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Elena
Chialchia
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- A fine fan before her
face: analisi dell'immagine autoriale in alcune opere di
Delarivier Manley
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- Nel groviglio di forme letterarie in
evoluzione caratteristico del periodo immediatamente precedente la
comparsa del cosiddetto "romanzo borghese", nell'intricata
comunità di scrittori e scribacchini intenti a cimentarsi
nei generi più disparati e a saggiare le reazioni di un
mercato letterario la cui esistenza era ormai incontrovertibile,
gli scritti e la figura stessa di Delarivier Manley (1672?-1724)
non passarono certamente inosservati. Considerata la più
importante tra le scrittrici dell'epoca successiva alla scomparsa
di Aphra Behn - quando non addirittura "più grande" di
quest'ultima, come avrebbe affermato un suo contemporaneo, James
Sterling, nel 1732 -, Delarivier Manley è stata una delle
figure più insolite del mondo letterario londinese dei
primi anni del Settecento, mentre ancora oggi la sua controversa
biografia affascina al pari di un romanzo coloro che la eleggono
ad oggetto di studio1. Sebbene alla sua nascita si
prospettasse per lei una vita agiata negli ambienti aristocratici
e a contatto con la corte, Manley fu tuttavia costretta a
ricorrere alla scrittura per motivi economici. Poche figure
femminili prima di lei avevano fatto il proprio ingresso nel
mercato letterario ed avevano considerato se stesse
"professioniste": il suo atteggiamento, nonché i suoi
scritti, attirarono su di lei lo sguardo - a volte di
approvazione, più spesso, invece, di condanna - dei
contemporanei. L'autrice stupì il pubblico di lettori
dell'epoca con scritti erotici i cui riferimenti al mondo politico
non erano difficili da individuare. Nel 1709, a causa del suo
coinvolgimento nella propaganda a favore del partito tory,
fu persino arrestata: lungi dal fermarla, tale episodio
contribuì ad incrementare il suo interesse per il
giornalismo politico, attività che per lei coincise
soprattutto con gli anni compresi tra il 1710 ed il 1711. La sua
vena satirica fu apprezzata da un letterato notoriamente misogino
quale Jonathan Swift, mentre stuzzicò a più riprese
l'attenzione tagliente di Richard Steele.
- Tuttavia, quando, nel 1714, avuta
notizia che l'editore Edmund Curll aveva affidato alla penna
ostile di Charles Gildon la stesura della sua biografia, fu
"costretta", giocando d'anticipo, a dare una "forma" alla propria
vita, a scriverla di proprio pugno e dunque a "chiuderla" in una
catena permanente di cause ed effetti che l'avrebbe sottratta
all'arbitrio altrui, Manley evitò di enfatizzare il valore
politico dei propri scritti. Rivella - questo il titolo
dell'autobiografia "romanzata" - infatti non si sofferma sul
cosiddetto "periodo di giornalismo politico" della vita
dell'autrice, anzi, al contrario, evita di accennare al ruolo
ricoperto da quest'ultima nel corso della propaganda di partito
successiva al processo subìto per The New Atalantis.
Dicendosi pentita per l'attività intrapresa a sostegno dei
tory, la protagonista dell'opera "promette" di non ripetere
più il medesimo errore, sottolineando, al contrario, la
propria abilità quale scrittrice "d'amore". Nel tracciare
il proprio autoritratto, Manley indugiava su caratteristiche
fisiche quali la profondità dello sguardo magico e
seduttivo, e metteva in risalto doti morali come la
generosità e lo spirito di sacrificio. Attività
"politiche" quali la collaborazione all'Examiner o al
più "mite" Female Tatler, nonché la stesura
di alcuni pamphlet, scompaiono dal novero delle sue
esperienze2.
- Tali reticenze risultano meno difficili
da inquadrare e comprendere qualora si prendano in esame alcune
opere della precedente produzione artistica di Manley. Una delle
caratteristiche principali riscontrabili in scritti quali le
Letters (1696), The New Atalantis (1709), The
Female Tatler (1709) ed Almyna (1706) è
l'elusività della persona autoriale, ovvero, la tendenza,
da parte della scrittrice, ad elaborare una varietà di
maschere dietro cui velare e confondere la propria
"voce".
- Vale la pena soffermarsi sull'immagine
che di lei ci consegna la quarta epistola delle Letters,
nella quale viene descritto un gruppo di avventori appena giunti
alla medesima locanda in cui l'autrice alloggia per la notte,
lungo il tragitto verso Exeter:
-
- My Chamber Window answered the Court;
I rose to it at the Noise of the Coach, and presently saw
alight a tall, blustering, big-boned, raw Thing, like an
overgrown School-Boy, but conceited above any Thing. He had an
Appurtenance, called a Wife, [...]. She seemed a Giant
of a Woman, but very fine, with a right Citt-Air. He blustered
presently for the best Lodging, which he saw taken up by her
that held the fine Fan before her Face: You may guess this was
your humble Servant3.
-
- L'oste è costretto a negare ad
altri la camera migliore, poiché occupata "by her that held
the fine Fan before her Face" ovvero, dall'autrice. Questa
è la prima immagine che la scrittrice diede di sé
nel corso delle proprie opere. Senza riferire alcun particolare
del proprio aspetto fisico - lo avrebbe fatto soltanto nel 1714,
in Rivella -, Manley si presentava con un gesto insolito e
seduttivo: coprendo tramite un ventaglio il proprio viso. Invece
di svelare la propria identità allo sguardo dei nuovi
arrivati - ovvero, a quello del lettore -, la protagonista -
ovvero, l'autrice - sceglieva di celarla. Nel contempo, con forte
effetto di contrasto, tale scelta veniva ostentata: l'"umile
servitrice", pur consapevole di essere vista, mantiene il
ventaglio ben aperto. In questo ritratto sfuocato di Delarivier
Manley, il cui viso solo in parte si rivela, sottraendosi ad
un'individuazione precisa, ritengo di poter ravvisare la simbolica
iconografia di una strategia narrativa che nelle pagine seguenti
cercherò di esaminare. Manley, nelle opere anteriori
all'autobiografia romanzata - le Letters, The Female
Tatler, The New Atalantis ed Almyna - scelse di rappresentare
se stessa nelle vesti di almeno tre differenti tipi di donna: la
confidente-pettegola, la femme fatale e l'eroina-vittima.
Tuttavia, la scrittrice fece ricorso a queste "persone" senza mai
identificarsi totalmente con nessuna di esse, o meglio, creando
nel lettore l'impressione che "dietro" potesse esserci "altro".
Tramite la lettura dei suoi scritti è possibile intuire che
la figura femminile in cui l'autrice soprattutto si riconosceva -
una scrittrice professionista, una colta donna di lettere -
sembrava non coincidere con quella esibita. Lo "schermo" offerto
dal ventaglio si propone dunque, in questa luce, quale metafora di
un ambiguo atteggiamento autoriale: in altre parole, diventa
metafora dei tanti stratagemmi cui l'autrice fece ricorso per
celare - e, nel contempo, per suggerire - il tipo di donna con cui
in realtà avrebbe voluto essere
identificata.
- Nel dare di se stessa l'immagine di
"dama con il fine ventaglio", Manley apparentemente non diceva
molto di sé. Simbolo assai diffuso e scontato di frivolezza
femminile, agli inizi del Settecento, in un articolo piuttosto
mordace del Tatler 4, il ventaglio sarebbe stato
ironicamente descritto come "all the Armour of Woman" nel campo
della seduzione "a distanza": a parere dell'autore (probabilmente
Addison), se usata "ad arte", tale "bacchetta magica" permetteva a
colei che ne fosse in possesso di controllare "the Hearts of all
her Beholders"5 .
- Nell'opera d'esordio, dunque, quelle
Letters la cui pubblicazione Manley apparentemente volle
disconoscere, sostenendo (ma si trattò forse di una manovra
pubblicitaria) che non era stata autorizzata, l'autrice sembra
legare la propria immagine all'idea di frivolezza, suggerita anche
tramite la "musicalità" di allitterazioni quali "fine",
"fan", "face". D'altra parte, il leggiadro ventaglio rappresenta
anche una "difesa" e contribuisce ad alimentare l'alone di mistero
intorno alla donna che, oltre ad essere protagonista di un viaggio
in diligenza, è anche la voce narrante e, in ultima
analisi, rappresenta l'autrice. Il ventaglio protegge la
dignità e la reputazione di colei che nasconde e, al tempo
stesso, ne circonda l'immagine di ambiguità e di fascino:
mediante un aggettivo quale l'inglese "fine", che può
significare sia "elegante", sia "sottile", viene suggerita, nel
piccolo strumento, una trasparenza di tessuti che contribuisce a
stuzzicare l'attenzione verso la sconosciuta che ne fa uso.
Tramite esso, la dama è in grado di sottrarsi all'indagine
nello stesso istante in cui gli altri diventano oggetto di
scrutinio: non dimentichiamo che alla prerogativa
dell'invisibilità quale stratagemma per osservare
indisturbate avrebbero in seguito fatto ricorso anche le tre
figure allegoriche protagoniste di The New Atalantis,
Astrea, Virtue ed Intelligence. Ben lungi dall'indicare
riservatezza, tale vezzo rimanda dunque ad una figura di donna
cara all'immaginario dell'autrice: quella dell'osservatrice
curiosa, nonché giudice, dei costumi altrui, ovvero, quella
della dama distinta che, un po' confidente, un po' pettegola, ama
intrattenersi con le vicende - di solito amorose - del prossimo.
In tale ambito rientrano Mrs.Crackenthorpe, Lady Intelligence e la
stessa Rivella. Emblematici risultano i motivi che, nella lettera
citata, spingono la protagonista a fare la conoscenza di una
giovane signora appena arrivata alla locanda:
-
- [...] casting my Eyes upon a
Gentlewoman and her Servant, that came out last, I found
something pleased me; [...]. I had a Basin of fine
Heart- Cherries before me, just come from the Garden: I caused
them to be brought after me into the Gallery, and designed them
as a Bait to the Woman whom I was to begin the Acquaintance
with; [...]. The Gentile- looked Lady had much to do to
be persuaded6.
-
- L'attrazione verso la forestiera non
pare suscitata da altro che lo sguardo. L'autrice-protagonista
ricopre il ruolo di "adescatrice", abile nell'attirare la
sconosciuta accanto a sé. La dolcezza del frutto appena
colto nel "giardino" servirà a catturare la giovane preda;
novella Eva, Lady Stanhope (questo il suo nome) viene attirata -
non senza fatica, sottolinea Manley - da ciliegie che, come
un'esca, la avvicineranno alla "dama dal fine ventaglio", e la
porteranno a svelare le sue avventure amorose. La protagonista si
dimostra in grado di controllare la situazione, poiché
è colei che "fa in modo" ("caused"), che "destina,
progetta" ("designed"). D'altra parte, Delarivier non è una
manipolatrice di persone: tutto ciò che cerca è il
piacere della conversazione e, se possibile, di un racconto
avvincente da offrire al proprio interlocutore epistolare. Nelle
lettere, infatti, l'autrice racconta molto poco di sé: in
esse non si assiste ad un percorso autobiografico vero e proprio,
ed il viaggio viene descritto in modo sommario, rivelandosi
"pretesto", ovvero "espediente" che motiva e permette la
narrazione, e "pre-testo", "cornice" in cui inserire le vicende
dei vari personaggi incontrati.
- Leggendo le epistole si ha l'impressione
che la protagonista sia una donna di mondo, esperta e sicura di
sé. Non ha infatti problemi a capire la natura di chi la
circonda, né ignora il turbamento che è in grado di
provocare negli uomini. Tale, del resto, è l'opinione che
gli altri personaggi hanno di lei: "a Lady of [...] Charms
and Sense", cui si riconosce "a great deal of
wit".
- Alla presenza di spirito dell'autrice
deve credere anche il lettore, il quale, diversamente dai
personaggi, ha accesso ai pensieri della protagonista. Solo a lui,
infatti, è dato di cogliere il variare dello stato d'animo
a partire dalle prime lettere; quella d'esordio, in particolare,
è caratterizzata dalla malinconia, e pare priva dello
spirito umoristico e della leggerezza riscontrabili, al contrario,
nelle successive:
-
- Tho' Midsummer to all besides, in my
Breast there is nothing but frozen Imaginations. The
Resolutions I have taken of quitting London (which is as much
as to say, the World) for ever, starts back, and asks my gayer
Part if it has well weighed the Sense of Ever? [...] It
is of the latest now to ask me why I leave the crowded Market,
and retire to starve alone in Solitude? [...] Horace,
Cowley, all those Illustrious Lovers of Solitude, debauched my
Opinion, against my Reason: I took Coach with Mr.Granvilles's
Words in my Mouth, [...]7.
-
- Dalla lettera si evince il rimpianto
della narratrice per aver dovuto contrastare le proprie naturali
inclinazioni, il lato "più gaio" del proprio carattere.
Londra per l'autrice rappresenta "il mondo", ovvero, il piacere
della "conversazione": più avanti, nella stessa raccolta,
Manley esprimerà la propria istintiva e combattuta
attrazione verso "the Vanities and Virtues" della capitale,
definita perfino "that Hydra"8. La lontananza spinge
tuttavia il pensiero di Delarivier a soffermarsi sulle
soddisfazioni che "l'affollato mercato" regala, e ad indulgere in
"melancholy Apprehensions"9. Del resto, nel brano
citato, ricorrono vocaboli la cui accezione erotica non è
da sottovalutare: l'autrice sembra maliziosamente ammiccare ad
altri vantaggi legati alla città. Ritirandosi in campagna,
ella ha rinunciato agli incontri amorosi, ai riti del
corteggiamento cui è avvezza: al "mercato" di relazioni
umane si oppone una "solitudine" ben più "gelida" e
percepita come innaturale - "to starve" sembrerebbe indicare uno
stato di languore anche sessuale, un'inedia derivante non soltanto
dalla mancanza di stimoli culturali e sociali tipica della vita di
provincia (come vorrebbe una prima lettura del testo) ma anche
dall'assenza di altro che non sia la "seduzione" (ella è
infatti stata "debauched") di algidi "amanti della
solitudine".
- Anche se Manley fu probabilmente
costretta ad abbandonare Londra essenzialmente per motivi
economici, dall'epistolario non traspare alcun riferimento ad essi
e la scelta viene addebitata piuttosto al bisogno di solitudine e
di ritiro. Ogni tentativo di ricostruzione biografica deve
confrontarsi con frasi criptiche, che non permettono di approdare
ad alcuna certezza riguardo alla protagonista: il vero motivo del
viaggio rimane sconosciuto, così come ignota è
l'identità del destinatario delle lettere - o
"interlocutore assente". D'altra parte, nel corso dell'ottava
epistola, l'ultima della raccolta, Delarivier sembra confessare la
propria "dissimulazione": ritenendosi inadatta a convivere con la
solitudine, finalmente disconosce ogni "idea di ritiro", per
arrivare ad affermare una volta per tutte che "there is no real
Satisfaction without Conversation".
- Dunque, Manley non intende informare i
lettori, bensì giustificare il proprio stile di vita.
L'autrice ha "calcolato" le possibili obiezioni dell'interlocutore
virtuale e tenta di rassicurarlo. Le Letters dovevano
contribuire a creare l'immagine "pubblica" della esordiente
scrittrice: esse "aprivano la strada" alla fine della sua
permanenza lontano dalla capitale, al ritorno di Delarivier a
Londra, ovvero, al suo debutto nei teatri. Inoltre, tramite esse,
l'autrice volle rendere nota la propria condanna di uno degli
episodi che avevano segnato per sempre la sua reputazione: Manley,
seppur velatamente, prendeva le distanze dal proprio matrimonio
risultato illegittimo con il cugino; lo rinnegava, senza tuttavia
soffermarvisi e senza enfatizzarne
l'illegalità10.
- Il peso dell'errore compiuto anni prima
e delle sue conseguenze è presente fin dall'esordio nella
raccolta: come suggerisce Fidelis Morgan, una delle massime
studiose delle opere di Manley, è infatti possibile
scoprire un riferimento "nascosto" alla vita dell'autrice anche
nella anomala datazione delle lettere. La prima epistola, da
Egham, sebbene scritta il 21 giugno 1694, è datata 24
giugno, mentre le due successive sono del 22 e del 23 giugno; la
quarta, da Salisbury, compare priva di altre precisazioni
all'infuori di un generico "Saturday"11. Ritengo, con
Morgan, che Manley abbia anteposto la lettera del 24 giugno
intenzionalmente, facendo in tal modo coincidere l'incipit
dell'epistolario con il compleanno del figlio John, nato tre anni
prima dalla relazione con il cugino. Una cifra simbolica dunque
apre la raccolta e, chissà, forse - ma è solo
un'ipotesi - l'autrice volle "indicare" tramite la data il motivo
sotteso al viaggio: andare a trovare il figlio, oppure il padre di
quest'ultimo, John Manley12. A tale proposito è
inoltre importante ricordare che il 24 giugno è dedicato,
nel calendario, a San Giovanni Battista; l'autrice potrebbe aver
voluto indirizzare l'attenzione del lettore verso il nome "John",
che al marito e al figlio - e quindi ai lati oscuri della sua vita
- rimandava. Nell'edizione del 1725 delle Letters,
pubblicata da Curll dopo la scomparsa di Delarivier, la datazione
delle epistole venne rimaneggiata, probabilmente per rendere meno
evidenti le incongruenze, mentre dalla prima lettera scomparve
ogni riferimento "diretto" al 24 giugno, sostituito appunto da una
perifrasi quale "St.John Baptist"13.
- Alla luce di quanto affermato, l'umore
malinconico della lettera citata sembra dunque ascrivibile al
ricordo del proprio matrimonio illecito e del figlio lontano: di
quest'ultimo, in particolare ricordato in The New Atalantis
come "My wretched son, [...] a mortal wound to my repose",
la cui nascita illegittima "glared full upon my imagination. I saw
the future upbraiding him with his father's treachery and his
mother's misfortune"14, l'autrice non avrebbe mai
parlato volentieri.
- Il ventaglio nascondeva un segreto, che
la malinconica ma "stoica" e distaccata dama sceglieva di non
rivelare agli sconosciuti, cercando, al contempo, di sfruttare la
condizione di "invisibilità" sociale cui, in quanto donna
"caduta", era stata relegata. Al limite, come abbiamo visto,
poteva "giocare" con simboli e riferimenti criptati o
imprecisi.
- Il mistero e la reticenza che circondano
le vicende personali della protagonista svaniscono tuttavia
qualora si tratti di segnalare ai lettori la sua erudizione
insolitamente vasta. Lo spessore culturale di Delarivier, davvero
straordinario all'epoca, doveva trasparire dai suoi scritti per
poter contribuire all'affermazione della sua attività
letteraria e alla rivendicazione del suo diritto a dedicarvisi.
Anche Fidelis Morgan15 rileva l'insistenza quasi
programmatica con cui l'autrice, nelle Letters, ricorre
alle citazioni letterarie. Nella prima epistola, come abbiamo
visto, viene dato grande rilievo all'influsso subìto
tramite la lettura delle opere di Orazio, Cowley e "all those
Illustrious Lovers of Solitude", colpevoli di aver "corrotto" la
mente della protagonista spingendola a ricercare l'isolamento.
Manley rimanda apertamente alla scrittrice francese
D'Aulnoy16 (di cui si atteggia ad emula), ma non solo:
nel corso dell'epistolario esibisce la propria erudizione citando
la traduzione, da parte di Granville, dell'ode corale del
Tieste di Seneca, La vita di Temistocle di Plutarco,
e così via17. La protagonista del viaggio, di
sicuro un'ammaliatrice, risulta essere al contempo una donna
erudita: l'eclettismo caratterizza gli interessi intellettuali di
colei che, nel corso della quarta epistola, si definisce con
orgoglio "a Free-born Genius", "uno spirito
libero".
- E l'immagine di Manley, presentatasi fin
dall'opera d'esordio come autrice misteriosa, da "decifrare" e
scoprire, apparentemente legata al pettegolezzo e al tema amoroso,
davvero coincideva con quella della donna libera, della
viaggiatrice solitaria, in quanto tale contrapposta alla figura
femminile canonizzata dalla tradizione, stanziale e sedentaria. Le
Letters proponevano una "donna nuova", il cui viaggio in
apparenza era motivato dal bisogno, se non di catarsi, di
salvezza: la protagonista affermava di avere come meta la
solitudine, lo studio, le riflessioni filosofiche e religiose. Al
lettore offriva l'immagine della sagace pittrice di vicende
sentimentali, e, allo stesso tempo, della professionista degna di
rispetto per la sua grande cultura.
- Almeno altre due figure, negli scritti
di Delarivier, sembrano avere legami con la protagonista delle
Letters: Mrs. Crackenthorpe ed Intelligence. Esse
comparvero più o meno contemporaneamente, nel 1709: la
prima era la persona-"autrice" del periodico The Female
Tatler, la seconda, invece, un personaggio di The New
Atalantis. Se Intelligence, almeno in apparenza, si presentava
come figura immaginaria, fantastica e priva di collegamenti con il
mondo reale, Phoebe Crackenthorpe, al contrario, rimandava a
quest'ultimo per il ruolo di autrice da lei rivestito anche nella
finzione. In realtà, anche Mrs. Crackenthorpe era una
"invenzione", una creazione letteraria dietro la quale si celavano
uno o più autori. Vi sono perplessità riguardo
l'attribuzione di The Female Tatler: sebbene risulti impossibile
ascriverne con certezza la composizione, lo stile e il contenuto
di alcuni articoli sembrano rimandare a Manley18.
Dall'analisi della "persona" di Phoebe Crackenthorpe si evincono
particolari interessanti, che la avvicinano all'autrice di The
New Atalantis. In entrambe le opere la figura del narratore
è legata al pettegolezzo e alla fatuità femminile:
per potersi occupare di argomenti "seri" e "maschili", come quelli
politici, Delarivier Manley sfruttò l'immagine di donna
frivola e superficiale, amante degli intrighi e della chiacchiera,
e tuttavia fornì nel contempo elementi che contribuissero a
"smascherare" l'intrinseca natura dei suoi
narratori.
- Fin dal primo numero del periodico, la
persona dell'autrice del Female Tatler si presenta tramite
un piccolo ritratto ed una frase in latino. L'effigie rimanda ad
una donna piacente e sensuale: i capelli raccolti sul capo
lasciano scoperto il collo, un ricciolo ribelle rincorre la
scollatura di un abito che pone in risalto un petto formoso; un
piccolo neo - probabilmente posticcio, secondo i canoni del tempo
- evoca frivolezza e sensualità. L'elaborata acconciatura e
gli ornamenti del vestito suggeriscono gusti raffinati. La donna
non è di profilo, bensì offre il viso e lo sguardo,
quasi a voler sottolineare la propria temeraria franchezza e
indipendenza, mentre il tentativo della chioma di sfuggire ai
limiti posti al ritratto sembrerebbe rivelare esuberanza.
L'aspetto florido della dama acquista dignità dalle parole
latine incise lungo la cornice del cammeo. Raffinatezza e
frivolezza appaiono legate in questa immagine femminile, la cui
traduzione verbale è nel motto latino: "Sum canna vocalis",
"Sono la canna sonora". La donna del ritratto viene
metaforicamente assimilata ad una canna che, docile al vento, ha
la prerogativa di emettere suoni, i quali, in sequenza, acquistano
un significato, formano una musica. Del resto, non va dimenticato
che il termine "canna", in latino, per metonimia indica anche lo
strumento che al materiale di quella pianta è legato, ossia
il flauto. Inoltre, il cognome della dama, "Crackenthorpe", che
campeggia vicino all'immagine femminile, sembra risultare
dall'unione dei due termini "cracken" (participio passato del
verbo "to crack", che significa sia "chiacchierare", sia
"danneggiare, rovinare la reputazione di qualcuno") e "thorpe"
("villaggio", sostantivo solitamente usato quale suffisso nei
toponimi), e potrebbe significare, più o meno, "villaggio
chiacchierato". La proiezione iconografica dell'autrice del
periodico potrebbe perciò rappresentare un'elaborata
perifrasi atta ad esplicare la natura del giornale e del ruolo
della narratrice: quest'ultima audacemente raccoglierà i
sussurri e rivelerà le chiacchiere di una realtà
molto ristretta, di un "villaggio", ovvero della capitale
inglese.
- Nell'accostamento medesimo creato tra la
figura di Mrs. Crackenthorpe e una canna sonora, è dato
forse individuare un ulteriore elemento a favore dell'ipotesi che
dietro la persona letteraria ci fosse, se non Manley, per lo meno
una donna. L'immagine della "canna vocalis" richiama alla mente la
"prima" canna parlante, ovvero Siringa, la nota ninfa arcadica.
Nella mitologia greca, Siringa era l'amadriade che, per sottrarsi
all'amore del dio Pan, aveva ottenuto dalle naiadi,
divinità dei fiumi, di essere mutata in un fascio di canne;
con queste ultime, Pan si era in seguito fabbricato lo strumento
musicale che della ninfa avrebbe conservato il nome. La ninfa
Siringa - seguace di Diana, dea della castità - rappresenta
colei che rinuncia alla propria natura per poter sfuggire alla
sopraffazione. Per poter affermare il diritto a "dire di no", per
seguire la propria volontà, la ninfa rinnega la propria
femminilità, e sceglie di tramutarsi in qualcos'altro. Ella
incarna il tentativo, da parte del genere femminile, di opporsi
all'imposizione maschile tramite un "travestimento"; Siringa
riesce a mantenere il controllo della propria esistenza
poiché continuerà a vivere, sebbene sotto altre
sembianze. Se riferito ad un'autrice, e specificamente ad una
degli inizi del Settecento, il mito di Siringa sembra assumere un
significato particolare: la donna, per poter parlare, per poter
rendere la propria voce "sonora", deve farsi "altro", deve
camuffarsi, soprattutto se intende "giocare" con le allusioni
politiche. All'epoca, per una donna, l'attività letteraria
poteva comportare, a volte, una laboriosa
metamorfosi.
- È difficile stabilire al di
là di ogni dubbio se l'autrice celata dalla persona di
Phoebe Crackenthorpe fosse Manley: certamente, quest'ultima ha
dato prova di conoscere a fondo la mitologia classica, e le
Metamorfosi di Ovidio in particolare, in numerosi scritti,
e in un'opera contemporanea al Female Tatler, quale The
New Atalantis. Inoltre, il nome stesso di "Phoebe" rimanda a
Delarivier, per almeno due motivi. In primo luogo, va ricordato
che "Phoebe", "Febe", è, nella mitologia greca, uno dei
soprannomi di Diana, non soltanto dea della caccia, bensì
della luce lunare (e per tale motivo nota anche come Cinzia).
Diana, come il fratello Apollo, è nata sull'isola di Delo:
altro appellativo della dea, dunque, è "Delia". Il nome
scelto per la persona letteraria di Mrs. Crackenthorpe è
dunque allusivo di quello della scrittrice che abitualmente usava
firmarsi "Dela", e che avrebbe chiamato "Delia" l'eroina di un
racconto autobiografico coevo alla pubblicazione del periodico.
Inoltre, a Delarivier come "Delia" si era già riferita
Catherine Trotter, nei versi dedicati alla tragedia teatrale di
Manley del 1696, The Royal Mischief: "Delia than Ovid has
more moving strains". Anche Susanna Centlivre parlava di Manley
come "Delia"19. I nomi scelti - Phoebe e Delia -
potrebbero costituire uno dei tanti legami intertestuali che
testimoniano l'appartenenza di entrambe le opere alla penna di
Delarivier Manley.
- Potrebbe suffragare tale ipotesi un
ulteriore "riferimento incrociato": in Memoirs of Europe,
"cronaca scandalistica" di Delarivier Manley pubblicata nel 1710,
compare il personaggio di "Don Phoebo", e "Febo" è
l'appellativo di Apollo, dio del sole, che presiede anche al
sapere, all'ingegno ed al vaticinio. Nelle "chiavi" dell'opera,
Don Phoebo risulta essere "Mr. Isaac Bickerstaff" (alias
Richard Steele), del quale Mrs. Phoebe Crackenthorpe era la
controparte femminile20. Sebbene non contribuisca a far
definitivamente luce sulla natura della collaborazione di Manley a
The Female Tatler, la curiosa simmetria testimonia della
dimestichezza della scrittrice con il periodico e, nello stesso
tempo, avvalora l'ipotesi che i riferimenti mitologici e le scelte
onomastiche rivestano un ruolo importante all'interno delle
strategie narrative di Delarivier Manley.
- Al di là di quanto suggerito dal
ritratto, Phoebe Crackenthorpe non rinuncia a fornire in prima
persona una descrizione di sé: in due occasioni, nel
periodico, l'autrice affronta l'argomento, ed entrambe le volte,
sorvolando sul proprio aspetto fisico, sottolinea altre
qualità, ritenute più importanti. Nell'ottavo
articolo del Female Tatler, del luglio 1709, rispondendo ai
complimenti di un gentiluomo, l'autrice si schermisce
affermando:
-
- Beauty was ever the least of my aim,
I would rather chose [sic] to recommend myself by a
tolerable understanding. 'Tis true, it heightens a lady's
character, and when a fine woman shall deliver herself in an
elegant manner, her beauty, like sweetening a note in music, is
a grace to her expression, and the men are ravish'd with her,
when they'd be but barely pleas'd with one less agreeable. But,
if gentlemen would not value a woman chiefly for her person,
and think the silliest things wit, that come from youth and
beauty, our sex would employ some time in cultivating their
minds, and take more pains to place their words, than their
patches21.
-
- Il fascino della narratrice risiede in
doti solitamente non apprezzate nelle donne: la descrizione dei
tratti corporali viene tralasciata, poiché Mrs.
Crackenthorpe "preferisce" essere ricordata per un "discreto
intelletto". Anche altrove, nel numero 43 del periodico, Phoebe
rifugge dall'autoritratto:
-
- All people are in some measure
touched with self-conceit, partial to great defects, and too
opinionated of small beauties, [...]. Therefore as no
person can truly define themselves, I shall only tell the town
what sort of a woman I'd have them imagine me to
be22.
-
- Mrs. Crackenthorpe suggerisce al
pubblico di "immaginarla" - e quindi di "costruirla" con la mente
- assimilandola ad un tipo di donna di cui fornisce alcuni
requisiti essenziali, individuati nel carattere e
nell'atteggiamento, piuttosto che nelle sembianze:
-
- To embellish the mind rather than the
body, must gain general esteem, though to appear decent in
habit, shows respect to the persons we visit; though a woman of
fifteen may be a pretty plaything, yet a woman must be thirty
before she has a true management of her house, by that time she
has had little experience, is at the zenith of her
understanding and her little vanities and affectations
contemptibly thrown aside. She then chooses a husband with
judgment, manages him with prudence, and charms him more with
her conversation than with her person; a middle-aged,
middle-sized brown woman that's neither awkward nor coquettish,
foppish nor fanatical, but dresses herself like a gentlewoman,
moderately in the mode, with any easy, affable disposition, can
never want admirers from such as every lady would choose, who
desires to be entirely happy23.
-
- Anche qui Mrs. Crackenthorpe, persona
letteraria frutto della mente di un autore - o, più
probabilmente, dell'autrice Delarivier Manley -, creazione
appartenente al mondo della fantasia e non a quello reale,
anteponendo l'intelletto alla bellezza esteriore, si presenta come
una "gentildonna" ideale ed invita i lettori e, soprattutto, le
lettrici, a seguire il suo esempio e a raffinare la mente per
raggiungere la felicità nella loro sfera quotidiana. La
forza suasiva del modello femminile proposto risiede nella
moderazione ed equilibrio che sembrano caratterizzarlo, nella sua
equidistanza da ogni estremismo. La dama "perfetta", nell'opinione
di Mrs. Crackenthorpe, non soltanto si veste come una gentildonna,
bensì, in quanto tale, non ama gli eccessi: se segue la
moda, lo fa "con moderazione"; del resto, è in
quell'età "di mezzo" in cui la maturità
dell'intelletto ha raggiunto il suo apice.
- Al ritratto ideale qui delineato
corrispondeva, nella realtà, una donna in particolare:
Delarivier Manley. Se nata intorno al 1672, nel 1709 Delarivier
doveva avere da poco superato i trentacinque anni; inoltre, al
pari di Mrs. Crackenthorpe, anche la protagonista delle
Letters attribuiva grande importanza alle proprie doti
affabulatorie. Tale caratteristica lega tra loro tutte le eroine
di Delarivier in cui quest'ultima si riconosceva: anche Almyna,
come vedremo, e la stessa Rivella, caratterizzata da "a
Conversation always new, and which never
cloys"24.
- Mrs. Crackenthorpe si presenta dunque al
pubblico come una dama raffinata ed audace che, in campo
letterario, si ritiene in grado di competere con letterati del
calibro di Steele25 e che, dall'alto della propria
"onniscienza" (si è autodefinita "a Lady that knows
everything") si propone di divulgare notizie riguardanti gli
abitanti del "villaggio". In realtà, i suoi articoli
intendono al contempo agevolare e accelerare una riforma dei
costumi troppo a lungo rinviata: "an ingenious tatler will conduce
more to the reformation of mankind than an hypocritical society".
All'operato di istituzioni quali la "Society for the Reformation
of Manners", l'autrice intende contrapporre gli effetti dei propri
articoli satirici, da lei ritenuti "the only way to correct great
men's foibles"26. Infat-ti, a chi la accusi di
"scandalum magnatum", Mrs. Crackenthorpe risponde che "The end of
satire is reformation, and this would be of more force than your
societies for that purpose, were it duly observed and hearkened
to, without being misconstrued defamation"27. Le sue
"chiacchiere" sono in realtà satira politica e di
costume.
- Definizioni quali "a Lady that knows
everything" contribuivano a presentare l'autrice del Female
Tatler come una pericolosa osservatrice e relatrice dei fatti
altrui. In realtà ciò che la dama prediligeva, e si
dimostrava interessata a sapere, riguardava soltanto una parte
della popolazione del "villaggio", gli appartenenti ai ceti alti.
Questo aspetto crea un ulteriore legame tra Mrs. Crackenthorpe ed
il personaggio di Intelligence, la quale riporta gli avvenimenti
"scabrosi" che hanno coinvolto gli abitanti autorevoli di
Atalantis. Entrambe hanno il compito di narrare vicende umane per
sferzare il malcostume e la corruzione. D'altra parte, come
osserva Rosalind Ballaster28, The New Atalantis
è un'opera il cui scopo politico è evidente, mentre
in The Female Tatler gli interessi di partito passano in
secondo piano e le critiche riguardano la società nel suo
insieme. Sia Phoebe Crackenthorpe sia Lady Intelligence risultano
legate agli ambienti di corte: la prima ha parenti a Windsor, e le
origini della sua nobile famiglia (come quelle dei Manley, con i
quali i Crackenthorpe condividono anche la fede cattolica e la
lealtà al re) risalgono ai tempi di William The Conqueror.
La seconda, invece, appartiene per sua stessa ammissione alla
schiera di cortigiani che circondano la Principessa
Fama.
- Intelligence si presenta nei termini
seguenti ad Astrea e Virtue, che si accingono a "visitare" in sua
compagnia l'isola di Atalantis per osservare i costumi degli
abitanti:
-
- My name is Intelligence, I am groom
of the stole to the omnipotent Princess Fame, of whom all the
monarchs on the earth stand in
awe29.
-
- Se l'una è autrice, e riunisce
altre dame nel proprio salotto per "ciarlare", l'altra, al
servizio della principessa Fama, legata alla conoscenza di
notizie, alla circolazione di informazioni (in latino "fama"
deriva da "fari", "parlare"), è "prima dama di camera" e
restringe il proprio campo d'azione all'intimità
dell'alcova, al luogo in cui la più segreta natura degli
esseri umani viene svelata. La qualifica di Intelligence le impone
di essere sempre informata sulle novità dell'isola, e di
comunicarle tempestivamente alla principessa; del resto, come
precisa lei stessa, la sua natura le impedirebbe di mantenere un
segreto per più di "un istante":
-
- I would in a moment have dispatched
your affair, by a short whisper in the ears of Fame; the honour
of being let into so important a secret sits heavy upon me,
'till I have disburthened my self; besides, it is my duty
faithfully to report to her whatever is new, or of any seeming
importance30.
-
- Il personaggio di Intelligence sembra
possedere una levità di carattere cui sono estranee sia la
protagonista delle Letters, sia Mrs. Crackenthorpe. A
differenza di queste ultime, che hanno il controllo della propria
immagine, Intelligence è presentata, almeno in un primo
tempo, tramite la descrizione di un altro personaggio, Virtue,
che, dall'alto della propria integrità morale, la paragona
ad un frenetico cortigiano amante del pettegolezzo. Con lo sguardo
di Virtue coincide quello del lettore, per il quale il nuovo
personaggio si investe delle connotazioni ambigue evocate da tale
definizione. Per conferire credibilità a quanto
Intelligence sta per raccontare, Virtue è costretta a
specificare che, in quest'occasione, "Truth is summoned". Come
è noto, Manley volle creare un alone di elusività
intorno al personaggio del narratore per poter contrastare
eventuali accuse di libello. Minando la credibilità del
personaggio con cui in realtà in parte si identificava,
l'autrice a prima vista contribuiva a scoraggiare eventuali
collegamenti tra le storie narrate e la società
contemporanea. D'altra parte, l'iniziale immagine di Intelligence
quale frivola chiacchierona a caccia di scandali progressivamente
si evolve, nel corso dell'opera, in quella di una figura femminile
colta (conosce sia i classici sia la letteratura francese) e
vindice dei torti subìti dalla reputazione femminile, come
testimonia il brano seguente:
-
- "[...] is it criminal to
expose the pretenders to Virtue? those who rail at all the
world are themselves most guilty? Did I wrong the good! accuse
the innocent! that indeed would be blameable, but the libertine
in practice, the devotee in profession, those that with the
mask of hypocrisy undo the reputation of thousands, ought
pitilessly, by a sort of retaliation, to be exposed themselves,
and which I beg leave to appeal to the divine Astrea, whether
it be not justice?"31
-
-
- Intelligence, proiezione letteraria
dell'autrice, svela qui il reale compito cui deve assolvere:
contribuire a "smascherare" gli impostori e a rovinarne la
reputazione32. L'interesse per il pettegolezzo risulta
dunque legato ad un fine "nobile", e Intelligence ritiene che la
stessa dea della giustizia, Astrea, debba sancirne la
legittimità, riservando la sua condanna per chi coltivi il
pettegolezzo come forma di delazione, volta esclusivamente
all'altrui rovina ed al proprio vantaggio.
- Tra le figure create da Manley in cui
è lecito ravvisare portavoci della causa femminile e
proiezioni, anche se parziali, dell'autrice, rientra anche Almyna,
protagonista dell'omonimo dramma eroico. Scritto e rappresentato
nel 1706, ovvero tre anni prima del tratteggio di
Mrs.Crackenthorpe ed Intelligence, il dramma costituisce una tappa
importante nell'evoluzione del pensiero dell'autrice,
nonché un interessante esempio di riscrittura teatrale, in
particolare nell'ambito della produzione femminile degli inizi del
Settecento. I temi trattati - le ingiuste condanne ed i pregiudizi
maschili nei confronti delle donne - sarebbero tornati nelle opere
successive di Manley, che a sua volta mostrava non poche
affinità con l'eroina stessa. Almyna, or The
Arabian Vow rappresentava la risposta consapevole, da parte
della scrittrice, all'attacco ricevuto dieci anni prima, nel 1696,
dall'anonima commedia The Female Wits.
- La tragedia, in cinque atti, trae
ispirazione dalla vicenda di Sheherazade, che fa da "cornice" alla
raccolta delle Arabian
- Nights 33: un sultano
orientale, Shahriyàr, vendica il tradimento della moglie
non soltanto con l'uccisione di quest'ultima, bensì con il
sacrificio di ogni sua nuova sposa, che viene giustiziata dopo la
prima notte di nozze; Sheherazade si offre spontaneamente al
sultano, e tuttavia riesce ad impedire la propria esecuzione
narrando racconti che, per mille e una notte, incantano il
consorte e lo fanno innamorare. In Almyna compaiono almeno due
novità rispetto all'originale: innanzi tutto, Manley
inserì una trama "secondaria", parallela alla principale, e
riguardante la sorella di Almyna, Zoradia, ed il fratello
minore del re, Abdalla34.
- In secondo luogo, nell'opera teatrale
vengono sottolineate con enfasi le motivazioni dell'odio del
sultano nei confronti delle donne. Fin dalla prima scena del primo
atto lo scopo dell'autrice risulta evidente: mettere alla berlina
la convinzione, diffusa nell'antichità e confermata anche
da un'autorità religiosa quale il libro del Corano, che le
donne, come le bestie, siano prive di anima immortale. Il
personaggio di Almyna, nelle intenzioni di Delarivier, doveva
contribuire a cancellare tale pregiudizio, sia nella mente del
sultano che, soprattutto, in quella degli
spettatori.
- Al fine di ricostruire la figura
autoriale di Delarivier Manley tramite Almyna è
opportuno analizzare, unitamente ai contenuti dell'opera stessa,
il "paratesto" - in questo caso, la prefazione, il prologo e
l'epilogo, in cui è enfatizzata l'immagine di Manley quale
autrice professionista.
- Dalla prefazione, in particolare,
apprendiamo come il personaggio di Almanzor sia stato ispirato da
"that great Monarch, Caliph Valid Almanzor, who conquer'd
Spain"35. Immediato è il richiamo al
protagonista di The Conquest of Granada (1670-71) di
Dryden, attraverso il quale è probabile che Manley, oltre a
ribadire la propria cultura letteraria, abbia voluto rendere
omaggio al grande letterato: del resto, riferimenti ad un altro
dramma eroico di Dryden, Aureng-Zebe, erano già
presenti in The Royal Mischief 36. L'autrice
afferma inoltre di aver creato il personaggio di Almyna sulla base
di spunti tratti sia dalle Arabian Nights, sia da An Essay
on the Operas di John Dennis, letterato e critico di fama eminente
appartenente anch'egli alla cerchia di Dryden37.
Dennis, insieme al già citato Granville (autore di Essay
upon Unnatural Flights in Poetry) e a Dryden stesso (si pensi,
per esempio, al saggio Essay of Dramatic Poesy, del 1665, o
all'epilogo di The Conquest of Granada), contribuì
al dibattito teorico critico concernente l'importanza delle regole
e del decorum nelle composizioni letterarie. Non è
un caso che, nella prefazione di Manley, il nome di Dennis figuri
accanto al velato accenno a Dryden. L'autrice dimostrava di
condividere le teorie letterarie di questi scrittori. Tale ipotesi
trova conferma nei contenuti del prologo di Almyna, in cui,
alla difesa del dramma inglese, si affianca - in sintonia con le
opinioni espresse da Dennis - un attacco all'opera lirica
italiana. Un singolare nesso con i suddetti letterati è
costituito anche da un riferimento contenuto nell'epilogo: nel
ricordare l'immenso potere del pubblico riguardo al destino della
tragedia rappresentata, viene affermato che "No Party [has
been] made, at Will's, or Tom's, or Sam's" per difendere
l'autrice dagli attacchi38. "Will's" si chiamava la
"coffee-house" presso la quale si riunivano gli uomini di cultura
appartenenti alla cerchia di Dryden, tra cui lo stesso
Dennis39.
- La reiterata presenza, all'interno del
paratesto, delle idee di Dennis e di giudizi riguardanti
l'operistica italiana era probabilmente intesa anch'essa ad
evocare un'immagine autoriale di Delarivier Manley differente da
quella divulgata tramite The Female Wits. In tale commedia,
infatti, al personaggio di Marsilia (con cui proprio a lei si
alludeva) erano state attribuite opinioni ridicole ed insensate
riguardo al contenuto ed alla struttura delle opere liriche.
Marsilia, autrice di un libretto operistico, si vantava di aver
privilegiato il dialogo e la trama a scapito della musica. Il
riferimento alla prefazione di Albion and Albanius (1685),
di Dryden, in cui compariva l'analisi della natura delle varie
parti di un'opera lirica, era evidente40. La competenza
artistica dell'autrice veniva sminuita mostrando il divario
esistente fra le sue idee ed il pensiero del grande letterato:
quest'ultimo aveva infatti sottolineato l'importanza della musica
e ne auspicava la preminenza all'interno di una composizione
operistica. Manley, tornata ad occuparsi di teatro con
Almyna, intese riprendere il discorso interrotto dieci anni
prima - del resto, sappiamo come fosse poco disponibile a
dimenticare i torti subìti. Tale ipotesi sembra confermata
anche dal fatto che alcuni riferimenti a The Conquest of
Granada ed al personaggio di Almanzor fossero già
presenti in The Female Wits prima ancora che in Almyna: non
dimentichiamo che The Rehearsal, parodia della tragedia di
Dryden, costituiva il modello per l'attacco satirico rivolto a
The Royal Mischief da The Female
Wits.
- Anderson e Needham, già
all'inizio del Novecento, hanno individuato nei contenuti di
Almyna una testimonianza del "femminismo" di
Manley41. Anche il contesto in cui l'opera venne
proposta al pubblico parrebbe fornire un indizio eloquente a tale
proposito: infatti Almyna, rappresentata nel dicembre del 1706,
era l'ultima di una serie di opere scritte da donne allestite in
quell'anno presso il Queen's Theatre di Haymarket42.
Manley dunque difese il genere femminile inserendo la propria voce
all'interno di un più ampio coro. Alla "maschera" della
carismatica confidente-pettegola delle opere satirico-politiche si
sostituiva quella della femme fatale, dell'eroina:
già Homais, protagonista del dramma The Royal
Mischief, era tale. Sebbene fino ad oggi gli studiosi si siano
prevalentemente dedicati all'esame delle somiglianze esistenti fra
Delarivier e Homais43, ritengo tuttavia che in Almyna
in particolare, tra le opere teatrali, si delinei una figura
femminile assimilabile all'autrice. L'ipotesi è suffragata
dalle caratteristiche di Almyna, dalle modalità di
presentazione di quest'ultima, e perfino dal nome attribuitole.
Inoltre, come si vedrà, l'opera in questione è
ambiguamente legata al tema del confronto - anche in ambito
letterario, ma non solo - fra i due sessi.
- L'ingresso in scena della protagonista,
nel secondo atto, viene anticipato nel corso del primo da alcuni
commenti che la riguardano, affidati a personaggi maschili;
dapprima, lo zio Alhador - "Capo dei Dervisci" - ricorda la
cultura di Almyna, donna dai meriti straordinari: "bred
[...] in all Egyptian Learning, /The wonder of our Sex,
and pride of hers"44.
- L'erudizione caratterizza colei che,
nell'evolversi della vicenda, si rivelerà degna
rappresentante del proprio sesso. Già in questo primo
ritratto della protagonista si preannuncia un'analogia con
l'autrice stessa, definita, come sappiamo, "the unequalled wonder
of the age, /Pride of our sex, and glory of the stage"
nell'eulogia in versi dedicata a The Royal Mischief da Mary
Pix.
- Abdalla, l'altro uomo che descrive
l'eroina al pubblico, ne sottolinea non soltanto la bellezza ed il
carisma, bensì soprattutto le doti
affabulatorie:
-
- Cou'd he [Almanzor] but see,
Almyna's gracious Form;
- Cou'd he but hear, the moving Fair
once speak;
- She soon wou'd Melt his stubborn rash
Resolves;
- Soon, [...]
- Reduce him to his knees, her lowest
Slave45.
-
- Nelle parole citate è racchiuso
un vaticinio: colui che ha conosciuto Almyna prevede gli effetti
che ella avrà sul sultano. Durante l'incontro con Almanzor,
Abdalla si sofferma quindi sulla cultura della protagonista,
piuttosto che sulla sua bellezza:
-
- Cou'd you but read Almyna's noble
Soul.
- Th'etherial fire, that sparkles from
her breast!
- Soon wou'd our Prophet's notion, come
in doubt.
- She is not only Fair, but Wise and
Good:
- Her Vertue fixt, upon a sure
Foundation;
- Well has she too, Employ'd her early
Years,
- Join'd Art to Nature, and improv'd
the Whole.
- What ever Greek or Roman
Eloquence,
- Egyptian Learning, and Philosophy can
teach;
- She has, by Application, made her
own46.
-
- Le lodi della protagonista -
significativamente, e come accadrà più tardi anche
in Rivella - vengono enunciate da personaggi maschili
affinché acquistino maggiore credibilità e risalto.
Le parole di Abdalla non piacciono tuttavia al sultano, che nei
confronti dell'altro sesso nutre soltanto
pregiudizi:
-
- So much the Worse, she's still the
greater Ill,
- A Contradiction, to her very
Nature.
- Born to obey, to know, they nothing
know;
- Wou'd they usurp our just
prerogative,
- Add to their native pride of
Ignorance,
- The double pride of seeming
Knowledge,
- Vain of their outward Forms, they
well may be.
- But when with Notions of
Philosophy,
- The Languages, and Eloquence they
sight
- Intrench'd; with false Quotations,
History,
- And the mistaken Learning of the
Schools,
- There's not another, such forbidding
Wretch!
- The very Error of Creation! The
top
- Of Vanity, and all
Impertinence!47
-
- Almanzor non soltanto prova disprezzo
per il genere femminile, bensì teme che quest'ultimo possa
"usurpare" il dominio culturale maschile. Il sultano dimostra qui
di possedere, nei confronti delle donne istruite, i medesimi
preconcetti dei contemporanei dell'autrice: la colta Almyna
rappresenta "una contraddizione", è una "miserabile" e,
infine, viene paragonata ad un mostro, in quanto "errore della
creazione". Manley riprende gli stereotipi sviluppati nelle satire
misogine, nell'intento però di confutare i pregiudizi
riguardanti la competenza femminile sia in ambito letterario sia
in quello lessicale.
- L'opinione del sultano muta tuttavia in
seguito all'incontro con Almyna. Nel corso del quarto atto, la
protagonista - "introduced by the Sultan's Eunuchs"48,
come afferma la didascalia, e dallo zio Alhador, "guida"
spirituale e responsabile della sua educazione - giunge al suo
cospetto velata:
-
- SULT.: Unveil the Maid - She has a
glorious Form,
- Such Angels bear, or Goddesses
assume,
- Such Venus was with all her Train of
Graces.
- Oh, no! there was no such, thy self
the first,
- The bright, the true Original of
Beauty.
- 'Twas but a Name, or Notion, before
thou wert form'd.
- Her glistering Eyes, like Lightning
flash thro' mine.
- All-seeing, all-commanding; how they
pierce me?
- Confusion! my whole Breast is naked
to 'em.
- 'Twere vain to hide, this Empire they
have gain'd,
- Divine Almyna,
[...]49
-
- Almyna viene paragonata ad un angelo, ad
una dea e, infine, a Venere: anche Rivella sarebbe stata accostata
a quest'ultima. L'eroina non soltanto rappresenta l'origine della
bellezza, "la prima" tra le donne, la femme fatale i cui
occhi affascinano e soggiogano, bensì la "lettrice ideale"
del cuore umano, alla quale è impossibile nascondere la
propria vera natura. La protagonista, le cui doti intellettuali
vengono enfatizzate tramite la descrizione maschile, affascina
dunque anche per la bellezza del suo corpo, mentre
l'intensità del suo sguardo provoca "confusione" nell'uomo,
poiché "denuda", rivela. L'atteggiamento in scena dei due
personaggi è significativo a tale proposito; infatti, se
dapprima Almyna si inginocchia davanti ad Almanzor in segno di
rispetto, in un secondo tempo questi - "abbagliato" e
"conquistato" - è spinto a farla alzare e ad accostarsi a
lei, eliminando così non soltanto le barriere sociali che
li dividono, ma, soprattutto, la propria resistenza verso le armi
femminili: "Approach, my Fair, thus with thy hand support me.
/Thus rest me on thy breast, I faint with wonder. /Behold the
thorough Conquest thou hast gain'd"50.
- Manley prosegue con coerenza nel creare
una figura femminile che osa contravvenire alle regole imposte al
proprio sesso: non soltanto Almyna ha privilegiato l'erudizione,
ma è anche colei che spontaneamente sceglie di offrirsi al
sultano. Al suo cospetto, la protagonista audacemente rivela i
propri sentimenti, sottraendosi alla ritrosia comunemente
apprezzata - e incoraggiata - nelle donne. Lo scopo di Almyna
è quello di porre termine alle efferatezze di Almanzor, e
per tale motivo osa rivelare ciò che gli altri gli
nascondono:
-
- And yet thy self, art Author of the
greatest [Wrongs],
- My Lord, has given me leave, and I
will speak,
- What not thy Vizier, none of all thy
Council,
- Or can, or dare relate, a Woman
shall!51
-
- Qui è facile intravvedere una eco
delle parole di commiato pronunciate dal personaggio di Marsilia
nell'ultima scena di The Female Wits: "the Town will
perceive what a woman can do"52. La protagonista
coraggiosamente induce Almanzor a riconoscere la prostrazione in
cui ha gettato il proprio popolo e, in un secondo tempo, esorta il
sultano a riesaminare i pregiudizi relativi all'anima
femminile:
- But thou securest thy self, from
thoughts of Sin:
- For that our Prophet, in his
Alcoran,
- As thou explain'st, says Women have
no Souls,
- But mighty Sultan, tell thy heart but
this;
- Had not thy beautious, faulty Queen
done Ill,
- Woudst thou the Letter, e're have so
expounded?
- Revenge, and Jealousy, arrests the
Text:
- Thus taught to speak, to put a gloss
on Murder53.
-
- Almanzor dunque risulta colui che non
soltanto è incapace di "leggere" l'anima femminile, e di
Almyna in particolare, bensì "interpreta erroneamente" il
testo sacro, alibi autorevole cui l'uomo ricorre per giustificare
i misfatti di cui si rende "autore". Almyna invece è la
donna da "svelare", la cui anima deve essere "letta" dagli uomini
- dal sultano e da Abdalla -, e la cui natura appare
pericolosamente diversa da quella delle altre: la bellezza, in
Almyna, da "nome" diviene "forma", mentre l'erudizione, facendosi
"parola" nella sua bocca, permette alla protagonista di
"incantare", di provocare un "mutamento" nell'uomo; ella infatti
per il sultano è una "lovely Charmer"54. Tramite
la donna, il sultano riesce a "leggere" il "testo" coranico in
modo appropriato, ad avvicinare i contenuti del libro con la
giusta chiave di lettura: Almyna sembra "interpretare" il vero
significato del libro per il sultano, mentre le idee di questi
sulla superficialità dell'istruzione femminile vengono
confutate.
- Del resto, anche l'analisi del nome
stesso della protagonista contribuisce a chiarire la natura del
personaggio ed il suo significato per l'autrice. Già
Anderson, nel suo saggio pionieristico, intravvedeva
nell'appellativo "Almyna" un anagramma del cognome di Delarivier,
la quale in tal modo avrebbe voluto istituire un legame tra
sé e la propria eroina55. Poiché non ci
troviamo tuttavia di fronte ad un anagramma "perfetto" del cognome
"Manley", viene il dubbio che in realtà le valenze della
parola possano essere molteplici: l'ipotesi che la protagonista
sia una trasposizione letteraria della scrittrice può
venire suffragata anche tramite l'individuazione di ulteriori
etimi per il suo nome.
- In "Almyna" compare la medesima radice
verbale, "allem", di "Almanzor", ovvero "Al-Mansur", che in arabo
significa "[colui che è stato fatto] vincitore
[da Dio]", "l'Eletto, Il Segnalato", appellativo sovente
attribuito a capi militari e principi musulmani. In arabo, "allem"
significa sia "istruire, ammaestrare", sia "imparare", mentre
"ålima", nel medesimo idioma, è la "donna
ammaestrata, istruita", solitamente nella poesia e nel canto.
Evoluzioni del termine arabo sono sia il francese "almée"
sia il sostantivo italiano "almea": entrambi rimandano alla figura
di "ballerina e cantante araba o egiziana" e, più
genericamente, ad una "cortigiana orientale"56.
L'autrice probabilmente conosceva i due termini arabo e francese,
che ad una figura femminile "istruita", ovvero legata all'"arte",
e non semplicemente alla "natura", rimandavano. Come abbiamo
visto, Abdalla dice che la protagonista ha "unito l'arte alla
natura". Delarivier, solitamente attenta al significato dei nomi
dei propri personaggi, anche in questa occasione, tramite la
scelta onomastica, potrebbe aver voluto palesare le valenze che la
sua eroina doveva assumere. La protagonista dell'opera teatrale
era un'affascinante seduttrice le cui armi, oltre che nella
bellezza, risiedevano nelle doti intellettuali: un aspetto che la
avvicinava alla sua autrice. Inoltre, alcune caratteristiche
attribuite all'eroina sarebbero state in seguito condivise da
Rivella. Ritengo dunque che Manley abbia voluto "giocare" sulle
polivalenze sia del personaggio - femme fatale e donna
istruita - sia del suo nome: quest'ultimo, letto come anagramma
e/o come evoluzione dall'arabo, comunque rimanda alla figura
dell'autrice.
- Ritengo suggestiva un'ulteriore ipotesi.
L'etimo di "Almyna" potrebbe rimandare anche al latino "alma",
ovvero, "anima": in tal caso, risulterebbe ribadito anche il
legame tra la protagonista e un argomento di fondamentale
importanza nell'economia dell'opera. L'eroina sarebbe allora, al
contrario di quanto ritiene Almanzor, "la donna con l'anima",
ovvero, colei che coltiva interessi spirituali e che assolve allo
scopo di confutare le errate convinzioni dell'uomo intorno alla
natura dell'anima femminile.
- Nel corso del dialogo con il sultano,
abbondano i riferimenti al senso della vista e agli occhi della
donna, dotati di "magia"; Almanzor è come vittima di un
incantesimo, si sente "enchanted, without the pow'r of Speaking,
/Lest speaking, I should chance to offend Almyna"57.
Nella penombra della stanza, alla debole luce delle
torce58, gli occhi della splendida cortigiana si
svelano ad Almanzor come una visione fatale: la donna toglie la
parola all'uomo, e lo induce a temerla. Manley diede sempre
importanza al linguaggio degli occhi sia nell'ambito della
seduzione sia quali "spie" del carattere umano: in Rivella
li avrebbe definiti "Index of the Mind"59. Sia la
protagonista delle Letters, sia Rivella condividono con
Almyna la capacità di sedurre tramite lo sguardo.
L'"incantatrice", dotata di "that nameless Power of taking
Hearts", spinge il sultano a chiedersi: "Is it her Eyes, or
Tongue, this Change has caus'd?"60. Egli ammutolisce di
fronte ad Almyna, il cui intelletto, al pari del corpo,
incuriosisce e soggioga. In realtà, non sono soltanto le
sembianze o le doti affabulatorie della protagonista a sedurre
Almanzor e a provocarne il mutamento, bensì è la
generosità del gesto da lei compiuto. L'eroina, come Delia
in The New Atalantis e in seguito Rivella, è infatti
contraddistinta dalla capacità di sacrificio. Almyna si
propone di salvare altre donne, mentre anela alla "gloria" di
un'azione "eroica", degna di rimanere nella memoria altrui; con le
seguenti parole, nel corso del terzo atto, motiva le proprie
intenzioni al padre sbigottito:
-
- What Raptures, must those happy
Spirits feel
- Whose great Renowns, from God-like
Deeds perform'd,
- Sounds thro' the Spacious Globe?
[...]
- Oh, what wou'd I not do! for such a
Triumph?
- Sure our great Prophet, has enlarg'd
my Soul;
- I speak from him inspir'd, it must be
so: [...]61.
-
- Almyna è talmente audace da
ritenersi addirittura interprete della volontà divina: ella
"parla ispirata" (e dunque "istruita"), e la gloria è il
suo fine ultimo, da perseguire senza indugio. In gioco non
è soltanto la sopravvivenza di altre giovani, bensì
il riconoscimento dell'uguaglianza "naturale" tra i due sessi: la
convinzione che la natura femminile sia inferiore è in
realtà un pregiudizio, e in quanto tale va combattuto. Qui
personaggio ed autrice si sovrappongono, il pensiero di
quest'ultima viene enunciato, si fa "parola", tramite Almyna. Se
da un lato Manley condannava le donne che rinunciavano alla
propria femminilità per indulgere a atteggiamenti maschili
o per "scimmiottare" l'altro sesso - e a questo proposito vale la
pena ricordare i numerosi attacchi sferrati contro di loro dalle
pagine del Female Tatler e di The New Atalantis
62-, dall'altro voleva confutare l'idea, di derivazione
aristotelica, che l'anima femminile fosse mortale e, pertanto,
assimilabile a quella delle bestie. Nel corso del Seicento, in
particolare, tale convinzione era stata reiterata, come ricorda
Needham63, da letterati del calibro di John Donne e
John Marston, mentre nel Settecento venivano ancora citati i
famosi versi satirici composti da Samuel Butler (1612-1680): "The
Soules of women are so small /That some believe th'have none at
all"64. Tali concetti, ovviamente legati a quelli
riguardanti l'istruzione femminile, vengono ridicolizzati da
Almyna in un lungo discorso al sultano che ha in vista, al
contempo, il pubblico dell'epoca.
- Almyna è dunque la donna audace
che affronta argomenti "maschili" - poiché filosofici -
quali la natura dell'anima umana, è la donna "unica" che
libera dalla tirannia la comunità femminile del suo regno:
per dimostrare la fallacia delle idee del sultano, la protagonista
enumera le azioni "gloriose" osate da donne quali Semiramide,
Giuditta, Virginia, Lucrezia, Porzia, Clelia e, infine,
Cleopatra65. Significativa appare la scelta delle
"eroine" citate da Manley. Tutte appartenenti al mondo
dell'antichità, esse rappresentano figure leggendarie,
bibliche o storiche celebrate in ogni campo dell'arte, dalla
pittura alla musica. Le caratteristiche che le accomunano sono
l'audacia, lo spirito di sacrificio e il forte senso dell'onore:
almeno tre di loro - Virginia, Lucrezia e Cleopatra - scelgono il
suicidio pur di non cedere al sopruso maschile. Più in
generale, le eroine celebrate rappresentano figure di "ribelli"
nei confronti del potere tirannico, sia questo sessuale o
politico: si pensi per esempio alle vicende di Giuditta, di
Lucrezia, di Clelia. Certamente, queste figure simboleggiano il
"dominio femminile", ed evocano il tanto esorcizzato pavor
feminae. D'altro canto, l'assimilazione a Cleopatra
contribuisce a sottolineare la sensualità di Almyna. Le
storie individuali citate, facendo rammentare l'audacia del genere
femminile nei confronti delle varie forme di tirannide,
nell'economia dell'opera servono da sprone al "sacrificio" di
Almyna, e contribuiscono ad incrinare le convinzioni del sultano.
Inoltre, poiché Semiramide e Cleopatra sono donne non
soltanto audaci e bellissime, ma anche erudite (Cleopatra conosce
numerosi idiomi), esse appartengono ad una "comunità"
muliebre della quale la giovane Almyna si sente parte, e per lei
rappresentano delle valide "progenitrici" da
emulare.
- Sebbene si definisca "willing
Victim"66, Almyna non è affatto vittima del
sultano, nei confronti del quale, al contrario, si dimostra
vincente. Egli infatti risulta tormentato, se non dai propri
errori, certamente dal proprio desiderio di vendetta, cui ha
sacrificato l'esistenza. La paura di soffrire lo ha portato a
rifuggire dalle gioie della vita: convinto che le donne non
conoscano che la "dissimulazione", ne fa delle schiave, ed evita
il loro amore uccidendole dopo l'atto sessuale. In tal modo, egli
si autocondanna alla solitudine, ed alla compagnia di schiave nere
ed eunuchi, che rappresentano due simboli contrapposti di
sessualità, entrambi negativi: le prime rimandano ad
un'idea di lussuria e di peccato carnale (neri erano anche gli
schiavi con cui la moglie del sultano e quella di un fratello
avevano tradito), mentre gli eunuchi simboleggiano la negazione
della sessualità, l'ibrido cui è stata sottratta la
libertà sessuale, colui che ha dovuto rinunciare alla
propria virilità67. L'idea di schiavitù
veicolata da tali figure - nonché dai "mutes" presenti nel
serraglio, ovvero dagli attori di pantomime privi dell'uso della
parola68- emblematicamente rimanda alla persona del
sultano. In particolare, schiave nere ed eunuchi, che in una
didascalia dell'opera vengono descritti come immobili "statue" che
assistono al sonno del sovrano, di fatto definiscono la natura di
quest'ultimo, ne diventano i simboli: Almanzor intrattiene con le
donne soltanto rapporti carnali, dai quali, al pari del sentimento
amoroso, è esclusa la procreazione (egli infatti paventa
l'eventualità che l'unione con il sesso "impuro" generi
altre vite); allo stesso tempo, il sultano si rivela un "mezzo
uomo", che ostenta freddezza nei confronti del genere femminile
poiché incapace di superare le proprie paure. Anch'egli in
realtà è "schiavo", poiché soggiace alla
gelosia ed al desiderio di vendetta: il fratello Abdalla - durante
un violento conflitto verbale destinato a tramutarsi ben presto in
un duello di spade - non a caso lo chiama "Coward- Monarch", e lo
definisce "too base, /Too poorly spirited"69. D'altra
parte, l'eunuco, tradizionale simbolo di letargia sessuale e
sentimentale, di "effeminatezza", paradossalmente, in
Almyna, definisce la natura del sultano anche per antitesi,
non soltanto per assimilazione: infatti, a differenza di Almanzor,
Morat - "Capo degli Eunuchi" - è "generoso", disposto a
riconoscere il valore di Almyna e a provare pietà per lei
(affermando che "But such a Soul, no Age has e're
produc'd")70. Lo schiavo Morat, infatti, per tentare di
salvare Almyna dal boia, nel corso dell'ultimo atto si ribella
all'autorità del monarca, mentre quest'ultimo revoca
l'ordine di uccidere la donna soltanto all'ultimo momento, e dopo
aver tentato di assistere, dall'alto di una finestra, "nascosto e
non visto", alla sua esecuzione. Almanzor è l'uomo
"debole", il cui potere è meramente illusorio, mentre, al
contrario, sia l'eunuco sia Almyna risultano schiavi soltanto in
apparenza, poiché in realtà sono in grado di opporsi
all'autorità del sultano.
- Almyna, in particolare, definisce il
tipo di donna in cui il proprio sesso dovrebbe riconoscersi: una
"meraviglia" non soltanto per l'universo maschile, ma anche per
quello femminile. Infatti, nel corso della trama la protagonista
risulta antitetica anche a Zoradia. Quest'ultima, al contrario
della sorella, è vittima dell'uomo e della sua
"incostanza", e incarna l'eroina ingenua, dapprima illusa e in
seguito abbandonata. A differenza di Almyna, non è stata
educata lontano da casa, non ha esperienza del mondo e non
è istruita. Ella rappresenta la giovane donna in
balìa di una passione non ricambiata, la vittima inerme,
assimilabile ad un ago tremante, che nulla può nei
confronti della calamita che lo attrae; è Zoradia stessa a
creare questa metafora: "Attractive Love! thou Loadstone of the
World, /Which draws me, like the trembling Needle, to
thee"71. La differenza fra le due sorelle è
chiara: mentre Almyna, sebbene attratta dal sultano, pensa alla
gloria, e compie il proprio gesto per un fine nobile, Zoradia
considera invece l'amore la "calamita del mondo", il centro
attorno al quale tutto ruota, e ad esso vota la propria esistenza,
fino al sacrificio estremo.
- Dal confronto appare evidente con quale
delle sorelle Manley si identificasse. Sebbene solidale con la
"vittima", l'autrice attribuiva ad Almyna qualità che
riteneva superiori: l'erudizione, la bellezza e, soprattutto, la
generosità e l'audacia. Tratti, questi, che Rivella avrebbe
condiviso, con la sola eccezione della bellezza, giudicata
secondaria per colei che sa "incantare" l'altro sesso tramite
l'uso degli occhi e della parola.
- Quando il dramma teatrale venne
rappresentato, l'autrice rifiutò di firmarlo. Le incertezze
intorno al sesso di chi l'aveva scritto vennero incrementate dai
riferimenti contenuti nell'epilogo (recitato da Thomas Betterton)
ad un autore maschile: "Unknown, unfriended, as our Poet is, /No
Factions form'd, to save him from your Hiss; /[...] /No
Party made, at Will's, or Tom's, or Sam's"72. Del
resto, conferme intertestuali rimandano alla penna di Delarivier
Manley: anche nella dedica del secondo volume di The New
Atalantis la figura dell'autore-traduttore era definita
"unknown! unfriended! an obscure original, a nameless translator,
no party interested in its favour"73. Ritengo che tali
ambiguità fossero deliberatamente cercate dall'autrice,
desiderosa, dopo la comparsa di un'opera dai pericolosi contenuti
politici quale Queen Zarah (1705), di esporsi il meno
possibile alla censura e alle vendette. L'anonimato di Delarivier,
come il velo di Almyna ed il ventaglio della protagonista delle
Letters, sembrava adatto a difendere, nella politica come
nell'arte e nella vita, la donna dall'uomo: nell'epilogo, l'ignoto
"autore" affermava di celare la propria identità per motivi
legati a "Fear, or Modesty"74. L'anonimato tutelava
l'autrice dagli attacchi del pubblico e della critica -
solitamente, maschile -, mentre il velo proteggeva Almyna
dall'uomo che uccideva le donne dopo averle amate: ella, in quanto
"istruita", al cospetto del severo giudice doveva celare la
propria vera natura, l'indole "poco femminile" che la
contraddistingueva (non a caso, il velo tornava a coprire il suo
capo nella scena finale dell'opera, in cui si preparava la sua
esecuzione). Del resto, Almyna, come abbiamo visto, affermava di
essere colei "che può raccontare, svelare", e in quanto
tale rappresentava la trasposizione letteraria di una figura
autoriale femminile. A lei Manley oppose la figura di un sultano
in cui era possibile riconoscere l'uomo-lettore contemporaneo, e,
al tempo stesso, l'uomo "autore" (nel senso di "artefice", ma
anche di "creatore letterario") che avrebbe voluto "cancellare" la
donna di cultura, e che, tuttavia, nel mondo della finzione
letteraria, era costretto ad assaporare la sconfitta ed ammettere
la resa.
- Dalle sue opere in prosa così
come da quelle teatrali, emergeva dunque la figura di un'autrice
professionista, consapevole del valore del proprio operato. Le
maschere necessarie per scrivere - dal "fine ventaglio" della dama
all'elusività di Mrs. Crackenthorpe,
dall'invisibilità di Intelligence al velo di Almyna - a
tratti cadevano, o semplicemente venivano scostate per lasciare
intravvedere chi in realtà si celava dietro di loro: una
donna dotata di cultura e discernimento che aspirava, attraverso i
propri scritti, ad accelerare la riforma dei costumi. Quella
stessa donna che, affabulatrice e segreta fino all'ultimo, neppure
nell'autobiografia accettò di mettersi a nudo. Epitome di
figure femminili cui l'autrice aveva fatto ricorso in precedenza,
Rivella infatti era anch'essa una "maschera", un elaborato
"artificio", un'illusione onirica in cui realtà e fantasia
si confondevano.