Enrique Santos Unamuno
LA SPAGNA TRA MODERNITÀ
E POSTMODERNITÀ
- 1. L'idea originale, che avrebbe dovuto guidare l'andamento delle seguenti riflessioni, concepite in un primo momento come materiale per una conferenza e solo in seguito diventate testo scritto, era quella di tratteggiare alcuni aspetti dei cambiamenti verificatisi in Spagna negli ultimi 20 anni e cioè negli anni della cosiddetta "transizione politica verso la democrazia". Sennonché ogni tentativo di sistematizzazione, di schema, di discorso lineare intrapreso finiva col portarci indietro nel tempo, valicando quella data emblematica che è il 20 novembre 1975 (giorno della morte del dittatore Franco). Più si andava avanti più ci si accorgeva che la storia spagnola di questi 20 anni era inseparabile dalle vicende succedutesi almeno negli ultimi tre secoli, quasi una conclusione delle strade e dei problemi che si aprirono a partire dalla fine del Seicento e che in Europa sfoceranno nel passaggio dall' Ancien Régime alla Modernità. In tempi come questi, in cui la crisi incalzante del progetto della Modernità ha già fatto coniare un termine come Postmodernità, ci è sembrato interessante a un certo punto interrogarci sulla Spagna Postmoderna, sulla Spagna attuale, ricorrendo però all'aiuto fornito da quell'entità complessa e multiforme, ingorgo storico o forse chimera mai esistita che è stata, se lo è stata, la Spagna Moderna.
- Nel nostro percorso (per forza sommario e veloce) partiremo da alcune idee della Spagna presenti nell'immaginario collettivo occidentale dal '600 ad oggi, dalla Modernità alla Postmodernità (2.), e poi, in contrapposizione a queste idee ricevute, confronteremo:
- a) la Modernità occidentale e la sua particolare attuazione in Spagna, individuando in essa una serie di attori determinanti (3.).
- b) la Postmodernità e i suoi rapporti con il caso spagnolo, sempre attraverso gli stessi attori e i loro eventuali cambiamenti nell'insieme (4.).
- 2. L'immagine che della Spagna si sono fatti gli altri paesi europei può, grosso modo, essere ricondotta a due filoni principali, in buona misura legati tra di loro e in non pochi casi interdipendenti: la Spagna nera e la Spagna tipica (la "España de charanga y pandereta", da macchietta)1.
- 2.1. La "leggenda nera": questo termine sta a indicare la serie di racconti, di descrizioni, di accuse riguardanti la Spagna come soggetto storico. La leggenda nera è stata una conseguenza diretta dell'egemonia politica e militare esercitata dalla Spagna tra la metà del '400 e la metà del '600. Figura emblematica di questa Spagna nera è senz'altro il monarca Filippo II (1556-1598), non a caso soprannominato dai suoi detrattori "il diavolo del Mezzogiorno"2. L'odio suscitato dalla Spagna in questo periodo era chiaramente legato alle guerre di religione, allo scontro tra Riforma e Controriforma (la leggenda nera è in buona parte una costruzione dei paesi protestanti e dell'Inghilterra anglicana, i quali, ricordiamolo, stanno alla base di quell'etica capitalistica, moderna, di cui parlò Max Weber), all'espulsione degli ebrei spagnoli (1492), alla conquista dell'America (sempre a partire dal 1492). Gli elementi di questo presunto oscurantismo (intrinseco all'anima e all'essere spagnoli, secondo queste concezioni) erano fondamentalmente: un cattolicesimo retrivo e intollerante, rituale e vuoto, che trova la sua più compiuta espressione nel Tribunale dell'Inquisizione e una innata incapacità per le arti meccaniche e per le scienze in generale, incapacità legata a una mentalità nobiliare. Chi in Italia non è venuto a contatto con questa immagine della Spagna forcaiola e bigotta, cupa e clericale, la "cattolicissima Spagna", come i giornalisti italiani amano ancora dire? Non è questa la sede adatta per smontare gli argomenti della leggenda nera, per la verità molto deboli, non trattandosi sostanzialmente che di propaganda. Più interessante si rivelerà invece constatare che il filone denigratorio della Spagna nera non cesserà affatto dopo la decadenza e posteriore smembramento dell'impero spagnolo a partire dalla seconda metà del '6003. Così, uno scrittore francese poco conosciuto, Masson de Morvilliers, ebbe a scrivere nel 1782, in pieno Illuminismo, qualche anno prima dell'ingresso nella piena Modernità segnato dalla Rivoluzione Francese, ebbe a scrivere dicevo, queste parole a proposito della Spagna: "Cosa dobbiamo alla Spagna? Da due, quattro, dieci secoli, cosa ha fatto per l'Europa?" (Bleiberg, ed., 1979: 719). Un attacco diretto nei confronti della Spagna come entità storica (e non solo della Spagna Imperiale), che apparirà così come una penosa eccezione da un punto di vista culturale e politico nel concerto delle nazioni europee4. Simili atteggiamenti, generalizzati al di là delle nostre frontiere, avranno un riscontro anche nel pensiero e nella società spagnoli. Sorgerà così il mito delle due Spagne, quella illuminista e quella reazionaria, di cui ci occuperemo dopo. Fatto sta che l'immagine della leggenda nera è rimasta presente nella coscienza europea anche quando la Spagna aveva perso quasi completamente ogni ruolo internazionale in Europa, e cioè a partire dal Trattato di Utrecht (1713).
- Non a caso, dopo più di due secoli ecco che la Spagna torna di moda, stavolta ahimé grazie alla guerra civile, scoppiata nel 1936 e che costituì per gli europei una specie di palla di vetro, permettendo loro di anticipare quello che stava per succedere in campo internazionale di lì a pochi anni. Presto divenne chiaro che nella guerra di Spagna si giocava anche il futuro dell'Europa e non solo. Il risultato dello scontro bellico è noto a tutti: le forze ribelli del generale Franco vinsero la guerra e imposero una dittatura che durò pressappoco 40 anni. Ed è qui che vediamo rispuntare la Spagna eterna, il deserto culturale e politico, una nuova versione della leggenda nera adottata in blocco dalle potenze occidentali (anche se il franchismo aveva reso le cose piuttosto facili), le stesse potenze che si rifiutarono di aiutare il governo legittimo della Repubblica spagnola. Di nuovo, quindi, una Spagna "eccezionale", "diversa" e isolata, cupa e sterilmente monolitica. Siamo negli anni '40 e il mondo dovrà aspettare fino alla fine degli anni '70 per accogliere la pecorella smarrita nel suo seno.
- 2.2. La Spagna tipica: la stessa iconografia che sta alla base della "leggenda nera", convenientemente stilizzata e dotata di nuove connotazioni, sarà determinante nella formazione dell'immagine della Spagna "tipica e folcloristica" fondamentalmente da parte dei romantici tedeschi, che a cavallo tra il '700 e l'800 riscopriranno e loderanno sperticatamente opere come il Don Chisciotte o la produzione teatrale di Calderón de la Barca. Questi pensatori (con in testa i fratelli Schlegel) vedranno nella letteratura spagnola del periodo imperiale degli Absburgo una plasmazione dello spirito nazionale e popolare spagnolo, basato secondo loro sulla religione e sull'onore. La Spagna barocca si presentava così come un'età dallo spirito romantico prima ancora del Romanticismo e il popolo spagnolo come portatore di valori di autenticità e di passione travolgente5. Su questa strada non sarà difficile arrivare a figurazioni emblematiche di questa Spagna tipica come quelle dei Racconti dell'Alhambra de Washington Irving o della Carmen (1845) di Prosper Mérimée, diventata in seguito il simbolo dell'anima spagnola, sensuale e ribelle, soprattutto grazie all'opera lirica di Bizet (1875)6.
- E così, dai romantici tedeschi siamo arrivati fino ai nostri giorni, in cui la Spagna tipica si presenta potremmo dire sotto mentite spoglie. Quando la Spagna nera franchista lascerà il posto alla nascente democrazia alla fine degli anni '70, e soprattutto a partire dall'82, anno in cui il Partito Socialista spagnolo schiaccerà tutti i suoi avversari alle elezioni politiche, dando inizio alla cosiddetta "era del cambio", in quel momento dicevamo, assisteremo alla formazione di un nuovo tipismo. Ma le Carmen e i Don Chisciotte pre-moderni (non poteva essere altrimenti nella nuova Spagna) si sono aggiornati, travestiti da cantanti rock, da stilisti, da uomini d'affari, da registi, da politici discotecari. Siamo davanti al "miracolo spagnolo" degli anni '80, e giù servizi su Herald Tribune, New York Times, Le Nouvel Observateur, ecc, ecc; finalmente la Spagna può vantarsi di essere moderna tra i moderni, anzi postmoderna, senza rinunciare però allo slogan "Spain is different" di memoria franchista. Un'immagine sostenuta a suon di investimenti stranieri, mentre il tasso di disoccupazione saliva alle stelle, raggiungendo il primo posto del ranking europeo. Intanto, però, passare il capodanno nella divertentissima Spagna tipica è sempre una meta ambita.
- Quale è stato, però, il percorso storico che ha fatto della Spagna un caso a sé? Forse i concetti di Modernità e di Postmodernità possono aiutarci a capire di più.
- 3. Secondo una definizione che possiamo ritenere valida "l'idea di modernità, nella sua forma più ambiziosa, fu l'affermazione secondo cui l'uomo è ciò che fa, e dunque deve esistere una corrispondenza sempre più stretta tra la produzione, resa più efficace dalla scienza, dalla tecnologia o dall'amministrazione, l'organizzazione della società regolata dalla legge e la vita personale mossa dall'interesse ma anche dalla volontà di liberarsi da tutte le costrizioni" (Touraine, 1992: 11). Una simile idea di Modernità, basata sull'impero della ragione, trova una sua prima formulazione compiuta nell'Illuminismo (secolo XVIII), si sviluppa nell'800 con lo storicismo (dove sarà fondamentale l'idea di "progresso") e vede nel capitalismo la sua forma economica più congeniale. Eventi come la Rivoluzione Francese da un punto di vista politico e la Rivoluzione Industriale inglese da un punto di vista economico sono strettamente legati al concetto di Modernità come noi la intendiamo. Sembra chiaro che, cronologicamente, l'avvento della Modernità in Europa coincide con l'egemonia politico-militare di paesi come la Francia, l'Inghilterra, l'Austria e la Prussia, e si sovrappone al declino e smembramento della Spagna e del suo impero come potenza di primo ordine, smembramento che avrà il suo culmine nel 1898, con la perdita delle ultime colonie, a beneficio degli Stati Uniti, chiamati a essere la prima potenza mondiale nel Novecento.
- Con l'inizio del secolo XVIII la monarchia degli Absburgo lascerà il posto a quella dei Borboni (cui appartiene Juan Carlos I), che si impegnerà a fondo in una modernizzazione del paese secondo il modello francese. Molti e diversi saranno i problemi che questo intento troverà sulla sua strada, molti gli attori in qualche modo implicati in tutto il processo. In questa sede ci occuperemo molto brevemente del ruolo della Chiesa, dell'Esercito, dei Nazionalismi, dei rapporti della Spagna con altri paesi e della società. La tesi qui sostenuta è che in Spagna la Modernità sarà in gran parte un progetto fallimentare, il che la renderà un paese fondamentalmente estraneo all'ambito europeo moderno. Solo a partire dagli anni '60 di questo secolo assistiamo a una incipiente modernizzazione economica che prenderà sempre più la forma di una società dei consumi e dell'informazione negli anni '80 e '90. Dalla mancata Modernità si passerà così alla più piena Postmodernità. Ma non anticipiamo le conclusioni.
- 3.1. La Chiesa: Quella che era stata da molti secoli, insieme alla monarchia, il principio integratore della nazione spagnola, la Chiesa Cattolica, avrà una travagliata storia a partire dal secolo XVIII. Agli occhi del Dispotismo Illuminista diverrà la causa di quasi tutti i mali della Spagna, il che, abbinato alla dottrina del "regalismo" (cioè, la supremazia del potere regale su quello ecclesiastico), supporrà un ridimensionamento del suo ruolo. Il numero di religiosi sarà ridotto, la Chiesa comincerà a pagare le tasse, a partire dal 1753 le uniche materie di sua competenza saranno i dogmi, i sacramenti e il culto. Non sembra allora strano che la Chiesa sia legata alla nascita del pensiero reazionario nel '700. Inizia qui il tema delle due Spagne, quella progressista e liberale e quella reazionaria, che si trascinerà fino alla guerra civile del 1936. Così, quando gli eserciti napoleonici invaderanno la Spagna nel 1808, scoppierà la Guerra d'Indipendenza, una larvata guerra civile tra difensori dell'Antico Regime da una parte (la Chiesa in testa, sventolando la bandiera dell'assolutismo e del cattolicesimo) e liberali dall'altra. Con la liquidazione dell'assolutismo nel 1833, la Chiesa si dividerà tra quelli che abbraccerano di malavoglia la monarchia liberale e quelli che appoggeranno il carlismo, miscuglio di nostalgie assolutiste e nazionaliste nonché causa di due guerre civili nel secolo XIX. Prende piede allora un anticlericalismo virulento dagli esiti spesso violenti. Ciononostante, la Chiesa riuscirà a controllare l'istruzione primaria, secondaria e universitaria a partire dalla metà dell'800, stringendo un patto con la borghesia industriale (per paura comune delle masse operaie) e accettando addirittura la monarchia liberale e costituzionale a partire dal 1874 (la Restaurazione). Un patto che durerà fino agli anni '70 del Novecento. Dall'altra parte, la nascita dei partiti e sindacati operai accende sempre di più il fuoco dell'anticlericalismo, che diventerà uno dei principali detonatori della guerra civile del '36. Tra il 1931 e il 1936 si succedono gli attacchi ai conventi. Nel luglio di quello stesso anno scoppia il golpe franchista. Nei primi mesi della guerra, nella parte repubblicana furono uccisi più di 7.000 religiosi e innumerevoli attivisti cattolici (in tutto si parla di 40.000 vittime del «Terrore Rosso») (Payne, 1976: 20-22). Dal IV secolo dopo C. (con l'imperatore Diocleziano) il Cristianesimo non aveva conosciuto una persecuzione così sanguinosa e accanita (García-González, 1994: 579-580). Ciò spiega bene perché la Chiesa abbracciò la causa franchista fin dal primo momento, definendo addirittura la guerra civile "una Crociata contro il comunismo"7. L'idillio Chiesa-Stato si romperà negli anni '70, quando il ricambio generazionale porterà la Chiesa sempre più verso posizioni sociali e politiche opposte a quelle del regime. In quegli anni esisteva addirittura un carcere speciale solo per religiosi (nella città di Zamora) e il numero di preti spagnoli in galera era superiore a quello di tutti i paesi europei insieme, inclusi quelli comunisti (García-González, 1994: 622).
- 3.2. L'esercito: Quando nel 1713 la Spagna rinunciò ai suoi possedimenti europei, un gran numero di effettivi militari dovette rimpatriare. L'esercito comincia così a rinchiudersi all'interno della penisola iberica, svolgendo sempre di più il ruolo di garante dell'ordine pubblico8. La riforma dell'esercito avviata dai Borboni nel XVIII secolo sul modello francese prima e prussiano poi, con la creazione di un esercito nazionale basato sul servizio militare obbligatorio, sarà ostacolata e resa impraticabile dalle resistenze delle diverse nazionalità periferiche (specialmente i Paesi Baschi, la Catalogna e Valencia). Il risultato sarà un esercito eminentemente castigliano, andaluso e galiziano, con la vecchia aristocrazia ai vertici e ufficiali appartenenti alla piccola nobiltà. Ogni tentativo di equilibrare la bilancia da parte del governo centrale sarà causa di proteste e sommosse nelle regioni periferiche, la cui aristocrazia arruolava in sua vece mendicanti e poveri. A poco a poco, l'esercito aristocratico a base castigliana diventerà sempre più conservatore. Di certo, la progressiva indipendenza delle colonie americane nel secolo XIX e il rimpatrio di nuovi effettivi non aiuterà a rendere più agile l'esercito né a ridurre l'eccessivo numero di ufficiali9. D'altro canto, la debolezza della borghesia farà dell'esercito una vera forza politica, abituata a intervenire senza troppi problemi nella vita pubblica. Per tutto il XIX secolo si succedono i pronunciamenti e i colpi di stato e i generali diventeranno i capi naturali dei partiti politici (conservatori e liberali). Solo a partire dal 1874, con la Restaurazione, l'esercito sarà allontanato dalla vita politica, diventando il braccio armato della monarchia e occupandosi della repressione dei movimienti operai, il che farà salire la tensione tra le due Spagne. Nel 1898, con la perdita delle ultime colonie (Cuba, Puerto Rico e le Filippine) crescerà l'antimilitarismo. L'abisso tra classe politica e militare si aprirà sempre di più e l'esercito diventerà un covo di antidemocratici, ostili ai nazionalismi periferici, al parlamentarismo, alle masse popolari, assetato di guerra. Nei primi anni del '900, metà del budget nazionale veniva consumato dall'esercito. Dopo il disastro della guerra in Africa, le forze democratiche chiedono una punizione. L'esercito risponde con la dittatura del generale Primo de Rivera (1923-30). A partire dal 1931 la 2ª Repubblica cercherà di risolvere il problema dell'esercito, tentando una riforma che sottraesse potere ed effettivi al mastodontico esercito spagnolo. Era più di quello che "gli spadoni" potessero sopportare. Nel '36 scoppierà la guerra civile, in seguito all'ennesimo pronunciamento militare. Alla fine dello scontro, l'esercito passerà a controllare la vita politica spagnola per più di 30 anni, un ruolo che non si rassegnerà a perdere così facilmente.
- 3.3. I nazionalismi periferici: Contrariamente all'idea diffusa che vede la Spagna come un paese di tendenza fortemente unitaria e centralista, possiamo affermare che già dalla sua prima formazione come nazione moderna (alla fine del '400), le spinte centrifughe furono parte fondamentale del suo andamento storico. Le élites nobiliari dei diversi regni avevano nella monarchia una garanzia per la pace interna e per i propri privilegi ma con il declino della potenza spagnola a partire dal '600 i patti stretti cominciarono a traballare (ricordiamo le diverse ribellioni della Catalogna). Non a caso, quando nel 1700 scoppia la guerra di successione al trono, la fazione borbonica di taglio francese centralista è stata appoggiata dalla Castiglia (rovinata, demograficamente ed economicamente dal progetto nazionale), mentre la Catalogna vedeva di buon occhio il proseguimento del modello confederale absburgico. Con il trionfo dei Borboni comincia una politica di conformazione amministrativa della Spagna (un diritto e una camera comuni, un censo ai fini impositivi ), politica che funzionò per la maggior parte del territorio, eccezion fatta per la Catalogna e i Paesi Baschi.
- In realtà, i Borboni torneranno a negoziare con le oligarchie locali, come già fecero gli Absburgo. Se il ceto dominante catalano cedeva dal punto di vista politico (seppur conservando il proprio diritto civile), guadagnava sul mercato coloniale e peninsulare. Dal canto loro, i Paesi Baschi rimanevano un po' al margine del progetto (si dichiaravano fedeli al re ma conservavano le dogane e le frontiere interne). Non a caso, sarà la stessa borghesia industriale basca la prima ad opporsi nel secolo XIX al cosiddetto "sistema foral vasco" (quello delle dogane), in cerca di quel mercato coloniale e nazionale. In difesa di questo sistema si alzeranno la chiesa, le masse contadine e la nobiltà rurale, dando luogo alle guerre civili carliste.
- Per tutto il secolo XIX, il problema basco sarà al centro della politica nazionale. Con la Restaurazione del 1874, l'ordine monarchico approfitterà per eliminare il vecchio sistema, anche se la borghesia basca riuscì a ottenere un sistema di "patti economici" che concedeva comunque una certa autonomia fiscale. A poco a poco, lo sviluppo industriale e demografico si concentrerà in Catalogna e nel Paese Basco, dando luogo a zone urbane e progressiste, di fronte al centro-sud agricolo e conservatore. Questa dualità, sommata al problema dell'esercito di cui parlavamo prima e al centralismo e nazionalismo spagnolo miope e poco rispettoso nei confronti dell'eterogeneità culturale, tipico della Restaurazione, vide l'esplosione dei nazionalismi borghesi catalano (pragmatico e possibilista) e basco (di base etnica cattolico-reazionaria e millenarista), un'altro dei detonatori della guerra civile. La repressione franchista posteriore ad essa non si fece attendere, con la sospensione degli statuti di autonomia basco e catalano e il divieto di uso delle rispettive lingue e bandiere locali.
- 3.4. La Spagna e gli altri paesi: Sembra innegabile che la situazione geografica della Spagna abbia condizionato in buona misura i suoi rapporti con gli altri paesi. Anello di congiunzione tra l'Africa e l'Europa, per secoli è stata campo di battaglia o punto di incontro dei popoli (ricordiamo gli otto secoli di presenza musulmana in Spagna: 711-1492). Inoltre, e al di là delle valutazioni, il suo ruolo nella scoperta e conquista dell'America è indiscutibile. Una triplice vocazione, quindi, europea, atlantica e africana.
- Prima abbiamo parlato di leggenda nera e di folclorismo, visioni superficiali di una Europa che temeva, odiava e ignorava allo stesso modo la Spagna. Dopo la crisi e caduta dell'impero quest'ignoranza diventerà ancora più profonda, fino ad arrivare alla dimenticanza. Di pari passo, nella penisola iberica del secolo XVIII prende forma una specie di risentimento che in qualche modo appiana le differenze interne e che sarà alla base del nazionalismo spagnolo. La guerra dell'Indipendenza contro i francesi darà fiato a questo sentimento popolare di comunità contro il nemico, sentimento che opportunamente manipolato dalle forze reazionarie servirà a frenare lo sviluppo di un progressismo illuminista e moderno (ancora oggi il sentimento popolare antifrancese attinge da questa fonte).
- Durante il secolo XIX, la Spagna perderà successivamente tutte le colonie americane, e nascerà così un sentimento ambiguo d'amore-odio tra la metropoli e i nuovi paesi latinoamericani . La tragicomica guerra contro gli Stati Uniti (1898), causa della perdita delle ultime colonie, scuoterà in modo traumatico l'economia e la coscienza nazionali, dando luogo a una forte xenofobia e a un patente antiamericanismo che la destra non cesserà di alimentare. Più tardi, durante la guerra civile, l'atteggiamento ambiguo e il mancato appoggio delle democrazie europee al governo della Repubblica fece nascere un amaro risentimento nei loro confronti da parte della sinistra e perfino dei partiti borghesi e liberali. Dal canto suo, la retorica antiamericana e antieuropea dell'autarchia franchista non potè reggere più di tanto. La guerra fredda motivò un avvicinamento degli Stati Uniti al regime di Franco e, successivamente, con la formazione del Mercato Comune Europeo alla fine degli anni '50, la Spagna comprese che il suo futuro si giocava in Europa, anche se il sentimento antieuropeo rimarrà molto presente nelle masse popolari, così come nell'opposizione politica al franchismo, che vedrà nel risveglio economico degli anni '60 una svendita del paese al capitale yankee e straniero.
- 3.5. La società: Credo che una delle costanti della Storia della Spagna almeno fino al periodo franchista sia la presenza attiva delle masse popolari, nel bene (giustizia contro i soprusi dei potenti) e nel male (antisemitismo, xenofobia, intolleranza). È stato detto molte volte che il populismo fu uno dei tratti principali della società del secolo XVIII e si è addirittura identificato questo populismo con il volto della Modernità spagnola. Il pensatore spagnolo Eugenio D'Ors affermava che la presa della Bastiglia in Spagna era stata sostituita con innumerevoli corride e c'è chi ha visto nella corrida come spettacolo audiovisivo una rappresentazione del trionfo della ragione torera sulle forze e le passioni incontrollate10, un'interpretazione tauromachica della società spagnola non priva di fascino. Non sarebbe il terzo stato ad aver preso il posto dell'aristocrazia ma fu essa a scendere al livello del popolo. Eredità della Spagna barocca e asburgica, in cui l'industria dell'ozio, controllata e diretta dalle istanze del potere giocò un ruolo fondamentale tramite le feste popolari, il teatro, i festeggiamenti di corte (Maravall, 1975)11. Versante festaiolo della società spagnola, cultura della strada quanto mai lontana dall'etica capitalistica e calvinista europea. Una cultura rituale dell'ozio combattuta a più riprese e con poco successo sia dalla Chiesa che dalle istanze progressite. Nell'800, al protagonismo conservatore delle masse nella guerra d'Indipendenza si sostituisce la formazione di masse operaie e agricole pronte all'azione (ricordiamo il potente sindacato socialista e il movimento anarchico spagnolo, senza paragone in nessun altro paese), come si vedrà nei primi trent'anni del Novecento nei diversi moti rivoluzionari e nella guerra civile del '36 in campo repubblicano con l'attuazione di una rivoluzione anarchica collettivista. Ma la guerra e i dissensi interni portarono all'insuccesso quest'iniziativa e dopo la fine del conflitto le masse mobilitate non ci saranno più, diluite nel grigiore del franchismo12. Ma lasciamo questa peculiare Modernità per approdare a più vicini lidi.
- 4. Se la definizione di Modernità sembra più o meno trovare d'accordo quasi tutti gli studiosi, quella di Postmodernità si presenta più problematica e sfaccettata e oscilla tra le posizioni di chi la ritiene una Ipermodernità (fase estrema della Modernità) e di chi invece la pensa come Antimodernità (rovesciamento dei suoi valori)13. Agli effetti del nostro discorso, ci interessa sottolineare la crisi di concetti come quelli di ragione e di progresso, che avevamo visto essere alla base della Modernità. Nel Novecento, con le due guerre mondiali, e soprattutto a partire dagli anni '70, anni di crisi culturale (il '68) ed economica, l'idea di una storia unitaria che cammina verso il benessere e l'abbondanza entra in crisi profonda e con essa la concezione che vedeva l'uomo bianco maschio adulto occidentale al centro di tutto. La modernità esplode così in diversi frammenti, dove spiccano fondamentalmente due tendenze opposte: se da una parte il capitalismo (la ragione totalizzante nella sua forma più raffinata) entra in una nuova fase transnazionale in cui i concetti di società dei consumi, di mercato e di mass media la fanno da padroni, dall'altra assistiamo a una ripresa fortissima del sentimento di comunità, d'identità: sessuale (movimenti delle donne, degli omosessuali ), etnica (black power, i Tamil ), nazionale (nuovi nazionalismi del Terzo Mondo e non solo), religiosa (i fondamentalismi, le sette ), di gruppo (tribù urbane giovanili). Ci troviamo così di fronte ai due poli intorno ai quali ruota il mondo contemporaneo: globalizzazione e localizzazione.
- Ora se la crisi della Modernità occidentale e l'idea di Postmodernità sono venute a galla in modo evidente a partire dagli anni '70, che dire della Spagna, che in quegli anni era ancora alle prese con una appena abbozzata modernizzazione economica e sociale? In opposizione a una concezione superficiale della transizione politica spagnola verso la democrazia intesa como esplosione, como passaggio discreto dal deserto al più fertile dei territori, è necessario adottare un punto di vista meno ingenuo. In effetti, la Spagna franchista, dopo dieci anni di totale isolamento e "autarchia" (nel '46 la Spagna fu bandita dalle Nazioni Unite), a partire dagli anni '50 e grazie alla «guerra fredda» (non dimentichiamo la posizione strategica della penisola iberica) comincia a stringere accordi militari ed economici con gli Stati Uniti (nel '55 sarà ammessa alle Nazioni Unite). Dal '57 faranno parte del governo alcuni esponenti dell'Opus Dei, tecnocrati favorevoli a una economia di mercato e a un inserimento della Spagna nell'ambito europeo (nel '62 chiederà inutilmente l'ingresso nella CEE). Comincia così il «miracolo economico» spagnolo, cui non sono estranei il turismo, gli investimenti stranieri e il contributo dei quasi due milioni di lavoratori emigrati all'estero tra 1960 e 1970 (Montalto, 1992: 37). Malgrado l'antieuropeismo di facciata del regime, la Spagna aveva deciso definitivamente da che parte stare. Sono gli anni '60 e '70, anni in cui gli spagnoli s'imbatteranno nei "benefici" della vita quotidiana capitalistica (pensiamo all'impatto della macchina o della televisione nei costumi), sono timidamente entrati a far parte di una società che concepisce l'ozio come appropriazione industriale del tempo libero (Sánchez Vidal, 1990: 318)14. Diviene palese allora lo scompenso, lo squilibrio tra una economia e una società che cominciano a gustare i frutti della Modernità e un sistema politico ancorato al passato. Non dimentichiamo che lo stesso Franco designò Juan Carlos come suo successore con il titolo di Re nel 1969 e che anche i franchisti più retrivi si rendevano conto dell'impossibilità di mantenere così com'era un sistema votato all'insuccesso nel nuovo contesto nazionale e internazionale. Il passaggio dalla dittatura alla democrazia era la normale conseguenza del modello capitalistico adottato dalla Spagna. Se da una parte il processo sfuggì di mano ai franchisti andando verso una democratizzazione secondo loro eccessiva, dall'altra l'opposizione socialista e comunista dovette rinunciare al modello rivoluzionario tradizionale, lo stesso che portò le nazioni occidentali dall'Antico Regime alla Modernità (tramite la rivoluzione borghese, non completamente attuata in Spagna), lo stesso tentato più volte dal movimento operaio in Spagna prima e durante la guerra civile (rivoluzione operaia a sua volta fallita), un modello strettamente legato alla concezione storicista e progressista tipica dei secoli XVIII e XIX15. In questo senso, la Spagna ebbe un processo di modernizzazione e di Modernità particolare perché inserito in un nuovo contesto e per la concentrazione temporale dei cambiamenti: nel giro di 25-30 anni è passata, attraverso una Modernità effimera, da una situazione quasi terzomondista a un'altra che potremmo definire Postmoderna. Ma in questo processo, qual'è stato il ruolo degli attori cui ci riferivamo prima?
- 4.1. Avevamo lasciato la chiesa cattolica spagnola in una situazione alquanto compromessa: uno dei pilastri del regime franchista, fiutando forse l'inevitabile declino di esso, cominciò a staccarsene, fino ad assumere posizioni in alcuni casi antagoniste. In realtà, quello che sorprende del ruolo della chiesa in Spagna negli ultimi 100 anni è il fallimento della quasi totalità delle sue iniziative, giacché se prima della guerra civile non riuscì a creare una comunità politica dei credenti (perché troppo elitista e compromessa con i ceti medio-alti), dopo il conflitto armato mancò il suo obbiettivo di una catolicizzazione integrale della società, malgrado la sua presenza esclusiva e ossessionante. Con l'avvento della democrazia la Chiesa spagnola ne pagherà le conseguenze: la facile, spontanea e progressiva laicizzazione della società spagnola è uno dei fenomeni più vistosi degli ultimi anni e non lascia dubbi rispetto alla sua natura (trattasi di un fenomeno attivo e non reattivo).
- 4.2. L'esercito, l'altro pilastro della reazione per tutto il primo terzo del '900 e posteriore garante della ribellione e del regime franchista, sarà uno degli attori che si opporranno più decisamente alla transizione politica. I cambiamenti in senso democratico, la legalizzazione del Partito Comunista Spagnolo, il terrorismo dell'ETA e di altri gruppi di sinistra sono state le molle che hanno portato ai diversi tentativi destabilizzanti da parte dell'esercito dall'inizio della transizione, tentativi che sono sfociati il 23 febbraio dell' 81 nel golpe del colonnello Tejero, sventato in extremis dall'intervento del Re (capo dell'esercito), dimostratosi in quel frangente un vero difensore della democrazia. Quel momento segna (speriamo) la fine di un periodo di interventismo militare durato fin troppo. L'anno dopo (1982) i socialisti otterranno la vittoria alle elezioni politiche, inaugurando un'egemonia che durerà pressappoco un decennio. La politica militare socialista smantellerà la cupola dei nostalgici, favorendo un ricambio nelle gerarchie dell'esercito, introducendo il servizio civile e gettando le basi che porteranno forse in futuro alla creazione di un esercito professionale. Ciononostante, anche l'esercito pagherà negli anni '80-'90 le spese della sua attuazione storica, con fenomeni come quello della «insumisión» (l'obiezione totale), sempre più diffuso tra i giovani spagnoli, soprattutto nel Paese Basco, dove, legato al problema nazionalista, costituisce un fenomeno sociale non da poco. L'avversione dei giovani spagnoli nei confronti dell'esercito è palpabile in riviste come "Historias de la puta mili" ("Storie della fottuta naja", una pubblicazione diffusissima tra i giovani di leva e non solo), e in molti testi della cultura pop-rock spagnola.
- Ma se l'era socialista è stata quella della democratizzazione visibile dell'esercito, bisogna però fare anche riferimento ai gravi episodi di corruzione dei corpi di sicurezza dello Stato, guerra sporca contro l'ETA (i GAL), terrorismo di Stato, servizi segreti deviati e altre amenità che costituiscono una penosa continuità con il regime franchista.
- 4.3. Per quanto riguarda i nazionalismi periferici, che abbiamo visto essere una delle cause della guerra civile, con l'arrivo della modernizzazione economica e sociale degli anni '60 assistiamo anche alla nascita dell'ETA (1959), che farà risorgere il sentimento nazionalista basco. Dopo l'avvento della democrazia, la diversa natura del problema catalano e di quello basco si rivelerà chiaramente. Il nazionalismo catalano si inserirà senza troppi problemi nella cornice democratica spagnola, giocando le sue carte sul piano politico ed economico e procedendo in modo realistico verso l'autodeterminazione, non ancora raggiunta. Il nazionalismo basco, erede dell'assolutismo carlista e del clericalismo millenarista, si scinderà in un radicalismo terrorista di sinistra (l'ETA e il suo braccio politico Herri Batasuna) e in un nazionalismo conservatore e borghese (il Partido Nacionalista Vasco), dall'atteggiamento ambiguo, pronto a beneficiare della democrazia spagnola ma contemporaneamente a dichiararsi al margine (il PNV non ha mai votato la Costituzione)16, lasciando che l'ETA faccia la guerra sporca e raccogliendone i frutti, mentre la società basca si radicalizza sempre di più e l'economia continua a risentirne. La questione basca è oggi come oggi il maggior problema della democrazia spagnola e l'arrivo al potere (nelle elezioni del '96) di un centro-destra legato in buona misura al franchismo non fa pensare di certo a una soluzione (democratica) in tempi brevi.
- 4.4. Intanto, la collocazione della Spagna rispetto agli altri paesi si è fatta via via più netta dagli anni '60, quelli della scelta europeista. La tendenza iniziata dal tardo franchismo sarà ereditata e proseguita dai governi di centro, dai socialisti e adesso dal governo Aznar. Il tradizionale antiamericanismo (sentimento anti-USA) spagnolo (di destra come di sinistra) è stato accantonato, ironie del destino, dagli stessi socialisti che prima in esilio e poi all'opposizione negli anni '70, lo difendevano. Clamoroso il caso dell'ingresso della Spagna nella NATO, avversato dai socialisti prima del loro insediamento al potere e successivamente difeso a spada tratta, fino al definitivo referendum dell'86, in cui il governo diede mostra di come i mass media possano giocare un ruolo definitivo nella formazione del consenso17. Nello stesso anno, e non è un caso, la Spagna è finalmente ammessa a far parte della Comunità Economica Europea. Si raggiungeva in questo modo l'atteso traguardo della carta europeista. Ma nella vita non si può avere tutto e così, la Spagna Europea volta le spalle alla vicina Africa e alla oramai lontanissima America Latina. La politica spagnola sull'immigrazione si allinea quando non rincara la dose delle più pesanti misure europee. I marocchini che sulle zattere giungono alle coste andaluse si accorgono subito che quella decina di chilometri li ha portati lontani mille miglia da casa e i latinoamericani arrivati in Spagna non ci mettono molto a scoprire che nella "madre Patria" non sono più beneaccetti. Colmo dei paradossi: la politica spagnola nei confronti di Cuba è diventata la più dura tra i paesi europei, paragonabile solo a quella degli Stati Uniti, e intanto Fidel rimpiange il quasi compaesano Francisco Franco mentre anche la destra si scopre filoamericana. Ma cosa non si fa pur di essere ammessi ai club più prestigiosi?
- 4.5. In questo panorama, la società spagnola è mutata radicalmente, facendosi carico dei problemi legati a una modernizzazione economica accelerata, affrontando ormai le caratteristiche di una società postmoderna dei consumi e dell'informazione e senza aver fatto in tempo a risolvere questioni come quella della riforma agraria. La televisione ha cambiato in parte la cultura della strada imperante fino a poco fa, rintanando le persone sempre più in casa, ma la Spagna delle piazze dei bar e dei caffé, la Spagna populista e popolare di cui parlavamo prima è dura a morire. La corrida o la partita di calcio la si guarda sì, ma ancora possibilmente in gruppo e fuori, in qualche locale. Lo sviluppo economico ha portato una febbre consumistica emblematica degli anni '80 ma ridimensionata dalla crisi economica dei '90. Il modello americano ci ha imposto i McDonalds e i Burger King, ma lo stuzzichino di tortilla o di paella è tuttora vincente. Di fronte alle nuove intolleranze occidentali salutistiche e antifumo, ai palestromani e ai falsi neobuddisti alla moda, ai fondamentalisti del politically correct, gli anticorpi dello scetticismo e di un salutare cinismo ispano paiono ancora in forma.
- E così, adesso che la società spagnola ha appena varcato il limite della Modernità si vede già di fronte il fenomeno generalizzato della dissoluzione di questa stessa Modernità. Otello Lottini, a proposito di questo fenomeno, ha parlato di "normalità problematica" (Lottini, 1995), riferendosi al processo di omologazione subito dalla Spagna negli anni '8018. Appena raggiunta la normalità, essa si dimostra non più normale, in quanto le basi su cui poggiava (la ragione, il progresso, la tecnica e la scienza) entrano in profonda crisi. Ed è qui che a nostro avviso risiede la posizione avvantaggiata della Spagna rispetto ad altri paesi (troppo in qua o troppo in là rispetto alla Modernità). L'estrema rapidità dei cambiamenti, la loro concentrazione in un lasso di tempo relativamente breve permettono la presenza simultanea, la convivenza di generazioni diverse con esperienze differenti ma complementari (dagli zoccoli di legno contadini al telefonino o il computer, un tratto questo magistralmente messo in evidenza dal cinema di Almodóvar). Così, gli atteggiamenti che inneggiano allo sviluppo economico a tutti i costi, smentiti dall'attuale crisi dei paesi occidentali (crisi postmoderna), possono trovare un contrappeso adeguato nel desiderio di conservare un'identità propria, ancora presente ma aperta sempre al futuro, senza ricorrere a pericolose restaurazioni mitologiche (si veda il caso della Lega Nord in Italia o quello del terrorismo basco, per il resto diversissimi tra di loro). Contemporaneamente, le tentazioni involuzionistiche e la rimpianta età dell'oro (franchista o di altro genere) perdono di credibilità di fronte agli indiscutibili e visibili (perché vissuti sulla propria pelle) passi in avanti legati alla modernizzazione. Il che ci riporta di nuovo ai due poli con cui avevamo iniziato il nostro discorso sulla postmodernità: localizzazione vs globalizzazione. In futuro, la Spagna non dovrà cedere alle tentazioni di una localizzazione difensiva che si tradurrebbe in emarginazione, ma nondimeno dovrebbe evitare una globalizzazione selvaggia che reca in sé l'impronta dello sradicamento.
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