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Donatella
Dolcini
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- Considerazioni su
una traduzione anomala:
- I racconti di
Tolstoj di Prem Cand
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- Nell'ambito dell'azione educativa che
Tolstoj svolse instancabilmente nei confronti dei contadini dei
suoi possedimenti1, una parte di assoluto rilievo
spetta a quel complesso di letteratura didascalica fatto
soprattutto di racconti brevi, da cui adulti e bambini di campagna
- in quel tempo del tutto privi di scolarizzazione, salvo qualche
raro caso - potessero imparare a leggere, scrivere, comportarsi da
brave persone. Forme e contenuti erano specificamente curati a
questo scopo; dove però la lingua cercava un equilibrio tra
semplicità e correttezza, che fosse di preciso vantaggio
nella vita di relazione tra futuri "cittadini" russi2,
le storie scelte per venire narrate spaziavano in un'area senza
confini altrettanto determinati, così da proporre esempi
significativi per rapporti umani più ampi
possibile.
- L'India si rivelò per l'Autore
una delle principali fonti di questo tipo di saggezza3,
tanto che un gruppo di racconti divenne celebre nella ricca
produzione tolstojana appunto con la denominazione di "indiani".
Si tratta di una serie di ventuno4 vicende di lunghezza
variabile, in cui agiscono specialmente contadini, artigiani,
commercianti, bambini, principotti locali, santi uomini, vecchi,
diavoli e animali, tutto un mondo per lo più rurale e
perciò particolarmente adatto al pubblico che lo Scrittore
voleva raggiungere. È però un mondo rurale che
parrebbe più corretto classificare non tanto specificamente
indiano, quanto genericamente umano, al punto che - affatto
inopinatamente - di almeno due racconti lo stesso Tolstoj rivela
l'origine in un caso americana (meridionale), nell'altro
francese5!
- Sia come sia, il Mahatma Gandhi, che
tanta ammirazione e deferenza nutriva per Tolstoj da intitolargli
la comunità dei suoi primi esperimenti socio-politici in
Sudafrica6, restò assai colpito da questi
racconti7. Ne pubblicò alcuni su Indian
Opinion 8, e probabilmente ne incoraggiò la
circolazione in India, fino al punto di indurre uno scrittore
simbolo9 come Prem Cand a redigerne una traduzione in
quella lingua hindî, ormai divenuta vessillo di lotta
antibritannica un po' ovunque nel Paese. Le ventuno
storie10 uscirono in un'unica raccolta nel 1923 a
Calcutta con il titolo di Tal'ståya ki
kahåniyåm e all'interno della produzione
dell'Autore vengono classificate come
"traduzione"11.
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- Ora, lavorando a tradurre in italiano
quest'opera premcandiana, abbiamo incontrato varie
perplessità proprio ad accettarla come una "traduzione". Il
problema di fondo sta nel fatto che non si riesce a rintracciare
la stesura in inglese (?) dell'originale tolstoiano, stesura
indispensabile per quella ulteriore in hindî, dato
che sicuramente Prem Cand non conosceva il russo12.
Considerato, però, che le opere didascaliche di Tolstoj non
appena uscivano a stampa venivano immediatamente girate nelle
principali lingue europee13, è facile supporre
che queste versioni non potessero discostarsi gran che
dall'originale in questione.
- Lo si riscontra anche in numerosi
passi dello scritto premcandiano, ove lo si metta a confronto con
quello russo:
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- Aksenov voleva rispondere, ma non
gli veniva la voce: «Io... non so... io... il coltello...
io, non è mio...» Al che il capo della polizia
disse: «Stamattina è stato trovato ucciso nel letto
un mercante. Oltre a te, nessuno avrebbe potuto fare questo. La
casa era chiusa dall'interno e nella casa non c'era nessuno
oltre a te. Ecco che hai anche il coltello insanguinato nella
sacca, e poi ti si legge in volto. Dimmi, come l'hai ucciso, e
quanto denaro hai portato via?» ("Dio vede la
verità ma non la rivela subito", pp.
18-19)
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- Questo in Tolstoj, mentre in Prem
Cand si legge:
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- Bhågîrath
ammutolì, gli si chiuse la gola e tutto esitante
cominciò a dire: «M... mio non è... I... io
non so». Il funzionario di polizia: «Io stamani ho
visto quel mercante disteso sul letto con la gola tagliata. La
porta della stanza era chiusa dall'interno, non c'era nessun
altro tranne voi. Ora da questa sacca è sbucato fuori
questo coltello coperto di sangue. La vostra faccia, poi, parla
da sola. Insomma, siete stato proprio voi ad ucciderlo. Ditemi
come e quanti soldi gli avete rubato». ("L'offerta del
perdono", pp. 32-33)
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- Sin qui, dunque, ci troviamo
all'interno di un'effettiva, pedissequa versione, che rispetta
fedelmente la stesura del primo autore, pur essendo di seconda
mano14. In numerosi altri passi, tuttavia, anzi
potremmo addirittura affermarlo per la quasi totalità
dell'opera premcandiana, risulta evidente un costante sforzo di
indianizzazione, che non rientra certo nei canoni della traduzione
propriamente detta. L'impianto delle storie, i personaggi, perfino
i dialoghi hindî corrispondono infatti con un buon
margine di precisione a quelli russi, ma tutto appare come
sovrastato da una curiosa copertura di indianità.
Così sono i nomi propri a cambiare, i mesi, le feste, le
località geografiche15, sino alla raffinatezza
della sostituzione di forme idiomatiche, proverbi, modi di dire,
solitamente per loro carattere così poco trasferibili da
una lingua all'altra, ove vengano lasciati
inalterati.
- A volte l'espediente passa quasi
inosservato, o perché inserito in un ambito assolutamente
banale o perché, al contrario, così ben adattato al
nuovo contesto da risultare del tutto naturale allo stesso.
Possono servire da esempio alcune righe riprese dalla storia di
Aksenov/Bhågîrath, già riportata
prima:
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- Nel fisico Aksenov era
biondo, ricciuto, bello (...) Una volta, era d'estate,
partì per Ninyi, per la fiera. Mentre si
congedava dai familiari, la moglie gli disse: «Ivan
Dmitrievic¯, non partire oggi, ho fatto un brutto sogno che ti
riguardava. (...) Ho sognato che arrivavi in città, ti
toglievi il cappello e vedevo che avevi tutti i capelli
bianchi...» (p. 17)
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- Bhågirath era bello, con
morbidi capelli neri lucidi (...) Un bel giorno, in
estate, ultimati i preparativi per recarsi al Kumbh
Melå sul Gange, andò a salutare i figli e la
moglie. La moglie: «Marito mio, non partire oggi, ho fatto
un brutto sogno (...): ti ho visto tornare a casa con i capelli
bianchi». (p. 31)16
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- A volte, invece, nella trasposizione
si avverte una fastidiosa forzatura, che può arrivare anche
ad essere irrimediabilmente stridente o, peggio, senza senso nella
nuova ambientazione indiana, così che tutta la storia
sembra afflosciarsi e nella sostanza e nella pregnanza, come, per
esempio, in "Il figlioccio", la cui prima parte si impernia sulla
disperata ricerca di un padrino e di una madrina per un neonato a
rischio di morire se non sarà subito
battezzato17.
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- Soprattutto si finisce per perdere di
vista Tolstoj: che significa che quella certa vicenda sia stata
narrata da lui? Dov'è lo spirito della sua missione
educativa, se di lui resta una traccia specifica solo nel titolo
della raccolta? L'obiezione può essere che, se i racconti
di Tolstoj sono stati ripresi da una tradizione indiana, forse
Prem Cand sta riproponendo proprio quella, a prescindere dalla
versione che ne dà lo scrittore russo; ma ci pare che, alla
luce di quanto osservato in precedenza riguardo sia all'effettiva
origine delle storie, sia al trait-d'union rappresentato
dalla traduzione inglese, tale ipotesi sia da scartare senza
troppi ripensamenti.
- Resta, allora, un'altra
possibilità, che si basa più su elemento psicologico
che su un'esegesi delle fonti vera e propria. Prem Cand era un
convinto militante nazionalista, fin dall'inizio della sua
carriera letteraria sempre pronto a mettere a disposizione della
causa il suo grande talento di scrittore. Suo quasi
costante18 punto di riferimento fu il Mahatma Gandhi,
al cui insegnamento teorico e pratico egli cercò sempre di
adeguare la propria azione, quindi, in sostanza, la propria
scrittura19. Gandhi, a sua volta, si pone come erede e
rielaboratore di una quantità di atteggiamenti che per lo
meno dall'inizio dell' '800 si possono leggere come nazionalisti:
la ripresa delle tradizioni di maggior validità, la
cancellazione di quelle riconosciute "kurîti "
(=cattivi costumi), la rivisitazione - allo scopo preciso di
compiere tale cernita al meglio - degli antichi testi sacri,
depositari per antonomasia (Veda=Scienza) della
Verità Imperitura (satya), che è poi
l'Esistenza stessa (satya).
- Questo lungo e acuto lavoro di
ricostruzione di un'identità indiana aveva finito per
sfociare nella convinzione, più volte espressa da
praticamente tutti i nazionalisti, che il grande compito storico
dell'India fosse di custodire la vera saggezza di vita non solo
per le genti stanziate nel subcontinente, ma per tutto il genere
umano in un futuro non tanto lontano, cioè dopo che il
Paese fosse tornato libero e totalmente responsabile del ruolo da
giocare nel consesso delle nazioni civili20. In
quest'ottica, che, essa pure, non si può certo definire
nuova in una cultura che ha sempre basato le fondamenta della
vicenda dell'universo sulla ciclicità dei fenomeni, in
quest'ottica, dunque, si può capire come storie
dichiaratamente riprese da leggende e narrazioni antiche vengano
riguardate come altamente preziose e degne di venire inglobate -
quasi in un cammino di ritorno - nel loro alveo primigenio, per
essere ripresentate anche agli uomini della presente generazione
in tutta la loro forza educativa.
- Né è da sottovalutare
il fatto che questi stessi racconti "tornassero" in India non da
un generico Occidente, ma dalla Russia. L'opera di Prem Cand esce
nel 1923, ciò che presuppone un periodo di lavorazione
grosso modo databile dalla fine della prima guerra mondiale: il
periodo che vide la prepotente ascesa sulla scena politica indiana
di Gandhi - come abbiamo visto, grande ammiratore di Tolstoj - e
che consolidò l'immagine particolare che della Russia, sia
nella sua ultima fase di impero zarista, sia in quella di nazione
guida dell'URSS, ci si era fatti in India. Percepita come costante
pericolo per il potere coloniale britannico nel secolo precedente,
ma mai giunta ad imporre una propria effettiva dominazione al di
sotto dell'Uzbekistan; considerata una potenza politico-militare
alla pari con la Gran Bretagna - agli occhi indiani massima
rappresentante della grandezza straniera - ma irreparabilmente
sconfitta dal "piccolo" Giappone in una guerra (1904-1905) che,
partita come una temeraria avventura, aveva finito per diventare
simbolo di una sorta di rapporto "Davide-Golia" tra Asia ed
Europa; immersa in un retrivo "feudalesimo" dalle estreme
sperequazioni sociali, ma dal 1917 impegnata nel più esteso
esperimento di socialismo reale della storia umana; cristiana, ma,
al contrario delle altre potenze europee ben note in India, poco
interessata a svolgere opera missionaria della sua confessione
ortodossa, la Russia esercitava un fascino del tutto particolare
su pensatori e patrioti indiani. Il fatto che il suo maggior
scrittore del tempo avesse ritenuto degno della propria competente
attenzione e della propria augusta penna un certo numero di storie
da narrare a scopo edificante, tratte da quel repertorio di antica
saggezza, che per i nazionalisti rappresentava l'unica risposta da
pari a pari da fornire alla boriosa dominazione straniera, venne
certamente ad aumentare la stima in cui tenere questo scritto di
Tolstoj.
- Rivestirlo allora di una patina di
indianità, anche ove questa finisse per risultare
effettivamente nulla più che posticcia, diventava
un'operazione sacrosanta, nella stessa misura in cui mantenere
invariati alcuni elementi dei singoli racconti contribuiva a
mettere in risalto la consonanza spirituale tra una
sensibilità occidentale ed una orientale, ove non si
fossero erette barriere di carattere politico o settariamente
religioso, ma si fosse lasciato fluire in tutta naturalezza il
fiume di una più autentica cultura
umanitaria.