CULTURE

17 - 2003


Se n'è andato Ahmadou Kourouma, il grande cacciatore malinken

 
Il mio nome è Ahmadou Kourouma. Kourouma dal patronimico Kourouma. Sono scrittore di etnia malinke. (...) In verità, vi dico che sono figlio e nipote di grandi cacciatori. E così ho evocato, affinché mi assistano, gli antenati che mi ispirano. Sono sicuro che ora stanno qui, intorno a me. Nell'ombra, sono accorsi in aiuto del figlio e del nipote. Nell'ombra, se ne profilano le parvenze. Sono qui intorno a me, seduti a terra con le gambe incrociate. Hanno indossato la tenuta da caccia, il berretto frigio e la cotta alla quale hanno appeso numerosi grigri, specchietti e amuleti. Portano a tracolla un lungo fucile da caccia e nella mano destra tengono in vista lo scacciamosche, insegna del capo. È vero, non si vedono, non si possono vedere, ma si sentono, se ne avverte la presenza tradita da un impercettibile brusio.
 

Impresse su una parete della Galleria d'Arte Moderna di Torino, queste parole suggestive accoglievano chi andava a vedere "Africa, capolavori da un continente", l'eccezionale mostra che ha ospitato esemplari scelti di secoli di produzione artistica africana. La voce potente di Kourouma continua a invitare i visitatori europei dalle pagine del catalogo, mentre lui, Kourouma, se n'è andato a raggiungere la folla degli antenati il cui brusio giunge indistinto, ma la cui presenza si imprime fortemente sulle facoltà percettive. Se n'è andato il grande scrittore, straordinario per le singolari qualità espressive, per la forza della visione, per la capacità di narrare storie tumultuose e frenetiche in cui scorrono e si affollano vicende africane e coloniali, personaggi storici e fantastici, dilagando in uno stile che aveva saputo reinterpretare la tradizione, anche la più antica, rinnovandola in un immaginario coerente e personale, vivacissimo, stupefacente.
Ahmadou Kourouma è morto a Lione a circa 76 anni (la sua data di nascita precisa non la conosceva neppure lui). Era nato a Boundiali, in Costa d'Avorio, e apparteneva a un potente clan malinke. Aveva vissuto soprattutto fra la Costa d'Avorio, il Togo e la Francia, ma aveva girato parecchio il mondo. Dopo aver studiato a Bamako, capitale del Mali, aveva fatto il servizio militare in patria sotto la bandiera francese - si era ancora in epoca coloniale - e per essersi rifiutato di partecipare alla repressione di una sommossa popolare era stato punito e inviato a combattere con l'esercito francese in Indocina. Erano gli anni in cui si preparava quella che poi sarà la guerra del Vietnam: il giovane Ahmadou si trova sballottato in una realtà caotica e drammatica, proprio come accadrà al suo eroe Birahima in Allah non è mica obbligato (Allah n'est pas obligé, Seuil 2000), ragazzo soldato travolto da vicende più grandi di lui, sommerso da esse, attore suo malgrado di una guerra incomprensibile.
Ritornato in Africa, Kourouma vive l'indipendenza della Costa d'Avorio, che insieme a tante altre ex colonie del continente si libera dal giogo coloniale nei primi anni Sessanta. Ma anche l'indipendenza rivela ben presto degli aspetti pesantemente negativi: tirannia, corruzione, ingiustizia. Kourouma reagisce, combatte contro quello che sta diventando un regime. E, mentre per guadagnarsi la vita fa tutt'altro mestiere (diventa infatti consulente economico finanziario), comincia a scrivere, creandosi un'arte tutta sua, levando una voce originale e potente che continuerà a risuonare sino alla fine.
Nel fatidico anno 1968 compare così I soli delle indipendenze (Les soleils des indépendences), romanzo che narra la decadenza del principe malinke Fama Dumbuya dello Horodugu, "nato nell'oro, il cibo, l'onore e le donne" e ridotto a vivere come mangiatore di carogne. "Ma allora che cosa ci hanno portato le indipendenze?", dice Fama. "Nulla, a parte la carta d'identità e la tessera del partito unico". Nella virulenta descrizione di Kourouma vengono messi alla berlina sia la borghesia arrivista e ingorda, che ha preso in mano il destino del paese, sia i capi tradizionali corrotti e servili, incapaci di ripensare il proprio ruolo e abbandonare i privilegi in favore del bene comune della collettività. Questo romanzo divenne un modello per generazioni di lettori e di scrittori africani e rivelò subito l'imprint di una creatività eccezionale, espressa con voce sarcastica e amara, ma anche traboccante di vitalità.
Kourouma pagò care l'opposizione al regime e le scelte politiche (nel frattempo era entrato nel Partito Comunista). Dovette andarsene dalla Costa d'Avorio, e per molti anni visse in Togo. Passò molto tempo prima che comparisse il secondo romanzo, a tutt'oggi non ancora tradotto in italiano, Monnè, outrages et défis (Seuil 1990). Ambientato in epoca coloniale, Monnè continua la vena di feroce sarcasmo dell'opera prima, e Kourouma vi si afferma sempre più come erede degli antichi griot, cantore audace e irriverente della storia africana, e capace di denunciare i potenti ed evocare un intero popolo, quello di Soba, il cui re Djigui Keita diviene complice dei francesi invasori (chiamati "nazareni", ossia cristiani). Qui la tragedia dell'occupazione del territorio africano da parte degli europei, con conseguente schiavizzazione degli abitanti, costretti ai lavori forzati per costruire la ferrovia, procede parallelamente al disastro causato da una geografia mitica cui Djigui rimane abbarbicato, non potendo abdicare al concetto di centralità assoluta del suo regno in cui si colloca la sua filosofia del mondo.
Del 1998 è il terzo romanzo, Aspettando le bestie selvagge (En attendant le vote des bêtes sauvages) e del 2000, come si è detto, Allah non è mica obbligato. Il primo dei due è costituito da una esplosiva, travolgente invettiva contro una figura di orrendo tiranno africano, Koyaga, in cui si incarnano e si identificano tante figure della storia più recente, a partire dall'ugandese Amin Dada e da Bokassa, grottesco imperatore del Centro Africa. La struttura si articola in sei 'veglie' cantate dal poeta orale Bingo, sora (cantore) della confraternita dei cacciatori che si accompagna con il suono della cora. La narrazione ritmata di Bingo si appoggia a una figura che funziona da spalla, o, come dice l'autore, da répondeur - un saltimbanco suonatore di flauto, di nome Tiécora - e percorre la storia dell'Africa e del colonialismo in un crescendo di orrore e di furia che risponde però a un'importante esigenza intima, cioè il bisogno di spiegare l'Africa a se stessa, mettendo a confronto filosofie e mitologie.
Allah, che Kourouma dedica ai bambini di Gibuti che glielo avevano chiesto, è l'amarissima e insensata storia contemporanea di un ragazzo soldato sbattuto in Liberia, che esordisce con uno sberleffo clownesco:
 
 
E per cominciare...e uno!... Mi chiamo Birahima e sono p'tit nègre. Non perché sono nero e bambino. No! Sono p'tit nègre perché parlo male il francese. Proprio così, davvero. Se si parla male il francese, si dice che si parla p'tit nègre, anche se si è adulti, anche vecchi, anche arabi, cinesi, bianchi, russi, anche americani, si è sempre e comunque p'tit nègre. Così vuole la legge del francese quotidiano.
 

Birahima dunque deve la propria condizione subalterna a una subalternità linguistica. E perciò intesse il suo discorso su quattro pilastri linguistici, il dizionario Larousse, il Petit Robert, l'Inventario delle particolarità africane del francese in Africa nera, "che spiega i paroloni africani ai toubab (bianchi) in francese di Francia", e il dizionario Harrap's, "che spiega i paroloni pidgin ai francofoni che non capiscono nulla del pidgin". Il paradossale incrocio dei referenti inchioda subito il protagonista a una situazione ardua, in cui si agiterà acrobaticamente durante il corso delle vicende, mettendo in scena l'impossibilità di una condizione umana. L'idea di incentrare la narrazione intorno a una simile figura non è nuova nella letteratura d'Africa, e ha il suo primo e più illustre precedente nel romanzo Sozaboy. A Novel in rotten English del nigeriano Ken Saro Wiwa, che della vicenda di un soldier boy travolto dalla guerra civile fece una irrefrenabile, indiavolata storia dell'Africa contemporanea, anch'essa impastata di linguaggi ibridi e invenzioni espressive.
Con questi due ultimi libri Kourouma ha ottenuto successo unanime non solo in Africa, ma anche in Francia, dove gli sono stati conferiti numerosi e importanti premi. Intanto lo scrittore aveva ulteriormente consolidato il suo ruolo di intellettuale pubblico all'interno del continente d'origine, unendo la propria voce a quella di un gruppo di scrittori che si recarono in Ruanda dopo i massacri di hutu e tutsi e ne scrissero in toni forti ed emozionanti.
Ahmadou Kourouma era venuto più volte in Italia, una prima volta a Roma negli anni Ottanta, poi, nel 1997, ospite dell'Università di Bergamo, e ancora, nel 2002, del Festivaletteratura di Mantova, dove aveva incantato gli ascoltatori con le sue storie dei "mangiatori d'anime" che stanno appollaiati in cima agli alberi, in agguato, aspettando le prede. E infine nel giugno del 2003 aveva ricevuto il Premio Grinzane Cavour in una cornice cordiale e festosa: è caro ricordare il sorriso e l'amabilità dell'imponente malinke dall'alta statura e la pelle color ebano, che spiccava vistosamente accanto al pallido e sottile John Coetzee, anch'egli premiato a Torino.
Per chiudere ricordando la potenza espressiva dei suoi racconti costruiti in forma di cantate orali, e sottolinearne la bellezza inventiva e la forza morale, è bene affidarsi alla stessa voce del caro, impareggiabile amico Ahmadou e citarne l'evocazione finale scritta per la mostra di Torino:
 
 
Oh paleonegri, antenati del nostri antenati, alzatevi! È a voi che voglio rivolgermi adesso. È per voi, uomini nudi, che adesso canterò. Voi avete abbandonato tutto, i vostri campi nelle pianure, le vostre capanne, i vostri boschi con i vostri dèi. Avete abbandonato tutto per sottrarvi alle orde guerriere degli imperi, per sfuggire alle orde schiaviste. Siete partiti per cercare rifugio, per raggiungere le grotte in cima alle montagne aride e senza terra, dove avete ideato nuove coltivazioni. (...) Gli europei, dopo la spartizione dell'Africa, percorsero trionfanti le terre conquistate per sottomettere ai lavori forzati tutti i negri colonizzati. Si fermarono però perplessi ai piedi delle alture occupate dagli uomini nudi, i paleonegri (...) Ancora oggi, nell'anno 2003, si cerca di studiare e comprendere la cosmogonia complessa degli uomini nudi, dei dogon di Bandiagara vicino a Timbuctu...
 
 

Itala Vivan

 

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