza tra genesi e funzione dei caratteri. Ciò che si tende spesso a trascurare è il fatto che lo stesso segno grafico può essere utilizzato alternativamente con funzione diversa (ideografica o fonologica) anche nello stesso periodo storico, anche da parte dello stesso autore, anche nello stesso testo: in un qualsiasi manuale di algebra in lingua italiana, per esempio, la lettera "a" può avere funzione ideografica nelle formule e funzione fonologica nelle parti esplicative. Così lo stesso carattere cinese - per esempio
 
(ma = cavallo) può essere considerato "ideogramma" (o "logogramma"?) in certi contesti, ma è certamente usato con valore meramente fonologico per trascrivere la sillaba "ma"
in nomi propri stranieri, come
(Marx, Maastricht).
L'abitudine a imparare i caratteri mediante mnemotecniche che fanno riferimento a genesi vere, presunte o di fantasia, rende certamente consapevole il cinese medio riguardo il contenuto semantico di molti elementi che entrano nella composizione di parole o sintagmi di uso comune, più di quanto lo siano coloro che imparano a scrivere in scrittura fonologica; ad esempio, qualsiasi cinese ricollega facilmente l'avverbio mashang (= subito, immediatamente) all'etimo "sul cavallo", "senza neanche scendere da cavallo", anche perché il ma di mashang si scrive ancora con un carattere derivato dal pittogramma di "cavallo" e viene appreso come tale nell'infanzia. Probabilmente il locutore francese medio è meno consapevole dell'analogo rapporto tra maintenant e "mano".
Scrive V. Alleton:
 
Pour l'écriture, nous avons plutôt cherché les origines européennes de nos préjugés. Cette démarche serait bancale si elle ne s'accompagnait pas d'une étude sur les aspects de l'écriture chinoise - et de la tradition - qui ont permis à ces représentations de se construire [...] Ne faut-il pas examiner, au-delà du processus de lecture qui est tout à fait identique en chinois et dans les systèmes alphabétiques, ce qui se passe lorsqu'il y a arrêt sur image, c'est-à-dire quand on fait abstraction du texte pour considérer un caractère isolé? Les psycholinguistes pensent que cette distinction est importante. Depuis une trentaine d'années, les travaux sur la latéralisation cérébrale semblaient prouver que l'écriture chinoise n'était pas traitée par le même lobe cérébral que les écritures alphabétiques: celles-ci paraissaient être du ressort du côté gauche du cerveau, alors que l'écriture chinoise semblait contrôlée, comme les images, par le côté droit. Tout récemment, des équipes sino-américaines ont découvert que c'était à la fois vrai et faux: la distinction existe bien si l'on présente au sujet un caractère isolé, mais dès lors qu'il y a un texte, même minimal, le traitement se fait du côté gauche, comme pour les écritures alphabétiques93.
 
Tuttavia, gli studi di psicolinguistica e neurolinguistica in questo campo si sono finora avvalsi di informatori che hanno già subito il condizionamento dell'apprendimento della lettura in caratteri cinesi. Per determinare in quale misura ciò possa modificare non solo l'approccio al testo scritto, ma la stessa percezione degli elementi linguistici significativi, sarebbero necessari studi sperimentali con gruppi di controllo costituiti sia da analfabeti, sia da locutori cinesi che abbiano imparato a leggere la loro lingua in scrittura fonologica, senza esposizione alcuna agli Hanzi.
Per circa un secolo, a partire dagli studi di Broca sulla localizzazione dell'"area del linguaggio", gli studi sulla topografia delle funzioni cerebrali si sono basati soprattutto sull'esame autoptico dell'encefalo di individui che avevano perso determinate facoltà o abilità in seguito a traumi o patologie noti; a questo si sono aggiunte successivamente le tecniche di registrazione elettoencefalografica su persone viventi. Ma solo più recentemente si sono messe a punto tecnologie (risonanza magnetica, tomografia a emissione di positroni, ecc.), che combinate fra loro e con l'ausilio di complessi programmi di elaborazione dei dati permettono una ricostruzione in immagini quadridimensionali (le tre dimensioni spaziali più la dimensione temporale) di flussi di attività cerebrale in condizioni sperimentalmente controllate. Ciò ha permesso notevoli progressi nella comprensione del funzionamento delle reti neurali sia in individui sani che malati, ma ha anche rivelato una maggiore complessità di quanto non si ritenesse in passato circa la specializzazione asimmetrica degli emisferi cerebrali.
I modelli più diffusi fino ad una decina di anni fa postulavano una specializzazione dell'emisfero dominante (nella maggior parte dei casi il sinistro) nel campo verbale, e dell'altro nel campo spaziale; risultati sperimentali più recenti indicherebbero che la lateralizzazione cerebrale del trattamento delle informazioni visive ed auditive dipende, ad un tempo, sia dalla natura degli stimoli che dalla natura del loro trattamento: così suoni di bassa frequenza (intorno ai 200 Hertz) possono essere discriminati meglio dall'emisfero destro e suoni di alta frequenza (sui 1900 Hertz) da quello sinistro; l'analisi di forme globali (frequenza spaziale bassa) si svolge di preferenza nell'emisfero destro, quella dei particolari (frequenza spaziale alta) nel sinistro. Inoltre, l'asimmetria funzionale è anche correlata alla modalità simultanea o sequenziale della acquisizione della percezione: se il linguaggio verbale è evidentemente percepibile solo in modo sequenziale, la lettura (e la comprensione) di un testo comporta una complessa interazione fra le due modalità. Quindi, la dominanza laterale riguarderebbe singoli sottoprocessi piuttosto che modalità sensoriali o funzioni complessive. Infine, si sono rilevate notevoli differenze inter-individuali nell'organizzazione neurologica, ovvero nella distribuzione asimmetrica di alcuni sottoprocessi94.
L'approfondimento di questi aspetti richiederà la raccolta ed il confronto di enormi quantità di dati sperimentali su un campione statisticamente rappresentativo di individui; la difficoltà pricipale è data dal fatto che, oltre a dover impiegare apparecchiature costose e personale altamente qualificato, la lettura e l'interpretazione dei dati raccolti dalle tecniche di esplorazione cerebrale summenzionate richiedono tempi lunghi (dell'ordine dei mesi). Le prime banche dati in materia sono state istituite negli Stati Uniti solo negli anni novanta.
Almeno altrettanto complessa è tuttora la delimitazione del ruolo di fattori genetici e fattori ambientali e culturali nell'organizzazione neurologica di individui diversi; nel corso dello sviluppo del sistema nervoso centrale, le connessioni tra neuroni si realizzano in base ad un principio di competizione/selezione: quelle più frequentemente sollecitate si conservano, quelle inutilizzate si eliminano; è da tempo noto del resto che la mancata utilizzazione di determinate potenzialità funzionali nella prima infanzia può comportare la perdita della capacità di svilupparle successivamente, anche se oggi sembra che la plasticità funzionale delle aree corticali, primarie o associative, possa essere maggiore di quanto non ci si attendesse anche in età adulta. In ogni caso, è ipotizzabile che il privilegiare determinate modalità sensoriali o di trattamento degli stimoli in processi di apprendimento che si svolgono in età evolutiva possa condizionare in qualche modo l'evoluzione dell'organizzazione neurologica individuale.
Ancora molto resta da scoprire, tra l'altro, sui processi neurologici collegati allo sviluppo del linguaggio verbale; per non parlare, evidentemente, dei rapporti tra pensiero e linguaggio, o tra cervello e eventi mentali in genere...campi dove, in mancanza di dimostrazioni scientificamente conclusive, ci si potrà ancora sbizzarrire a lungo nei modelli esplicativi più fantasiosi e rimane viva l'antica contrapposizione tra materialismo (o "riduzionismo biologico"?) e idealismo (o "spiritualismo"?).
Mi permetto di citare, purtroppo estrapolandole dal contesto, al quale rimando gli eventuali interessati, alcune affermazioni pertinenti il presente discorso dalla Lettura Magistrale tenuta dal prof. Luigi Lombardi Vallauri, ordinario di Filosofia del Diritto all'Università di Firenze, in occasione del VI Congresso della Società Italiana di Neuroscienze (Milano, 25 giugno 1995):
 
La mente come si coglie per autocoscienza (e solo per autocoscienza) è un quid completamente diverso da qualsiasi oggetto materico-energetico-informazionale accessibile alla fisica latamente intesa. [...] La tesi dell'eterogeneità si rafforza ancora molto passando al livello intellettivo, [...] Basti considerare i concetti che chiamerei non-naturalistici o non-figurativi, i quali hanno come supporto fisico le sole immagini linguistiche: per esempio tutti i concetti evocati dai segni fisici che formano questo capoverso. È subito evidente che nei significanti (fonici o grafici) non c'è nulla di ontologicamente simile ai concetti significati. Il concetto di concetto è cosa totalmente diversa dal suono corrispondente all'italiano "concetto" o dal grafismo CONCETTO; come lo è dal suono corrispondente al tedesco "Begriff" o dal grafismo BEGRIFF. Ogni concetto può essere espresso da un numero indefinito di immagini, foniche o grafiche, in tutte le lingue e in tutti gli alfabeti reali o immaginabili, in tutte le pronunce, in tutte le grafie reali o immaginabili. La differenza ontologica tra pensiero e linguaggio è dunque radicale. Il concetto capito è un verbum intellettuale essenzialmente diverso da ogni possibile immagine naturalistica o linguistica95.
 
Conclusioni
 
Per tornare ai quesiti iniziali, è probabile in effetti che le cause della "persistenza" di certi miti sulla scrittura cinese siano molteplici.
Innanzi tutto vi sono difficoltà oggettive nella trasmissione tempestiva delle conoscenze, in qualsiasi campo dello scibile umano. La maggior parte delle persone riesce ad essere competente, se lo è, in uno specifico settore di un determinato ramo della sua disciplina di specializzazione: anche il grande Needham, volendo descrivere sommariamente le caratteristiche della lingua e della scrittura cinesi nella parte introduttiva della sua Sciences and Civilisation in China, si è rifatto soprattutto all'opera di alcuni noti filologi, tra cui Karlgren, che del resto cita ripetutamente, e non a proprie ricerche originali in questo campo96.
La sovrapposizione di competenze areali e di competenze disciplinari, eclatante nel caso della sinologia, richiederebbe un'organizzazione del lavoro (di ricerca, ma anche didattico e di divulgazione) basata su équipes interdisciplinari ben affiatate, cosa che spesso non è favorita dal regime di spietata concorrenza imperante nel mondo accademico. Dovendo ovviare individualmente a esigenze di tipo enciclopedico è inevitabile ricorrere - in tutti i casi in cui si esula dal proprio ben coltivato orticello - all'autorità di studiosi di chiara fama, e possibilmente alle loro opere di sintesi, che in genere sono di taglio più divulgativo e, inevitabilmente, datate. Se tali opere contengono errori (nessun essere umano è infallibile!) o, più semplicemente, si prestano a essere fraintese o dogmatizzate, l'effetto moltiplicatore è più che evidente. Molti equivoci sono derivati dal fatto che si è descritta la "lingua cinese" senza specificare chiaramente se ci si riferiva agli usi scritti, a quelli orali, o a entrambi.
Spiegare un qualsiasi argomento evitando il più possibile un linguaggio troppo tecnico per i non specialisti, e riuscendo a essere chiari, succinti e completi, senza che proposizioni poste come ipotesi ne risultino dogmatizzate, non è affatto compito semplice.
 
Le nostre teorie possono essere cambiate, o persino distrutte, nel giro di dieci anni o meno. Noi stessi perseguiamo questo fine, continuando le notre ricerche. Tutto ciò che si scrive di scienza può essere modificato. È talvolta stupefacente vedere, dal di fuori, la quantità di condizionali che vengono utilizzati nella prosa scientifica [...] Al pubblico questo può apparire strano: la scienza non dovrebbe dare certezze?97.
 
Non so se il dogmatismo di tante opere di divulgazione sia il risultato di una domanda di certezze; ma l'offerta di certezze è spesso munifica; nessuna legge di natura impedisce a persone di grande erudizione di essere anche portatrici di precisi interessi personali o di parte, e di utilizzare quindi deliberatamente la propria autorità in campo culturale per precisi obiettivi di propaganda ideologica, per esempio. Ma anche la massima onestà e cautela da parte di chi espone i risultati delle proprie ricerche spesso poco può sulle deformazioni o dogmatizzazioni che altri, per interesse economico o politico, possono apportarvi.
Dal punto di vista di chi gestisce l'informazione culturale come merce è inevitabile preferire l'argomento - e il modo di trattarlo - che costa meno e rende di più. Le cineserie si vendevano bene nel settecento; si vendono bene ancora oggi; poco importa che siano autentiche, se c'è qualcuno che le compra. La Cina è lontana, è diversa, i caratteri cinesi affascinano il pubblico: se ne può dire quello che si vuole, tanto chi va a controllare?
Ma possiamo ancora permetterci il lusso di allevare classi dirigenti che ignorano gli altri in un mondo multipolare di cui l'Europa non è più, da almeno mezzo secolo, il fulcro? Difficile non vedere analogie con l'atteggiamento di quei mandarini cinesi del secolo scorso che pensavano di poter ignorare i "barbari dell'Occidente", visto che la Cina era, ai loro occhi, culturalmente autosufficiente, e naturalmente superiore.
 


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