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- Maria Cristina
Paganoni
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- LE METAMORFOSI DEL
PERSONAGGIO
- NEL ROMANZO VITTORIANO
- 1. John Speirs, "Dalla poesia al
romanzo" (1971), in Il Vittorianesimo, a cura di Franco
Marucci, Bologna, il Mulino, 1991, pp. 223-241.
- 2. Il novel vittoriano è
infatti venato da fermenti antirealistici che si intensificano
nella seconda metà dell'Ottocento. A questo riguardo si
vedano il saggio di Silvano Sabbadini, "Realismo ed effetti di
realtà: riflessioni sul realismo nel romanzo vittoriano", e
quello di Franco Marucci, "La scrittura prismatica. Istanze
antirealistiche nel romanzo vittoriano", in Realismo ed effetti
di realtà nel romanzo dell'Ottocento, a cura di
Francesco Fiorentino, Roma, Bulzoni, 1993, pp. 97-109 e pp.
111-125.
- 3. Cfr. Patricia Ingham, The Language
of Gender and Class. Transformation in the Victorian Novel,
London and New York, Routledge, 1996. Per tutta l'età
vittoriana la rappresentazione delle classi e delle donne nel
romanzo, che è un prodotto del pensiero borghese, è
oggetto di una continua rielaborazione ideologica e linguistica
che conferma la classe dominante nella sua situazione di
predominio e nei suoi atteggiamenti paternalistici, autoritari e
maschilisti. È per questo che gli operai sono descritti
come una massa di immaturi e non come singoli cittadini
responsabili, le operaie non sono menzionate se non nella veste
infamante di "donne cadute", vittime di una trasgressione sessuale
che è considerata irreparabile, mentre le donne borghesi,
asessuate, poco colte e ipersensibili sino all'isteria, sono i ben
noti "angeli del focolare".
- 4. Northrop Frye, "Dickens and the
Comedy of Humours", in The Stubborn Structure, London,
Methuen, 1970, pp. 218-240.
- 5. Charles Dickens, Our Mutual
Friend, Harmondsworth, Penguin, 1971, p. 609.
- 6. Bertha Mason è la prima moglie
di Rochester in Jane Eyre. Il marito la tiene segretamente
reclusa al piano superiore di Thornfield Hall, da dove la donna
riesce comunque a liberarsi, dapprima ostacolando l'unione di
Rochester con Jane, poi appiccando fuoco alla casa e morendo
durante l'incendio. Lady Audley, seduttrice, omicida e bigama,
è la protagonista del romanzo sensazionalista di Mary
Elizabeth Braddon, Lady Audley's Secret (1862), che, quando
viene scoperta, è segregata in un
manicomio.
- 7. Wilkie Collins, The Woman in
White, New York, Bantam, 1985, p. 557.
- 8. Secondo Tamar Heller, in Dead
Secrets. Wilkie Collins and the Female Gothic, New Haven and
London, Yale University Press, 1992, Wilkie Collins riprende la
tradizione del gotico femminile già di Ann Radcliffe, di
Mary Wollstonecraft e di Mary Shelley, ed enfatizza, o
dovrebbe enfatizzare, il punto di vista della donna. In
realtà, scrive la Heller, The Woman in White
è un testo dove i vari narratori non hanno affatto lo
stesso potere e dove la prospettiva vincente, quella del
protagonista maschile Hartright, zittisce le voci
femminili.
- 9. I Married Women's Property Acts del
1870 e del 1882 si proposero appunto di sanare questa grossa
ingiustizia, riconoscendo alle donne sposate il diritto di
continuare a possedere e a gestire i propri beni anche dopo il
matrimonio.
- 10. Stephen D. Arata, (in "The Sedulous
Ape: Atavism, Professionalism, and Stevenson's Jekyll and
Hyde", Criticism, XXXVII, 2, Spring 1995, pp. 233-259),
argomenta convincentemente che tutti coloro che incontrano Hyde lo
trovano repellente ma non sono in grado di descrivere
perché lo sia: "Despite the confident assertions of the
novel's professional men that Hyde is 'degenerate', his 'stigmata'
turn out to be troublingly difficult to specify" (p. 235). La
deformità di Hyde, insomma, pare essere più una
costruzione di chi lo osserva che una caratteristica intrinseca
della sua persona. Secondo Arata, infatti, la ragione per cui i
gentiluomini del testo, Enfield, Utterson, Lanyon e ovviamente
Jekyll, sono profondamente turbati da Hyde è il fatto di
riconoscere nella sua devianza il proprio desiderio inespresso di
trasgressione. I decorosi professionisti reagiscono a questo
disvelamento con vari meccanismi protettivi e facendo ricorso allo
spirito di corpo, cioè all'omertà, al ricatto e alla
corruzione.
- 11. Secondo Angela Locatelli, in
"Paradigmi del doppio nell'episteme vittoriana", Rivista di
Studi Vittoriani, I, 1, gennaio 1996, pp. 39-59, la
letteratura vittoriana è essenzialmente una forma di
"'Letteratura del Segreto' (ossia del censurato, del
rimosso, del negato)" (pp. 44-45).
- 12. Claudia Moscovici, in "Allusive
Mischaracterization in Middlemarch", Nineteenth-Century
Literature, IL, 1, March 1995, pp. 513-531, osserva come
Dorothea faccia uso di allusioni sbagliate, ad esempio paragonando
il suo pedantissimo futuro marito a dotti del calibro di Locke o
Bossuet. Su questa spia evidente della sua erronea lettura della
realtà il narratore di Middlemarch ironizza più di
una volta.
- 13. Cfr. Brian Spittles, George
Eliot. Godless Woman, Basingstoke and London,
Macmillan, 1993.
- 14. Sempre a proposito di
quell'affascinante immagine femminile che è l'eroina di
Middlemarch e della somatizzazione di alcune
caratteristiche psicologiche, Dorothea Barrett, in Vocation and
Desire. George Eliot's Heroines, London and New York,
Routledge, 1991, osserva che la scrittrice tende a
monumentalizzare le sue eroine, per mostrare le molte limitazioni
dell'ambiente in cui vivono. Dorothea Brooke, infatti, è
alta, con mani grandi e quasi maschili e, come si diceva,
miope.
- 15. Sul rapporto fra letteratura
vittoriana e scienza si vedano Gillian Beer, Darwin's Plots.
Evolutionary Narrative in Darwin, George Eliot and
Nineteenth-Century Fiction, London, Routledge & Kegan
Paul, 1983, e George Levine, Darwin and the Novelists. Patterns
of Science in Victorian Fiction, Cambridge and London, Harvard
University Press, 1988.
- 16. Nel 1859, lo stesso anno di The
Origin of the Species, compaiono Self-Help di Samuel
Smiles e On Liberty di John Stuart Mill che, sebbene siano
qualitativamente molto diversi, contribuiscono entrambi a tradurre
il pensiero di Darwin in chiave sociale.
- 17. In "Le strutture della narrazione",
in Storia della civiltà letteraria inglese, Torino,
Utet, 1996, vol. II, pp. 645-677, Dorothea Barrett analizza
ciò che lei chiama "narrativa evoluzionista", e osserva che
"a mano a mano che la teoria evoluzionista usciva dai confini
della sua disciplina per diventare la principale metafora non solo
delle vicende biologiche ma anche di quelle politiche e sociali,
la sua importanza per la narrativa si faceva sempre più
evidente" (p. 647).
- 18. Ibid., pp. 647-648.
- 19. George Levine, "Dickens and
Darwin", in Darwin and the Novelists. Patterns of Science in
Victorian Fiction, cit., pp. 119-152.
- 20. Charles Dickens, Bleak House,
Harmondsworth, Penguin, 1971, p. 272.
- 21. Mark Wormald, "Microscopy and
Semiotic in Middlemarch", Nineteenth-Century
Literature, L, 4, March 1996, pp. 501-524.
- 22. Ibid., p.
509.
- 23. George Eliot, Middlemarch,
Harmondsworth, Penguin, 1965, p. 26.
- 24. Emily Brontë, Wuthering
Heights, Harmondsworth, Penguin, 1965, p. 48.
- 25. George Eliot, Middlemarch,
cit., p. 893: "the bird of paradise that she
resembled".
- 26. Ibid.: "He once called her a
basil plant; and when she asked for an explanation, said that
basil was a plant which had flourished wonderfully on a murdered
man's brains".
- 27. Il rimando intertestuale è
alla quinta novella della quarta giornata del Decameron,
che narra la tragica vicenda di Lisabetta da Messina e del suo
amante Lorenzo. Nella quarta giornata Boccaccio tratta appunto
degli amori infelici.
- 28. George Eliot, Silas Marner,
Harmondsworth, Penguin, 1967, p. 65.
- 29. Ibid., p. 56.
- 30. George Eliot, Middlemarch,
cit., p. 532.
- 31. Ibid., p.
241.
- 32. Jim Reilly, Shadowtime. History
and Representation in Hardy, Conrad and George Eliot, London
and New York, Routledge, 1993.
- 33. George Eliot, Middlemarch,
cit., p. 225.
- 34. Cfr. Robert Browning, Poems,
Poesie, a cura e traduzione di Angelo Righetti, Milano, Mursia,
1990.
- 35. Charles Dickens, Little
Dorrit, Harmondsworth, Penguin, 1967, p. 609.
- 36. Angela Locatelli, art. cit.,
p. 45, afferma che "è importante vedere 'il doppio' sia in
termini di strategie testuali (comprendenti elementi linguistici,
retorici e discorsivi) che in termini di strategie culturali, e
non semplicemente in termini di singoli personaggi e relativi
attributi o di 'patologie autoriali'". Questa prospettiva
metodologica che si muove fra "doppio semantico" e "doppio
semiotico" (p. 44) può, secondo chi scrive, essere
più generalmente applicata a tutte le storie sulle
identità plurime per esplorare la rete di rapporti fra la
costruzione del personaggio, l'organizzazione del testo e i suoi
molteplici significati.
- 37. Franco Marucci, "La scrittura
prismatica. Istanze antirealistiche nel romanzo vittoriano", cit.,
pp. 113-115.
- 38. Lionel Stevenson, "La
relatività della verità nel romanzo vittoriano"
(1967), in Il Vittorianesimo, cit., pp.
209-222.
- 39. Alberto Castoldi, "Lo specchio
realista", in Realismo ed effetti di realtà nel romanzo
dell'Ottocento, cit., p. 131.
- 40. Ibid., p. 132: "La cultura
medievale aveva potuto conciliare questa opposizione (fra mondo
e sua rappresentazione, nota di chi scrive) proponendo
un'ottica totalizzante, per cui l'uomo medievale è sempre
davanti allo specchio, sia quando si guarda intorno che quando si
abbandona alla propria immaginazione, ma per lo scrittore realista
guardarsi attorno è inevitabilmente
immaginare".
- 41. George Eliot, Middlemarch,
cit., p. 170.
- 42. Peter Brooks, Reading for the
Plot. Design and Intention in Narrative, New York, Knopf,
1984; trad.it. di Daniela Fink, Trame. Intenzionalità e
discorso nel progetto narrativo, Torino, Einaudi,
1995.
- 43. Cfr. Robert Kiely, The Romantic
Novel in England, Cambridge (Mass.), Harvard University Press,
1972.
- 44. Franco Marucci, "La scrittura
prismatica. Istanze antirealistiche nel romanzo vittoriano", cit.,
p. 120.
- 45. Charles Dickens, Our Mutual
Friend, cit., pp. 174-175.
- 46. Citato da Michael Wheeler,
English Fiction of the Victorian Period, 1830-1890, London,
Longman, 1985, p. 176.
- 47. Bruce Clarke, Allegories of
Writing. The Subject of Metamorphosis, Albany, State
University of New York Press, 1995, p. 2: "The metamorphic changes
represented within texts are allegories of the metamorphic changes
of texts".
- 48. Donatella Izzo, "La poetica del
disincanto: lettura di Our Mutual Friend", in La
città e il teatro. Dickens e l'immaginario vittoriano,
a cura di M.T. Chialant e C. Pagetti, Roma, Bulzoni, 1988, pp.
215-254.
- 49. Ibid., P.
232.
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1998