Maria Cristina Paganoni
 
LE METAMORFOSI DEL PERSONAGGIO
NEL ROMANZO VITTORIANO
 
 
Se il racconto del progress di un individuo nel mondo è paradigma ricorrente in letteratura, in versioni sia religiose sia mondane, nel romanzo vittoriano l'avventura del personaggio - ora completamente secolarizzata - è rappresentata principalmente secondo due prospettive fra loro complementari, che potremmo chiamare dell'interiorità e della scienza. L'analisi psicologica e l'indagine scientifica sono infatti accomunate dalla comprensione che il soggetto non è più un'identità statica, ma un sé mutevole ed enigmatico che cambia nel tempo per ragioni psicologiche, sociali e biologiche. Se l'una scruta i mutamenti profondi della coscienza singola nel suo intimo travaglio, l'altra indaga le metamorfosi del personaggio nell'ambito di uno studio sinottico sulla specie umana.
Il romanzo intimista narra la vicenda individuale in quanto manifestazione della dimensione della coscienza, secondo una prospettiva introversa che muove dal sé per poi ritornarvi lungo un percorso circolare chiuso, come in Jane Eyre (1847) o Great Expectations (1860-61). La focalizzazione non è tanto sulla conquista fisica e simbolica del mondo da parte dell'individuo intraprendente, come avveniva nel romanzo del Settecento, ma piuttosto sui bisogni e sui conflitti più profondi di un soggetto costretto a muoversi in una realtà storica talmente strutturata ed alienante da divenire lei stessa manipolatrice occulta e divoratrice vorace degli spazi vitali della personalità. E' tale discesa nell'interiorità che conferisce a molti romanzi del periodo - si pensi, ma non solo, alle opere delle sorelle Brontë, di Dickens, di George Eliot - ciò che è stato definito la loro qualità "poetica"1, ossia la ricchezza immaginativa ottenuta da una complessa riscrittura simbolica della realtà. Il conseguimento di un'identità adulta o la disintegrazione del sé, l'ascesa o il declino sociale, l'abisso del crimine o della pazzia, la dissociazione psichica sono alcune fra le strategie narrative più frequenti che raccontano tutte le trasformazioni, qualitativamente "vere", anche se più o meno verosimiglianti2, del personaggio.
La caratterizzazione varia infatti secondo il genere testuale preso in considerazione poiché, laddove la narrativa realistica traccia il percorso interiore del personaggio attraverso fasi psicologicamente credibili, la narrativa fantastica può trasgredire alle convenzioni del reale e ricorrere a simboli di grande espressionismo che, nella prosa d'immaginazione, sono di frequente gotici ed inquietanti. Secondo una gamma molto ricca di manifestazioni del cosiddetto "perturbante", la letteratura fantastica racconta allora di identità doppie e plurime, sosia, fantasmi, ritratti viventi e vampiri, ossia di metamorfosi drastiche quando non brutali che segnalano, con movenze da incubo, tutto il disagio del soggetto nei confronti dei suoi lati più istintuali, aggressivi e meno dominabili. La rimozione dei conflitti più profondi e meno elaborati può spingersi fino alla creazione di un altro da sé, compensatorio ma al contempo ripugnante. Se il testo canonico sulla personalità schizoide è The Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde (1886) di R.L. Stevenson, il doppio è motivo ricorrente già in ambito medio-vittoriano, nell'opera dickensiana e in particolare in Our Mutual Friend (1864-65). Un tentativo di spiegare il doppio secondo parametri razionali, riconducendolo cioè alla sostituzione di due sosia, è quello operato da Wilkie Collins nel romanzo d'indagine ante litteram che è The Woman in White (1859-60). I fantasmi della prima coppia di amanti - Catherine Earnshaw e Heathcliff - continuano ad aggirarsi nella brughiera di Wuthering Heights (1847), il ritratto del giovane efebico che si trasforma nell'immagine di un libertino ributtante e precocemente invecchiato è l'objet d'art attorno a cui si organizza The Picture of Dorian Gray (1891), mentre il vampiro di Dracula (1897) dell'irlandese Bram Stoker continua, ancora oggi, a terrorizzare i fruitori della cultura popolare.
Il personaggio metamorfico è senza dubbio spia del disagio della società industriale, che ha cancellato in maniera irrevocabile la vita del villaggio, dove ognuno era riconoscibile e svolgeva un ruolo ben definito, nonché il segnale del tracollo della fiducia illuminista nella supremazia della ragione sull'istinto. Mentre il resto dell'Europa si dibatte fra problemi di indipendenza e di unità nazionale, nell'Inghilterra vittoriana, che gode di una sostanziale stabilità politica ed è addirittura in grado di esportare nelle colonie le sue istituzioni, il romanzo scrive le sue pagine più convincenti non tanto quando tratta delle problematiche sociali3, ma quando, abbandonandosi ad un eccesso di soggettività, ripropone il problema dell'identità nel teatro dell'anima. Immergendosi nell'interiorità, il soggetto sperimenta la propria opacità nei confronti di se stesso, la fatica di conoscersi fino in fondo e di capire quello che vuole, e prova angoscia nel ritrovarsi diverso (ovviamente nel senso di peggiore, di socialmente disapprovato, di moralmente abietto) da quello che dovrebbe/vorrebbe essere.
L'angoscia del personaggio del romanzo vittoriano è intensificata dal fatto che la ricerca dell'identità è un percorso che si svolge in una solitudine inquietante. Sebbene durante il lungo regno di Vittoria si elaborino gli statuti sindacali, la riforma del sistema elettorale e i diritti delle donne, le istituzioni collettive non riescono ad arginare l'isolamento radicale dell'individuo e la perdita di punti di riferimento, anche perché la necessaria facies sociale corrisponde sempre meno all'esperienza dell'io. L'autocoscienza sembra insomma comportare la condanna al dolore interiore e alla non accettazione di sé piuttosto che un senso di liberazione.
Dickens è uno scrittore che nella sua vasta opera narrativa condensa le suggestioni più profonde dell'epoca. Nel suo caso è particolarmente evidente che l'impianto realistico del romanzo non riesce ad esaurire l'incontenibile carica creativa di una scrittura visionaria, talvolta onirica e spesso grottesca. Le metamorfosi dei suoi personaggi non compiono la progressiva evoluzione psicologica dei personaggi di George Eliot e degli altri grandi scrittori realisti vittoriani, Anthony Trollope e Elizabeth Gaskell, perché la scrittura fantastica non si cura di imitare in modo verosimigliante i moti dell'animo. Come già osservava Frye, nell'opera di Dickens i cambiamenti dei personaggi sono effettuati in modo non plausibile, attraverso le brusche svolte di trame fedeli non tanto alla mimesi, quanto a quella ben più profonda volontà d'ordine alimentata dal desiderio, che si permette di valutare le vicende secondo i criteri della giustizia poetica4. Ci sono, è vero, personaggi che non cambiano, i cosiddetti humours, ma sono quelli che in un certo senso si rifiutano di vivere e che si escludono, come relitti pietrificati nelle proprie ossessioni, dal flusso vitale che sostiene il mutamento con la sua energia dirompente.
La metamorfosi più ricorrente nella narrativa di Dickens è quella dell'identità che si disgrega, motivo ossessionante che si traduce in successive riscritture del tema del doppio, inscenato in universi narrativi melodrammatici e decadenti dove il lieto fine è sempre più arbitrario. Soprattutto a partire dalle opere della maturità (cioè successivamente al 1848, l'anno di Dombey and Son) la domanda su chi sia veramente il personaggio assume i caratteri di una ricerca spietata attorno ai confini enigmatici dell'io, che non rifugge nemmeno dall'esplorazione dell'istintualità più violenta. Non è fortuito che Our Mutual Friend, l'ultimo romanzo completo di Dickens, racconti di un caso effettivo di sdoppiamento della personalità nella figura di Bradley Headstone (rispettabile maestro di scuola di giorno, accanito persecutore e poi omicida di notte), che nulla ha da invidiare a Stevenson:
 
The state of the man was murderous, and he knew it. More; he irritated it, with a kind of perverse pleasure akin to that which a sick man sometimes has in irritating a wound upon his body. Tied up all day with his disciplined show upon him, subdued to the performance of his routine of educational tricks, encircled by a gabbling crowd, he broke loose at night like an ill-tamed wild animal5.
 
A metà fra sfrenata finzione e realismo si colloca The Woman in White di Wilkie Collins, storia intrigante sulle identità molteplici, che fornisce a questo tema un'interessante soluzione di compromesso. Il romanzo è giocato sullo scambio di due giovani donne, che si assomigliano in modo impressionante e sono entrambe vittime di due loschi aristocratici. La vicenda si conclude peraltro con una spiegazione di ordine deduttivo e razionale che sistema al posto giusto ogni tessera del mosaico (si scopre, fra l'altro, che le giovani sono sorellastre per parte di padre e che è questa la ragione della loro straordinaria somiglianza), tanto che Collins è considerato uno dei fondatori del romanzo d'indagine. Il lieto fine ripristina la nobildonna nel suo rango sociale e - meno lietamente! - elimina con una morte prematura la fanciulla povera e malata di mente, arginando così la minaccia della pazzia, che affligge altri scomodi personaggi femminili del romanzo vittoriano, da Bertha Mason a Lady Audley6, e che tradisce una lettura della femminilità come un fenomeno inquietante da tenere sotto controllo. La conclusione, insomma, restaura l'ordine violato dall'intrigo criminale, esercitando senza dubbio una funzione conservatrice nei confronti delle suggestioni eversive della trama. Ad un certo punto, infatti, non è più chiaro chi sia la nobildonna Laura Fairlie e chi la giovane pazza, tanto che il lettore potrebbe legittimamente sospettare che l'aristocratica ereditiera sia morta e sia stata rimpiazzata dalla donna meno privilegiata.
Al di là delle deliberate ambiguità della trama, tuttavia, il romanzo vuole soprattutto dimostrare che l'identità è un fatto non solo personale, ma sociale. In altre parole, si è qualcuno, si è quella persona se anche gli altri lo vogliono. Laura Fairlie, la nobildonna raggirata che, ad un certo punto, è ritenuta morta, ritorna socialmente nella terra dei viventi grazie al pubblico riconoscimento della sua comunità d'appartenenza. Ai paesani di Limmeridge radunati di fronte al notaio, il marito di Laura, Walter Hartright, infatti chiede: "Are you all of the same opinion?"7. Se la società non la legittima, la persona cessa di esistere e sparisce nel nulla, dimenticata da una collettività distratta, crudelmente insensibile e assorbita dai propri interessi. Per le donne, in modo particolare, il colore bianco menzionato nel titolo sembra alludere alla loro mancanza di un'identità sociale e di una tutela economica e legale8, soprattutto all'interno del matrimonio9. Se invece, come nel romanzo di Stevenson, l'energia individuale è talmente dirompente da travolgere l'interdetto sociale, la persona vive sì, ma è censurata, occultata alla vista degli altri, indescrivibile e inaccettabile10. Creatura segreta della notte, Hyde porta infatti un nome che suona come "to hide", nascondere11.
Nella scrittura realistica, che nell'Ottocento perfeziona le tecniche del romanzo psicologico, il mutamento del personaggio si esplicita in una maturazione più o meno graduale che sfocia spesso in amaro disincanto. È questo il caso di Dorothea Brooke e Isabel Archer, le due straordinarie protagoniste di Middlemarch (1871) di George Eliot e di The Portrait of a Lady (1881) di Henry James. Sono due ritratti emblematici di donne che, pur nel loro sostanziale altruismo, soffrono di un difetto costitutivo della personalità - ciò che i Greci chiamavano hamartìa -, ovvero dell'incapacità, comprensibile ma fallace, di liberarsi dalle false immagini di sé e degli altri e di instaurare un rapporto meno egocentrico con la realtà12.
Attraverso l'estensione metaforica del dettaglio fisico George Eliot fa sì che alcuni personaggi somatizzino la loro imperfetta comprensione del mondo, e li rende miopi13. È quanto avviene a figure peraltro del tutto dissimili, come Dorothea14 e Silas Marner, l'ingenuo tessitore di Raveloe, protagonista del romanzo omonimo (1861), che si ritrovano a percorrere un cammino faticoso verso una situazione di maggiore autenticità. Altre volte, invece, il personaggio è costretto ad aprire bruscamente gli occhi quando, di colpo, i segreti del passato riaffiorano alla superficie e lo travolgono in una dolorosa epifania. È così che il lettore apprende della disonesta ricchezza dell'ipocrita banchiere Bulstrode di Middlemarch o dell'esistenza della figlia illegittima di Godfrey Cass in Silas Marner.
La scrittura dell'interiorità tende a concentrare il suo interesse su un individuo particolare, il cui mutamento riceve quindi considerazione privilegiata. Dalle procedure della scienza, invece, il romanzo vittoriano pare mutuare quell'attenzione sovraindividuale che si rivolge alla specie oltre che al singolo e che si evidenzia nel testo allorché lo studio del personaggio si allarga al suo contesto ambientale e relazionale per istituire una sorta di raffronto con altri tipi umani. Dal momento che pone al centro della sua riflessione non tanto le variazioni individuali quanto il mutare delle specie, l'evoluzionismo tende ad indagare il singolo caso secondo procedimenti contrastivi che studiano, attraverso il confronto fra campioni simili, le ragioni dei loro destini diversi15. Per il romanzo vittoriano si parla spesso infatti di "darwinismo sociale", cioè di quell'atteggiamento di pensiero16 di cui, di nuovo, Dickens è eccellente interprete in chiave pessimistica, che trasporta nella competitiva società degli uomini la lotta per l'esistenza osservata nel mondo naturale, creando delle tipologie inconfondibili: il predatore, il masochista, il parassita accanto al mite, al tenace, all'idealista.
L'osmosi fra discorso delle scienze e letteratura è ovviamente problematica poiché l'elaborazione del pensiero evoluzionista da parte dei romanzieri va ben oltre la citazione colta o la conoscenza professionale di argomenti di attualità che George Eliot, ad esempio, era tenuta a mostrare in qualità di redattrice della Westminster Review. La reazione più profonda ai paradigmi della scienza è infatti quella che ha luogo nel lavorio immaginativo, dove è soprattutto Dickens che si rivela lo scrittore meglio capace di elaborare in modo vitale i nodi problematici della sua cultura.
Se la letteratura è fortemente contaminata dagli schemi metodologici del discorso scientifico17, a sua volta quest'ultimo mutua dalle scienze umane l'opzione per procedimenti discorsivi di andamento narrativo e perciò diacronico piuttosto che descrittivo e sincronico. Nella sua indagine sulle trasformazioni delle specie l'evoluzionismo, infatti, non solo attribuisce alla variabile tempo un ruolo centrale, ma non privilegia il presente - nient'altro che un attimo del perenne divenire - e tende piuttosto a costruire miti sull'origine. Nel romanzo vittoriano l'ossessione per il passato diventa, in chiave metaforica, l'insistenza sui temi, spesso avvolti nel segreto, della paternità e della maternità, dell'eredità contesa, della genealogia18.
Anche Dickens riscrive ed interpreta a suo modo Darwin nella creazione di un mondo romanzesco entropico e ateleologico, animato da un'energia incontenibile e segreta. Alla descrizione darwiniana di una natura brulicante di vita è riconducibile l'incredibile proliferazione dei personaggi che popolano i suoi romanzi, dove c'è posto persino per l'individuo aberrante19. Nelle opere della maturità, che sono per l'appunto quelle costruite in modo più elaborato, Dickens alterna una duplice focalizzazione, inquadrando dapprima un individuo o più individui particolari, poi la società nel suo insieme, e cambiando persona e registro narrativo nel passare da una modalità all'altra. Questa strategia, che si avvale della costruzione a più trame tipica del romanzo vittoriano - il cosiddetto multiplot novel -, è un evidente tentativo di istituire un rapporto non banale fra individuo e società, fra singolo e specie.
Al mutato punto di vista corrispondono peraltro tonalità emotive molto diverse poiché, se Dickens sa essere compassionevole con l'individuo, non lo è mai con le istituzioni, come nelle famose immagini di Londra, metropoli fatiscente ed enorme discarica a cielo aperto, del carcere, del tribunale vorace, della burocrazia tentacolare e soffocante. Nelle pagine dedicate alla società nel suo insieme, infatti, la voce narrante acquista il tono sarcastico dell'osservatore disilluso, convinto del degrado irrimediabile delle cose. "What connexion can there be?"20 si chiede il narratore di Bleak House (1852-53) mentre vaga desolato nello squallore dell'East End, dopo aver lasciato i quartieri eleganti dell'aristocrazia. In Little Dorrit (1855-57) il punto di vista si muove da Marshalsea, dove la gente è talvolta imprigionata per debiti molto modesti, all'entourage del grande finanziere Merdle, in realtà uno speculatore avventato, per di più delle ricchezze altrui, che è infine bancarottiere e suicida. In Our Mutual Friend lo sguardo scorre dalle storie di alcuni giovani, più o meno poveri, alla sfavillante società radunata intorno a quel simbolo della fatuità che è la famiglia Veneering.
Anche nell'opera di George Eliot la vicenda individuale, solitaria e dolorosa quando non apertamente tragica, è raccordata alla storia della comunità, che ne costituisce lo sfondo, come faceva il coro nella tragedia greca. Come Dickens, infatti, la scrittrice trasporta in chiave sociale e psicologica alcune formule dell'evoluzionismo darwiniano, in particolare l'osservazione delle dinamiche relazionali all'interno di una comunità. Non solo, è sua la metafora dello scrittore come scienziato e della scrittura come attività paragonabile all'osservazione al microscopio21. Come tuttavia la lente d'ingrandimento non è strumento neutro perché l'immagine è modificata dai fenomeni ottici dell'aberrazione cromatica e sferica, così la scrittura non è una tecnica ingenua, poiché richiede al romanziere una serie di scelte molto specifiche che a priori non possono che alterare il campo d'osservazione22. Non si può insomma rimanere esterni a ciò che si studia poiché, come dirà nel Novecento Popper a proposito della metodologia della scienza, un osservatore condiziona per la sua stessa esistenza e con le sue aspettative le modalità dell'esperimento scientifico.
Ma per la stessa George Eliot è evidente che l'evoluzione della specie umana avviene su un piano squisitamente simbolico, che non riguarda tanto il patrimonio genetico, quanto la trasformazione della coscienza individuale e poi i destini collettivi, come per quel "social lot of women"23 che è menzionato in apertura a Middlemarch. Ad ogni individuo tocca la responsabilità di operare la propria sintesi di valori e il dovere, se necessario, di varcare nuove frontiere. Chi non accetta il dinamismo inebriante ma faticoso della condizione umana non solo non rimane fermo, essendo la stasi condizione incompatibile con la modernità, ma piuttosto si "controevolve".
In tutto il romanzo vittoriano il processo di "devolution", che vede l'uomo ritornare al livello animale, esprime, per dirla con Darwin, l'"unfitness", cioè l'inadeguatezza del soggetto rispetto ad una determinata situazione. In Wuthering Heights, che è un testo strutturato sul fluire del tempo e pervaso di immagini di proliferazione e moltiplicazione, Lockwood, narratore indolente e spettatore amorfo di una storia di passioni estreme che lui stesso non è in grado di provare, è infatti come una lumaca che si ritrae in se stessa: "I confess it with shame - shrank icily into myself, like a snail, at every glance retired colder and farther"24.
Rosamond Lydgate è sì una donna di grande fascino e bellezza, ma egoismo e narcisismo la rendono del tutto sorda ai bisogni del marito, di cui frustra crudelmente la passione per la ricerca scientifica. È quindi un personaggio che non consegue una piena umanità, ma che anzi regredisce nella scala degli esseri, tanto da essere paragonata prima ad un bellissimo ma inutile uccello del paradiso25 e poi, dallo stesso marito, ad una mortifera pianta di basilico26, come quella fiorita nel vaso dove la sfortunata Lisabetta della novella di Boccaccio ha seppellito la testa recisa dell'innamorato Lorenzo, assassinato a tradimento dai suoi fratelli27.
Traumatizzato da una vicenda di inganni, Silas Marner si è chiuso alla relazione con gli altri, concentrandosi esclusivamente sul suo lavoro di tessitore che lo fa regredire allo stato di "spinning insect"28. Ma, nonostante la sua esistenza così limitata, in lui si svolgono comunque - come suggerisce il narratore - "a history and a metamorphosis, as that of every fervid nature must be when it has fled, or been condemned to solitude"29. L'arrivo di una bimba, Eppie, a cui farà da padre, lo risveglierà alla vita.
La metamorfosi è inarrestabile, irreversibile e dolorosa non solo quando investe tutto il corpo, come nel caso di Jekyll che la scatena con l'ausilio di un misterioso pharmakon, ma anche quando il mutamento è solo interiore. Cambiare costringe il soggetto ad abbandonare le proprie sicurezze e dunque ad affrontare una specie di morte simbolica. Convinta che fra Will e lei sia tutto finito poiché sospetta che l'uomo abbia una relazione con Rosamond, dopo una notte insonne Dorothea decide di cambiarsi d'abito, mostrando con quel gesto di volersi spogliare del pesante fardello del passato. È affiorata in lei una consapevolezza diversa e più matura della vita, pur nella persistente cognizione del dolore.
 
She might have compared her experience at that moment to the vague, alarmed consciousness that her life was taking on a new form, that she was undergoing a metamorphosis in which memory would not adjust itself to the stirring of new organs. Everything was changing its aspect [...] her world was in a state of convulsive change; the only thing she could say distinctly to herself was, that she must wait and think anew30.
 
D'altro canto, il poter e saper cambiare è segno di una vitalità che è assai attraente in una società ingessata quale quella vittoriana. A causa della mésalliance dei suoi genitori che getta un'ombra sui suoi natali e dunque lo esclude da una situazione di privilegio, Will è un soggetto particolarmente metamorfico, cioè è un individuo costretto a giocarsi al di fuori degli schemi legati al rango sociale e al patrimonio, che deve forgiarsi un futuro estremamente personalizzato, come infatti avverrà.
 
The first impression on seeing Will was one of sunny brightness, which added to the uncertainty of his changing expression. Surely his very features changed their form; his jaw looked sometimes large and sometimes small; and the little ripple in his nose was a preparation for metamorphosis31.
 
La metamorfosi comporta per tutti gli esseri viventi una serie di processi diacronici, ma a differenza degli animali gli uomini sono consapevoli del passare del tempo, cioè possiedono una dimensione storica, che permette loro di parlare di passato, presente e futuro in senso individuale e collettivo. Il mutamento del personaggio nel tempo, dunque, interseca la riflessione storica che, nel pensiero ottocentesco, vede opporsi due filosofie antagoniste, radicate in due diverse visioni della società. Se il filosofo positivista Comte individua nella storia la cooperazione fra generazioni successive per la crescita della civiltà, avallando così il mito del progresso continuo dell'umanità, per Marx, invece, le generazioni sono in rapporto conflittuale fra loro e sfruttano irresponsabilmente le risorse ereditate dal passato. L'unica tradizione che permane, pur nel conflitto generazionale, è quella della prodigalità incosciente, che fa sprecare i beni che sarebbero destinati ai posteri. Neanche la cultura è indenne dalla rapacità umana: gli oggetti artistici non esprimono più il rapporto vitale dell'artista con la sua creazione, ma sono divenuti merce da collezionismo e quindi ulteriore motivo di brama acquisitiva32.
In quel testo emblematico che è Middlemarch, e in particolare nei capitoli della luna di miele di Dorothea e Casaubon a Roma, è evidente che la cocente disillusione di Dorothea, durante il suo soggiorno nell'illustre città italiana, non è solo affettiva e sessuale, ma riguarda anche la sua capacità di godere in modo vitale delle molte vestigia del passato che Roma dispiega sotto i suoi occhi. La giovane non riesce a capire se la storia sia semplicemente una parata di cose morte, o se mantenga qualche forma di connessione vitale con il presente. Quando visita i musei Vaticani, tra le statue che la fissano con occhi marmorei rischia di trasformarsi, lei pure, in una statua senza vita, mentre la cultura classica, banalizzata dalla pedanteria del marito, le appare solo un accumulo di frammenti non collegati. Spesso Dorothea preferisce recarsi nella campagna romana per starsene sola con il cielo e la terra, "away from the oppressive masquerade of ages, in which her own life too seemed to become a masque with enigmatical costumes"33.
L'alienazione di Dorothea ricorda la poesia di Browning, "Two in the Campagna" (1855)34, che narra dell'isolamento dei due innamorati sotto il cielo italiano e della loro incapacità di comunicare. La stessa Amy Dorrit dickensiana confessa il suo smarrimento durante il viaggio in Italia in una lettera che scrive proprio da Roma:
 
Old as these cities are, their age itself is hardly so curious, to my reflections, as that they should have been in their places all through those days when I did not even know of the existence of more than two or three of them, and when I scarcely knew of anything outside our old walls. There is something melancholy in it, and I don't know why35.
 
Ma anche per le eroine jamesiane, fra cui Isabel Archer, il rapporto con la cultura del passato su un suolo così ricco di memorie come quello italiano, è comunque problematico. Difatti il rigoglio di citazioni culturali non è sufficiente per collocare la vicenda individuale in un quadro di riferimenti sovrapersonali significativi e l'alienazione del personaggio tradisce soprattutto quella - extratestuale - dell'intellettuale vittoriano, che si sente ormai lontano da una cultura datata e pletorica ed è tristemente consapevole dell'impossibilità di sperimentare, attraverso il rapporto con la natura e con l'arte, quella rigenerazione che al poeta romantico era parsa ancora possibile.
Se ci si muove ora dal personaggio al testo, non si può non osservare come, grazie al rapporto che si istituisce fra contenuto e forma nel sistema semiotico testuale, la caratterizzazione del personaggio si riverberi nell'organizzazione narrativa. Nel mondo del romanzo, infatti, personaggio e trama non sono in un qualsivoglia rapporto di causa ed effetto, ma in un'alleanza reciproca di mutua significazione e funzionalità36. Al soggetto metamorfico, solitario e mutevole corrisponde così un testo polimorfico, un prisma che, come scrive Marucci37, rifrange i diversi colori di punti di vista plurimi.
Il romanzo vittoriano è infatti una struttura dall'articolazione pluristratificata, spesso a più trame e più voci narranti, e comunque sobillata da diverse prospettive che relativizzano le possibili versioni della verità38. Lo specchio, che è il noto simbolo delle capacità mimetiche della scrittura e che lo scrittore regge volgendolo verso la scena del mondo, è ora introiettato nella mente dell'artista, come confessa George Eliot in Adam Bede (1859) e come già aveva fatto Balzac nella prefazione del 1831 a La Peau de chagrin39. Il romanziere è quindi costretto ad ammettere il carattere fortemente idiosincratico e soggettivo di ogni sua rappresentazione della realtà e la limitatezza dei propri poteri nel dare unità e significato a ciò che è disparato e frammentario40. Quand'anche c'è, infatti, il narratore onnisciente - quello, per esempio, di Vanity Fair (1847-48) di Thackeray - mostra una crescente reticenza nei confronti della verità del personaggio, che è sempre più compito del lettore decifrare. Oppure confessa l'angustia del suo campo d'indagine:
 
I at least have so much to do in unravelling certain human lots, and seeing how they were woven and interwoven, that all the light I can command must be concentrated on this particular web, and not dispersed over that tempting range of relevancies called the universe41.
 
Al di là dell'organizzazione superficiale della trama, la strutturazione profonda del narrato si modella sui moti interiori del personaggio, in un'affascinante corrispondenza fra dinamiche psicologiche e narrative42. Il romanzo vittoriano, infatti, appare mobilizzato dal desiderio, dalla nostalgia, dal narcisismo, è in altre parole un testo che, anche quando si dispiega su larghi squarci di realtà, reca le tracce delle energie e delle sofferenze nascoste nelle pieghe della coscienza. Come per Pip di Great Expectations, raccontare è sempre più raccontarsi.
Se già un romanzo antesignano come Wuthering Heights si avvaleva di tutta la libertà di una scrittura che non voleva distinguere fra veglia e sogno43, e ricorreva ad "una morbosa incapsulazione dei narratori"44, a partire dalla seconda metà del secolo i romanzieri vittoriani saranno sempre più critici nei confronti di una scrittura realistica, molto spesso non creativa, superficiale e conformista, che riesce a rispondere solo ai gusti di chi è un vero e proprio "fossile" come Mr Podsnap di Dickens:
 
Mr Podsnap's world was not a very large world, morally; no, nor even geographically [...] the world got up at eight, shaved close at quarter-past, breakfasted at nine, went to the City at ten, came home at half-past five, and dined at seven. Mr Podsnap's notions of the Arts in their integrity might have been stated thus. Literature; large print, respectfully descriptive of getting up at eight, shaving close at a quarter past, breakfasting at nine, going to the City at ten, coming home at half-past five, and dining at seven. Painting and Sculpture; models and portraits representing Professors of getting up at eight, shaving close at a quarter past, breakfasting at nine, going to the City at ten, coming home at half-past five, and dining at seven. Music; a respectable performance (without variations) on stringed and wind instruments, sedately expressive of getting up at eight, shaving close at a quarter past, breakfasting at nine, going to the City at ten, coming home at half-past five, and dining at seven. Nothing else to be permitted to those same vagrants the Arts, on pain of excommunication. Nothing else To Be - anywhere45.
 
Nel saggio "A Humble Remonstrance" (1884) Stevenson, che è fra i più convinti sostenitori dell'assoluta libertà creativa della letteratura, affermerà infatti in risposta polemica a Walter Besant, alla sua concezione della scrittura come mestiere artigianale e alla Society of Authors che "the novel which is a work of art exists by its immeasurable difference from life"46.
È stato osservato che le metamorfosi del personaggio possono essere lette metanarrativamente come allegorie della scrittura e della sua inafferabilità, poiché la scrittura è in essenza un gioco inesauribile di sostituzioni. Ma soprattutto, si dovrebbe aggiungere, le metamorfosi nel testo vanno comprese come allegorie delle metamorfosi del testo47, in quanto è il testo che, per sua stessa natura, si dimostra irriducibile ad un significato univoco. Come dunque le metamorfosi del personaggio sono processi enigmatici, invisibili e travolgenti, così il testo con le sue metamorfosi, cioè con le sue implausibilità, le omissioni inspiegabili, le cesure deliberate, le versioni contrastanti, si ribella a qualsiasi interpretazione selettiva che lo voglia limitare ad uno soltanto dei suoi molti aspetti.
In Our Mutual Friend, romanzo che racconta il dissolversi della società e delle relazioni umane in una Londra notturna e degradata, a un bizzarro individuo dal nome emblematico di Mr Venus - nome latino di Venere, la dea della bellezza - è affidata la responsabilità di simboleggiare lo sforzo riordinatore dell'arte48. Infatti, in un mondo che va a pezzi, il grottesco individuo, che per mestiere fa l'articolatore, cioè rimette insieme scheletri umani e animali di ogni tipo, dovrebbe diventare l'emblema "dell'unità infranta del testo e della sua laboriosa ricomposizione"49. Ma l'impegno di Mr Venus è destinato a fallire, perché la frantumazione del testo è così radicale che Dickens la può risolvere solo con il ricorso a tutti gli arbìtri della trama, il che impone al romanzo un'armonia fasulla, contraria alle sue più intime fibre.
Nel romanzo di Stevenson, invece, come il metamorfico Hyde è sino alla fine corpo misterioso e sfuggente, così il testo è il prodotto di racconti diversi e di pari autorevolezza, o meglio, di uguale inaffidabilità. Pertanto il lettore è costretto ad accettare la frammentazione come modello del reale - o meglio delle sue molte e mutevoli immagini.