CULTURE

17 - 2003

Recensioni

Itala Vivan

ABDELMALEK SAYAD, ALGERIA: NAZIONALISMO SENZA NAZIONE
A CURA DI SALVATORE PALIDDA E NINO RECUPERO
MESSINA, EDIZIONI MESOGEA, 2003
 
 

"I rapporti fra colonizzatori e colonizzati non riescono a essere dei rapporti normali, proprio quando ci si sforza, da tutte le parti, di renderli e farli apparire ordinari e di comportarsi come se davvero fossero tali. [...] Le due parti si trovano condannate a questa specie di gara al falso apparire, alla simulazione e alla dissimulazione".
Così si apre il breve, fulminante testo del sociologo algerino Abdelmalek Sayad, Algeria: nazionalismo senza nazione, curato da Salvatore Palidda e Nino Recupero e pubblicato dalla piccola editrice Mesogea di Messina, che si specializza in materiali, letterari e non letterari, che trattino delle culture mediterranee nel loro insieme, nel loro sguardo reciproco e nei loro secolari rapporti intrecciati. In questo caso, l'intreccio diventa un groviglio complesso, nutrito com'è di una lunga e intensa storia di colonizzazione francese declinata sul territorio prospiciente l'Europa e nutrita da una lunga pratica di insediamento.
Abdelmalek Sayad è stato uno dei più geniali sociologi della scuola di Pierre Bourdieu. Nato nel 1933 in Cabilia, è scomparso nel 1998, senza mai prendere la cittadinanza francese né rinnegare la propria ascendenza e appartenenza algerina. In Italia è noto per La doppia assenza, saggio pubblicato a Milano da Raffaello Cortina nel 2002. Riconosciuto in ambito internazionale come il rifondatore di una "scienza della migrazione", Sayad ha reinterpretato la posizione ambigua e ibrida del migrante che non è cittadino di pieno diritto né nella società di provenienza né in quella d'approdo; e così facendo ha ripreso il concetto di 'erranza' così caro alla riflessione anche letteraria delle culture maghrebine. D'altro canto, la sua lettura dell'ambiguità insita nell'inevitabile doppiezza prodotta dalla colonizzazione lo avvicina anche alle figurazioni del marocchino Abdelkébir Khatibi, anch'egli sociologo, che nel romanzo Amore bilingue aveva messo in scena il dilemma essenziale del bilinguismo con cui si confrontano gli scrittori maghrebini dopo la conquista delle indipendenze: straziante storia d'amore, vicenda di perdita e di lutto inevitabili.
Le pagine di Sayad pubblicate ora da Mesogea fanno parte di un manoscritto inedito che lo stesso autore desiderava comparisse in Italia anziché in Francia, proprio per evitare il clima incandescente che ancora brucia la storia francoalgerina. I curatori si sono trovati di fronte a un materiale frammentario e rapsodico, sotteso però con continuità bruciante da un disperato desiderio di spiegare, chiarire, illuminare la tragedia algerina; lo hanno amorevolmente cucito e tradotto, arricchendolo con un utile miniapparato esplicativo comprendente anche una cronologia essenziale. Ne è uscito un piccolo gioiello, che verrà certamente raccolto da molti lettori e soprattutto da coloro che si occupano di problematiche postcoloniali.
La vicenda dell'Algeria si colloca infatti come emblema del rapporto violento, lacerato e oscuro fra colonizzato e colonizzatore. Conquistata dalla Francia nel 1830 e colonizzata negli anni successivi, trasformata in territorio di insediamento attraverso un esproprio radicale della terra e una trasformazione delle colture tradizionali, nel 1947 l'Algeria si vide rifiutare l'indipendenza promessa e venne invece trasformata in provincia metropolitana francese. L'insurrezione contro il dominio coloniale iniziò nel 1954 (del 1957 è la battaglia di Algeri) e, dopo anni atroci, portò all'indipendenza nel 1962: ma non risolse i problemi di fondo. Come osserva Sayad, la genesi del nazionalismo algerino ne ha marchiato indelebilmente il carattere impostandolo come anticolonialismo: insomma, "è stata la colonizzazione a dargli sia la forma che lo spirito, a forgiarne le armi politiche. Il nazionalismo algerino si è sempre trovato a rimorchio della colonizzazione - ma poteva forse essere diversamente? - per quanto riguarda le intenzioni che proclama, le finalità che reclama, i principi costitutivi che afferma, per i molteplici riferimenti ideologici, impliciti o espliciti e spesso contraddittori, dei quali ama avvalersi".
Questo groviglio di rapporti opposti e speculari è letto da Sayad come "passionale", poiché combattere lo stato colonizzatore è anche farne il proprio modello di riferimento. Tutto ciò nel caso specifico è vero soprattutto dal punto di vista politico e statuale - istituzionale, insomma - che ha portato a plasmare un'Algeria postcoloniale centralizzata, burocratica, preda infine del militarismo e della corruzione. Così il nazionalismo algerino ha postulato che "la nazione in quanto illusione comune - perfino ben fondata come direbbe Durkheim - è un dato immediato, quasi naturale, una costruzione indipendente da qualsiasi determinazione storica... e che era appunto compito del nazionalismo (e cioè del suoi "professionisti") assicurarne la salvaguardia e la riaffermazione di fronte al pericolo di annientamento e negazione che per essa rappresenta l'impresa coloniale". L'esito di questa operazione, conclude Sayad, è stato un nazionalismo senza nazione e senza Stato, che si è soddisfatto delle apparenze sia della nazione sia dello Stato.
Una ulteriore sconfitta del nazionalismo, nella lettura critica di Sayad, è la perdita della prospettiva storica. L'Algeria, già derubata del proprio passato dalla colonizzazione, non ha potuto rispondere al bisogno di una identità unica e totale quale quella cui fa appello il nazionalismo algerino: un'identità algerina e araba, laica e musulmana, occidentale e orientale, moderna e insieme tradizionale. Vittime di questa spoliazione storica sono l'immagine dell'Africa antica, romana e anche preromana; la conquista araba e l'islamizzazione del paese; la cancellazione dei regni berberi e, infine, la valutazione della reggenza ottomana assimilata alla pirateria barbaresca del Mediterraneo. Il risultato di ciò è la confusione fra nazione e nazionalismo, e una generale assenza di riferimenti storici oltre che politici certi, e tali da poter reggere alla richiesta identitaria postcoloniale.
Sayad quindi ascrive al vizio lontano del nazionalismo algerino lo sfascio e la tragedia che il paese sta vivendo attualmente, divorato da una carenza di autorevolezza che rende impossibile allo Stato invocare una sovranità credibile. I massacri recenti si sono susseguiti in Algeria a partire dal 1991, anno in cui il Fronte Islamico di Salvezza (FIS) vinse il primo turno alle elezioni generali, ma non si vide riconoscere tale vittoria: il secondo turno venne infatti annullato. Dopo d'allora, al FIS si è affiancato il Gruppo Islamico Armato (GIA), che si rifiuta di accettare gli accordi firmati dal FIS; e si è aggiunta la rivolta esplosa in Cabilia nel 2001-2002.
L'Algeria racchiude nella propria vicenda i segni del colonialismo europeo (in questo caso, squisitamente francese) e i nodi irrisolti del postcolonialismo. La riflessione dolorosa e appassionata, talora addirittura veemente, di Abdelmalek Sayad serve a districarne il groviglio, a valutarne il senso e a capirne i possibili sviluppi. Sebbene l'analisi sia specificamente legata alla realtà francoalgerina, essa insegna come si debbano battere vie nuove e diverse nel caso di tante altre situazioni postcoloniali soprattutto africane, tanto più quanto più profondo e forte è stato il coinvolgimento del colonizzatore, sia materiale sia fantastico. Si pensi, per fare degli esempi, al Sudafrica, allo Zimbabwe, alla Liberia, palesi ed emblematici (anche se assai diversi) risultati di rapporti speculari, di tremenda "passione": elemento, quest'ultimo, che Sayad sottolinea e valorizza senza tregua.
Da attento osservatore del fenomeno migratorio, Sayad legge la complessità in esso iscritta, tale da farne un fenomeno di inestricabile simbiosi culturale: aspetto che potrebbe risultare in esiti straordinariamente fertili e vitali se venisse capito, accettato, affrontato, e collocato al centro di una nuova e diversa concezione della cittadinanza e dell'appartenenza.
 

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