Elena Chialchia

 
A fine fan before her face: analisi dell'immagine autoriale in alcune opere di Delarivier Manley
 
 
 
 
 
 
Nel groviglio di forme letterarie in evoluzione caratteristico del periodo immediatamente precedente la comparsa del cosiddetto "romanzo borghese", nell'intricata comunità di scrittori e scribacchini intenti a cimentarsi nei generi più disparati e a saggiare le reazioni di un mercato letterario la cui esistenza era ormai incontrovertibile, gli scritti e la figura stessa di Delarivier Manley (1672?-1724) non passarono certamente inosservati. Considerata la più importante tra le scrittrici dell'epoca successiva alla scomparsa di Aphra Behn - quando non addirittura "più grande" di quest'ultima, come avrebbe affermato un suo contemporaneo, James Sterling, nel 1732 -, Delarivier Manley è stata una delle figure più insolite del mondo letterario londinese dei primi anni del Settecento, mentre ancora oggi la sua controversa biografia affascina al pari di un romanzo coloro che la eleggono ad oggetto di studio1. Sebbene alla sua nascita si prospettasse per lei una vita agiata negli ambienti aristocratici e a contatto con la corte, Manley fu tuttavia costretta a ricorrere alla scrittura per motivi economici. Poche figure femminili prima di lei avevano fatto il proprio ingresso nel mercato letterario ed avevano considerato se stesse "professioniste": il suo atteggiamento, nonché i suoi scritti, attirarono su di lei lo sguardo - a volte di approvazione, più spesso, invece, di condanna - dei contemporanei. L'autrice stupì il pubblico di lettori dell'epoca con scritti erotici i cui riferimenti al mondo politico non erano difficili da individuare. Nel 1709, a causa del suo coinvolgimento nella propaganda a favore del partito tory, fu persino arrestata: lungi dal fermarla, tale episodio contribuì ad incrementare il suo interesse per il giornalismo politico, attività che per lei coincise soprattutto con gli anni compresi tra il 1710 ed il 1711. La sua vena satirica fu apprezzata da un letterato notoriamente misogino quale Jonathan Swift, mentre stuzzicò a più riprese l'attenzione tagliente di Richard Steele.
Tuttavia, quando, nel 1714, avuta notizia che l'editore Edmund Curll aveva affidato alla penna ostile di Charles Gildon la stesura della sua biografia, fu "costretta", giocando d'anticipo, a dare una "forma" alla propria vita, a scriverla di proprio pugno e dunque a "chiuderla" in una catena permanente di cause ed effetti che l'avrebbe sottratta all'arbitrio altrui, Manley evitò di enfatizzare il valore politico dei propri scritti. Rivella - questo il titolo dell'autobiografia "romanzata" - infatti non si sofferma sul cosiddetto "periodo di giornalismo politico" della vita dell'autrice, anzi, al contrario, evita di accennare al ruolo ricoperto da quest'ultima nel corso della propaganda di partito successiva al processo subìto per The New Atalantis. Dicendosi pentita per l'attività intrapresa a sostegno dei tory, la protagonista dell'opera "promette" di non ripetere più il medesimo errore, sottolineando, al contrario, la propria abilità quale scrittrice "d'amore". Nel tracciare il proprio autoritratto, Manley indugiava su caratteristiche fisiche quali la profondità dello sguardo magico e seduttivo, e metteva in risalto doti morali come la generosità e lo spirito di sacrificio. Attività "politiche" quali la collaborazione all'Examiner o al più "mite" Female Tatler, nonché la stesura di alcuni pamphlet, scompaiono dal novero delle sue esperienze2.
Tali reticenze risultano meno difficili da inquadrare e comprendere qualora si prendano in esame alcune opere della precedente produzione artistica di Manley. Una delle caratteristiche principali riscontrabili in scritti quali le Letters (1696), The New Atalantis (1709), The Female Tatler (1709) ed Almyna (1706) è l'elusività della persona autoriale, ovvero, la tendenza, da parte della scrittrice, ad elaborare una varietà di maschere dietro cui velare e confondere la propria "voce".
Vale la pena soffermarsi sull'immagine che di lei ci consegna la quarta epistola delle Letters, nella quale viene descritto un gruppo di avventori appena giunti alla medesima locanda in cui l'autrice alloggia per la notte, lungo il tragitto verso Exeter:
 
My Chamber Window answered the Court; I rose to it at the Noise of the Coach, and presently saw alight a tall, blustering, big-boned, raw Thing, like an overgrown School-Boy, but conceited above any Thing. He had an Appurtenance, called a Wife, [...]. She seemed a Giant of a Woman, but very fine, with a right Citt-Air. He blustered presently for the best Lodging, which he saw taken up by her that held the fine Fan before her Face: You may guess this was your humble Servant3.
 
L'oste è costretto a negare ad altri la camera migliore, poiché occupata "by her that held the fine Fan before her Face" ovvero, dall'autrice. Questa è la prima immagine che la scrittrice diede di sé nel corso delle proprie opere. Senza riferire alcun particolare del proprio aspetto fisico - lo avrebbe fatto soltanto nel 1714, in Rivella -, Manley si presentava con un gesto insolito e seduttivo: coprendo tramite un ventaglio il proprio viso. Invece di svelare la propria identità allo sguardo dei nuovi arrivati - ovvero, a quello del lettore -, la protagonista - ovvero, l'autrice - sceglieva di celarla. Nel contempo, con forte effetto di contrasto, tale scelta veniva ostentata: l'"umile servitrice", pur consapevole di essere vista, mantiene il ventaglio ben aperto. In questo ritratto sfuocato di Delarivier Manley, il cui viso solo in parte si rivela, sottraendosi ad un'individuazione precisa, ritengo di poter ravvisare la simbolica iconografia di una strategia narrativa che nelle pagine seguenti cercherò di esaminare. Manley, nelle opere anteriori all'autobiografia romanzata - le Letters, The Female Tatler, The New Atalantis ed Almyna - scelse di rappresentare se stessa nelle vesti di almeno tre differenti tipi di donna: la confidente-pettegola, la femme fatale e l'eroina-vittima. Tuttavia, la scrittrice fece ricorso a queste "persone" senza mai identificarsi totalmente con nessuna di esse, o meglio, creando nel lettore l'impressione che "dietro" potesse esserci "altro". Tramite la lettura dei suoi scritti è possibile intuire che la figura femminile in cui l'autrice soprattutto si riconosceva - una scrittrice professionista, una colta donna di lettere - sembrava non coincidere con quella esibita. Lo "schermo" offerto dal ventaglio si propone dunque, in questa luce, quale metafora di un ambiguo atteggiamento autoriale: in altre parole, diventa metafora dei tanti stratagemmi cui l'autrice fece ricorso per celare - e, nel contempo, per suggerire - il tipo di donna con cui in realtà avrebbe voluto essere identificata.
Nel dare di se stessa l'immagine di "dama con il fine ventaglio", Manley apparentemente non diceva molto di sé. Simbolo assai diffuso e scontato di frivolezza femminile, agli inizi del Settecento, in un articolo piuttosto mordace del Tatler 4, il ventaglio sarebbe stato ironicamente descritto come "all the Armour of Woman" nel campo della seduzione "a distanza": a parere dell'autore (probabilmente Addison), se usata "ad arte", tale "bacchetta magica" permetteva a colei che ne fosse in possesso di controllare "the Hearts of all her Beholders"5 .
Nell'opera d'esordio, dunque, quelle Letters la cui pubblicazione Manley apparentemente volle disconoscere, sostenendo (ma si trattò forse di una manovra pubblicitaria) che non era stata autorizzata, l'autrice sembra legare la propria immagine all'idea di frivolezza, suggerita anche tramite la "musicalità" di allitterazioni quali "fine", "fan", "face". D'altra parte, il leggiadro ventaglio rappresenta anche una "difesa" e contribuisce ad alimentare l'alone di mistero intorno alla donna che, oltre ad essere protagonista di un viaggio in diligenza, è anche la voce narrante e, in ultima analisi, rappresenta l'autrice. Il ventaglio protegge la dignità e la reputazione di colei che nasconde e, al tempo stesso, ne circonda l'immagine di ambiguità e di fascino: mediante un aggettivo quale l'inglese "fine", che può significare sia "elegante", sia "sottile", viene suggerita, nel piccolo strumento, una trasparenza di tessuti che contribuisce a stuzzicare l'attenzione verso la sconosciuta che ne fa uso. Tramite esso, la dama è in grado di sottrarsi all'indagine nello stesso istante in cui gli altri diventano oggetto di scrutinio: non dimentichiamo che alla prerogativa dell'invisibilità quale stratagemma per osservare indisturbate avrebbero in seguito fatto ricorso anche le tre figure allegoriche protagoniste di The New Atalantis, Astrea, Virtue ed Intelligence. Ben lungi dall'indicare riservatezza, tale vezzo rimanda dunque ad una figura di donna cara all'immaginario dell'autrice: quella dell'osservatrice curiosa, nonché giudice, dei costumi altrui, ovvero, quella della dama distinta che, un po' confidente, un po' pettegola, ama intrattenersi con le vicende - di solito amorose - del prossimo. In tale ambito rientrano Mrs.Crackenthorpe, Lady Intelligence e la stessa Rivella. Emblematici risultano i motivi che, nella lettera citata, spingono la protagonista a fare la conoscenza di una giovane signora appena arrivata alla locanda:
 
[...] casting my Eyes upon a Gentlewoman and her Servant, that came out last, I found something pleased me; [...]. I had a Basin of fine Heart- Cherries before me, just come from the Garden: I caused them to be brought after me into the Gallery, and designed them as a Bait to the Woman whom I was to begin the Acquaintance with; [...]. The Gentile- looked Lady had much to do to be persuaded6.
 
L'attrazione verso la forestiera non pare suscitata da altro che lo sguardo. L'autrice-protagonista ricopre il ruolo di "adescatrice", abile nell'attirare la sconosciuta accanto a sé. La dolcezza del frutto appena colto nel "giardino" servirà a catturare la giovane preda; novella Eva, Lady Stanhope (questo il suo nome) viene attirata - non senza fatica, sottolinea Manley - da ciliegie che, come un'esca, la avvicineranno alla "dama dal fine ventaglio", e la porteranno a svelare le sue avventure amorose. La protagonista si dimostra in grado di controllare la situazione, poiché è colei che "fa in modo" ("caused"), che "destina, progetta" ("designed"). D'altra parte, Delarivier non è una manipolatrice di persone: tutto ciò che cerca è il piacere della conversazione e, se possibile, di un racconto avvincente da offrire al proprio interlocutore epistolare. Nelle lettere, infatti, l'autrice racconta molto poco di sé: in esse non si assiste ad un percorso autobiografico vero e proprio, ed il viaggio viene descritto in modo sommario, rivelandosi "pretesto", ovvero "espediente" che motiva e permette la narrazione, e "pre-testo", "cornice" in cui inserire le vicende dei vari personaggi incontrati.
Leggendo le epistole si ha l'impressione che la protagonista sia una donna di mondo, esperta e sicura di sé. Non ha infatti problemi a capire la natura di chi la circonda, né ignora il turbamento che è in grado di provocare negli uomini. Tale, del resto, è l'opinione che gli altri personaggi hanno di lei: "a Lady of [...] Charms and Sense", cui si riconosce "a great deal of wit".
Alla presenza di spirito dell'autrice deve credere anche il lettore, il quale, diversamente dai personaggi, ha accesso ai pensieri della protagonista. Solo a lui, infatti, è dato di cogliere il variare dello stato d'animo a partire dalle prime lettere; quella d'esordio, in particolare, è caratterizzata dalla malinconia, e pare priva dello spirito umoristico e della leggerezza riscontrabili, al contrario, nelle successive:
 
Tho' Midsummer to all besides, in my Breast there is nothing but frozen Imaginations. The Resolutions I have taken of quitting London (which is as much as to say, the World) for ever, starts back, and asks my gayer Part if it has well weighed the Sense of Ever? [...] It is of the latest now to ask me why I leave the crowded Market, and retire to starve alone in Solitude? [...] Horace, Cowley, all those Illustrious Lovers of Solitude, debauched my Opinion, against my Reason: I took Coach with Mr.Granvilles's Words in my Mouth, [...]7.
 
Dalla lettera si evince il rimpianto della narratrice per aver dovuto contrastare le proprie naturali inclinazioni, il lato "più gaio" del proprio carattere. Londra per l'autrice rappresenta "il mondo", ovvero, il piacere della "conversazione": più avanti, nella stessa raccolta, Manley esprimerà la propria istintiva e combattuta attrazione verso "the Vanities and Virtues" della capitale, definita perfino "that Hydra"8. La lontananza spinge tuttavia il pensiero di Delarivier a soffermarsi sulle soddisfazioni che "l'affollato mercato" regala, e ad indulgere in "melancholy Apprehensions"9. Del resto, nel brano citato, ricorrono vocaboli la cui accezione erotica non è da sottovalutare: l'autrice sembra maliziosamente ammiccare ad altri vantaggi legati alla città. Ritirandosi in campagna, ella ha rinunciato agli incontri amorosi, ai riti del corteggiamento cui è avvezza: al "mercato" di relazioni umane si oppone una "solitudine" ben più "gelida" e percepita come innaturale - "to starve" sembrerebbe indicare uno stato di languore anche sessuale, un'inedia derivante non soltanto dalla mancanza di stimoli culturali e sociali tipica della vita di provincia (come vorrebbe una prima lettura del testo) ma anche dall'assenza di altro che non sia la "seduzione" (ella è infatti stata "debauched") di algidi "amanti della solitudine".
Anche se Manley fu probabilmente costretta ad abbandonare Londra essenzialmente per motivi economici, dall'epistolario non traspare alcun riferimento ad essi e la scelta viene addebitata piuttosto al bisogno di solitudine e di ritiro. Ogni tentativo di ricostruzione biografica deve confrontarsi con frasi criptiche, che non permettono di approdare ad alcuna certezza riguardo alla protagonista: il vero motivo del viaggio rimane sconosciuto, così come ignota è l'identità del destinatario delle lettere - o "interlocutore assente". D'altra parte, nel corso dell'ottava epistola, l'ultima della raccolta, Delarivier sembra confessare la propria "dissimulazione": ritenendosi inadatta a convivere con la solitudine, finalmente disconosce ogni "idea di ritiro", per arrivare ad affermare una volta per tutte che "there is no real Satisfaction without Conversation".
Dunque, Manley non intende informare i lettori, bensì giustificare il proprio stile di vita. L'autrice ha "calcolato" le possibili obiezioni dell'interlocutore virtuale e tenta di rassicurarlo. Le Letters dovevano contribuire a creare l'immagine "pubblica" della esordiente scrittrice: esse "aprivano la strada" alla fine della sua permanenza lontano dalla capitale, al ritorno di Delarivier a Londra, ovvero, al suo debutto nei teatri. Inoltre, tramite esse, l'autrice volle rendere nota la propria condanna di uno degli episodi che avevano segnato per sempre la sua reputazione: Manley, seppur velatamente, prendeva le distanze dal proprio matrimonio risultato illegittimo con il cugino; lo rinnegava, senza tuttavia soffermarvisi e senza enfatizzarne l'illegalità10.
Il peso dell'errore compiuto anni prima e delle sue conseguenze è presente fin dall'esordio nella raccolta: come suggerisce Fidelis Morgan, una delle massime studiose delle opere di Manley, è infatti possibile scoprire un riferimento "nascosto" alla vita dell'autrice anche nella anomala datazione delle lettere. La prima epistola, da Egham, sebbene scritta il 21 giugno 1694, è datata 24 giugno, mentre le due successive sono del 22 e del 23 giugno; la quarta, da Salisbury, compare priva di altre precisazioni all'infuori di un generico "Saturday"11. Ritengo, con Morgan, che Manley abbia anteposto la lettera del 24 giugno intenzionalmente, facendo in tal modo coincidere l'incipit dell'epistolario con il compleanno del figlio John, nato tre anni prima dalla relazione con il cugino. Una cifra simbolica dunque apre la raccolta e, chissà, forse - ma è solo un'ipotesi - l'autrice volle "indicare" tramite la data il motivo sotteso al viaggio: andare a trovare il figlio, oppure il padre di quest'ultimo, John Manley12. A tale proposito è inoltre importante ricordare che il 24 giugno è dedicato, nel calendario, a San Giovanni Battista; l'autrice potrebbe aver voluto indirizzare l'attenzione del lettore verso il nome "John", che al marito e al figlio - e quindi ai lati oscuri della sua vita - rimandava. Nell'edizione del 1725 delle Letters, pubblicata da Curll dopo la scomparsa di Delarivier, la datazione delle epistole venne rimaneggiata, probabilmente per rendere meno evidenti le incongruenze, mentre dalla prima lettera scomparve ogni riferimento "diretto" al 24 giugno, sostituito appunto da una perifrasi quale "St.John Baptist"13.
Alla luce di quanto affermato, l'umore malinconico della lettera citata sembra dunque ascrivibile al ricordo del proprio matrimonio illecito e del figlio lontano: di quest'ultimo, in particolare ricordato in The New Atalantis come "My wretched son, [...] a mortal wound to my repose", la cui nascita illegittima "glared full upon my imagination. I saw the future upbraiding him with his father's treachery and his mother's misfortune"14, l'autrice non avrebbe mai parlato volentieri.
Il ventaglio nascondeva un segreto, che la malinconica ma "stoica" e distaccata dama sceglieva di non rivelare agli sconosciuti, cercando, al contempo, di sfruttare la condizione di "invisibilità" sociale cui, in quanto donna "caduta", era stata relegata. Al limite, come abbiamo visto, poteva "giocare" con simboli e riferimenti criptati o imprecisi.
Il mistero e la reticenza che circondano le vicende personali della protagonista svaniscono tuttavia qualora si tratti di segnalare ai lettori la sua erudizione insolitamente vasta. Lo spessore culturale di Delarivier, davvero straordinario all'epoca, doveva trasparire dai suoi scritti per poter contribuire all'affermazione della sua attività letteraria e alla rivendicazione del suo diritto a dedicarvisi. Anche Fidelis Morgan15 rileva l'insistenza quasi programmatica con cui l'autrice, nelle Letters, ricorre alle citazioni letterarie. Nella prima epistola, come abbiamo visto, viene dato grande rilievo all'influsso subìto tramite la lettura delle opere di Orazio, Cowley e "all those Illustrious Lovers of Solitude", colpevoli di aver "corrotto" la mente della protagonista spingendola a ricercare l'isolamento. Manley rimanda apertamente alla scrittrice francese D'Aulnoy16 (di cui si atteggia ad emula), ma non solo: nel corso dell'epistolario esibisce la propria erudizione citando la traduzione, da parte di Granville, dell'ode corale del Tieste di Seneca, La vita di Temistocle di Plutarco, e così via17. La protagonista del viaggio, di sicuro un'ammaliatrice, risulta essere al contempo una donna erudita: l'eclettismo caratterizza gli interessi intellettuali di colei che, nel corso della quarta epistola, si definisce con orgoglio "a Free-born Genius", "uno spirito libero".
E l'immagine di Manley, presentatasi fin dall'opera d'esordio come autrice misteriosa, da "decifrare" e scoprire, apparentemente legata al pettegolezzo e al tema amoroso, davvero coincideva con quella della donna libera, della viaggiatrice solitaria, in quanto tale contrapposta alla figura femminile canonizzata dalla tradizione, stanziale e sedentaria. Le Letters proponevano una "donna nuova", il cui viaggio in apparenza era motivato dal bisogno, se non di catarsi, di salvezza: la protagonista affermava di avere come meta la solitudine, lo studio, le riflessioni filosofiche e religiose. Al lettore offriva l'immagine della sagace pittrice di vicende sentimentali, e, allo stesso tempo, della professionista degna di rispetto per la sua grande cultura.
Almeno altre due figure, negli scritti di Delarivier, sembrano avere legami con la protagonista delle Letters: Mrs. Crackenthorpe ed Intelligence. Esse comparvero più o meno contemporaneamente, nel 1709: la prima era la persona-"autrice" del periodico The Female Tatler, la seconda, invece, un personaggio di The New Atalantis. Se Intelligence, almeno in apparenza, si presentava come figura immaginaria, fantastica e priva di collegamenti con il mondo reale, Phoebe Crackenthorpe, al contrario, rimandava a quest'ultimo per il ruolo di autrice da lei rivestito anche nella finzione. In realtà, anche Mrs. Crackenthorpe era una "invenzione", una creazione letteraria dietro la quale si celavano uno o più autori. Vi sono perplessità riguardo l'attribuzione di The Female Tatler: sebbene risulti impossibile ascriverne con certezza la composizione, lo stile e il contenuto di alcuni articoli sembrano rimandare a Manley18. Dall'analisi della "persona" di Phoebe Crackenthorpe si evincono particolari interessanti, che la avvicinano all'autrice di The New Atalantis. In entrambe le opere la figura del narratore è legata al pettegolezzo e alla fatuità femminile: per potersi occupare di argomenti "seri" e "maschili", come quelli politici, Delarivier Manley sfruttò l'immagine di donna frivola e superficiale, amante degli intrighi e della chiacchiera, e tuttavia fornì nel contempo elementi che contribuissero a "smascherare" l'intrinseca natura dei suoi narratori.
Fin dal primo numero del periodico, la persona dell'autrice del Female Tatler si presenta tramite un piccolo ritratto ed una frase in latino. L'effigie rimanda ad una donna piacente e sensuale: i capelli raccolti sul capo lasciano scoperto il collo, un ricciolo ribelle rincorre la scollatura di un abito che pone in risalto un petto formoso; un piccolo neo - probabilmente posticcio, secondo i canoni del tempo - evoca frivolezza e sensualità. L'elaborata acconciatura e gli ornamenti del vestito suggeriscono gusti raffinati. La donna non è di profilo, bensì offre il viso e lo sguardo, quasi a voler sottolineare la propria temeraria franchezza e indipendenza, mentre il tentativo della chioma di sfuggire ai limiti posti al ritratto sembrerebbe rivelare esuberanza. L'aspetto florido della dama acquista dignità dalle parole latine incise lungo la cornice del cammeo. Raffinatezza e frivolezza appaiono legate in questa immagine femminile, la cui traduzione verbale è nel motto latino: "Sum canna vocalis", "Sono la canna sonora". La donna del ritratto viene metaforicamente assimilata ad una canna che, docile al vento, ha la prerogativa di emettere suoni, i quali, in sequenza, acquistano un significato, formano una musica. Del resto, non va dimenticato che il termine "canna", in latino, per metonimia indica anche lo strumento che al materiale di quella pianta è legato, ossia il flauto. Inoltre, il cognome della dama, "Crackenthorpe", che campeggia vicino all'immagine femminile, sembra risultare dall'unione dei due termini "cracken" (participio passato del verbo "to crack", che significa sia "chiacchierare", sia "danneggiare, rovinare la reputazione di qualcuno") e "thorpe" ("villaggio", sostantivo solitamente usato quale suffisso nei toponimi), e potrebbe significare, più o meno, "villaggio chiacchierato". La proiezione iconografica dell'autrice del periodico potrebbe perciò rappresentare un'elaborata perifrasi atta ad esplicare la natura del giornale e del ruolo della narratrice: quest'ultima audacemente raccoglierà i sussurri e rivelerà le chiacchiere di una realtà molto ristretta, di un "villaggio", ovvero della capitale inglese.
Nell'accostamento medesimo creato tra la figura di Mrs. Crackenthorpe e una canna sonora, è dato forse individuare un ulteriore elemento a favore dell'ipotesi che dietro la persona letteraria ci fosse, se non Manley, per lo meno una donna. L'immagine della "canna vocalis" richiama alla mente la "prima" canna parlante, ovvero Siringa, la nota ninfa arcadica. Nella mitologia greca, Siringa era l'amadriade che, per sottrarsi all'amore del dio Pan, aveva ottenuto dalle naiadi, divinità dei fiumi, di essere mutata in un fascio di canne; con queste ultime, Pan si era in seguito fabbricato lo strumento musicale che della ninfa avrebbe conservato il nome. La ninfa Siringa - seguace di Diana, dea della castità - rappresenta colei che rinuncia alla propria natura per poter sfuggire alla sopraffazione. Per poter affermare il diritto a "dire di no", per seguire la propria volontà, la ninfa rinnega la propria femminilità, e sceglie di tramutarsi in qualcos'altro. Ella incarna il tentativo, da parte del genere femminile, di opporsi all'imposizione maschile tramite un "travestimento"; Siringa riesce a mantenere il controllo della propria esistenza poiché continuerà a vivere, sebbene sotto altre sembianze. Se riferito ad un'autrice, e specificamente ad una degli inizi del Settecento, il mito di Siringa sembra assumere un significato particolare: la donna, per poter parlare, per poter rendere la propria voce "sonora", deve farsi "altro", deve camuffarsi, soprattutto se intende "giocare" con le allusioni politiche. All'epoca, per una donna, l'attività letteraria poteva comportare, a volte, una laboriosa metamorfosi.
È difficile stabilire al di là di ogni dubbio se l'autrice celata dalla persona di Phoebe Crackenthorpe fosse Manley: certamente, quest'ultima ha dato prova di conoscere a fondo la mitologia classica, e le Metamorfosi di Ovidio in particolare, in numerosi scritti, e in un'opera contemporanea al Female Tatler, quale The New Atalantis. Inoltre, il nome stesso di "Phoebe" rimanda a Delarivier, per almeno due motivi. In primo luogo, va ricordato che "Phoebe", "Febe", è, nella mitologia greca, uno dei soprannomi di Diana, non soltanto dea della caccia, bensì della luce lunare (e per tale motivo nota anche come Cinzia). Diana, come il fratello Apollo, è nata sull'isola di Delo: altro appellativo della dea, dunque, è "Delia". Il nome scelto per la persona letteraria di Mrs. Crackenthorpe è dunque allusivo di quello della scrittrice che abitualmente usava firmarsi "Dela", e che avrebbe chiamato "Delia" l'eroina di un racconto autobiografico coevo alla pubblicazione del periodico. Inoltre, a Delarivier come "Delia" si era già riferita Catherine Trotter, nei versi dedicati alla tragedia teatrale di Manley del 1696, The Royal Mischief: "Delia than Ovid has more moving strains". Anche Susanna Centlivre parlava di Manley come "Delia"19. I nomi scelti - Phoebe e Delia - potrebbero costituire uno dei tanti legami intertestuali che testimoniano l'appartenenza di entrambe le opere alla penna di Delarivier Manley.
Potrebbe suffragare tale ipotesi un ulteriore "riferimento incrociato": in Memoirs of Europe, "cronaca scandalistica" di Delarivier Manley pubblicata nel 1710, compare il personaggio di "Don Phoebo", e "Febo" è l'appellativo di Apollo, dio del sole, che presiede anche al sapere, all'ingegno ed al vaticinio. Nelle "chiavi" dell'opera, Don Phoebo risulta essere "Mr. Isaac Bickerstaff" (alias Richard Steele), del quale Mrs. Phoebe Crackenthorpe era la controparte femminile20. Sebbene non contribuisca a far definitivamente luce sulla natura della collaborazione di Manley a The Female Tatler, la curiosa simmetria testimonia della dimestichezza della scrittrice con il periodico e, nello stesso tempo, avvalora l'ipotesi che i riferimenti mitologici e le scelte onomastiche rivestano un ruolo importante all'interno delle strategie narrative di Delarivier Manley.
Al di là di quanto suggerito dal ritratto, Phoebe Crackenthorpe non rinuncia a fornire in prima persona una descrizione di sé: in due occasioni, nel periodico, l'autrice affronta l'argomento, ed entrambe le volte, sorvolando sul proprio aspetto fisico, sottolinea altre qualità, ritenute più importanti. Nell'ottavo articolo del Female Tatler, del luglio 1709, rispondendo ai complimenti di un gentiluomo, l'autrice si schermisce affermando:
 
Beauty was ever the least of my aim, I would rather chose [sic] to recommend myself by a tolerable understanding. 'Tis true, it heightens a lady's character, and when a fine woman shall deliver herself in an elegant manner, her beauty, like sweetening a note in music, is a grace to her expression, and the men are ravish'd with her, when they'd be but barely pleas'd with one less agreeable. But, if gentlemen would not value a woman chiefly for her person, and think the silliest things wit, that come from youth and beauty, our sex would employ some time in cultivating their minds, and take more pains to place their words, than their patches21.
 
Il fascino della narratrice risiede in doti solitamente non apprezzate nelle donne: la descrizione dei tratti corporali viene tralasciata, poiché Mrs. Crackenthorpe "preferisce" essere ricordata per un "discreto intelletto". Anche altrove, nel numero 43 del periodico, Phoebe rifugge dall'autoritratto:
 
All people are in some measure touched with self-conceit, partial to great defects, and too opinionated of small beauties, [...]. Therefore as no person can truly define themselves, I shall only tell the town what sort of a woman I'd have them imagine me to be22.
 
Mrs. Crackenthorpe suggerisce al pubblico di "immaginarla" - e quindi di "costruirla" con la mente - assimilandola ad un tipo di donna di cui fornisce alcuni requisiti essenziali, individuati nel carattere e nell'atteggiamento, piuttosto che nelle sembianze:
 
To embellish the mind rather than the body, must gain general esteem, though to appear decent in habit, shows respect to the persons we visit; though a woman of fifteen may be a pretty plaything, yet a woman must be thirty before she has a true management of her house, by that time she has had little experience, is at the zenith of her understanding and her little vanities and affectations contemptibly thrown aside. She then chooses a husband with judgment, manages him with prudence, and charms him more with her conversation than with her person; a middle-aged, middle-sized brown woman that's neither awkward nor coquettish, foppish nor fanatical, but dresses herself like a gentlewoman, moderately in the mode, with any easy, affable disposition, can never want admirers from such as every lady would choose, who desires to be entirely happy23.
 
Anche qui Mrs. Crackenthorpe, persona letteraria frutto della mente di un autore - o, più probabilmente, dell'autrice Delarivier Manley -, creazione appartenente al mondo della fantasia e non a quello reale, anteponendo l'intelletto alla bellezza esteriore, si presenta come una "gentildonna" ideale ed invita i lettori e, soprattutto, le lettrici, a seguire il suo esempio e a raffinare la mente per raggiungere la felicità nella loro sfera quotidiana. La forza suasiva del modello femminile proposto risiede nella moderazione ed equilibrio che sembrano caratterizzarlo, nella sua equidistanza da ogni estremismo. La dama "perfetta", nell'opinione di Mrs. Crackenthorpe, non soltanto si veste come una gentildonna, bensì, in quanto tale, non ama gli eccessi: se segue la moda, lo fa "con moderazione"; del resto, è in quell'età "di mezzo" in cui la maturità dell'intelletto ha raggiunto il suo apice.
Al ritratto ideale qui delineato corrispondeva, nella realtà, una donna in particolare: Delarivier Manley. Se nata intorno al 1672, nel 1709 Delarivier doveva avere da poco superato i trentacinque anni; inoltre, al pari di Mrs. Crackenthorpe, anche la protagonista delle Letters attribuiva grande importanza alle proprie doti affabulatorie. Tale caratteristica lega tra loro tutte le eroine di Delarivier in cui quest'ultima si riconosceva: anche Almyna, come vedremo, e la stessa Rivella, caratterizzata da "a Conversation always new, and which never cloys"24.
Mrs. Crackenthorpe si presenta dunque al pubblico come una dama raffinata ed audace che, in campo letterario, si ritiene in grado di competere con letterati del calibro di Steele25 e che, dall'alto della propria "onniscienza" (si è autodefinita "a Lady that knows everything") si propone di divulgare notizie riguardanti gli abitanti del "villaggio". In realtà, i suoi articoli intendono al contempo agevolare e accelerare una riforma dei costumi troppo a lungo rinviata: "an ingenious tatler will conduce more to the reformation of mankind than an hypocritical society". All'operato di istituzioni quali la "Society for the Reformation of Manners", l'autrice intende contrapporre gli effetti dei propri articoli satirici, da lei ritenuti "the only way to correct great men's foibles"26. Infat-ti, a chi la accusi di "scandalum magnatum", Mrs. Crackenthorpe risponde che "The end of satire is reformation, and this would be of more force than your societies for that purpose, were it duly observed and hearkened to, without being misconstrued defamation"27. Le sue "chiacchiere" sono in realtà satira politica e di costume.
Definizioni quali "a Lady that knows everything" contribuivano a presentare l'autrice del Female Tatler come una pericolosa osservatrice e relatrice dei fatti altrui. In realtà ciò che la dama prediligeva, e si dimostrava interessata a sapere, riguardava soltanto una parte della popolazione del "villaggio", gli appartenenti ai ceti alti. Questo aspetto crea un ulteriore legame tra Mrs. Crackenthorpe ed il personaggio di Intelligence, la quale riporta gli avvenimenti "scabrosi" che hanno coinvolto gli abitanti autorevoli di Atalantis. Entrambe hanno il compito di narrare vicende umane per sferzare il malcostume e la corruzione. D'altra parte, come osserva Rosalind Ballaster28, The New Atalantis è un'opera il cui scopo politico è evidente, mentre in The Female Tatler gli interessi di partito passano in secondo piano e le critiche riguardano la società nel suo insieme. Sia Phoebe Crackenthorpe sia Lady Intelligence risultano legate agli ambienti di corte: la prima ha parenti a Windsor, e le origini della sua nobile famiglia (come quelle dei Manley, con i quali i Crackenthorpe condividono anche la fede cattolica e la lealtà al re) risalgono ai tempi di William The Conqueror. La seconda, invece, appartiene per sua stessa ammissione alla schiera di cortigiani che circondano la Principessa Fama.
Intelligence si presenta nei termini seguenti ad Astrea e Virtue, che si accingono a "visitare" in sua compagnia l'isola di Atalantis per osservare i costumi degli abitanti:
 
My name is Intelligence, I am groom of the stole to the omnipotent Princess Fame, of whom all the monarchs on the earth stand in awe29.
 
Se l'una è autrice, e riunisce altre dame nel proprio salotto per "ciarlare", l'altra, al servizio della principessa Fama, legata alla conoscenza di notizie, alla circolazione di informazioni (in latino "fama" deriva da "fari", "parlare"), è "prima dama di camera" e restringe il proprio campo d'azione all'intimità dell'alcova, al luogo in cui la più segreta natura degli esseri umani viene svelata. La qualifica di Intelligence le impone di essere sempre informata sulle novità dell'isola, e di comunicarle tempestivamente alla principessa; del resto, come precisa lei stessa, la sua natura le impedirebbe di mantenere un segreto per più di "un istante":
 
I would in a moment have dispatched your affair, by a short whisper in the ears of Fame; the honour of being let into so important a secret sits heavy upon me, 'till I have disburthened my self; besides, it is my duty faithfully to report to her whatever is new, or of any seeming importance30.
 
Il personaggio di Intelligence sembra possedere una levità di carattere cui sono estranee sia la protagonista delle Letters, sia Mrs. Crackenthorpe. A differenza di queste ultime, che hanno il controllo della propria immagine, Intelligence è presentata, almeno in un primo tempo, tramite la descrizione di un altro personaggio, Virtue, che, dall'alto della propria integrità morale, la paragona ad un frenetico cortigiano amante del pettegolezzo. Con lo sguardo di Virtue coincide quello del lettore, per il quale il nuovo personaggio si investe delle connotazioni ambigue evocate da tale definizione. Per conferire credibilità a quanto Intelligence sta per raccontare, Virtue è costretta a specificare che, in quest'occasione, "Truth is summoned". Come è noto, Manley volle creare un alone di elusività intorno al personaggio del narratore per poter contrastare eventuali accuse di libello. Minando la credibilità del personaggio con cui in realtà in parte si identificava, l'autrice a prima vista contribuiva a scoraggiare eventuali collegamenti tra le storie narrate e la società contemporanea. D'altra parte, l'iniziale immagine di Intelligence quale frivola chiacchierona a caccia di scandali progressivamente si evolve, nel corso dell'opera, in quella di una figura femminile colta (conosce sia i classici sia la letteratura francese) e vindice dei torti subìti dalla reputazione femminile, come testimonia il brano seguente:
 
"[...] is it criminal to expose the pretenders to Virtue? those who rail at all the world are themselves most guilty? Did I wrong the good! accuse the innocent! that indeed would be blameable, but the libertine in practice, the devotee in profession, those that with the mask of hypocrisy undo the reputation of thousands, ought pitilessly, by a sort of retaliation, to be exposed themselves, and which I beg leave to appeal to the divine Astrea, whether it be not justice?"31
 
 
Intelligence, proiezione letteraria dell'autrice, svela qui il reale compito cui deve assolvere: contribuire a "smascherare" gli impostori e a rovinarne la reputazione32. L'interesse per il pettegolezzo risulta dunque legato ad un fine "nobile", e Intelligence ritiene che la stessa dea della giustizia, Astrea, debba sancirne la legittimità, riservando la sua condanna per chi coltivi il pettegolezzo come forma di delazione, volta esclusivamente all'altrui rovina ed al proprio vantaggio.
Tra le figure create da Manley in cui è lecito ravvisare portavoci della causa femminile e proiezioni, anche se parziali, dell'autrice, rientra anche Almyna, protagonista dell'omonimo dramma eroico. Scritto e rappresentato nel 1706, ovvero tre anni prima del tratteggio di Mrs.Crackenthorpe ed Intelligence, il dramma costituisce una tappa importante nell'evoluzione del pensiero dell'autrice, nonché un interessante esempio di riscrittura teatrale, in particolare nell'ambito della produzione femminile degli inizi del Settecento. I temi trattati - le ingiuste condanne ed i pregiudizi maschili nei confronti delle donne - sarebbero tornati nelle opere successive di Manley, che a sua volta mostrava non poche affinità con l'eroina stessa. Almyna, or The Arabian Vow rappresentava la risposta consapevole, da parte della scrittrice, all'attacco ricevuto dieci anni prima, nel 1696, dall'anonima commedia The Female Wits.
La tragedia, in cinque atti, trae ispirazione dalla vicenda di Sheherazade, che fa da "cornice" alla raccolta delle Arabian
Nights 33: un sultano orientale, Shahriyàr, vendica il tradimento della moglie non soltanto con l'uccisione di quest'ultima, bensì con il sacrificio di ogni sua nuova sposa, che viene giustiziata dopo la prima notte di nozze; Sheherazade si offre spontaneamente al sultano, e tuttavia riesce ad impedire la propria esecuzione narrando racconti che, per mille e una notte, incantano il consorte e lo fanno innamorare. In Almyna compaiono almeno due novità rispetto all'originale: innanzi tutto, Manley inserì una trama "secondaria", parallela alla principale, e riguardante la sorella di Almyna, Zoradia, ed il fratello minore del re, Abdalla34.
In secondo luogo, nell'opera teatrale vengono sottolineate con enfasi le motivazioni dell'odio del sultano nei confronti delle donne. Fin dalla prima scena del primo atto lo scopo dell'autrice risulta evidente: mettere alla berlina la convinzione, diffusa nell'antichità e confermata anche da un'autorità religiosa quale il libro del Corano, che le donne, come le bestie, siano prive di anima immortale. Il personaggio di Almyna, nelle intenzioni di Delarivier, doveva contribuire a cancellare tale pregiudizio, sia nella mente del sultano che, soprattutto, in quella degli spettatori.
Al fine di ricostruire la figura autoriale di Delarivier Manley tramite Almyna è opportuno analizzare, unitamente ai contenuti dell'opera stessa, il "paratesto" - in questo caso, la prefazione, il prologo e l'epilogo, in cui è enfatizzata l'immagine di Manley quale autrice professionista.
Dalla prefazione, in particolare, apprendiamo come il personaggio di Almanzor sia stato ispirato da "that great Monarch, Caliph Valid Almanzor, who conquer'd Spain"35. Immediato è il richiamo al protagonista di The Conquest of Granada (1670-71) di Dryden, attraverso il quale è probabile che Manley, oltre a ribadire la propria cultura letteraria, abbia voluto rendere omaggio al grande letterato: del resto, riferimenti ad un altro dramma eroico di Dryden, Aureng-Zebe, erano già presenti in The Royal Mischief 36. L'autrice afferma inoltre di aver creato il personaggio di Almyna sulla base di spunti tratti sia dalle Arabian Nights, sia da An Essay on the Operas di John Dennis, letterato e critico di fama eminente appartenente anch'egli alla cerchia di Dryden37. Dennis, insieme al già citato Granville (autore di Essay upon Unnatural Flights in Poetry) e a Dryden stesso (si pensi, per esempio, al saggio Essay of Dramatic Poesy, del 1665, o all'epilogo di The Conquest of Granada), contribuì al dibattito teorico critico concernente l'importanza delle regole e del decorum nelle composizioni letterarie. Non è un caso che, nella prefazione di Manley, il nome di Dennis figuri accanto al velato accenno a Dryden. L'autrice dimostrava di condividere le teorie letterarie di questi scrittori. Tale ipotesi trova conferma nei contenuti del prologo di Almyna, in cui, alla difesa del dramma inglese, si affianca - in sintonia con le opinioni espresse da Dennis - un attacco all'opera lirica italiana. Un singolare nesso con i suddetti letterati è costituito anche da un riferimento contenuto nell'epilogo: nel ricordare l'immenso potere del pubblico riguardo al destino della tragedia rappresentata, viene affermato che "No Party [has been] made, at Will's, or Tom's, or Sam's" per difendere l'autrice dagli attacchi38. "Will's" si chiamava la "coffee-house" presso la quale si riunivano gli uomini di cultura appartenenti alla cerchia di Dryden, tra cui lo stesso Dennis39.
La reiterata presenza, all'interno del paratesto, delle idee di Dennis e di giudizi riguardanti l'operistica italiana era probabilmente intesa anch'essa ad evocare un'immagine autoriale di Delarivier Manley differente da quella divulgata tramite The Female Wits. In tale commedia, infatti, al personaggio di Marsilia (con cui proprio a lei si alludeva) erano state attribuite opinioni ridicole ed insensate riguardo al contenuto ed alla struttura delle opere liriche. Marsilia, autrice di un libretto operistico, si vantava di aver privilegiato il dialogo e la trama a scapito della musica. Il riferimento alla prefazione di Albion and Albanius (1685), di Dryden, in cui compariva l'analisi della natura delle varie parti di un'opera lirica, era evidente40. La competenza artistica dell'autrice veniva sminuita mostrando il divario esistente fra le sue idee ed il pensiero del grande letterato: quest'ultimo aveva infatti sottolineato l'importanza della musica e ne auspicava la preminenza all'interno di una composizione operistica. Manley, tornata ad occuparsi di teatro con Almyna, intese riprendere il discorso interrotto dieci anni prima - del resto, sappiamo come fosse poco disponibile a dimenticare i torti subìti. Tale ipotesi sembra confermata anche dal fatto che alcuni riferimenti a The Conquest of Granada ed al personaggio di Almanzor fossero già presenti in The Female Wits prima ancora che in Almyna: non dimentichiamo che The Rehearsal, parodia della tragedia di Dryden, costituiva il modello per l'attacco satirico rivolto a The Royal Mischief da The Female Wits.
Anderson e Needham, già all'inizio del Novecento, hanno individuato nei contenuti di Almyna una testimonianza del "femminismo" di Manley41. Anche il contesto in cui l'opera venne proposta al pubblico parrebbe fornire un indizio eloquente a tale proposito: infatti Almyna, rappresentata nel dicembre del 1706, era l'ultima di una serie di opere scritte da donne allestite in quell'anno presso il Queen's Theatre di Haymarket42. Manley dunque difese il genere femminile inserendo la propria voce all'interno di un più ampio coro. Alla "maschera" della carismatica confidente-pettegola delle opere satirico-politiche si sostituiva quella della femme fatale, dell'eroina: già Homais, protagonista del dramma The Royal Mischief, era tale. Sebbene fino ad oggi gli studiosi si siano prevalentemente dedicati all'esame delle somiglianze esistenti fra Delarivier e Homais43, ritengo tuttavia che in Almyna in particolare, tra le opere teatrali, si delinei una figura femminile assimilabile all'autrice. L'ipotesi è suffragata dalle caratteristiche di Almyna, dalle modalità di presentazione di quest'ultima, e perfino dal nome attribuitole. Inoltre, come si vedrà, l'opera in questione è ambiguamente legata al tema del confronto - anche in ambito letterario, ma non solo - fra i due sessi.
L'ingresso in scena della protagonista, nel secondo atto, viene anticipato nel corso del primo da alcuni commenti che la riguardano, affidati a personaggi maschili; dapprima, lo zio Alhador - "Capo dei Dervisci" - ricorda la cultura di Almyna, donna dai meriti straordinari: "bred [...] in all Egyptian Learning, /The wonder of our Sex, and pride of hers"44.
L'erudizione caratterizza colei che, nell'evolversi della vicenda, si rivelerà degna rappresentante del proprio sesso. Già in questo primo ritratto della protagonista si preannuncia un'analogia con l'autrice stessa, definita, come sappiamo, "the unequalled wonder of the age, /Pride of our sex, and glory of the stage" nell'eulogia in versi dedicata a The Royal Mischief da Mary Pix.
Abdalla, l'altro uomo che descrive l'eroina al pubblico, ne sottolinea non soltanto la bellezza ed il carisma, bensì soprattutto le doti affabulatorie:
 
Cou'd he [Almanzor] but see, Almyna's gracious Form;
Cou'd he but hear, the moving Fair once speak;
She soon wou'd Melt his stubborn rash Resolves;
Soon, [...]
Reduce him to his knees, her lowest Slave45.
 
Nelle parole citate è racchiuso un vaticinio: colui che ha conosciuto Almyna prevede gli effetti che ella avrà sul sultano. Durante l'incontro con Almanzor, Abdalla si sofferma quindi sulla cultura della protagonista, piuttosto che sulla sua bellezza:
 
Cou'd you but read Almyna's noble Soul.
Th'etherial fire, that sparkles from her breast!
Soon wou'd our Prophet's notion, come in doubt.
She is not only Fair, but Wise and Good:
Her Vertue fixt, upon a sure Foundation;
Well has she too, Employ'd her early Years,
Join'd Art to Nature, and improv'd the Whole.
What ever Greek or Roman Eloquence,
Egyptian Learning, and Philosophy can teach;
She has, by Application, made her own46.
 
Le lodi della protagonista - significativamente, e come accadrà più tardi anche in Rivella - vengono enunciate da personaggi maschili affinché acquistino maggiore credibilità e risalto. Le parole di Abdalla non piacciono tuttavia al sultano, che nei confronti dell'altro sesso nutre soltanto pregiudizi:
 
So much the Worse, she's still the greater Ill,
A Contradiction, to her very Nature.
Born to obey, to know, they nothing know;
Wou'd they usurp our just prerogative,
Add to their native pride of Ignorance,
The double pride of seeming Knowledge,
Vain of their outward Forms, they well may be.
But when with Notions of Philosophy,
The Languages, and Eloquence they sight
Intrench'd; with false Quotations, History,
And the mistaken Learning of the Schools,
There's not another, such forbidding Wretch!
The very Error of Creation! The top
Of Vanity, and all Impertinence!47
 
Almanzor non soltanto prova disprezzo per il genere femminile, bensì teme che quest'ultimo possa "usurpare" il dominio culturale maschile. Il sultano dimostra qui di possedere, nei confronti delle donne istruite, i medesimi preconcetti dei contemporanei dell'autrice: la colta Almyna rappresenta "una contraddizione", è una "miserabile" e, infine, viene paragonata ad un mostro, in quanto "errore della creazione". Manley riprende gli stereotipi sviluppati nelle satire misogine, nell'intento però di confutare i pregiudizi riguardanti la competenza femminile sia in ambito letterario sia in quello lessicale.
L'opinione del sultano muta tuttavia in seguito all'incontro con Almyna. Nel corso del quarto atto, la protagonista - "introduced by the Sultan's Eunuchs"48, come afferma la didascalia, e dallo zio Alhador, "guida" spirituale e responsabile della sua educazione - giunge al suo cospetto velata:
 
SULT.: Unveil the Maid - She has a glorious Form,
Such Angels bear, or Goddesses assume,
Such Venus was with all her Train of Graces.
Oh, no! there was no such, thy self the first,
The bright, the true Original of Beauty.
'Twas but a Name, or Notion, before thou wert form'd.
Her glistering Eyes, like Lightning flash thro' mine.
All-seeing, all-commanding; how they pierce me?
Confusion! my whole Breast is naked to 'em.
'Twere vain to hide, this Empire they have gain'd,
Divine Almyna, [...]49
 
Almyna viene paragonata ad un angelo, ad una dea e, infine, a Venere: anche Rivella sarebbe stata accostata a quest'ultima. L'eroina non soltanto rappresenta l'origine della bellezza, "la prima" tra le donne, la femme fatale i cui occhi affascinano e soggiogano, bensì la "lettrice ideale" del cuore umano, alla quale è impossibile nascondere la propria vera natura. La protagonista, le cui doti intellettuali vengono enfatizzate tramite la descrizione maschile, affascina dunque anche per la bellezza del suo corpo, mentre l'intensità del suo sguardo provoca "confusione" nell'uomo, poiché "denuda", rivela. L'atteggiamento in scena dei due personaggi è significativo a tale proposito; infatti, se dapprima Almyna si inginocchia davanti ad Almanzor in segno di rispetto, in un secondo tempo questi - "abbagliato" e "conquistato" - è spinto a farla alzare e ad accostarsi a lei, eliminando così non soltanto le barriere sociali che li dividono, ma, soprattutto, la propria resistenza verso le armi femminili: "Approach, my Fair, thus with thy hand support me. /Thus rest me on thy breast, I faint with wonder. /Behold the thorough Conquest thou hast gain'd"50.
Manley prosegue con coerenza nel creare una figura femminile che osa contravvenire alle regole imposte al proprio sesso: non soltanto Almyna ha privilegiato l'erudizione, ma è anche colei che spontaneamente sceglie di offrirsi al sultano. Al suo cospetto, la protagonista audacemente rivela i propri sentimenti, sottraendosi alla ritrosia comunemente apprezzata - e incoraggiata - nelle donne. Lo scopo di Almyna è quello di porre termine alle efferatezze di Almanzor, e per tale motivo osa rivelare ciò che gli altri gli nascondono:
 
And yet thy self, art Author of the greatest [Wrongs],
My Lord, has given me leave, and I will speak,
What not thy Vizier, none of all thy Council,
Or can, or dare relate, a Woman shall!51
 
Qui è facile intravvedere una eco delle parole di commiato pronunciate dal personaggio di Marsilia nell'ultima scena di The Female Wits: "the Town will perceive what a woman can do"52. La protagonista coraggiosamente induce Almanzor a riconoscere la prostrazione in cui ha gettato il proprio popolo e, in un secondo tempo, esorta il sultano a riesaminare i pregiudizi relativi all'anima femminile:
But thou securest thy self, from thoughts of Sin:
For that our Prophet, in his Alcoran,
As thou explain'st, says Women have no Souls,
But mighty Sultan, tell thy heart but this;
Had not thy beautious, faulty Queen done Ill,
Woudst thou the Letter, e're have so expounded?
Revenge, and Jealousy, arrests the Text:
Thus taught to speak, to put a gloss on Murder53.
 
Almanzor dunque risulta colui che non soltanto è incapace di "leggere" l'anima femminile, e di Almyna in particolare, bensì "interpreta erroneamente" il testo sacro, alibi autorevole cui l'uomo ricorre per giustificare i misfatti di cui si rende "autore". Almyna invece è la donna da "svelare", la cui anima deve essere "letta" dagli uomini - dal sultano e da Abdalla -, e la cui natura appare pericolosamente diversa da quella delle altre: la bellezza, in Almyna, da "nome" diviene "forma", mentre l'erudizione, facendosi "parola" nella sua bocca, permette alla protagonista di "incantare", di provocare un "mutamento" nell'uomo; ella infatti per il sultano è una "lovely Charmer"54. Tramite la donna, il sultano riesce a "leggere" il "testo" coranico in modo appropriato, ad avvicinare i contenuti del libro con la giusta chiave di lettura: Almyna sembra "interpretare" il vero significato del libro per il sultano, mentre le idee di questi sulla superficialità dell'istruzione femminile vengono confutate.
Del resto, anche l'analisi del nome stesso della protagonista contribuisce a chiarire la natura del personaggio ed il suo significato per l'autrice. Già Anderson, nel suo saggio pionieristico, intravvedeva nell'appellativo "Almyna" un anagramma del cognome di Delarivier, la quale in tal modo avrebbe voluto istituire un legame tra sé e la propria eroina55. Poiché non ci troviamo tuttavia di fronte ad un anagramma "perfetto" del cognome "Manley", viene il dubbio che in realtà le valenze della parola possano essere molteplici: l'ipotesi che la protagonista sia una trasposizione letteraria della scrittrice può venire suffragata anche tramite l'individuazione di ulteriori etimi per il suo nome.
In "Almyna" compare la medesima radice verbale, "allem", di "Almanzor", ovvero "Al-Mansur", che in arabo significa "[colui che è stato fatto] vincitore [da Dio]", "l'Eletto, Il Segnalato", appellativo sovente attribuito a capi militari e principi musulmani. In arabo, "allem" significa sia "istruire, ammaestrare", sia "imparare", mentre "ålima", nel medesimo idioma, è la "donna ammaestrata, istruita", solitamente nella poesia e nel canto. Evoluzioni del termine arabo sono sia il francese "almée" sia il sostantivo italiano "almea": entrambi rimandano alla figura di "ballerina e cantante araba o egiziana" e, più genericamente, ad una "cortigiana orientale"56. L'autrice probabilmente conosceva i due termini arabo e francese, che ad una figura femminile "istruita", ovvero legata all'"arte", e non semplicemente alla "natura", rimandavano. Come abbiamo visto, Abdalla dice che la protagonista ha "unito l'arte alla natura". Delarivier, solitamente attenta al significato dei nomi dei propri personaggi, anche in questa occasione, tramite la scelta onomastica, potrebbe aver voluto palesare le valenze che la sua eroina doveva assumere. La protagonista dell'opera teatrale era un'affascinante seduttrice le cui armi, oltre che nella bellezza, risiedevano nelle doti intellettuali: un aspetto che la avvicinava alla sua autrice. Inoltre, alcune caratteristiche attribuite all'eroina sarebbero state in seguito condivise da Rivella. Ritengo dunque che Manley abbia voluto "giocare" sulle polivalenze sia del personaggio - femme fatale e donna istruita - sia del suo nome: quest'ultimo, letto come anagramma e/o come evoluzione dall'arabo, comunque rimanda alla figura dell'autrice.
Ritengo suggestiva un'ulteriore ipotesi. L'etimo di "Almyna" potrebbe rimandare anche al latino "alma", ovvero, "anima": in tal caso, risulterebbe ribadito anche il legame tra la protagonista e un argomento di fondamentale importanza nell'economia dell'opera. L'eroina sarebbe allora, al contrario di quanto ritiene Almanzor, "la donna con l'anima", ovvero, colei che coltiva interessi spirituali e che assolve allo scopo di confutare le errate convinzioni dell'uomo intorno alla natura dell'anima femminile.
Nel corso del dialogo con il sultano, abbondano i riferimenti al senso della vista e agli occhi della donna, dotati di "magia"; Almanzor è come vittima di un incantesimo, si sente "enchanted, without the pow'r of Speaking, /Lest speaking, I should chance to offend Almyna"57. Nella penombra della stanza, alla debole luce delle torce58, gli occhi della splendida cortigiana si svelano ad Almanzor come una visione fatale: la donna toglie la parola all'uomo, e lo induce a temerla. Manley diede sempre importanza al linguaggio degli occhi sia nell'ambito della seduzione sia quali "spie" del carattere umano: in Rivella li avrebbe definiti "Index of the Mind"59. Sia la protagonista delle Letters, sia Rivella condividono con Almyna la capacità di sedurre tramite lo sguardo. L'"incantatrice", dotata di "that nameless Power of taking Hearts", spinge il sultano a chiedersi: "Is it her Eyes, or Tongue, this Change has caus'd?"60. Egli ammutolisce di fronte ad Almyna, il cui intelletto, al pari del corpo, incuriosisce e soggioga. In realtà, non sono soltanto le sembianze o le doti affabulatorie della protagonista a sedurre Almanzor e a provocarne il mutamento, bensì è la generosità del gesto da lei compiuto. L'eroina, come Delia in The New Atalantis e in seguito Rivella, è infatti contraddistinta dalla capacità di sacrificio. Almyna si propone di salvare altre donne, mentre anela alla "gloria" di un'azione "eroica", degna di rimanere nella memoria altrui; con le seguenti parole, nel corso del terzo atto, motiva le proprie intenzioni al padre sbigottito:
 
What Raptures, must those happy Spirits feel
Whose great Renowns, from God-like Deeds perform'd,
Sounds thro' the Spacious Globe? [...]
Oh, what wou'd I not do! for such a Triumph?
Sure our great Prophet, has enlarg'd my Soul;
I speak from him inspir'd, it must be so: [...]61.
 
Almyna è talmente audace da ritenersi addirittura interprete della volontà divina: ella "parla ispirata" (e dunque "istruita"), e la gloria è il suo fine ultimo, da perseguire senza indugio. In gioco non è soltanto la sopravvivenza di altre giovani, bensì il riconoscimento dell'uguaglianza "naturale" tra i due sessi: la convinzione che la natura femminile sia inferiore è in realtà un pregiudizio, e in quanto tale va combattuto. Qui personaggio ed autrice si sovrappongono, il pensiero di quest'ultima viene enunciato, si fa "parola", tramite Almyna. Se da un lato Manley condannava le donne che rinunciavano alla propria femminilità per indulgere a atteggiamenti maschili o per "scimmiottare" l'altro sesso - e a questo proposito vale la pena ricordare i numerosi attacchi sferrati contro di loro dalle pagine del Female Tatler e di The New Atalantis 62-, dall'altro voleva confutare l'idea, di derivazione aristotelica, che l'anima femminile fosse mortale e, pertanto, assimilabile a quella delle bestie. Nel corso del Seicento, in particolare, tale convinzione era stata reiterata, come ricorda Needham63, da letterati del calibro di John Donne e John Marston, mentre nel Settecento venivano ancora citati i famosi versi satirici composti da Samuel Butler (1612-1680): "The Soules of women are so small /That some believe th'have none at all"64. Tali concetti, ovviamente legati a quelli riguardanti l'istruzione femminile, vengono ridicolizzati da Almyna in un lungo discorso al sultano che ha in vista, al contempo, il pubblico dell'epoca.
Almyna è dunque la donna audace che affronta argomenti "maschili" - poiché filosofici - quali la natura dell'anima umana, è la donna "unica" che libera dalla tirannia la comunità femminile del suo regno: per dimostrare la fallacia delle idee del sultano, la protagonista enumera le azioni "gloriose" osate da donne quali Semiramide, Giuditta, Virginia, Lucrezia, Porzia, Clelia e, infine, Cleopatra65. Significativa appare la scelta delle "eroine" citate da Manley. Tutte appartenenti al mondo dell'antichità, esse rappresentano figure leggendarie, bibliche o storiche celebrate in ogni campo dell'arte, dalla pittura alla musica. Le caratteristiche che le accomunano sono l'audacia, lo spirito di sacrificio e il forte senso dell'onore: almeno tre di loro - Virginia, Lucrezia e Cleopatra - scelgono il suicidio pur di non cedere al sopruso maschile. Più in generale, le eroine celebrate rappresentano figure di "ribelli" nei confronti del potere tirannico, sia questo sessuale o politico: si pensi per esempio alle vicende di Giuditta, di Lucrezia, di Clelia. Certamente, queste figure simboleggiano il "dominio femminile", ed evocano il tanto esorcizzato pavor feminae. D'altro canto, l'assimilazione a Cleopatra contribuisce a sottolineare la sensualità di Almyna. Le storie individuali citate, facendo rammentare l'audacia del genere femminile nei confronti delle varie forme di tirannide, nell'economia dell'opera servono da sprone al "sacrificio" di Almyna, e contribuiscono ad incrinare le convinzioni del sultano. Inoltre, poiché Semiramide e Cleopatra sono donne non soltanto audaci e bellissime, ma anche erudite (Cleopatra conosce numerosi idiomi), esse appartengono ad una "comunità" muliebre della quale la giovane Almyna si sente parte, e per lei rappresentano delle valide "progenitrici" da emulare.
Sebbene si definisca "willing Victim"66, Almyna non è affatto vittima del sultano, nei confronti del quale, al contrario, si dimostra vincente. Egli infatti risulta tormentato, se non dai propri errori, certamente dal proprio desiderio di vendetta, cui ha sacrificato l'esistenza. La paura di soffrire lo ha portato a rifuggire dalle gioie della vita: convinto che le donne non conoscano che la "dissimulazione", ne fa delle schiave, ed evita il loro amore uccidendole dopo l'atto sessuale. In tal modo, egli si autocondanna alla solitudine, ed alla compagnia di schiave nere ed eunuchi, che rappresentano due simboli contrapposti di sessualità, entrambi negativi: le prime rimandano ad un'idea di lussuria e di peccato carnale (neri erano anche gli schiavi con cui la moglie del sultano e quella di un fratello avevano tradito), mentre gli eunuchi simboleggiano la negazione della sessualità, l'ibrido cui è stata sottratta la libertà sessuale, colui che ha dovuto rinunciare alla propria virilità67. L'idea di schiavitù veicolata da tali figure - nonché dai "mutes" presenti nel serraglio, ovvero dagli attori di pantomime privi dell'uso della parola68- emblematicamente rimanda alla persona del sultano. In particolare, schiave nere ed eunuchi, che in una didascalia dell'opera vengono descritti come immobili "statue" che assistono al sonno del sovrano, di fatto definiscono la natura di quest'ultimo, ne diventano i simboli: Almanzor intrattiene con le donne soltanto rapporti carnali, dai quali, al pari del sentimento amoroso, è esclusa la procreazione (egli infatti paventa l'eventualità che l'unione con il sesso "impuro" generi altre vite); allo stesso tempo, il sultano si rivela un "mezzo uomo", che ostenta freddezza nei confronti del genere femminile poiché incapace di superare le proprie paure. Anch'egli in realtà è "schiavo", poiché soggiace alla gelosia ed al desiderio di vendetta: il fratello Abdalla - durante un violento conflitto verbale destinato a tramutarsi ben presto in un duello di spade - non a caso lo chiama "Coward- Monarch", e lo definisce "too base, /Too poorly spirited"69. D'altra parte, l'eunuco, tradizionale simbolo di letargia sessuale e sentimentale, di "effeminatezza", paradossalmente, in Almyna, definisce la natura del sultano anche per antitesi, non soltanto per assimilazione: infatti, a differenza di Almanzor, Morat - "Capo degli Eunuchi" - è "generoso", disposto a riconoscere il valore di Almyna e a provare pietà per lei (affermando che "But such a Soul, no Age has e're produc'd")70. Lo schiavo Morat, infatti, per tentare di salvare Almyna dal boia, nel corso dell'ultimo atto si ribella all'autorità del monarca, mentre quest'ultimo revoca l'ordine di uccidere la donna soltanto all'ultimo momento, e dopo aver tentato di assistere, dall'alto di una finestra, "nascosto e non visto", alla sua esecuzione. Almanzor è l'uomo "debole", il cui potere è meramente illusorio, mentre, al contrario, sia l'eunuco sia Almyna risultano schiavi soltanto in apparenza, poiché in realtà sono in grado di opporsi all'autorità del sultano.
Almyna, in particolare, definisce il tipo di donna in cui il proprio sesso dovrebbe riconoscersi: una "meraviglia" non soltanto per l'universo maschile, ma anche per quello femminile. Infatti, nel corso della trama la protagonista risulta antitetica anche a Zoradia. Quest'ultima, al contrario della sorella, è vittima dell'uomo e della sua "incostanza", e incarna l'eroina ingenua, dapprima illusa e in seguito abbandonata. A differenza di Almyna, non è stata educata lontano da casa, non ha esperienza del mondo e non è istruita. Ella rappresenta la giovane donna in balìa di una passione non ricambiata, la vittima inerme, assimilabile ad un ago tremante, che nulla può nei confronti della calamita che lo attrae; è Zoradia stessa a creare questa metafora: "Attractive Love! thou Loadstone of the World, /Which draws me, like the trembling Needle, to thee"71. La differenza fra le due sorelle è chiara: mentre Almyna, sebbene attratta dal sultano, pensa alla gloria, e compie il proprio gesto per un fine nobile, Zoradia considera invece l'amore la "calamita del mondo", il centro attorno al quale tutto ruota, e ad esso vota la propria esistenza, fino al sacrificio estremo.
Dal confronto appare evidente con quale delle sorelle Manley si identificasse. Sebbene solidale con la "vittima", l'autrice attribuiva ad Almyna qualità che riteneva superiori: l'erudizione, la bellezza e, soprattutto, la generosità e l'audacia. Tratti, questi, che Rivella avrebbe condiviso, con la sola eccezione della bellezza, giudicata secondaria per colei che sa "incantare" l'altro sesso tramite l'uso degli occhi e della parola.
Quando il dramma teatrale venne rappresentato, l'autrice rifiutò di firmarlo. Le incertezze intorno al sesso di chi l'aveva scritto vennero incrementate dai riferimenti contenuti nell'epilogo (recitato da Thomas Betterton) ad un autore maschile: "Unknown, unfriended, as our Poet is, /No Factions form'd, to save him from your Hiss; /[...] /No Party made, at Will's, or Tom's, or Sam's"72. Del resto, conferme intertestuali rimandano alla penna di Delarivier Manley: anche nella dedica del secondo volume di The New Atalantis la figura dell'autore-traduttore era definita "unknown! unfriended! an obscure original, a nameless translator, no party interested in its favour"73. Ritengo che tali ambiguità fossero deliberatamente cercate dall'autrice, desiderosa, dopo la comparsa di un'opera dai pericolosi contenuti politici quale Queen Zarah (1705), di esporsi il meno possibile alla censura e alle vendette. L'anonimato di Delarivier, come il velo di Almyna ed il ventaglio della protagonista delle Letters, sembrava adatto a difendere, nella politica come nell'arte e nella vita, la donna dall'uomo: nell'epilogo, l'ignoto "autore" affermava di celare la propria identità per motivi legati a "Fear, or Modesty"74. L'anonimato tutelava l'autrice dagli attacchi del pubblico e della critica - solitamente, maschile -, mentre il velo proteggeva Almyna dall'uomo che uccideva le donne dopo averle amate: ella, in quanto "istruita", al cospetto del severo giudice doveva celare la propria vera natura, l'indole "poco femminile" che la contraddistingueva (non a caso, il velo tornava a coprire il suo capo nella scena finale dell'opera, in cui si preparava la sua esecuzione). Del resto, Almyna, come abbiamo visto, affermava di essere colei "che può raccontare, svelare", e in quanto tale rappresentava la trasposizione letteraria di una figura autoriale femminile. A lei Manley oppose la figura di un sultano in cui era possibile riconoscere l'uomo-lettore contemporaneo, e, al tempo stesso, l'uomo "autore" (nel senso di "artefice", ma anche di "creatore letterario") che avrebbe voluto "cancellare" la donna di cultura, e che, tuttavia, nel mondo della finzione letteraria, era costretto ad assaporare la sconfitta ed ammettere la resa.
Dalle sue opere in prosa così come da quelle teatrali, emergeva dunque la figura di un'autrice professionista, consapevole del valore del proprio operato. Le maschere necessarie per scrivere - dal "fine ventaglio" della dama all'elusività di Mrs. Crackenthorpe, dall'invisibilità di Intelligence al velo di Almyna - a tratti cadevano, o semplicemente venivano scostate per lasciare intravvedere chi in realtà si celava dietro di loro: una donna dotata di cultura e discernimento che aspirava, attraverso i propri scritti, ad accelerare la riforma dei costumi. Quella stessa donna che, affabulatrice e segreta fino all'ultimo, neppure nell'autobiografia accettò di mettersi a nudo. Epitome di figure femminili cui l'autrice aveva fatto ricorso in precedenza, Rivella infatti era anch'essa una "maschera", un elaborato "artificio", un'illusione onirica in cui realtà e fantasia si confondevano.