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Dossier
Studi Culturali
Francesca
Frigerio
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- CULTURA
URBANA E SCRITTURA FEMMINILE
- UNA
RASSEGNA DI STUDI
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- Walter
Benjamin e il
flâneur
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- Intraprendere un viaggio
attraverso una immaginaria "città delle donne"
significa partire da un luogo e un tempo precisi:
Parigi e la seconda metà del diciannovesimo
secolo, sulle orme del flâneur che
passeggia per le vie della città. È
Walter Benjamin (1962: 53) a fissarne i caratteri
quali emergono dall'opera di Baudelaire, dove il
flâneur fa la sua comparsa letteraria
più celebre: borghese agiato, egli può
disporre liberamente del proprio tempo e concedersi il
lusso di girovagare senza meta per le strade di
Parigi. Il poeta francese lo definisce "caleidoscopio
dotato di coscienza", in grado di godere pienamente
dello spettacolo che la moderna città offre,
cogliendone gli stimoli, gli chocs cui
l'evoluzione tecnologica lo sottopone: il traffico e i
suoi rumori, le luci, le merci esposte nelle vetrine
dei negozi, ma anche lo scatto dell'apparecchio
fotografico e le immagini in movimento catturate dalla
macchina da presa. Il suo percorso cittadino, quindi,
non è solo un movimento nello spazio, ma anche
una modalità della percezione: è
osservazione, ascolto e lettura della vita
metropolitana con i suoi abitanti e i suoi spazi, ma
anche dei testi, i testi che la città propone
alla lettura e i testi sulla città.
- La densità del
flâneur, figura legata a un tempo e un
luogo specifici, ma anche metafora di un modo di
percepire e di rappresentare la realtà urbana,
ha fatto sì che nel corso del Novecento analisi
letterarie e sociologiche l'abbiano utilizzata come
simbolo della modernità e in particolare della
cultura urbana. Il flâneur vive una
seconda giovinezza nell'ultimo scorcio del secolo,
quando l'emergere della critica femminista negli anni
Settanta, e soprattutto l'elaborazione della categoria
del gender negli anni Ottanta (Gilbert e Gubar:
1988, Kime Scott: 1989), s'interrogano sul nesso tra
flânerie e scrittura femminile. Come
spiega Priscilla Parkhurst Ferguson, infatti, il
flâneur è storicamente uomo:
divenuto semplicemente occhio che guarda, egli
percorre le vie della città senza altro scopo
al di fuori del puro piacere estetico, mentre tanto
non sembra essere concesso all'esperienza
femminile:
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- No woman, it
would seem, can disconnect herself from the city
and its enchantments. No woman is able to attain
the aesthetic distance so crucial to the
flâneur's superiority. She is unfit
for flânerie because she desires the object
spread before her and acts upon desire (1992:
27).
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- Parte essenziale del dramma
urbano, poiché la sua - insolita - presenza
nelle strade fa sì che essa sia "consumata" e
goduta come ogni altro spettacolo/merce offerto dalla
moderna metropoli, la donna si troverebbe dunque
esclusa dal piacere della flânerie.
Eppure, le numerose passeggiate femminili del primo
Novecento sembrano sottrarsi alla morsa di questa
rigida binarietà: quando Virginia Woolf esplora
le strade di Londra, dipinge un ritratto di donna che
non è ne merce né consumatrice,
bensì "a central oyster of perceptiveness, an
enormous eye" (1930: 155).
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- Una
Londra tutta per sé
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- Nel 1960 viene pubblicato
Virginia Woolf's London, di Dorothy Brewster,
in cui da una parte si afferma chiaramente
l'importanza del ruolo di Londra nella biografia della
scrittrice e dall'altra sono raccolti i numerosi
riferimenti alla città presenti nei suoi
romanzi: Londra appare infatti come "one of the most
persistent of Mrs. Woolf's occupations, fruitful of
ideas for her work, of background for her moneys, and
the subject of one of the most charming essays -
'Street Haunting'"(1960: 4). A questo testo possono
essere affiancati, per similitudine nella impostazione
critica, due altri lavori: il primo ricostruisce una
mappa degli spostamenti dei personaggi di Mrs.
Dalloway attraverso Londra (Beker: 1972); il
secondo prende in esame tutti i romanzi della
scrittrice inglese e utilizza lo stesso procedimento
geo-analitico per verificare ogni possibile riscontro
tra i percorsi londinesi dei personaggi e quelli
dell'autrice (Wilson: 1987).
- Un primo passo è
certamente compiuto; tuttavia, questi studi
'pionieristici' non rispondono ancora ad un criterio
che vada oltre il dato biografico e a una metodologia
critica che potremmo definire impressionistica. La
svolta verso un'impostazione formale degli studi
woolfiani si realizza con Susan Merrill Squier, che
individua nel romanzo The Years l'affinamento
di una cosciente politica dello spazio volta alla
rappresentazione della coscienza femminile (1981). Nel
dispiegamento di questa strategia narrativa una parte
importante è assegnata al titolo originale del
romanzo, The Pargiter: collegato da Jane Marcus
al verbo to parget 1,
esso alluderebbe alla difficoltà della
scrittrice e alle strategie da essa elaborate
nell'usare la parola scritta per raccontare la propria
esperienza. L'intonaco segnala la pressione della
cultura patriarcale che costringe la donna a
mascherare, intonacare appunto, la propria vita
interiore, ma annuncia anche la possibilità,
per la scrittrice, di costruire la propria
identità a partire dal contesto urbano, usare
cioè la città come incarnazione dei
propri orizzonti estetici. Squier, su questa base,
ritiene che la metafora bifronte della
copertura/edificazione sia stata scelta da Woolf per
raccontare indirettamente la sessualità
femminile a Londra tra la fine dell'Ottocento e
l'inizio del Novecento:
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- [...]
she turned the topic inside out, to show how the
sexual life of women, or rather their lack of
sexual freedom, was a result of the restrictive
structure of their lives. Woolf's analysis of
street love uncovers the powerless situation of the
Pargiter women in 1880; the politics of city space
suggest the underlying sexual politics which was
the novel's theme (1981: 249).
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- In particolare, il rapporto
tra la città e i personaggi femminili è
costruito nel romanzo attraverso due simboli: la buca
delle lettere, che compare negli episodi in cui alla
donna viene negato l'accesso alla sfera pubblica, e il
ponte, che segnala invece la possibilità di
appropriazione degli spazi urbani.
- Inseguendo queste prime
intuizioni, la studiosa pubblica un volume a
più mani che rappresenta il primo studio
interamente dedicato all'esplorazione del rapporto tra
cultura urbana e scrittura femminile (Squier: 1984).
È significativo che Squier scelga ancora una
volta di occuparsi di Virginia Woolf, identificando
nell'ambientazione londinese di Night and Day
lo strumento narrativo che delinea la psicologia dei
personaggi e che più contribuisce ad
allontanare il romanzo dai tradizionali urban
novel ottocenteschi (la studiosa si volgerà
nuovamente a Woolf nel 1991 nella convinzione che
"[...] Woolf embedded a politics and poetics
of gender within the more obvious formalist aspects of
her urban writings"; 1991: 101). I diversi saggi che
compongono il volume sono uniti dalla convinzione che
la città sia un sistema di simboli atto a
veicolare l'esplorazione di istanze femministe: in
particolare, "what emerges in examining women writer's
vision of the city is that whether city experience is
pleasurable or painful depends, in large part, on
whether it allows them access to creativity and
autonomy"(Merrill Squier: 1984, 4).
- Si apre così, grazie a
Woolf, una nuova pagina di ricerca e riflessione sul
valore che l'ambientazione urbana riveste nella
scrittura femminile: essa è sì veicolo
culturale di emancipazione e di affermazione delle
capacità creative della donna, ma allo stesso
tempo non è più semplicemente sfondo del
romanzo, bensì assume un ruolo attivo nella
elaborazione della sua struttura narrativa. Nelle
parole di Rachel Bowlby, che esplora il legame tra
scrittura femminile e esplorazione delle strade della
città sia nei romanzi che nella produzione
saggistica di Woolf (1992), "it will have seemed that
all roads lead to Woolf, to the culmination of a
certain tradition of writing about walking and women
in the eventual arrival of the woman writer herself in
the first part of the twentieth century" (Id.:
30).
- La realtà, tuttavia,
si rivela più complessa.
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- La
metropoli modernista e lo stream of
consciousness
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- Non a caso, infatti, questa
svolta critica nasce attorno alla scrittura femminile
modernista: la sperimentazione narrativa e in
particolare l'utilizzo della tecnica dello stream
of consciousness vengono ritenuti lo strumento
più adatto alla rappresentazione di una
realtà, quella urbana, caratterizzata appunto
dal flusso e dal movimento. L'analogia tra coscienza
percettiva e movimento attraverso la città fa
sì che l'ambiente urbano diventi una presenza
attiva nei romanzi e che le metafore ad esso legate
vengano impiegate per descrivere la struttura e il
funzionamento della coscienza.
- L'interesse per una indagine
estetica dei caratteri specifici della letteratura
modernista consente inoltre di delineare un momento
più preciso nella critica femminista degli anni
Ottanta: introducendo nuove istanze in un dibattito di
stampo quasi esclusivamente angloamericano, che si
concentra sull'immagine della donna nei testi
letterari, gli studi di Julia Kristeva e di
Hélène Cixous si focalizzano invece
sulle strategie linguistiche adottate nei testi
stessi. Sulla scia delle due francesi, studiose come
Lynette Felber e Marianne DeKoven teorizzano la
scrittura modernista per lo più come
écriture feminine e il loro approccio
rivela una tendenza a riservare un trattamento
preferenziale ai testi più apertamente
innovativi dal punto di vista formale, sulla base
della supposta equazione caratteristica della
letteratura femminile tra scrittura sperimentale e
eversione (Dekoven: 1991; Felber: 1995). DeKoven cerca
di fare il punto del confronto tra scuola anglosassone
e scuola francese nell'introduzione alla sua
monografia:
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- The preceding
summary was, in fact, an attempt to deconstruct the
dualism of the debate, revealing the dialectical
relatedness of positions that define themselves as
mutually exclusive. The debate over the politics of
modernist form, like modernist form itself,
inhabits the space of unresolved contradiction or
unsynthetized dialecitc that, as I will argue,
makes modernist form exemplary of an alternative
aesthetic politics (1991: 7).
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- Anche Ellen Friedman e Miriam
Fuchs criticano apertamente l'approccio
biografico-psicologico che cerca la donna nel testo,
definendolo riduttivo, poiché la donna è
allo stesso tempo "an effect of the textual practice
of breaking patriarchal fictional forms; the radical
forms-nonlinear, non hierarchical and
decentrating-are, in themselves, a way of writing the
feminine" (1989: 1)
- Sul versante italiano, Maria
Del Sapio Garbero afferma con decisione il legame che
si instaura tra forme della scrittura e
rappresentazione della città, fra "apertura
dello spazio e libertà della frase" in un
volume a più mani sulla "città delle
donne" (Palusci: 1992). Anche per Del Sapio il punto
di partenza è The Years, in cui al
movimento centrifugo delle ragazze Pargiter si
accompagna un movimento analogo della frase, che va
perdendo una linea narrativa privilegiata, un centro,
a favore di una andamento più frammentario e
adirezionale; allo stesso tempo, l'opera di Dorothy
Richardson, la cui scrittura per prima si
meritò la definizione di stream of
consciousness, viene identificata come esperienza
seminale della letteratura modernista femminile. Il
volume si chiude significativamente proprio con la
riflessione di un architetto, Sandra Bonfiglioli, a
testimonianza dell'importanza capitale del movimento
modernista come quello in cui "il bell'ordine
geometrico della città del progetto ha potuto
essere oltrepassato, dissipato e corroso dall'ordine
del 'fluire di una frase interiore e solitaria, non
più ancorabile ad uno spazio concluso'" (1992:
238). Virginia Woolf si conferma di nuovo come il
motore della riflessione critica nel saggio di Oriana
Palusci, che ribadisce la funzione fondamentale
dell'esperienza urbana nello spingere la frase verso
una forma più frammentaria e sincopata, che
rispecchi appunto le caratteristiche della vita
urbana. "L'elasticità e l'espandibilità
della frase femminile, rimodellata con una sua
autonomia nella prospettiva modernista, sono
indispensabili di fatto per mettere in scena la
città delle donne" (Ibid.), dichiara
infatti, inserendo la riflessione sull'opera di
Virginia Woolf in quella più ampia sulla
sperimentazione formale caratteristica della scrittura
modernista a partire, di nuovo, dai romanzi di Dorothy
Richardson (cui, non a caso, Lynnette Felber aveva
dedicato un capitolo).
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- Dorothy
Richardson: spazio e
scrittura
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- Lentamente, dunque,
Richardson - accanto a Woolf - si impone come
interprete fondamentale della Londra modernista: negli
anni Novanta, infatti, l'attenzione critica si volge
proprio a esplorare nella sua opera le problematiche
legate alla rappresentazione dello spazio e in
particolare dello spazio urbano, secondo
l'impostazione rivelatasi decisiva negli studi
woolfiani. Due monografie, infatti, (Radford: 1991 e
Watts: 1995) dedicano un capitolo alla
rappresentazione di Londra nei romanzi della
scrittrice inglese. Secondo Watts Pilgrimage
non è altro che una "form of cultural memory",
il tentativo di ricostruire la vita di una ragazza
nella Londra del volgere del secolo rendendola
l'epitome dell'esperienza della modernità
stessa. Per realizzare questa impresa di ricostruzione
di un'epoca, Richardson ricorre a una scrittura
innovativa, che si appoggia a fondamentali
"technologies of memory": architettura, fotografia,
pittura, cinema. L'interesse di Jean Radford, invece,
va alle immagini spaziali impiegate da Richardson per
tratteggiare l'evoluzione psicologica di Miriam, il
cui pellegrinaggio londinese è scandito nelle
sue fasi da cambiamenti di luogo. Le immagini
utilizzate per la rappresentazione della città
e la loro variazione sono intese dunque a
rappresentare il passare del tempo, individuando
così Londra come cronotopo del
romanzo:
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- ll pilgrimages
of course have a spatial and temporal dimension,
since journeys take place in time and space, but
the spatial element is given a special importance
in the organisation of Richardson's novel. She
creates a new kind of temporality, what Kristeva
calls 'Women's Time', in which space and the things
in it displace the usual registration of linear
time (1991: 45).
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- La fecondità di queste
ricerche, tuttavia, non si esaurisce qui: Elisabeth
Bronfen dedica un'intera monografia alla
spazialità nei romanzi della scrittrice
inglese, ritenendo lo spazio, la sua esplorazione e la
sua rappresentazione il cuore del progetto estetico
richardsoniano (1999). In effetti l'evoluzione
psicologica di Miriam si compie in un viaggio
attraverso spazi fisici, spazi sociali e, con la
scoperta della sua vocazione, attraverso gli spazi
immaginari della scrittura. In particolare, il
desiderio chiaramente espresso da Miriam è
quello di vivere in più luoghi simultanemente,
desiderio che riflette anche l'attitudine alla vita
della scrittrice stessa, sempre sospesa tra gli
opposti e restia a confinarsi ad un'unica posizione.
La simultaneità diventa quindi l'oggetto
principe dell'esplorazione di Richardson e si esprime
non solo attraverso l'importanza riservata agli spazi
liminali, ma anche come strategia narrativa, in quanto
il testo è disseminato di metafore spaziali.
Inoltre, anche la scrittura diventa strumento per la
realizzazione del desiderio di simultaneità,
poiché consente all'autrice di essere presente
contemporaneamente nello spazio fisico e in quello
immaginario. L'intuizione fondamentale di Bronfen,
dunque, sta nell'aver individuato la complessa
interazione tra spazio fisico e immaginario, spazio
della scrittura e spazio attraverso la scrittura che
si realizza in Pilgrimage:
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- I will, then,
explore textual renditions of actual material
places in Pilgrimage which implicitly refer to a
reality outside the text and, at the same time, the
use of spatial metaphors which are not related to
any actual locations, but rather serve to encode
abstract concepts like belongingness, communication
or writing within spatial terms. Furthermore, I
will examine the diverse ways in which language not
only renders tangible concrete places and
metaphorical spaces but also itself spaces these
representations (1999: 4)2.
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- Il recentissimo
Streetwalking the Metropolis. Women, the City and
Modernity (2001) rappresenta un ulteriore passo
avanti nell'analisi del particolare rapporto tra
città e scrittura femminile: esso, infatti, si
ricollega esplicitamente al flâneur
benjaminiano per riflettere sulla rappresentazione
della città nella letteratura femminile di
inizio secolo. Parsons riasserisce l'importanza
dell'esperienza urbana nel Modernismo e in particolare
nel Modernismo delle scrittrici, poiché l'idea
di flusso, di fluidità e movimento è
alla base delle "theories of urban mental life and
female psychology, along with experimentation in the
form of the novel" (2001: 69-70). Non solo, il legame
tra viaggio nello spazio e viaggio nella psiche ha
conseguenze importanti sullo sviluppo della
letteratura femminile:
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- From the complex
association of woman and the city [...], a
female bildungsroman was able to be
conceived, an exploration of the female
consciousness based in the urban environment. The
Romanticist, male bildungsroman or 'voyage
out' is paralleled in the twentieth century with a
voyage in, in which the protagonist journeys to or
in confined spaces rather than vast, natural
landscapes. The city provides a spatial
manifestation of this journey, the mind or
consciousness a psychological one (Id.:
70).
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- L'aspetto più
interessante del volume, tuttavia, è la parte
considerevole dedicata a Dorothy Richardson,
perché è proprio nella scrittrice
inglese che Parsons individua colei che per prima
è riuscita a creare la risposta femminile al
flâneur originario. Si vede qui che il
dibattito supera i confini dalla sola scrittura
richadsoniana per rivalutare la nozione stessa di
flânerie: la possibile esistenza di una
flaneuse, infatti, è al centro del dibattito
critico alla fine degli anni Novanta, dibattito in cui
emerge la volontà di correggere l'impostazione
estetica dominante nella critica femminista attraverso
l'apporto di altre discipline, prima fra tutte la
sociologia:
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- If a significant
and stubborn discrepancy between the study of
culture and the study of society often remains in
evidence today, one crucial and positive area which
the two have increasingly held in common in recent
years is what has become known as the "spatial
turn" in social and cultural theory on the Left
(broadly defined) since the 1970s which has
involved a growing recognition of the usefulness of
space as an organizing category, and of the concept
of "spatialization" as a term for the analysis and
description of modern, and (even more so) of
postmodern, society and culture (Shiel,
Fitzmaurice: 2001, 5).
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- Il
contributo della sociologia
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- La nascita e lo sviluppo
della sociologia nel diciannovesimo secolo sono
strettamente legati allo sviluppo di fabbriche e
uffici nelle città e al coevo spostamento nei
sobborghi delle abitazioni, processo che favorisce la
separazione della sfera pubblica e della sfera privata
nella società industriale occidentale e fa
della "domesticità rispettabile" uno degli
elementi fondamentali nella costituzione
dell'identità borghese. Studiose e studiosi,
allora, cominciano a domandarsi se anche in campo
sociologico non possa esserci spazio per una revisione
di teorie ormai consolidate, contestando
l'impostazione metodologica e gli assunti ideologici
su cui tali teorie si fondano.
- Sin dal 1985 Janet Wolff
sostiene che la visione corrente della società
urbana tra Ottocento e Novecento è costruita
sulla base di studi sociologici che hanno offerto una
immagine distorta della realtà, poiché
patrimonio quasi esclusivamente maschile e incentrati
essenzialmente sull'analisi della sfera pubblica della
società, dove la donna effettivamente aveva una
visibilità minima. Anche Lynne Walker, che si
è occupata a lungo di sociologia urbana e di
storia dell'architettura, ritiene opportuna una
revisione della dicotomia tra sfera pubblica
'maschile' e sfera privata 'femminile': ella
ricostruisce infatti una mappa del West End di Londra
tra il 1850 e il 1890, dalla quale emerge un'immagine
nuova di questa zona della città (1995). Visto
da una prospettiva femminista, infatti, il West End
londinese accoglie una comunità di donne
implicate tutte nella rete di rapporti creata dal
Women's Movement, molte leader del quale (Barbara
Leigh Bodichon Smith, Emily Davies, Agnes e Rhoda
Garrett) risiedevano qui e non esitavano ad aprire le
proprie case alla militanza. Questa nuova immagine si
affida anche ad altri elementi: gli stores
quali Liberty, in cui le donne potevano
liberamente passeggiare, la presenza delle lavoratrici
che arrivavano ogni giorno dalle periferie, i club e i
ristoranti per donne e gestiti da donne (ricordiamo il
Pioneer Club in Cork Street e la catena di ristoranti
Dorothy). L'emergere di immagini diverse di Londra o
di alcune sue aree in particolare mostra dunque come
nella seconda metà dell'Ottocento vi fosse un
certo scarto tra la realtà e l'ideologia che ne
filtrava la rappresentazione. Un'impostazione analoga
caratterizza il saggio di Lynda Nead, che analizza la
storia di una strada del West End a fine Ottocento,
Hollywell Street, come spazio dove gli individui
potevano "explore and negotiate multiple urban
identities" (1997: 93) e dove anche le donne avevano
una propria visibilità. Nead ritiene che lo
spazio non sia un elemento passivo nella formazione
dell'identità, bensì parte attiva
nell'organizzazione dei rapporti sociali e culturali
all'interno della città e, fedele al concetto
di ambiguità sessuale postulato dagli studi
di gender, sostiene che "within the sites of
the modern metropolis, identity was diverse, unfixed
and open to constant negotiation" (Id.:
95).
- Judith Walkowitz esamina
invece la realtà londinese al volgere del
secolo da una prospettiva molto particolare: si
propone infatti di analizzare le dinamiche culturali e
sociali che si attivarono intorno alla vicenda di Jack
The Ripper e ad altri episodi di violenza a sfondo
sessuale, attingendo a Foucault e agli studi di Linda
Gordon, Nancy Cott e Caroll Smith-Rosenberg sulla
storia della sessualità nell'Ottocento (1992).
L'approccio poststrutturalista la spinge ad esplorare
i meccanismi e le strategie linguistiche e retoriche
attraverso le quali tale realtà viene
rappresentata: in particolare, Walkowitz si chiede
quale ruolo i giornalisti ebbero nel costruire
resoconti di questi episodi che rafforzassero la
visione della città come luogo di pericolo per
la donna che osava oltrepassare la soglia domestica.
Si giunge così a riconsiderare il ruolo dello
storico e i problemi legati alla sua
responsabilità e libertà: "The
historian's task still remains to explain cultural
expressions in terms of 'historically situated
authorial consciousness' and to track how historic
figures mobilized existing cultural tools"(Id., 10).
Proprio in questo senso è importante la
massiccia partecipazione delle donne al dibattito sui
reati di violenza, perché mette in luce le
diverse strategie di costruzione del discorso
femminile e smaschera quello maschile nelle sue
distorsioni strutturali.
- È evidente dunque come
l'ingresso della sociologia nel dibattito critico
abbia permesso significativi passi avanti
nell'indagine del rapporto complesso tra scrittura
femminile e cultura urbana, essenzialmente mettendo in
evidenza la necessità di una più stretta
cooperazione tra diverse discipline grazie al suo
essere "a natural and proper pooling of resources in
the name of a synthetic and rounded understanding of
culture and society as culture and society can only be
properly understood - in their relations to each
other" (Shiel. Fitzmaurice: 2001, 4).
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- Spazio
e gender: termini di un dibattito in
corso
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- Proprio una sociologa,
Elizabeth Wilson è una delle protagoniste di un
dialogo serrato che coinvolge sociologia, critica
letteraria e storia dell'arte, ribadendo la
necessità di rivisitare criticamente alcuni
stereotipi sulla città tardo ottocentesca:
"women could be flâneuses, given
the instability of both masculine and feminine
identities in the late nineteenth century and the fact
that certain women (artists, prostitutes) did have
access to the streets" (1992: 97). Wilson, inoltre,
sottolinea l'importanza del luoghi liminali tra
pubblico e privato (teatri, hotel, grandi magazzini)
in quanto spazi in cui la donna poteva avventurarsi
anche senza la sorveglianza di una figura maschile e
mantenendo una certa rispettabilità. Scrive
Wilson della realtà parigina:
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- There had been
pehaps a tendency for this argument to be
overstated. Women did participate actively as well
as passively in the spectacle, and the whole
Parisian atmosphere of pleasure and excess, both
sexual and political, did create an environment in
which women were able to gain certain freedoms -
even if the price of this was their
over-sexualization and their participation in what
was often a voyeuristic spectacle (Id.:
56).
- La scelta di Parigi non
è casuale, bensì dettata dal desiderio
di confutare le conclusioni cui giunge una storica
dell'arte, Griselda Pollock, a proposito della
rappresentazione della città francese nei
dipinti di Berthe Morisot e Mary Cassatt. Pollock si
batte per una "social history of art", ovvero per una
storia dell'arte che leghi l'opera dell'artista alla
congiuntura sociale e culturale che l'ha prodotta,
prendendo in considerazione "not only the spaces
represented or the spaces of representation, but the
social spaces from which the representation is made".
Consapevole che la posizione nello spazio del
produttore dell'opera condiziona quella del suo
fruitore, compito dello storico dell'arte, secondo
Pollock, è proprio quello di individuare e
ricostruire questa posizione, questo "point of view"
(1988). Analizzando per esempio i dipinti di Morisot,
Pollock sottolinea come in essi emerga chiaramente il
punto di vista della pittrice nella riaffermazione
dell'importanza della divisione tra sfera pubblica e
privata: per quanto la donna venga spesso
rappresentata in ambiente urbano, un elemento di
separazione, per esempio una finestra o la balaustra
di un balcone, ne impedisce la fusione con lo spazio
pubblico. Wilson invece contesta le conclusioni che
Pollock trae sull'uso da parte della pittrice di
angolazioni e prospettive - in particolare la
prospettiva dall'alto - atte a rappresentare un punto
di vista femminile della realtà osservata: tali
tecniche venivano infatti impiegate dai pittori
impressionisti in generale, e non solo da
Cassatt.
- La questione dello spazio
dicotomico torna nel saggio di Janet Wolff su Gwen
John a Parigi: quali sono le "strutture
dell'esclusione" che hanno operato per rendere
invisibile la presenza della pittrice nella storia
della critica? (1993). Wolff sostiene allora che la
possibilità di scoprire la realtà che si
nasconde dietro questa visione poco veritiera ci
è offerta dalle nuove vie critiche aperte da
una parte dagli studi di gender, in particolare
gli studi gay e lesbian, che hanno
rivelato le molte zone d'ombra della categoria
medesima. Ella si affida, d'altra parte, alla nuova
impostazione della geografia urbana e umana di De
Certeau o Lefebvre, che ha contribuito a smantellare
il concetto di strutture spaziali fisse, rigide e ha
focalizzato invece l'attenzione sul significato
sociale dello spazio (De Certeau: 1988; Lefebvre:
1974):
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- The formal
account (what de Certeau calls the 'conceptual
city') will not easily give us access to the ways
in which women in the late nineteenth century and
the early twentieth century were able to negotiate
the streets. (Or, to put it slightly differently,
the dominant discourses of the city render
invisible 'women's city', which a different
discourses would entirely re-write)" (Parsons:
2001, 129).
- Il tema dell'ambiguità
delle identità sessuali è al centro
anche dell'analisi di Deborah Parsons, che ritiene che
la figura del flâneur sia di per
sé una figura elusiva, tanto da invitare a
diverse interpretazioni, spesso confuse perché
basate sulla sovrapposizione della figura storica alla
sua funzione metaforica quale modalità di
osservazione e rappresentazione della realtà
(2001). Nata secondo la studiosa da un errore di
impostazione metodologica, questa ambiguità ha
segnato l'analisi di quante si sono messe alla ricerca
di un modernismo alternativo. Da una parte, il fatto
che Griselda Pollock, Janet Wollf o Elisabeth Wilson
si siano basate sull'analisi benjaminiana del
flâneur è persuasivo:
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- they have been
influential in composing the conceptual categories
of male modernism, and the male artistic 'gaze'
that literary and art criticism now employ. Indeed
their work has been crucial for encouraging the
recognition of the masculine bias of hegemonic
modernism, and the subtle techniques and styles
women artists used to assert their differing
perspectives of urban experience (Id.:
39).
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- Tuttavia permangono
perplessità proprio perché l'analisi si
basa solo sul flâneur benjaminiano, che
Parsons ritiene ancorato a un particolare periodo
storico: "to accept Benjamin's idea of the
flâneur as a figure of surveillance is to
overlook the fact that Benjamin's text itself is
ideological, and based in an attempt to relieve the
male anxieties of the-turn-of-the century and
modernist period" (Id.: 40). Dopo Benjamin, invece, si
sono levate altre voci critiche (in particolare quella
di De Certeau, già invocata anche da Janet
Wolff), che hanno elaborato l'idea di un flâneur
essenzialmente come metafora di una particolare
modalità percettiva della realtà urbana.
Il flâneur in questione, afferma Parsons,
decostruisce la polarità maschile/femminile: le
sue caratteristiche prettamente androgine suggeriscono
infatti più la contestazione
dell'autorità maschile che la sua esaltazione.
La studiosa privilegia allora un'altra modalità
di osservazione della realtà urbana, quella da
lei ricondotta alla figura del
rag-picker:
-
-
- As a marginal
figure, concerned with the refuse objects of
everyday life rather than monumental history and
forming a connecting relationship with the city in
which the urban landscape is regarded as a
palimpsest of layered time, it is the
Baudelaire-inspired surrealist rag-picker rather
than tha autocratic Le Corbusian
flâneur who would seem to share
certain aspects of women's experience of urban
spaces (Id.: 10).
-
-
- Ciò che sembra
interessante rilevare all'interno di questo dibattito
è il tentativo sempre più evidente di
superare l'istanza che potremmo definire, ancora con
De Certeau, della "conceptual city": il discutere
sulla partecipazione delle donne alla vita pubblica
sotto forma, per esempio, di shopping o di spostamenti
delle lavoratrici, sulla questione quindi della
possibilità di una flânerie al
femminile. Il superamento di tale istanza, o meglio la
sua correzione, è avvenuto alla luce di quella
che potremmo definire, sempre con De Certeau,
"discursive city". In essa la città appare come
un prodotto culturale e il rapporto problematico
donna/metropoli si configura come specchio del
rapporto problematico della donna con la tradizione
culturale precedente, essenzialmente maschile. In
particolare, a partire dagli anni Novanta, risulta
determinante l'apporto di una geografia che, come
già sottolineato, si è orientata in
direzione di uno spostamento dell'attenzione da una
utopica città "oggettiva", costituita da
strutture rigide, fisse, ad una città che
esiste solo attraverso le diverse percezioni dei suoi
fruitori.
-
-
- Oltre
il Modernismo inglese. O, il valore delle
contaminazioni
-
- L'apertura del dibattito
critico alle più diverse discipline ha
consentito non solo il superamento di confini
metodologici, ma anche quello di confini temporali,
stimolando la critica a spostare l'attenzione dalle
avanguardie storiche alla letteratura femminile della
seconda metà del Novecento. In questo senso
vanno gli studi di Christine Wick Sizemore, che
sostiene come le scrittrici inglesi contemporanee
abbiano contribuito in maniera determinante a superare
il flâneur automatico di Le Corbusier
introducendo nel solco della razionalità
maschile sregolatezza e carnevale, in una visione di
Londra come città delle opportunità e
della gioia (1999). La studiosa individua cinque
modelli di rappresentazione dell'esperienza urbana: il
palinsesto per Doris Lessing, il reticolato per
Margaret Drabble, il labirinto per Iris Murdoch, il
mosaico per P. D. James e lo scavo archeologico per
Maureen Duffy. Sulla scia del lavoro fortemente
psicoanalitico di Nancy Chodorov, Carol Gilligan e
Jessica Benjamin e della fiducia in una maggiore
flessibilità e capacità di relazione
dell'ego femminile rispetto a quello maschile, Wick
Sizemore riflette sull'elemento di connessione che
risulta predominante nella scrittura femminile, in
contrasto alle immagini gerarchiche privilegiate dagli
uomini. La visione femminile della città come
network si allontana allora dalle teorie degli
urbanisti classici come Weber o Spengler che associano
la vita urbana all'idea di solitudine e alienazione,
ma dalla tradizione architettonica che prende le mosse
da Le Corbusier, razionalista e patriarcale nelle
pagine di Wick Sizemore. Il saggio si sofferma dunque
sull'architettura di Kevin Lynch e Janet Jacobs nella
quale si è cominciato a recuperare il valore
della comunità e della relazione con l'altro,
dando rilievo all'interno del tessuto urbano agli
stessi elementi enfatizzati - non a caso - dalle
cinque scrittrici (i parchi per esempio). Proprio
l'enfasi sui parchi e sui giardini rappresenta
l'elemento nuovo che incombe sul rapporto scrittura
femminile e cultura urbana: il rifiuto della dicotomia
urbs/rus (o, ancora, cultura/natura e, in ultima
istanza, maschile/femminile) in favore di una loro
integrazione armonica che nella città di Londra
(sia nella realtà che nella finzione narrativa
qui considerata) è particolarmente
significativa.
- È interessante allora
anche l'analisi del rapporto
gender/città dell'americanista Kakie
Urch (1997), che si inserisce nel dibattito sulla
flânerie da una prospettiva polemicamente
marginale, quella della rappresentazione di una
città delle donne attraverso la
pubblicità, la narrativa popolare e la moda, a
sottolineare la forza e la vitalità di un
modernismo altro rispetto a quello ingessato di cui la
tradizione critica si è da sempre occupata.
Dall'analisi della figura di Viña Delmar e in
particolare del suo romanzo Bad Girls (1928)
emerge un tipo particolare di flânerie,
quella tipicamente americana che si realizza
attraverso le strade e i portici disseminati di
insegne pubblicitarie: in questo ambiente particolare,
la flâneuse rediviva scambia sguardi con i
pubblicitari, che, nell'America di inizio Novecento,
erano quasi esclusivamente donne. Accostarsi alla
presenza delle donne nella città attraverso la
pubblicità appare in Delmar come scelta
metodologica pienamente consapevole:
-
-
- In terms of
Modernism, it is not tne "M" I'm interested in.
It's the space around it. This is about the
[em] space of Modernism - the 'female
popular' of the 'modern' that exists around what
has become the male cultural capital and the male
capital "M" of Modernism, the largest literary (and
by extension, political) theory of the twentieth
century (Id.: 18).
-
-
- Il saggio si inserisce in un
volume sul Modernismo che ha segnato un momento
importante nella storia critica di quella stagione
culturale, Modernism, Gender and Culture
(1997), in cui l'approccio multidisciplinare viene
chiaramente rivendicato nelle sue sterminate
possibilità: "since cultures have unique
historical contexts, an understanding of these
contexts and the interaction between them is central
to the understanding of any form of cultural
production" (1997: 4). Questo tipo di lettura ha
aperto la strada ad una investigazione a tutto campo
della cultura inglese dei primi decenni del Novecento,
portandone alla luce aspetti prima trascurati quali le
arti cosiddette minori, in cui per altro le donne
ebbero un ruolo di primo piano e, in generale, le
forme di cultura più popolari, contro una
tradizione critica fortemente impegnata sul versante
del cosiddetto "High Modernism". E proprio questo
tentativo di superare la distinzione tra forma "alte"
e forme "basse" di cultura, tra lo High
Modernism di Pound-Joyce-Eliot e il modernismo
delle scrittrici attraverso l'apporto di discipline
diverse rappresenta, secondo Lisa Rado, il frutto
migliore di due decenni di riflessione sul
gender e, in questo caso, sul rapporto tra
scrittura femminile e cultura urbana.
-
-
- Dal
testo allo schermo e ritorno
-
- La fecondità di un
approccio multidisciplinare è testimoniata
brillantemente da uno studio di Katherine Von Ankum,
rivolto alla cultura tedesca degli anni Venti e
Trenta, che individua in Berlino una città
delle donne attraverso la loro presenza come
lavoratrici, artiste, spettatrici di cinema,
flâneuses (1997). Agli antipodi
dell'analisi di Foucault sul panopticon, la
riflessione di Von Ankum invita a contemplare donne
diverse, agenti attivi, coinvolte in modo dinamico
nella costruzione di una modernità "of their
own". Davvero notevole è la varietà di
aspetti culturali e forme artistiche esplorate, ma
l'ampio spazio dedicato al cinema dimostra come il
dibattito sulla possibilità di esistenza di una
flânerie al femminile che negli anni
Novanta vede impegnati i gender studies si
riveli particolarmente fecondo dal punto di vista
critico proprio quando associato alla teoria filmica.
Il saggio di Patrice Petro, ad esempio, delinea il
concetto di "female cinematic spectator" come
spettatrice dotata di uno sguardo indipendente,
provocante e emancipato, mentre l'analisi di Janet
Lungstrum si focalizza sul personaggio della donna
robot in Metropolis (1928), di Fritz Lang,
espressione del fascino e insieme della paura
dell'uomo nei confronti della tecnologia e della
modernità. Anke Gleber, in uno dei saggi
più interessanti, ritiene che il cinema, come
strumento tecnologicamente più avanzato per la
rappresentazione della città, possa essere un
promettente punto di partenza per ritrovare la
femme flâneur apparentemente assente
dalle sue strade. Per fare ciò, ella analizza
un film di Walter Ruttmann, Berlin, Symphony of the
City (1927). In esso, infatti, una famosa scena
presenta una donna che cammina per le strade di
Berlino e osserva un uomo attraverso il riflesso di
una vetrina di un negozio: superando la lettura
corrente della scena come adescamento da parte di una
prostituta, Gleber propone
-
-
- a new reading of
this metropolitan text" in cui la donna sia "a
literal, female streetwalker, a new figure of
subjectivity free of any professional purposes
other than her own processes of walking, seeing,
and, potentially, recording these actions: a
femme flaneur (1998: 76).
-
-
- La studiosa sviluppa
successivamente questi spunti in un volume dedicato
alla cultura letteraria e cinematografica della
Repubblica di Weimar, illustrando in esso il rapporto
di analogia tra il flâneur che attraversa
le strade della metropoli catturandone le immagini in
movimento e la cinepresa del cinema muto: il
flâneur percepisce la realtà
urbana attraverso la quale si muove come un film di
cui è allo stesso tempo autore e spettatore
(Gleber: 1998). Proprio l'analisi del cinema
Weimariano, inoltre, "offers us, after centuries of
male flanerie, some of the first signs of the female
flanerie, suggesting the many ways in which she is
already present in the scenes and sites of the
metropolis, even if she has been overlooked"
(Id.: 180).
- Anche Anne Friedberg teorizza
l'equazione tra spettatore e flâneur, in
quanto "Flânerie can be historically
situated as an urban phenomenon linked to, in gradual
but direct ways, the new aesthetic reception found in
'moviegoing'" (1993: 3). Entrambe le attività
sono infatti accomunate da una medesima concezione
dello spazio, che si basa su una vicinanza con l'altro
puramente estetica e non sociale. In questo nuovo
rapporto tra sguardo e corpo in movimento tipico della
società moderna e facilitato anche da strutture
architettoniche quali i grandi magazzini, i musei, i
passages, anche per la donna si aprono nuove e
più ampie possibilità di mobilità
urbana, tra cui, appunto, il cinema: "[...]
here, at the base of modernity, the social
underpinning of gender began to shift. Women were
empowered with new forms of social mobility as
shoppers, as tourists, as cinema goers" (Id.:
4).
- Giuliana Bruno, invece, si
inserisce nel dibattito critico attravero l'analisi
della vita e delle opere di Elvira Notari, regista
partenopea di inizio Novecento, i cui film sulla vita
delle donne napoletane sono andati quasi del tutto
persi (1993). La studiosa ha dovuto dunque lavorare a
partire dai margini, in un'analisi-palinsesto che
tenta di colmare questi vuoti attraverso l'apporto
della letteratura, la fotografia, la sociologia,
l'architettura. I frammenti rimasti sono definiti una
"lacunar female geography", che diventa cosciente
approccio metodologico all'analisi del rapporto tra
film e gender:
-
-
- My study intends
to foreground spatial representation and aims at
inscribing desire in a spatial practice. Reading
from a feminst viewpoint means to venture into that
erotic geography that exists as an intersubjective
site, in-between the filmic texts and the female
spectator (and critic). (1993: 6)
-
-
- Il lavoro critico sul cinema
di inizio secolo si presenta dunque come una delle
strade più promettenti per fare emergere la
presenza di una flânerie al femminile
nella cultura moderna. Da una parte, infatti, il
cinema delle origini può essere visto come uno
dei primi spazi pubblici cui le donne ebbero accesso e
quindi come un importante mediatore tra donna e sfera
pubblica negli anni Venti; dall'altra, l'interazione
tra sociologia, geografia e urban studies che ha
caratterizzato gli sviluppi più recenti nei
film studies (in quanto terreno ideale su cui
innestare una riflessione sul cinema come "a
peculiarly spatial form of culture"; Shiel e
Fitzmaurice: 2001, 6) è la stessa che si
è rivelata tanto promettente nello studio dei
testi letterari femminili.
-
-
- Lo
spazio delle donne e la frase
-
- La straordinaria
fecondità delle intuizioni benjaminiane sul
rapporto tra città, scrittura e
modernità rappresenta senza dubbio il punto di
partenza imprescindibile di qualsiasi indagine volta
ad esplorare il complesso e spesso contraddittorio
dialogo tra cultura urbana e scrittura femminile. Nel
tentativo di rispondere alla domanda "Esiste una
flâneuse?", la riflessione femminista ha
individuato nei romanzi di Virginia Woolf una strada
percorribile: inizialmente ancora ispirata ad un
approccio biografico, la riflessione si è
spostata gradualmente verso il piano formale, favorita
in questo da un lavoro di esaltazione della scrittura
modernista come momento determinante in cui la frase
modella l'esperienza urbana e ne viene a sua volta
modellata. In questo processo Dorothy Richardson si
è affiancata lentamente a Woolf quale motore
della riflessione e, come dimostra lo studio di
Deborah Parsons, può rappresentare davvero il
punto di partenza per un'indagine del rapporto tra
scrittura femminile e spazio/spazio urbano che sappia
sfruttare nel modo più fecondo sia l'apporto
della critica femminista che quello degli studi urbani
(sociologia, architettura, geografia). Da una parte,
infatti, la problematizzazione della categoria del
gender e l'approccio multidisciplinare di
studiose come Lisa Rado hanno aperto la strada ad una
revisione del Modernismo quale momento culturale in
cui l'apporto delle donne è stato significativo
nei campi più diversi. In questo senso, il
ruolo della sociologia è stato determinante:
"The feminist revision of sociology and social history
means the gradual opening up of areas of social life
and experience which to date have been obscured by the
partial perspective and particular bias of mainstream
sociology" (Wolff: 1985, 46). Gli sviluppi teorici
negli studi urbani, dall'altra parte, hanno messo in
discussione l'esistenza di strutture spaziali rigide
in favore di una idea di spazio come il prodotto
dall'interazione tra istituzioni geografiche,
storiche, sociali, culturali e ben si sono prestati ad
un dialogo fecondo con i gender studies e la
loro l'impostazione poststrutturalista. Il risultato
è il passaggio dalla città ordinata
geometricamente e afferrabile nella sua
totalità di Le Corbusier a quella sfaccettata,
flessibile e elusiva di Janet Jacobs. La città
che così si delinea è una città
costituita da una molteplicità di
identità e possibilità, dalla perdita di
un centro ordinatore in favore di una
marginalità che meglio rappresenta la coscienza
femminile. Espressione di tale coscienza, le immagini
della varietà e del decentramento - siano esse
il labirinto o il palinsesto o la rete - rappresentano
dunque "a female vision of the city, a vision that
cherishes all the little details and variety of the
city, one that celebrates urban life. It is a vision
worth reading about and imagining. It is a vision
worth planning for and designing" (Wick Sizemore:
1989, 243).
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