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Donatella Montalto
Cessi
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- Ciriaco Morón
Arroyo, El "Alma de España". Cien años de
inseguridad, Oviedo, Ediciones Nobel,
1996
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- L'osservazione
della Spagna contemporanea rivela all'Autore di questo corposo
volume un diffuso senso di insicurezza, causato nel presente dal
timore della perdita del benessere economico raggiunto,
dall'incapacità di risolvere il problema del terrorismo,
dalla difficoltà di impostare le questioni sorte dalle
diverse identità nazionali, dal tramonto di valori
tradizionali quali la famiglia e la religione, ma soprattutto
dall'ignoranza della storia. Per colmare questo difetto di
conoscenza, possibile fonte negli spagnoli di una sorta di
complesso di inferiorità, ricostruisce l'ambiente culturale
della fine del secolo scorso a partire dagli scrittori della
cosiddetta "generazione del '98" che formularono la questione
negli stessi termini nei quali è giunta a
noi.
- Prima di entrare nel vivo del discorso
chiarisce che assume l'espressione "generación del 98" nel
senso ampio di panorama intellettuale del periodo compreso fra il
1890 e il 1910 senza entrare nella polemica sulla validità
o meno del concetto di generazione perché estraneo ai suoi
interessi; quanto alla dicotomia definitoria "generación
del 98" versus "modernismo", dopo aver chiarito che essa si
giustificava solo riducendo il secondo a forma letteraria ricca di
preziosità e di raffinatezze, di scene crudeli e di
erotismo, riconosce che il termine "modernismo" può
includere l'attività di scrittori quali Ganivet, Unamuno,
Azorín, Baroja e Maeztu, che "asimilaron y aclimataron en
España las revoluciones ideológicas asociadas a la
modernidad europea" (p. 34), poggiando questa asserzione
sull'autorità di Federico de Onís, di Juan
Ramón Jiménez e di José Ortega y Gasset che
li definirono "modernistas". Precisa anche che il Desastre
non fu determinante per i novantottisti che si erano confrontati
con il "marasmo" della Spagna, con la abulia e con la decadenza
biologica della "raza" negli anni precedenti alla perdita di Cuba
e della Filippine.
- Chiarito che si tratta di un gruppo di
letterati, che tutto pospongono alla creazione letteraria e alla
sperimentazione nella scrittura, studia il loro pensiero in
relazione al "problema de España", alle possibilità
di riscatto della nazione, alla necessità di europeizzare
il paese. Per gli uomini del '98 l'Europa rappresentava la
modernità, il modello da seguire per uscire dalla
condizione di arretratezza e povertà nella quale si trovava
la Spagna; l'Europa era la cultura filosofica, scientifica e
tecnica tedesca, la vita intellettuale e artistica francese, la
sapienza politica inglese. Essi erano convinti che con
l'integrazione europea la nazione sarebbe riuscita a superare
l'insicurezza e la sensazione di decadenza da cui da secoli era
afflitta. L'impressione di separatezza nei confronti del vecchio
continente era serpeggiata nel paese a partire dalla fine del
seicento e nell'ottocento aveva prodotto una serie di sforzi per
uscirne, quali la pubblicazione della rivista catalana El
Europeo (1820-1823), quali l'importazione della filosofia
krausista, che si era affermata prevalentemente nella prassi
educativa della Institución Libre de
Enseñanza.
- "Para los hombres del 98 europeizarse
era hacer España y descubrir España" (p. 38),
scoperta che derivava dall'osservazione del popolo, luogo nel
quale avrebbe dovuto aver inizio il riscatto della patria, ma,
come acutamente nota Morón Arroyo, è assai vago il
concetto di "pueblo". Unamuno, in una visione prospettica,
invitava a "europeizarnos y chapuzarnos en pueblo", senza chiarire
che cosa significasse per lui il lemma "pueblo". Se nella
formulazione della "intrahistoria", quando parlava della vita
quotidiana di milioni di persone che si alzavano al levar del sole
per andare a lavorare nei campi (persone che costruivano la storia
vera, la storia eterna rispetto a quella superficiale e
transitoria dei re, dei papi e delle guerre) faceva riferimento a
un ceto rurale, nei suoi romanzi, proprio come in quelli di Baroja
e Azorín, si rappresentava lo strato più indigente
della popolazione cittadina. Ed inoltre, sottolinea il critico,
quando Unamuno proponeva il "chapuzón", il 70% degli
spagnoli viveva in campagna in precarie condizioni fisiche e
spirituali, analfabeta e affamato, difficilmente adatto a
diventare il motore di una trasformazione della
Spagna1. È comunque a questo indefinito e
imprecisato "pueblo" che gli scrittori del '98 guardavano per
scoprire il carattere, il genio, l'"alma" della nazione, che
compare nel titolo del saggio. Vengono compiute molte indagini per
rintracciare la psicologia del popolo, vedendo nella sua
conoscenza la base per il riscatto, per la
rigenerazione2. Il concetto di Volksgeist risale
al romanticismo quando si era diffusa la convinzione che il popolo
incarnasse l'identità nazionale, che rappresentasse la
madre terra capace di generare e rigenerare. In seguito il
positivismo, nell'individuazione delle leggi che ne definivano il
funzionamento, creava una nuova scienza, la
Volkerpsychologie, l'etnopsicologia, una branchia della
sociologia che, dopo aver ottenuto un grande successo in Germania
nella seconda metà del XIX secolo, veniva conosciuta in
tutta Europa. L'Autore ritiene che Ángel Ganivet nella
concezione dello spirito del territorio, come appare in El
idearium español, abbia subito l'influenza di questa
nuova scienza. Il granadino infatti spiegava la decadenza della
Spagna nell'età moderna con il tradimento dello spirito
peninsulare operato da Carlo V che, uomo continentale, aveva
trascinato il paese in guerre di conquista aliene alla sua
essenza. La etnopsicologia induceva alla ricerca di caratteri
costitutivi: Ganivet, Baroja, Azorín e Maeztu individuavano
nella mancanza di volontà il male più profondo dello
spagnolo, l'abulia diventava "una pose modernista europeizante"
(p.116).
- Morón Arroyo, spostando
l'attenzione dal Volksgeist alla Volkerpsychologie
come possibile scaturigine dell'indagine sulle componenti
essenziali della nazione, segna il transito da una nozione
letteraria a una scienza sistematizzata con pretese di rigore
scientifico. In questo modo inserisce la "generazione del '98", e
in genere l'intellettualità spagnola del tempo, nella
cultura scientifica europea di fine secolo, sottraendola a una
tardiva influenza romantica, come aveva proposto la critica degli
anni sessanta, settanta3.
- I modernisti, spinti dal forte
nazionalismo, cercavano "el alma de la raza", quell'aura che
avvolgeva una società in una sorta di comunione, che creava
una coscienza dell'identità. La parola "raza" riconduce
nell'ambito di una delle scienze di grande successo in quel
periodo: la antropologia con la sua derivata antropometria, che
gli scrittori di formazione scientifica (Pío Baroja, Pompeu
Gener, Ramón y Cajal) ostentavano nei loro scritti fino a
sfiorare il razzismo.
- Anche il concetto sotteso al lemma
"raza", incerto, indeterminato, veniva impiegato per identificare
un popolo, per sostenere il nazionalismo. Accanto a quello
castigliano fiorivano i regionali; nutriti dalle stesse
convinzioni e dalle stesse fumisterie, facevano riemergere il
patrimonio culturale conservato nella memoria del popolo per
trovare "el espíritu del pueblo", e si radicavano tanto
profondamente da lasciare strascichi ancora ai nostri giorni. La
individuazione di questi elementi portava i modernisti a
privilegiare l'eredità a scapito della formulazione di
progetti per il futuro e, nonostante l'ammissione che i caratteri
attribuiti ai popoli non fossero immutabili, ma storici, si riceve
una sensazione di fatalismo derivata da vizi congeniti; la storia
veniva vista come un coacervo di accidenti che accadevano a un
soggetto sostanzialmente immutabile.
- Morón Arroyo, indagate le
concause che hanno originato il successo dell'idea dell'"alma de
España", conclude: "El discurso de los modernistas sobre
España se funda en una metáfora (alma nacional) y
privilegia el pasado, la casualidad simplista y el fatalismo. En
este confuso discurso se fundó el nacionalismo de algunas
regiones. Hoy debemos potenciar la riqueza de las diferencias,
pero desde un análisis nuevo. El fuerismo es prehistoria y
la etnopsicología ebriedad mental" (p. 142). Il critico
inserisce gli scrittori del '98 nell'ambiente europeo del tempo
anche per quanto riguarda l'eredità positivista e il
fascino su di loro esercitato da un certo tipo di scientismo; il
partire da una metafora biologica, che applicava a soggetti
collettivi caratteristiche individuali, ha prodotto stereotipi di
dubbio valore conoscitivo e li ha condotti a teorie niente affatto
scientifiche, ma di grande successo, che hanno lasciato un segno
profondo nella cultura spagnola, vivo ancora oggi. Sottolinea
l'atteggiamento bivalente di questi scrittori nei confronti del
positivismo, che, per un verso, essi rifiutavano in nome di un
nuovo spiritualismo, mentre per un altro ne erano eredi, ponendosi
nella linea interpretativa di Adam Sharman: "Desdeñar el
posivismo no impide que los modernistas usen las mismas
metáforas, se deslicen en el mismo discurso sobre la
evolución de una especie y el destino de un pueblo cuya
hora ha llegado. La contradicción es algebraica: un suceso
singular a cierto nivel &endash; la ruptura con el positivismo
&endash; se disuelve a otro nivel en una continuidad ideal; un
contra-discurso que no es otra cosa más que la
reaparición de lo que intenta
disipar"4.
- Nel capitolo intitolato Europa igual
ciencia: Ortega y Gasset segue le trasformazioni del pensiero del
filosofo, il quale, in gioventù, convinto sostenitore del
progresso scientifico e tecnico europeo, riteneva che la scienza,
unico sguardo serio sulla realtà, e l'educazione, suo
strumento, avrebbero potuto risolvere il problema
dell'arretratezza della Spagna. Quando si era confrontato con il
concetto di "alma nacional" dei modernisti aveva riconosciuto che
non si poteva ridurre a un etere avvolgente, idea oscura e priva
di vigore intellettuale, ma consisteva nella lingua e in tutte
quelle strutture che ci accolgono quando nasciamo e che danno un
senso al nostro esistere. Nell'ultima parte della vita, mosso
dalla volontà di rintracciare segni dell'identità
nazionale, si lanciava in una "teoría de Andalucía"
e in una diagnosi su diverse regioni, che vengono così
commentate dal critico: "Así, quien comenzó su
carrera denostando del espíritu nacional como un fantasma
de mentes sin rigor, se pasó la vida caracterizando a
España, a las regiones y a Europa" (p. 174), subendo
l'influsso dell'evanescente metafora che tanto successo aveva
ottenuto presso i modernisti.
- Sempre nell'ottica di una riflessione
sull'identità spagnola, affronta il tema de "las dos
Españas", espressione della coscienza di una scissione
esistente nel paese, di cui rintraccia la prima formulazione nel
1903 ne La literatura del día di González
Serrano. Il sintagma racchiude contenuti diversi, che vengono
analizzati e seguiti nel tempo: la radicalizzazione in fazioni
contrapposte ha comunque provocato negli spagnoli uno stato di
ansia e di incertezza, giacché ognuno si è sentito
minacciato costantemente dall'altra Spagna, dal suo
contrario.
- Ripercorre poi gli anni del franchismo
con l'intento di ricostruire una storia della cultura non
partigiana, attento a raccogliere quanto si era riusciti a
produrre nel settore dell'educazione, della ricerca, delle
pubblicazioni sotto il regime, che, precisa, servendosi di parole
di Julián Marías, "no ha sido nunca
totalitario"5, bensì autoritario, condividendo
la teoria di Juan Linz6. In questo periodo il discorso
della psicologia collettiva passava dall'"alma" al "ser" della
Spagna, "ser" plasmato da presunti caratteri immutabili, solo
attraversato da cambiamenti accidentali. Dopo aver seguito le
trasformazioni del paese nel quarantennio, sottolinea con
ammirazione lo sforzo di don Juan Carlos y Adolfo Suárez
per trasformare la Spagna che è divenuta "la España
del cincel, la movida y el ordenador, España de la idea,
pero ya sin rabia" (p. 226). Il nuovo Stato è riuscito a
far superare agli spagnoli l'insicurezza derivata dalla politica,
quella relativa al settore economico-sociale e quella proveniente
dall'articolazione delle diverse nazionalità, nonostante il
terrorismo; rimane da vincere l'insicurezza culturale, che oggi
non è più giustificata da nessun ritardo né
nell'ambito dell'educazione, né in quello delle scienze e
ancora meno se si guarda alla qualità della vita ( la
Spagna occupa il terzo posto dopo la Svizzera e la Germania).
L'Autore si chiede se questa incertezza non provenga dalle diverse
nazionalità che compongono lo stato delle autonomie, sorto
con la Costituzione del 1978. Le differenze regionali possono
produrre un arricchimento intellettuale oppure dare luogo a uno
scontro isterilente come avviene con i separatismi quando
recuperano, esasperandolo, il concetto di "almas regionales". Il
regionalismo con le sue lingue può presentare delle
difficoltà al momento dell'identificazione collettiva. Per
sciogliere questo nodo Morón Arroyo ritorna sul tema
dell'identità che attualmente non rappresenta un problema
esistenziale come alla fine dell'ottocento, ma si è
trasformato in oggetto di ricerca. Quali i suoi elementi
costitutivi? Primo fra tutti la lingua, la cui struttura formale
dirige il pensiero di chi parla, e questa lingua, condensazione di
cultura partecipata, è lo spagnolo, poi la storia e infine
"las referencias", le tre componenti interagiscono fra di loro.
Dunque una regione come la Catalogna, nonostante abbia una lingua
propria, possiede una storia comune con gli altri popoli e trame
di reciprocità ("las referencias") con i membri dello
stesso Stato. Per gli etnopsicologi ottocenteschi lo Stato era una
realtà superficiale, contrastante con quella profonda di
popolo e nazione, per l'Autore la sovranità statale
stabilisce relazioni mutue che dirigono la vita sociale. L'essere
passati dallo stato centralizzato a quello delle autonomie ha
conferito una nuova identità secondaria. Come si è
constatato nella Spagna della seconda metà del novecento la
"historia rehace la intrahistoria y viceversa" (p. 260), le
trasformazioni dell'uomo e della società non sono dovute
all'abbandono di una caratteristica in favore di un'altra, ma per
crescita, "creación de la memoria" (p. 260). Il futuro
della Spagna dovrà basarsi non tanto sulle differenze
locali quanto, nel rispetto delle stesse, sulla collaborazione e
sui rapporti di reciprocità. Secondo il critico, della
triade nata con la rivoluzione francese "libertà,
uguaglianza, fraternità", il mondo contemporaneo continua
ad ignorare il terzo elemento, che invece potrebbe rappresentare
la soluzione a molte disfunzioni del presente.
- Nel futuro "hay que abandonar todo
discurso que, como el de las almas nacionales, suponga
dicotomías rígidas entre fondo y superficie (pueblo
frente a Estado), pasado y futuro (tradición frente a
progreso), ensimismamiento y alteración. La realidad humana
en su dimensión individual y social no se puede entender
desde esos contrastes, sino como algo anterior a ellos. El hombre
es superficie honda, tradición eterna, intimidad abierta.
La pregunta más difícil en lo humano es determinar
cuándo el caminar de un individuo o de un pueblo se
convierte en un desvío" (p. 284).
- Con straordinario rigore, con
serietà e acribia Morón Arroyo esplora in filigrana
le numerose matrici culturali che hanno portato alla elaborazione
della metafora "alma de España", ne segue l'evolversi e ne
rintraccia il lascito nei nazionalismi locali dei nostri giorni,
propensi a sottolineare le differenze per identificarsi. Al
contrario il progetto per il futuro dovrà prevedere
l'inclusione mai l'esclusione, l'abbraccio mai la chiusura. Il
saggio, frutto di una notevole onestà intellettuale,
è fondamentale per chi voglia compiere uno studio sulla
fine del secolo scorso, del quale presenta un esaustivo panorama
culturale; è strumento imprescindibile per affrontare
questioni di attualità quali l'identità nazionale,
che viene indagata nelle sue componenti con la volontà di
non lasciare nessuno spazio a stereotipi o vaghezze di origine
sentimentale; è pure utile per chi debba affrontare il
periodo franchista perché ne propone una rilettura
compiendo un considerevole sforzo di
oggettività.