Roberta Riva
 
Il Sudafrica dell'apartheid: il ruolo dell'African National Congress nella formazione di un
movimento di massa e nella ricostruzione
dell'identità di popolo*
 
 
 
 
Nell'aprile del 1994, con le prime elezioni democratiche in Sudafrica e l'elezione di Mandela alla carica di Presidente, l'apartheid ha cessato formalmente di esistere. Sarebbe, tuttavia, sminuente e semplicistico affermare che le vergogne e le umiliazioni che il popolo sudafricano ha dovuto sopportare per un cinquantennio siano state cancellate con il solo semplice gesto di esporre gli striscioni colorati inneggianti a Madiba1 e alla nuova democrazia.
Il Sudafrica dell'apartheid ha conosciuto tragedie e violenze di ogni tipo; i suoi abitanti sono stati diseredati d'ogni loro bene, nel loro paese, a causa del colore della loro pelle. Questo terreno che avrebbe potuto inaridirsi irrimediabilmente, ha fortunatamente fornito incredibili quanto efficaci strumenti di lotta. L'African National Congress, attraverso vicende storiche e alterne fasi di fortuna politica, è quello che meglio ha resistito all'onda d'urto delle repressioni del regime nazionalista. Fondato da un gruppo ristretto di intellettuali per salvaguardare gli interessi della classe media nera, è stato ben presto costretto a rivedere le proprie mete e strategie di opposizione.
Nel giro di vent'anni l'ANC ha subìto una metamorfosi impressionante. Attraverso un lungo percorso fatto di scioperi, di resistenze, di convegni e meeting molto spesso segreti, ma anche di dibattiti ed elaborazioni teoriche, il Congresso è passato dall'essere un movimento elitario a un organismo di massa. Il processo attraverso il quale è stato possibile sensibilizzare la popolazione di colore è stato lungo e difficile, segnato a volte da fallimenti o da successi effimeri. Il cammino evolutivo è continuato fino all'ultimo stadio, quello della globalizzazione della lotta, in cui diverse etnie, diverse fedi politiche e diversi movimenti hanno formato un eterogeneo quanto compatto gruppo d'opposizione. Il "lungo cammino verso la libertà"2 ha portato l'ANC a diventare un'organizzazione illegale, che però ha continuato il suo operato all'estero. Quando, nel 1961, Nelson Mandela formò l'Umkhonto we Sizwe (MK), il braccio armato del Congresso, l'ANC entrò nell'ultima fase della sua trasformazione. Ideato come un ristretto gruppo di individui colti, di sesso maschile, appartenenti alla classe media, il movimento si è arricchito di nuovi soggetti, di varia estrazione sociale e di differenti inclinazioni politiche3.
L'ANC è sopravvissuto per la sua incredibile capacità di adattarsi ai cambiamenti, segno - questo - di un'eccezionale flessibilità politica e sociale. Ma sembra un merito ancor maggiore del Congresso l'aver saputo affrontare questa rivoluzione interna mantenendo saldi i propri principi fondamentali, ideali e politici. La trasformazione ha sì mutato profondamente il volto dell'ANC, ma non ne ha stravolto il cuore e il cervello politico. Capisaldi come la non-violenza, i principi che informano la democrazia, i diritti civili prima e umani poi e la difesa della popolazione sudafricana dagli oltraggi razzisti sono rimasti parti indelebili del corpus ideologico del Congresso. Le contingenze e le diverse esigenze strategiche hanno talora obbligato a scelte difficili o addirittura estreme, ma non contrarie a questi concetti. Quando l'ANC ha dato vita all'ala militare, lo ha fatto in un contesto storico preciso, perché la salvaguardia e la conservazione di quei principi richiedevano un mutamento in quel senso. Un altro aspetto, infine, va necessariamente considerato. Al di là della portata delle azioni politiche vere e proprie, l'ANC è stato un monito continuo alla popolazione a difendere dall'oblio le proprie radici, la propria identità e il ruolo nella storia. Attraverso numerosi documenti, celebrazioni, canzoni tradizionali trasformate in slogan politici, l'ANC ha condotto un'instancabile opera di incoraggiamento a non dimenticare, a continuare a testimoniare l'esistenza di un popolo sommerso dalle leggi razziste.
 
 
1. La formazione della Youth League e lo scontro con il Sudafrica dell'apartheid
 
Il Congresso è stato attraversato da dissidi interni non sempre risolti. Da queste crepe sono nate forze nuove, come il Pan Africanist Congress (PAC), che hanno intrapreso strade parallele e separate, e organismi complementari che hanno continuato la loro esistenza sotto l'organizzazione-ombrello dell'ANC. È il caso della Youth League, fondata nel 1943 e apparsa subito come la corrente più attiva e politicamente meno moderata del Congresso. Composta in gran parte da giovani professionisti cresciuti ed educati durante gli anni tra le due guerre, è stata, da subito, centro nodale del fermento ideologico e intellettuale che negli anni del secondo dopoguerra si era sviluppato in Sudafrica e che andava affermando la necessità dell'autodeterminazione dei popoli, in antitesi a qualsiasi forma di costrizione politica, sociale o economica4.
Fra le tante straordinarie figure che hanno nutrito le file di questo movimento, va, in particolare, ricordata quella di Anton Lembede, già fondatore dell'ANC e, soprattutto, vera anima intellettuale della Youth League. Le sue riflessioni e le sue idee hanno costituito la base portante del sistema di opposizione all'apartheid fino a diventare una filosofia dell'africanismo. Sottolineando l'importanza dell'identità e della coscienza di popolo, Lembede riteneva che la liberazione dall'oppressione dovesse partire dagli stessi neri, che avrebbero dovuto - in primis - ricostruire la propria identità e l'orgoglio per la loro cultura5. Il "Manifesto"6 del 1944 e l'estratto "Basic Policy of Congress of Youth League"7 del 1948 contenevano ed esplicitavano le idee fondamentali e le strategie di lotta del movimento, delineando una posizione di isolazionismo nei confronti di altri organismi e movimenti identificati come possibili fonti di contaminazione della coscienza politica in formazione all'interno della Lega. Nello stesso anno in cui la Youth League lanciava il suo documento politicamente più innovativo e coraggioso, un altro evento si trasformava in una svolta epocale per l'intero Sudafrica.
Il 26 aprile 1948, infatti, il National Party (NP) guidato da Daniel Malan otteneva la vittoria alle elezioni generali, sconfiggendo il Labour Party e l'United Party guidato da Ian Smuts, sino allora Primo Ministro anglofilo.
Una volta salito al potere, Daniel F. Malan diede inizio a una monumentale opera di trasformazione del volto sociale, politico ed economico della nazione. Il risultato di questo processo fu noto al mondo intero con il nome di apartheid, letteralmente "separazione", ma in realtà "the codification in one oppressive system of all the laws and regulations that had kept Africans in an inferior position to whites for centuries. What had been more or less de facto was to become relentlessly de jure " (Mandela: 127).
Quello che qui era appena enunciato in teoria, sarebbe - nel volgere di pochi anni - diventato tragica realtà.
Gli anni 1949-50 si possono considerare il 'biennio nero' della storia sudafricana poiché in questo breve periodo vennero emanati un gran numero di provvedimenti legislativi che istituzionalizzarono la natura segregazionista del regime instaurato in Sudafrica. Il Mixed Marriages Act, l'Immorality Act, il Population Registration Act e, soprattutto, il Suppression of Communism Act8, provocarono un vero e proprio terremoto che costrinse la popolazione sudafricana a cambiare abitudini sociali e usanze. I neri, i meticci e gli indiani furono costretti a trasformarsi in collettività separate rispetto al gruppo bianco e ad esso subordinate politicamente e socialmente.
La leadership dell'African National Congress si trovò a dover affrontare, a poco meno di quarant'anni dalla fondazione, uno stravolgimento politico, sociale ed economico senza precedenti. Dopo aver attraversato un periodo di paralisi politica durante gli anni Trenta, dovuto, in parte, all'inasprirsi della repressione da parte del regime e, in parte, al fallimento di alcune iniziative9, all'ANC rimasero solo due strade: abbandonare la scena politica o continuare, apportando adeguate modifiche alle strategie di lotta. La prima ipotesi avrebbe significato l'eliminazione di ogni voce di protesta e di opposizione. La seconda rimaneva l'unica scelta possibile. L'immediata, evidente misura di rinascita politica dell'ANC è stato il Programme of Action adottato nel 1949. Il programma, diviso in sette differenti sezioni, delineava la nuova politica del movimento, stabiliva le nuove mete ed elencava i nuovi strumenti di resistenza. Il documento toccava tutti i livelli della vita quotidiana: dall'educazione in cui si chiedeva un sistema scolastico più equo che desse uguali possibilità di accesso al mondo lavorativo; all'economia in cui si prevedeva la creazione di un sistema di rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Si passava poi all'obiettivo politico vero e proprio, con la richiesta di rappresentanza diretta per i neri in tutti gli organi istituzionali. Questa meta, insieme alla presenza costante dell'ANC sulla scena politica, sarebbe stata raggiunta utilizzando diversi strumenti, tra cui un fondo per il finanziamento della lotta, una rete di propaganda svincolata dalla censura e un Consiglio10 in grado di concretizzare gli obiettivi del Programma. Gli strumenti elencati come valide forme di opposizione al regime imposto dal National Party erano il boicottaggio, lo sciopero, la disobbedienza civile, la resistenza passiva e la protesta di massa : proprio l'enfasi posta su quest'ultimo elemento rappresentava un punto di distacco dalla politica della vecchia leadership dell'ANC. Appariva, infatti, evidente alle giovani generazioni che un'azione con qualche probabilità di riuscita non potesse più prescindere dalla partecipazione attiva della popolazione africana11.
Alla cerimonia di adozione del Programme of Action l'ANC stabilì il saluto ufficiale del movimento, quella mano destra chiusa a pugno con il pollice rivolto verso la spalla che, con gli slogan "Nkosi Sikelele iAfrika" e "Mayibuye Afrika"12 sarebbero diventati i simboli della ritrovata identità africana.
Gli anni Cinquanta si aprivano, dunque, indicando l'esistenza di una forte tensione sul tema della strategia politica tra leadership storica dell'ANC e Youth League. Appariva, tuttavia, sempre più tragicamente chiaro che le politiche di conciliazione e di moderazione attuate fino allora secondo gli intendimenti tradizionali del Congresso avevano dato scarsi frutti. Nei fondatori dell'ANC cominciava a insinuarsi il dubbio dell'inutilità delle politiche portate avanti fino allora. L'atteggiamento nei confronti della politica e dei mezzi da utilizzare cambiò in concomitanza con la fine del secondo conflitto mondiale: documenti come la Carta Atlantica13 si dimostravano sul piano pratico inefficaci, mentre le condizioni dei sudafricani di colore continuavano a peggiorare. La legge denominata Suppression of Communism Act, ad esempio, si dimostrò essere uno strumento di potere per zittire qualsiasi voce di protesta o critica verso le decisioni adottate dal National Party. La leadership dell'ANC aveva inteso immediatamente il pericolo derivante da una simile arma e, perciò, prese una decisione fondamentale, stabilendo una stretta collaborazione con il South African Communist Party (SACP) e il Transvaal Indian Congress (TIC). I tre organismi, uniti saldamente contro il comune nemico, diressero due scioperi che ebbero il merito di risvegliare le coscienze sopite dei lavoratori sudafricani e della popolazione in generale14. Con il May Day Strike e il Freedom Day15 l'ANC acquisì infatti la consapevolezza che l'arma dello sciopero poteva diventare, se ben organizzata e con un sufficiente livello di partecipazione di massa, un mezzo potente di protesta e di disturbo. Per questo motivo l'ANC decise di impostare un piano di interruzione dell'attività lavorativa che avrebbe condotto alla grande Defiance Campaign del 1952.
 
 
2. Da élite a movimento di massa: la fenice risorge
 
L'inasprirsi delle misure repressive e l'impossibilità politica per i gruppi all'opposizione di far sentire la propria voce portò i leaders del Congresso alla conclusione che il fatto di costituire la maggioranza della popolazione fornisse ai neri, ai meticci e agli indiani l'unica arma decisiva per resistere al regime del National Party.
Sei leggi16 emanate tra il 1949 e il 1951 vennero definite 'ingiuste' e per la loro abolizione l'ANC, il partito indiano e quello comunista decisero di organizzare una manifestazione nazionale. La campagna, lanciata con il nome di Campaign against Unjust Laws, passerà alla storia come Defiance Campaign. Dal punto di vista organizzativo la manifestazione sarebbe stata divisa in due fasi: durante la prima, un gruppo selezionato di militanti avrebbe avuto il delicato compito di diffondere nei centri principali17 il messaggio della manifestazione e il significato delle leggi che si intendeva abolire. La seconda fase prevedeva la formazione di gruppi di volontari etnicamente separati che fossero in grado di convincere gli abitanti dei centri rurali e urbani a unirsi alla lotta per dare vita a una protesta ben organizzata.
L'inizio della Defiance Campaign venne fissato per il 26 giugno del 1952, tradizionale giorno di protesta per gli africani nonché anniversario del Freedom Day18. L'ala moderata e conservatrice dell'ANC ottenne una vittoria riguardo gli strumenti da usare durante la manifestazione: ancora una volta l'utilità della non-violenza e della resistenza passiva sarebbe stata messa alla prova. Si deve tuttavia sottolineare che la decisione in merito all'utilizzo di questi mezzi pacifici seguiva una ben precisa strategia: la popolazione era ancora prevalentemente sprovvista di armi, e una dimostrazione violenta sarebbe stata sinonimo di suicidio di massa19.
Inoltre, una manifestazione di tale portata avrebbe dovuto avere, alla base, un'organizzazione e una preparazione alla lotta armata che né il popolo sudafricano né l'ANC possedevano. La lotta armata ha costituito l'ultimo stadio dell'evoluzione del Congresso, e per arrivare a quel punto si dovrà attendere ancora un decennio.
La prima reazione dello Stato fu quella di bandire e poi arrestare alcuni influenti leaders politici: Kotane, Marks e Dadoo20. Ciò che il National Party non aveva previsto era la flessibilità politica e mentale di questi individui, i quali iniziarono una personale protesta dalle celle, annullando il timore della prigionia e del severo trattamento in carcere, da sempre valida arma del governo21.
Lo svolgimento pacifico della campagna continuò fino all'arresto e alla condanna a nove mesi di detenzione di alcuni leader tra cui Mandela, Dadoo e Kathrada. La violenza degli scontri e l'alto livello di repressione operato dalle forze di sicurezza gettarono il Sudafrica in uno stato di cupa preoccupazione che spinse Albert Luthuli, presidente dell'ANC, a porre termine alla Defiance Campaign: era l'aprile del 1953.
Definire la Defiance Campaign un fallimento o un successo dipende in gran parte dai criteri scelti per l'analisi. Nessuna delle sei leggi incriminate venne abolita alla fine dei disordini, anzi, ad esse se ne aggiunsero altre due. Gli incidenti e i tumulti degli ultimi periodi avevano cancellato il precedente anno di dimostrazioni pacifiche. Tuttavia è indiscutibile il peso che essa ha avuto nella storia e nella coscienza politica sudafricana. Di certo ha avuto il pregio di smuovere la sensibilità di intellettuali e politici relativamente al problema dell'apartheid, prima quasi sconosciuto. Ha consacrato la necessaria collaborazione tra partiti e gruppi etnici diversi ; soprattutto, pur non avendo mai raggiunto lo stadio di manifestazione di massa, ha contribuito al rinnovamento dell'ANC. Ultimo, ma di sicuro non minor motivo di orgoglio per gli organizzatori della campagna, è stata la nascita di una forte coscienza individuale e di popolo, e l'alternarsi di quei sentimenti di vergogna e di inferiorità che per anni avevano accompagnato i sudafricani non bianchi.
Il fallimento materiale della Defiance Campaign aveva - paradossalmente - favorito la rinascita dell'ANC22. E, in secondo luogo, aveva sancito sia l'inutilità pratica - nella situazione oggettiva - della non-violenza23, sia la necessità di stabilire forme di collaborazione tra le diverse forze all'opposizione.
L'analisi di questi due fattori portò le forze presenti all'interno del Congresso a soluzioni a volte antitetiche.
Riguardo alla questione di un'alleanza trasversale, alcuni membri ultranazionalisti della YL cominciarono a guardare con ostilità e diffidenza a questa nuova strategia politica. Facendo propria la filosofia africanista di Lembede nonché lo slogan di Marcus Garvey24 "Africa for the Africans", quest'ala radicale si pose in aperto contrasto con la vecchia leadership ANC dando vita, nel 1960, al Pan Africanist Congress.
Per quanto riguarda l'inefficacia dei mezzi pacifici, era sufficientemente chiaro che, con l'inasprirsi delle misure razziste e dell'oppressione poliziesca, l'opposizione doveva necessariamente rivedere le proprie armi. Questa rivoluzione strategica divenne, all'interno del Congresso, un argomento pressante la cui soluzione sembrava dover essere inevitabile. All'interno dell'organizzazione-ombrello dell'ANC si affermò l'idea di ricercare un modo che potesse permettere all'opposizione di continuare ad esistere anche nelle più avverse condizioni politiche e sociali. "This strategy came to be known as the Mandela Plan or, simply, M-Plan". (Mandela: 167). La messa a punto del progetto indicato come M-Plan ha costituito una svolta fondamentale per l'ANC: da partito di esponenti della black middle class sudafricana, si apprestava a trasformarsi in organizzazione clandestina.
L'M-Plan si prefiggeva di fornire al Congresso gli strumenti attraverso cui far pervenire a ogni membro le decisioni prese ai massimi livelli, senza per questo convocare riunioni. Il piano prevedeva un organismo base, la cellula, formata da un agglomerato di case; più cellule costituivano una zona, controllata da un responsabile che comunicava direttamente con i livelli più alti dell'ANC.
L' M-Plan fu un insuccesso: l'articolato meccanismo che avrebbe permesso il diffondersi di notizie da una cellula all'altra, creò alla fine la paralisi dell'intero apparato. Un secondo elemento di debolezza era costituito dal fatto che la popolazione venne scarsamente informata della nuova strategia, nota nei particolari solo ai membri del Congresso25.
Il fallimento pratico dell'M-Plan ebbe il merito di mettere a fuoco la necessità di aumentare il controllo degli organi centrali dell'ANC sulle sezioni periferiche. A questo proposito si fece strada l'idea di redigere una nuova costituzione, la terza dopo quella del 1919 e quella del 1943. Purtroppo per vedere la versione finale di questo nuovo documento si sarebbe dovuto aspettare fino al 1957. Nel frattempo il paese nella sua totalità e l'African National Congress avrebbero fatto i conti con un regime sempre più oppressivo cui si sarebbe contrapposta una resistenza progressivamente più forte e coesa. La manifestazione più significativa di questa volontà fu la formazione del Congress of the People (COP).
Gli organizzatori del Congress of the People26 si prefiggevano di dare vita ad un soggetto politico in cui fossero rappresentate tutte le etnie presenti in Sudafrica, indipendentemente dal colore della pelle o dalla razza.
La data stabilita per la prima riunione del Congress of the People era il 25 giugno 1955. Il periodo preparatorio vide i militanti dei maggiori gruppi politici sudafricani intenti a raccogliere i fondi e le adesioni, nonché le richieste della popolazione che sarebbero state raccolte nella Freedom Charter, il primo documento significativo di tutta l'opposizione al regime razzista. È opportuno sottolineare come la Freedom Charter, a differenza di altri documenti27, non sia stata il risultato di un lavoro di gruppo, quanto piuttosto l'assemblaggio di tante parti, ognuna delle quali formulata da elementi diversi. Sarebbe tuttavia errato ritenere che questo fosse dovuto unicamente ai dissidi interni all'ANC, o alle differenti opinioni degli africanisti e dei membri della YL. Le riunioni politiche erano, di fatto, sempre più episodi clandestini, segreti: i controlli della polizia, i bans e le lunghe distanze che alcuni membri dovevano percorrere con il rischio di essere bloccati dalle forze dell'ordine, rendevano difficile qualunque riunione.
Il 25 giugno si tenne la prima riunione del Congress of the People, cui parteciparono rappresentanti di tutti i gruppi etnici sudafricani.
Albert Luthuli ricordava così l'evento: "Perhaps it was the first really representative gathering in the Union's history". (Luthuli: 158). Purtroppo, come notato da Fatima Meer, "the Congress of the People was destined to be the first, and last, expression of the Congress alliance as a legal structure in the country". (Meer 1988: 73). Il momento più significativo di quell'evento fu la presentazione della Freedom Charter, diventata successivamente documento ufficiale del Congresso alla conferenza nazionale dell'ANC del 31 marzo 195628.
Il preambolo di questo documento rappresentava una chiara sfida a tutti coloro29 che auspicavano un Sudafrica governato da un solo gruppo etnico. Affermando che "il Sudafrica appartiene a tutti coloro che lo abitano, siano essi bianchi o neri", gli estensori del documento sottolineavano l'accettazione di una politica multietnica30.
La Freedom Charter era divisa in dieci punti, uno per ciascuna delle richieste poste al governo di Pretoria. Tali istanze toccavano ogni campo della società umana, dalla sfera politica, alla cultura, all'economia, alla pace, all'uguaglianza di diritti per tutti gli individui. La Carta delle Libertà era destinata a diventare un documento chiave per l'accusa nel Treason Trial, lo storico processo che si tenne tra il 1956 e il 1961 contro i maggiori esponenti dell'opposizione. E questo perché i principi in essa contenuti erano antitetici rispetto a quelli attuati dal governo. Una loro realizzazione era impensabile senza uno stravolgimento totale della società dell'apartheid: venne, quindi, definita dal regime dell'apartheid un documento rivoluzionario e inneggiante alla violenza.
Questa conferenza del marzo del 1956 fu l'ultima che l'ANC tenne nella legalità. Il regime, preoccupato per gli attacchi a tutto campo dell'opposizione, scatenò una campagna di arresti che avrebbe condotto al Treason Trial e che decapitò le leadership dei maggiori movimenti e partiti politici.
Il periodo buio per la popolazione sudafricana iniziò tuttavia più tardi, nel 1958, quando le elezioni generali vennero vinte di nuovo e con una maggioranza ancor più ampia dal National Party. Dopo pochi mesi l'incarico di primo Ministro passò a Hendrik F. Verwoerd. Ex Ministro degli Affari Interni, nonché ideatore di alcune delle più degradanti leggi razziste, salendo al potere poteva finalmente completare il suo progetto di "separate development". Il fondamento di questa teoria partiva dalla concezione che neri, indiani e meticci non potessero essere detentori di diritti politici nelle zone abitate dai bianchi e che, di conseguenza, la miglior soluzione fosse quella di avere delle aree esclusivamente ideate per loro31. In quella che passerà alla storia come la seconda fase dell'apartheid32 verranno posti in essere nuovi strumenti e leggi che costringeranno i non bianchi alla completa emarginazione. Il documento che ha probabilmente creato maggior scalpore - anche a livello internazionale - è stato il Promotion of Bantu Self-Government Act, emanato nel 1959, con cui venivano istituite otto distinte comunità etniche, ognuna delle quali separata dalle altre su base razziale. Con questo nuovo provvedimento il 70% della popolazione nera veniva ghettizzata nel 13% del territorio33. La condanna degli africani a uno stato di inferiorità e oppressione era completato dal fatto che, dal punto di vista politico, il Bantu Self-Government Act rimuoveva la rappresentanza nera dal Parlamento34.
 
 
2. Il Treason Trial: in un'aula di tribunale il Sudafrica ritrova la propria identità di popolo
 
Pochi episodi storici e politici si rivelarono paradossali quanto il Treason Trial, storico processo durato quattro anni. Nel novembre del 1956 la polizia arrestò 156 figure di spicco dell'opposizione con l'intento di indebolire la resistenza e la protesta contro il regime dell'apartheid. Il risultato fu l'opposto. Mai prima d'allora vi era stata una così grande, forte e sentita unione di forze contro un nemico comune35. Il fatto che leaders di differenti partiti fossero stati arrestati insieme, li accomunava di fronte agli occhi della popolazione che coniò lo slogan "We stand by our leaders", cantato e gridato davanti alle aule del tribunale e ovunque vi fosse necessità di testimoniare appoggio agli arrestati.
Nella prima fase del processo l'accusa tentò di provare che gli arrestati fossero comunisti e che la Freedom Charter fosse un documento inneggiante alla rivoluzione. Questa parte del processo si concluse nel settembre del 1957 quando il giudice dichiarò di essere in possesso "of sufficient reasons for putting the accused on trial on the main charge of High Treason" (Benson 1964: 195). Due mesi dopo, le accuse vennero fatte cadere per circa settanta degli arrestati. Il processo riprese nel gennaio 1959, con un numero di imputati ridotto a una trentina. In questa fase Oswald Pirow36, capo dell'accusa, voleva provare che l'ANC non era un movimento pacifico ma un'organizzazione violenta, i cui membri avevano incitato e fomentato una rivoluzione.
Nel 1960 il Treason Trial venne spostato a Pretoria. I continui spostamenti da un tribunale all'altro, la modifica dei capi d'accusa e il prolungarsi oltre ogni aspettativa del processo avevano l'intento di demoralizzare gli imputati e gli altri membri dell'opposizione. Nel marzo del 1961 il processo sembrava volgere al termine: concluse le fasi centrali, mancavano le arringhe finali. Il 29 marzo il presidente della corte Justice Rumpff annunciò a sorpresa un verdetto unanime di non colpevolezza per tutti gli accusati.
Durante i cinque lunghi anni del Treason Trial il Sudafrica era politicamente cambiato: nuove misure erano state prese, nuove leggi emanate e nuove proteste lanciate.
Episodi come la Defiance Campaign hanno sancito l'unione necessaria di forze tra i diversi partiti e movimenti politici. L'African National Congress, nella sua continua opera di trasformazione, ha dovuto fare i conti anche con questa nuova realtà. In meno di vent'anni si era trasformato in un movimento di massa, aveva dato vita a un sistema di informazione sotterraneo37, aveva affrontato scissioni interne e trasformazioni dalle quali si erano sviluppate la YL e la Women Section, aveva rinnovato la propria leadership, temporaneamente decimata dal Treason Trial.
I cinque anni del Treason Trial, le proteste degli africanisti e la sempre più energica opera di repressione operata dal governo, rischiarono di far precipitare il Congresso in una nuova paralisi politica. La svolta arrivò nel 1957, quando la leadership del Congresso decise di adottare una nuova costituzione.
Il nuovo documento rifletteva i cambiamenti avvenuti all'interno del Congresso: era infatti il prodotto della dialettica creatasi tra i vari gruppi che erano andati delineandosi: l'ANC Women's League, l'ANCYL e gli africanisti. La costituzione andava a sostituire quella creata agli inizi degli anni Quaranta38, di ampio respiro ma poco accurata nei particolari. Le richieste degli africanisti di un'organizzazione maggiormente efficiente si combinarono con l'esigenza di un rafforzato centralismo nella conduzione delle operazioni politiche. Le sezioni provinciali dell'ANC vennero ridotte di numero e si limitò la loro indipendenza dagli organi centrali. Questo perché, in un periodo in cui le libertà politiche e di riunione erano pesantemente condannate, un'eccessiva frammentazione nell'assunzione delle decisioni non avrebbe portato maggiore flessibilità politica quanto, paradossalmente, l'immobilità e il caos, mettendo a rischio gli stessi militanti. Una "constitutional recognition" era conferita alla Youth League e alla sezione femminile. L'unico punto di disaccordo tra i vari organismi del Congresso fu l'analisi della Freedom Charter e del Programme of Action. L'accordo finale faticosamente raggiunto, che definiva i due documenti come "complementary", accese le critiche degli africanisti che, già in passato, non avevano fatto mistero della loro contrarietà all'adozione della Freedom Charter sostenendone l'estraneità rispetto agli altri documenti del Congresso. Tuttavia, poiché solo cinque dei 305 delegati appoggiarono la tesi degli africanisti, questi furono costretti ad accettare l'inclusione della Carta nei principi fondamentali dell'ANC. La nuova costituzione, nella speranza di conciliare le posizioni assunte dai diversi gruppi, appariva un tentativo estremo di ricompattare l'organizzazione per fronteggiare il pericolo comune. Sarà questo documento a testimoniare, negli anni della clandestinità, l'esistenza del movimento, fino alla riapertura del dialogo con il governo, durante l'era de Klerk.
La Costituzione del 1957 non arrestò, tuttavia, il processo di frammentazione politica iniziato all'interno dell'ANC. Con l'approssimarsi delle elezioni del 1958, la situazione divenne critica. Gli africanisti39, in particolare, mossero accuse di corruzione contro alcuni membri, chiedendone le dimissioni. La soluzione della questione venne raggiunta quando il National Executive decise di sospendere gli africanisti dalle cariche ricoperte fino allora. In quell'occasione i seguaci di Leballo decisero di staccarsi definitivamente dall'ANC, dando vita a un nuovo movimento.
Il nucleo ideologico di questo nuovo gruppo riposava sull'assunto che i veri abitanti del Sudafrica fossero i neri e che, di conseguenza, documenti come la Freedom Charter - che miravano a unire i diversi gruppi etnici - erano pretestuosi e fuorvianti. In una conferenza tenutasi nell'aprile del 1959 il movimento africanista prese il nome di Pan Africanist Congress (PAC). Alla guida venne posto Robert Sobukwe, in precedenza uno dei membri più attivi della Youth League. Il PAC adottò un manifesto e una costituzione, due documenti che esaltavano le differenze sia con la Youth League che con l'ANC. Rispetto alla prima, il PAC segnava una differente concezione politica della propria funzione: la YL continuava, pur diversificandosi, a perseguire una politica parallela a quella dell'ANC; il PAC, al contrario, si proponeva come antagonista politico del Congresso. Con quest'ultimo le differenze erano profonde e ben distinguibili. Il PAC era nato come movimento poggiante sul modello dell'ANC del 191240, anche se aveva fatto proprie le idee di Lembede, di molti anni posteriori. In un momento storico in cui l'ANC compiva enormi sforzi per cambiare e riuscire a trovare un terreno di dialogo con altri soggetti politici, il PAC sembrava arretrare, rivendicando la necessità di una forza monolitica. In terzo luogo, mentre l'African National Congress cercava in ogni modo di sottolineare l'urgenza di un regime democratico, dove tutte le etnie potessero coesistere e governare su un piano di uguaglianza, il PAC, incurante delle possibili critiche di razzismo a rovescio, indicava la necessità della presa di potere da parte dei neri, in quanto unici legittimi aspiranti a tale carica. L'ANC riteneva irrealizzabile l'idea di un esclusivo dominio dei neri. Da parte sua il PAC criticava la visione del Sudafrica prospettata nella Freedom Charter definendola utopistica poiché non solo giudicava inconcepibile l'idea di una democrazia tra bianchi, neri, meticci, ma soprattutto perché l'ANC non forniva alcun mezzo concreto per raggiungerla.
Secondo i membri del PAC, il principio di un paese multietnico non avrebbe funzionato da molla per mobilitare le masse perché non rispondeva alla sensibilità culturale. Sebbene i due movimenti condividessero l'idea della mobilitazione generale come unica arma vincente, differivano enormemente sulle tattiche da usare per affermare la propria egemonia sulla popolazione africana. I due movimenti differivano anche in relazione a un tema spinoso: il presunto senso di inferiorità interiorizzato dai neri. Secondo il PAC, la popolazione di colore aveva subìto nel corso di decenni un lavaggio del cervello che aveva prodotto danni incalcolabili all'orgoglio africano, producendo profonde insicurezze e paure nell'animo dei neri. Il nazionalismo doveva incitare gli africani a combattere per trovare un'uscita da questa situazione, pena lo stato di sottomissione perenne. In questa ottica un qualsiasi tipo di unione con altri movimenti o, peggio, con altri gruppi etnici, avrebbe indebolito l'operazione di ricostruzione della propria identità perduta. Per tutta risposta, l'ANC affermava che un simile atteggiamento era di per sé una segnale di autoemarginazione. Il Congress of the People non era un organismo in cui solo i bianchi avevano il diritto di esprimere la propria posizione. Inoltre, la visione semplicistica secondo cui questi fossero da considerarsi in toto pericolosi, offendeva e rendeva problematica la posizione di coloro tra i bianchi che si erano schierati con i movimenti di liberazione neri. Il Congresso accusava la visione del PAC di un razzismo non diverso da quello che gli stessi africanisti si prefiggevano di combattere.
Gli screzi tra i due movimenti si manifestarono nel dicembre del 1959 quando, dopo che l'ANC aveva risolto di indire una campagna contro il lasciapassare (pass), la dirigenza del PAC decise di organizzare una forma di protesta in anticipo su quella del Congresso. In seguito, la data stabilita dal PAC sarebbe diventata nota in tutto il mondo come il giorno del massacro di Sharpeville.
L'ANC si oppose fortemente alla manifestazione organizzata dal PAC: questo fatto, insieme alla debole organizzazione degli africanisti e alla misera propaganda, provocò l'insuccesso della campagna. A dispetto dei limiti organizzativi, in alcuni sobborghi di Johannesburg, come Langa o Sharpeville, le proteste coinvolsero centinaia di persone provocando un'immotivata reazione delle forze di sicurezza che, senza alcun motivo apparente, fecero fuoco provocando la morte di sessantanove dimostranti.
Le conseguenze dell'eccidio di Sharpeville furono molteplici, a livello interno e internazionale. La stampa diffuse in tutto il mondo le immagini dei morti disseminati sul selciato e una reazione di orrore esplose ovunque. L'azione più clamorosa venne presa dall'ONU, il cui Consiglio di Sicurezza adottò per la prima volta una risoluzione in cui prendeva una posizione diretta e concreta contro il Sudafrica, deplorando la politica dell'apartheid e richiedendone l'abbandono. A livello interno il primo, immediato effetto dell'eccidio fu l'organizzazione di una serie di scioperi che ebbero un elevatissimo grado di adesione. In uno di questi, guidato dal Congresso, venne raggiunto circa il 100% delle astensioni dal lavoro; l'ANC non aveva appoggiato lo sciopero indetto dal PAC (nel corso del quale era avvenuta la strage) ma, davanti al massacro compiuto dalla polizia, apparve impossibile rimanere indifferenti.
Il significato politico di Sharpeville si rivelò enorme: i movimenti politici, ANC in testa, dovevano - ancora una volta - affrontare dei cambiamenti. Lo Stato aveva dispiegato tutte le armi più potenti e, per sopravvivere, bisognava rivedere necessariamente i propri mezzi. Quando, il 30 marzo, venne dichiarato lo stato d'emergenza, la situazione apparve esplosiva41.
L'8 aprile 1960 il governo annunciava al Parlamento che l'ANC, insieme al PAC, sarebbe stato dichiarato fuorilegge in base all'Unlawful Organizations Act42. A poco valsero le proteste e le critiche al progetto mosse da gruppi e partiti come l'United Party o il Progressive Party. Da parte sua, l'ANC inviò all'estero Oliver Tambo per una serie di viaggi aventi lo scopo di organizzare un'eventuale esistenza clandestina del movimento. In questo periodo la dirigenza del Congresso - Mandela in testa - cominciò ad affrontare seriamente la possibilità di dare vita a un'ala militare del Congresso. Il tentativo di quasi dieci anni prima, cioè la formazione dell'M-Plan, insegnava che la non-violenza, nella situazione contingente, era ormai un'arma spuntata. Mandela, costretto alla clandestinità, auspicava la creazione di una struttura armata e alla riunione del National Executive Committee del giugno del 1961 introdusse la questione affermando che tra la popolazione giravano già molte armi e una guerriglia incontrollata avrebbe potuto causare seri danni all'intero Sudafrica; al contrario un corpo armato, organizzato e politicamente finalizzato avrebbe potuto raggiungere traguardi più avanzati. Da queste considerazioni nacque, nel dicembre del 1961, l'Umkhonto we Sizwe43, o MK, alla cui guida fu nominato lo stesso Mandela; tra gli altri esponenti di spicco meritano una menzione Joe Slovo, membro del partito comunista, e Walter Sisulu, uno dei fondatori dell'ANC e della YL.
L'organizzazione della nuova struttura del Congresso venne affidata prevalentemente a Mandela che, nella sua autobiografia, ricorda così l'episodio:
 
In planning the direction and form that MK would take, we consider four types of violent activities: sabotage, guerrilla warfare, terrorism and open revolution. For a small and fledgling army, open revolution was inconceivable. Terrorism inevitably reflected poorly on those who used it, undermining any public support it might otherwise garner. Guerrilla warfare was a possibility, but since the ANC had been reluctant to embrace violence at all, it made sense to start with the form of violence that inflicted the least harm against individuals: sabotage. (Mandela: 336).
 
L'MK rappresenta l'ultimo stadio del processo evolutivo compiuto dall'ANC che in meno di cinquant'anni, da gruppo elitario che era all'origine, si era sviluppato in partito vero e proprio arricchendosi di nuovi elementi e ampliando le proprie visioni ideologiche. Trasformatosi in movimento di massa, diventato il leader dell'opposizione in un paese esso stesso in continua evoluzione, ha, al termine del suo cammino, dovuto affrontare la clandestinità; infine una sua parte si è trasformata in un organismo basato su principi apparentemente antitetici rispetto agli originari. L'ANC ha cercato di mantenersi il più possibile fermo nelle proprie idee; tuttavia, per un movimento, partito o gruppo politico inserito in una situazione come quella sudafricana - che poco aveva a che fare con il panorama politico di altri paesi africani, e ancor meno occidentali - la prima regola è stata sopravvivere. La non-violenza è sempre stata un motore in tutta la politica e nelle scelte operate dal Congresso. Quando il mantenersi fedeli a questo principio avrebbe significato il collasso e la scomparsa dell'organizzazione, la scelta della lotta armata è apparsa quasi obbligata. Non si devono dimenticare le parole di Albert Luthuli quando, durante la testimonianza al Treason Trial, spiegava come l'ANC fosse fautore della non-violenza, e non del pacifismo a oltranza:
There was a difference between non-violence and pacifism. Pacifists refused to defend themselves even when violently attacked, but that was not necessarily the case with those who espoused non-violence. Sometimes men and nations, even when non-violent, had to defend themselves when they were attacked (Mandela: 277).
 
Paragonando l'operato dell'MK a quello di gruppi armati presenti in altre zone dell'Africa, si scopre come il valore dell'Umkhonto we Sizwe sia stato fondamentalmente simbolico. Dagli strumenti usati - con la preferenza per il sabotaggio - agli obbiettivi scelti, è evidente come il movimento sia stato determinato dal bagaglio culturale e politico del Congresso.
Due elementi hanno concorso a plasmare la struttura dell'MK: uno per così dire culturale e un altro strategico-politico. Il primo si ricollega all'ideologia politica dell'ANC, con l'attaccamento alla non-violenza e alla filosofia gandhiana del pacifismo. Sembra oggi di poter affermare che nel momento in cui una parte dell'ANC si trasformò in ala militare, non poteva evitare l'influenza del retaggio culturale del movimento intero. Per questo motivo il sabotaggio - con il basso numero di vittime che tale arma può causare - è stato lo strumento più frequentemente usato dagli attivisti dell'MK. Il secondo elemento che ha fortemente influenzato l'operato del gruppo militare dell'ANC è di carattere più propriamente politico: in un paese militarmente sviluppato come il Sudafrica, la presenza di un gruppo armato disposto a usare i mezzi tradizionalmente violenti della guerriglia avrebbe dato luogo a una serie pressoché infinita di massacri.
Praticamente in concomitanza con la nascita e lo sviluppo dell'MK, il Sudafrica entrava in una nuova era: Verwoerd aveva indetto un referendum il cui risultato avrebbe deciso la sorte istituzionale del paese. Il 5 ottobre 1960 l'elettorato bianco si recava alle urne, e il 31 maggio dell'anno successivo il Sudafrica diventava una Repubblica. Il secondo, conseguente passo, sarebbe stato l'abbandono del Commonwealth. Non essendovi procedure previste per l'espulsione di un membro da tale organismo, i paesi rappresentati rifiutarono di accettare il rientro del Sudafrica dopo la sua trasformazione istituzionale, adducendo come motivo il loro contrasto con la politica dell'apartheid, incompatibile con i principi su cui si era da sempre basato il Commonwealth.
Dal 1960 al 1994 il Sudafrica è precipitato nel baratro dell'isolazionismo politico, sociale ed economico. Le sempre più pesanti sanzioni attuate dagli altri stati, nonché le condanne degli organismi internazionali hanno creato situazioni estreme all'interno del paese. L'opposizione politica, costretta alla clandestinità, ha comunque continuato la sua opera instancabile di intralcio alle politiche del governo. Dopo la svolta verso la democrazia, dopo le elezioni, Nelson Mandela venne eletto presidente del Sudafrica e sembrò si fosse giunti al termine del cammino. L'ANC e con esso tutti gli altri partiti dell'opposizione erano tornati nella legalità, tutte le leggi segregazioniste e dell'apartheid erano state abolite, la democrazia ristabilita. Ciò che non era stato cancellato era la vergogna e l'umiliazione subite dal popolo sudafricano. Per questo motivo, per ridare dignità alle vittime, per cercare la verità e, in ultima analisi la riconciliazione tra perseguitati e carnefici, l'arcivescovo Desmond Tutu, vincitore del Premio Nobel per la Pace, ha dato vita alla Truth and Reconciliation Commission (TRC). Patrocinata dall'ONU, questa commissione ha raccolto in tre anni di lavoro e nei cinque volumi del rapporto le testimonianze, i documenti, i ricordi, e tutte le voci che non si dovevano dimenticare. Molti problemi sono rimasti irrisolti, non ultimo quello che riguarda la richiesta, da parte delle vittime, di giustizia piuttosto che di riconciliazione. Il lavoro della commissione è stato un tentativo di chiudere simbolicamente un'epoca.
Verità, giustizia e riconciliazione e il raggiungimento di un risultato attraverso la collaborazione tra le parti, il dialogo e i mezzi legali e non violenti, sono i principi ispiratori sia della TRC che dell'African National Congress. In un ipotetico cerchio, questo pacifico processo contro i crimini compiuti durante l'apartheid simboleggia la chiusura della stessa apartheid. Non si può pensare che i problemi del Sudafrica come nazione, con le sue necessarie trasformazioni politiche ed economiche, e come popolo, con il suo carico di ricordi, siano finiti. Tuttavia l'African National Congress è diventato il partito di maggioranza, ed è al governo; nel giugno 1999, dopo le seconde elezioni democratiche, Nelson Mandela, ormai simbolo vivente della lotta contro l'oppressione, ha dato l'addio alla vita politica, lasciando il comando al suo successore Thabo Mbeki. Gli anni bui dell'apartheid sono terminati, ma il cammino verso una coesistenza pacifica tra i vari gruppi e il superamento dei problemi oggettivi del paese è ancora lungo. Lo stesso Mandela aveva detto:
 
The truth is that we are not yet free; we have merely achieved the freedom to be free, the right not to be oppressed. We have not taken the final step of our journey, but the first step on a longer and even more difficult road. (...) The true test of our devotion to freedom is just beginning (Mandela: 751).